Capitolo sedici
Domenica
Kimber: Josh non vuole raccontare nulla a Ryan del vostro appuntamento. Qualcosa è andato storto?
Io: Ruger.
Kimber: ???
Io: Ci siamo divertiti molto, poi si è presentato Ruger. Sono abbastanza sicura che Josh non si farà vivo, mai più.
Kimber: Cristo, Ruger. Fa un po’ lo stalker?!?! ???
Io: No, non proprio. Stava cenando con i ragazzi e li abbiamo incontrati nel parcheggio. Ha detto delle cazzate a Josh e poi Josh è scappato. Mi rendo conto che non ci conosce molto bene, ma non si è nemmeno assicurato che io e Noah fossimo al sicuro quando se n’è andato. Epic fail su tutta la linea.
Kimber: Merda. Josh perde il diritto al Margarita. Odio gli smidollati.
Io: Beh…
Kimber: Quindi hai parlato con Ruger o no?
Io: No. Che si fotta.
Kimber: Capito. Ehi, ci vai all’addio al nubilato? Marie mi ha invitato e io vorrei andare, ma senza di te sarebbe strano.
Io: Non riesco a decidermi. Lei mi piace e vorrei tanto andarci, ma… sai…
Kimber: Sì, ho capito. Tienimi aggiornata.
Lunedì
Ruger: Posso andare a prendere Noah dopo la scuola? Voglio portarlo in un posto.
Io: Dove?
Ruger: Ho un amico che fa le corse in macchina giù alla pista. Ha detto che Noah può fare un giro con lui.
Io: È una cosa sicura???
Ruger: Sicura come qualsiasi macchina. Andrà piano.
Io: Amico motociclista?
Ruger: No. Niente toppe, niente Reapers. Non sono d’accordo con te su questo punto, ma ti sto
dando del tempo.
Io: Non ho bisogno di tempo. Ho bisogno che mi lasci in pace.
Ruger: Posso portarcelo o no?
Io: Va bene. A casa per le 6?
Ruger: Le 7 vanno bene? Gli preparo la cena.
Io: Sembra un’ottima idea. Niente scherzi, però. Portalo a casa e vattene.
Ruger: Ho capito. Niente scherzi.
Mercoledì
Dancer: Quindi vieni alla festa o no? Marie ci tiene davvero che tu venga.
Io: Uhm…
Dancer: Per favore, vieni. So che le cose vanno di merda tra te e Ruger ma a me non importa e nemmeno a Marie. Ci piacerebbe venissi con noi.
Io: Va bene. Non voglio fare troppo tardi, comunque. Venerdì lavoro.
Dancer: Nessun problema. Anche poche ore sono già molto per Marie. Viene anche Kimber? È una tipa divertente. Ehm, potresti chiederle di portare anche il frullatore? Iniziamo a bere da me e poi facciamo il giro dei bar…
Io: Scema :p
Dancer: Non è da scemi sapere cosa vuoi ;)
Io: Immagino di no. Vedrò se Elle può badare a Noah.
Dancer: Puoi lasciarlo con la nostra baby-sitter se hai bisogno.
Io: Preferisco averlo vicino a casa. Dormo più tranquilla. Le nostre vite sono state un po’ incasinate ultimamente e domani ha scuola.
Dancer: Ci vediamo domani sera <3
Io: Perfetto.
Giovedì
Kimber: Non posso credere che festeggi di giovedì. Che palle, Ryan deve lavorare domani. I postumi della sbornia e i bambini non stanno bene insieme!!!!!!!!!!
Io: Non sei obbligata a bere, sai.
Kimber: Chiudi quella cazzo di bocca. Tu non bevi?
Io: No, lavoro domani mattina.
Kimber: Sarai mica incinta?
Io: Oh, che divertente.
Kimber: : -) Allora sai perché lo fa di giovedì?
Io: Marie ha detto che deve uscire con sua madre questo fine settimana. Spa o roba del genere.
Kimber: Sono invidiosa. Dovremmo farlo anche noi.
Io: Subito dopo aver vinto alla lotteria.
Kimber: Uhmmm… è meglio che inizi a comprare i biglietti.
Io: Perché non li compri tu per entrambe?
Kimber: Finché potrò bere per entrambe, ci sto! Baci.
«’Fanculo!», urlò Marie, girandosi. «Ho perso il velo!».
Si alzò in piedi, sbucando dal tettuccio apribile della limousine. Era da poco passata la mezzanotte, e avevamo deciso di fare un giro intorno al lago Coeur d’Alene prima di raggiungere la nostra destinazione finale, un karaoke bar.
Circa un’ora fa, Marie aveva dichiarato che voleva – no, doveva – cantare Pour Some Sugar on Me prima che la serata finisse. Era la canzone di quando lei e Horse si erano conosciuti, e pareva sarebbe cascato il mondo se non l’avessimo cantata anche stasera.
Lo sapevamo perché era stata molto chiara: la sopravvivenza del mondo dipendeva dal portare a termine con successo la missione karaoke, nel vero senso della parola.
Essendo una delle donne più sobrie della limousine, mi era stato assegnato il compito di assicurarmi che non ci distraessimo e non dimenticassimo l’obbiettivo. E visto che non ero sobria al cento per cento, me l’ero scritto con cura sulla parte interna dell’avambraccio, come promemoria.
Ora stavo accanto a lei, guardando spaventata il piccolo lembo di tulle bianco fluttuare in aria in direzione di Painter, che ci seguiva in moto. Santo cielo. Avrebbe fatto un incidente?
A quanto pareva, un velo alla deriva non era un serio pericolo stradale per una moto che andava a quaranta all’ora, perché lo evitò abbastanza facilmente. L’aspirante dietro di lui – uno che avevo visto alla festa all’Armeria ma con cui non avevo parlato – accostò per andare a recuperarlo.
Forte.
«Questo è davvero un ottimo servizio», dissi a Marie. Iniziò a ridacchiare, poi si lasciò cadere sui sedili della limousine, ufficialmente ubriaca marcia.
Mi risedetti anch’io.
Dancer era distesa su uno dei sedili, ridendo così forte da farsi venire le lacrime agli occhi. Maggs aveva la maglietta alzata, e mostrava le tette mentre Kimber le scattava una foto.
Non ero sicura di volere sapere tutta la storia. Una donna di nome Darcy che avevo appena conosciuto stava versando lo champagne in quel modo molto lento e cauto tipico degli ubriachi. Purtroppo aveva dimenticato il bicchiere.
Speravo che chiunque avesse dato la macchina a noleggio fosse coperto per quel genere di incidenti.
Una donna con i capelli corti, ricci e biondo-rossicci sedeva ridacchiando in un angolo. Quando ancora era in grado di pronunciare frasi di senso compiuto, Marie l’aveva presentata come Cookie. Viveva a Coeur d’Alene, ma si era trasferita, e ora Marie gestiva la caffetteria che ancora possedeva in città.
Em e io ci guardammo e lei alzò gli occhi al cielo.
Avevo deciso di non bere troppo perché la mattina dopo dovevo lavorare, ma ero ancora di buon umore. Stavo già pensando di tornare a casa in taxi. Em, però… aveva uno sguardo tormentato che mi insospettiva. Non c’era da meravigliarsi che le ragazze fossero preoccupate per lei: c’era sicuramente qualcosa che non andava.
«Allora, perché non vanno a casa?», chiesi a Em, avvicinandomi per sedermi accanto a lei.
«Chi?»
«Painter e l’altro ragazzo, Banks».
«Banks resterà con noi tutta la notte», disse a bassa voce. «Dovrebbe controllarci, assicurarsi che torniamo a casa sane e salve. Credo che Painter stia solo dando un’occhiata… forse è solo preoccupato dopo quello che è successo con Hunter e Skid».
«Non ti toglieva gli occhi di dosso mentre ballavi», dissi. «Poteva anche non sembrare interessato prima, ma ora lo è decisamente».
«Non me ne frega un cazzo», rispose, con voce piatta. «Di Painter, di Hunter… degli uomini in generale. Non ne voglio più sapere un cazzo di loro. Peccato che non possa semplicemente premere un interruttore e diventare lesbica».
«Sono abbastanza sicura che non funzioni così», dissi, sospirando. «Gli uomini sono davvero un’enorme rottura di coglioni, non è vero?»
«A proposito, come vanno le cose con Ruger?», chiese. «Ho sentito che vi state facendo la guerra».
«Ehm, detta così sembra un’esagerazione», dissi. «Non ci parliamo quasi più, ed è quello che volevo. Senza offesa, ma dopo quello che è successo, non credo di voler avere niente a che fare con il club».
Sospirò.
«Posso capirlo», rispose. «Non sei stata accolta nel migliore dei modi. So che può non sembrare così, ma sono davvero dei bravi ragazzi. Non è sempre tutto una merda».
L’auto sbandò e Dancer ci cadde addosso.
«Siete noiose!», ci urlò in faccia. «Noi ci stiamo divertendo. Se non mi canti qualcosa di bello al bar, ti caccio dalla limousine e ti faccio andare in moto con Painter».
Ehm, no. Preferirei farmi strappare gli occhi dalle orbite che cantare al karaoke.
Non lo dissi, però. Sorrisi educatamente e capii che era un segno: avrei chiamato un taxi dopo la canzone di Marie. Dovevo alzarmi fra sei ore, quindi probabilmente era comunque la decisione migliore. Almeno non dovevo preoccuparmi per Noah: Elle l’aveva portato a casa sua, offrendosi di tenerlo per tutta la notte e prepararlo per la scuola il giorno successivo. Era di grande aiuto.
«Oh mio Dio!», strillò Maggs all’improvviso. Rimanemmo tutte pietrificate. «Non le abbiamo ancora dato i regali!».
«Regali!», gridò Marie, battendo le mani. «Adoro i regali!».
Maggs si precipitò sul davanti della limousine e trascinò un grande cesto pieno di pacchi e buste. Ne prese uno a caso, lanciandolo alla futura sposa.
«Di chi è?», chiese Darcy. Marie cercò di concentrarsi sulla scrittura, poi scosse la testa.
«Non saprei», disse. «Avete una calligrafia davvero, davvero pessima».
«Da’ qui», dissi. «Fammi vedere».
Mi passò il pacchetto.
«L’etichetta è stata stampata al computer», dissi sbuffando. «E non è nemmeno un carattere elegante o chessò io. Sei troppo ubriaca per leggere. Oh, è di Cookie».
Marie mise il broncio.
«Non è colpa mia, avete ordinato tutti quegli shot», disse. «Non potevo mica lasciarli andare sprecati! Non si fa».
Darcy annuì saggiamente.
«Ha ragione: se butti via l’alcol alla tua festa di addio al nubilato, il matrimonio è destinato a fallire».
«Lo dici di tutto», l’accusai. «Il matrimonio è destinato a fallire se non ordina la bistecca e i gamberetti. Il matrimonio è destinato a fallire se non balla con almeno dieci ragazzi. Il matrimonio è destinato a fallire se non ci racconta quanto è davvero grosso l’uccello di Horse. Come si fa a credere a queste scemenze?»
«So di cosa parlo», dichiarò. «Ho ragione, signore?»
«Diavolo, sì», intervenne Dancer. «Darcy sa il fatto suo. Se dice che il matrimonio è destinato a fallire se Marie non beve abbastanza, è ora di iniziare a versarle gli shot in gola!».
«Ma stavamo aprendo i regali!», gridò Maggs. «Signore, dobbiamo concentrarci. Il matrimonio è destinato a fallire se non li apre prima di arrivare al karaoke bar!».
«Merda», disse Marie, spalancando gli occhi in preda al panico. Infilò una mano nella borsa, sbirciò dentro e iniziò a ridere come una pazza. Poi ne estrasse un gigantesco vibratore di silicone a doppia testa dai colori sgargianti.
«Oh, Cookie», disse, sospirando. «È bellissimo! Come lo sapevi?».
Scoppiammo tutte a ridere e Maggs prese un altro regalo. Questo era da parte di Darcy, e giuro che non scherzo, era un enorme strap-on.
«Così puoi rimettere Horse al suo posto», disse a Marie. «L’ego di quell’uomo ha bisogno di essere tenuto a bada, e questo è un ottimo strumento per farlo».
«Lo adoro», sussurrò Marie. «Oh, non vedo l’ora di provarlo».
«Pensi che ti permetterebbe di usarlo su di lui?», chiesi.
Scoppiò a ridere. «Penso che solo a vederlo gli esploderà il cervello», rispose. «Ma in fondo, non si tratta solo di creare la giusta atmosfera romantica?».
Em le aveva regalato un Kama Satra splendidamente illustrato, Dancer un perizoma con la scritta Support Your Local Reapers MC (insieme a un piccolo teschio dei Reapers), io degli oli da massaggio sensuali e Kimber una specie di cosa elettronica che guardammo tutte, cercando di capire cosa diavolo fosse.
«Leggi le istruzioni», disse Kimber. «Fidati di me, accendi questa meraviglia e non te ne pentirai».
Marie la inclinò, ovviamente confusa, e io cercai di capire come poteva adattarsi al corpo di una persona.
Volevo davvero, davvero dare un’occhiata alle istruzioni, ma quando le cercammo, nessuna riuscì a trovarle in mezzo alle pile di carta velina che svolazzavano per la limousine.
Ci fermammo al karaoke bar appena finito. Era l’una meno un quarto, quindi avevamo un’oretta di tempo prima dell’ultimo giro. Poiché il matrimonio sarebbe stato destinato a fallire se non avesse bevuto altri shot, Marie continuò a bere. Poi si alzò e cominciò a intonare la sua canzone dei Def Leppard e noi tutte ci unimmo a lei per il ritornello.
Maggs prese il microfono per cantare White Wedding, e poi Marie si rese conto che il matrimonio sarebbe stato davvero destinato a fallire se non avesse mandato a Horse una sua foto con addosso le sue nuove mutandine, quindi ci incamminammo verso la limousine.
Fu allora che decisi che per me la serata era giunta al termine: avevo capito che dopo la chiusura del bar sarebbero tornate tutte all’Armeria per unirsi ai ragazzi. Le mie amiche non volevano che me ne andassi, ma vedere Ruger non era esattamente uno dei miei obiettivi per la serata. Dieci minuti dopo il taxi si fermò e gli diedi il mio indirizzo. Dovevo aver bevuto più di quanto pensassi, perché l’ultima cosa che ricordai fu il taxi che entrava nel vialetto di Elle.
«Sveglia», disse l’autista. «Ti lascio qui?».
Mi guardai intorno, cercando di schiarirmi le idee. Non ero ubriaca, ma non ero nemmeno del tutto sobria.
«Ehm, sì», risposi. «Fermati pure vicino alla casa».
Il tassista fece come gli avevo chiesto, e io frugai nella borsa per trovare i soldi. Lo pagai e uscii cercando le chiavi. Mi ero dimenticata di accendere la luce esterna, e non era di grande aiuto. O forse si era solo fulminata… Di solito la lasciavo sempre accesa.
L’autista doveva essere un bravo ragazzo: aspettò finché non aprii il portone prima di allontanarsi. Peccato che non avesse aspettato un minuto in più… perché quando accesi la luce per poco non mi venne un infarto.
Zach era seduto al centro del divano.
«Era ora che tornassi», disse con aria compiaciuta, con le braccia incrociate al petto. «Fammi indovinare, sei ubriaca? Che razza di madre sei diventata, Sophie. Non sei altro che una troia del cazzo, lo sai vero?».
Vederlo fu un pugno allo stomaco.
Voglio dire… se qualcuno mi avesse preso a pugni allo stomaco, non mi avrebbe ferito altrettanto. Non riuscivo a respirare e dovetti aggrapparmi al muro per rimanere in piedi. Questa era una cosa che nessuno ti diceva, quando eri piccola e ti mettevano in guardia da ragazzi come Zach. Sentivi parlare di donne che subivano “abusi”, ma era una parola troppo sterile per quello che mi aveva fatto lui. Non aveva “abusato” di me. Mi aveva ferito, posseduto, addestrato…
Mi aveva spezzato.
Era come colpire un cane con un giornale arrotolato. Se lo facevi abbastanza spesso, il cane avrebbe rabbrividito ogni volta che lo vedeva. L’obbedienza diventava istinto, e in quel secondo mi tornò tutto in mente.
La cagna di Zach. Ecco che cos’ero.
«Non puoi stare qui», dissi in tono flebile, chiedendomi perché mi bastasse vederlo per farmi sentire così debole. «Hai un ordine restrittivo. Dovresti essere a centinaia di chilometri di distanza. Come sei entrato?».
«Ho scassinato la serratura, stupida stronza», rispose. «Ruger me l’ha insegnato quando eravamo bambini. Questo, e come collegare i fili di un’auto. È stata l’unica cosa che ha mai fatto per me, cazzo…».
Si alzò, avvicinandosi con un bagliore di cattiveria negli occhi. Mi resi conto che era diventato più grosso. Non più alto, ovviamente, e nemmeno grasso. Zach doveva aver iniziato a sollevare pesi, perché quelli erano muscoli seri. Muscoli da steroidi, a giudicare delle dimensioni. Li contraeva mentre camminava verso di me, sorridendo mentre leggeva la paura sul mio viso. Aveva sempre avuto dei complessi di inferiorità.
Il cervello mi urlava di correre, ma il corpo non obbediva. Ero stata forte durante il rapimento. Ero scappata da Skid, ma poi ero tornata e l’avevo combattuto.
Perché ora non ci riuscivo?
Non potevo. Il mio corpo non rispondeva agli stimoli.
Invece guardai Zach, terrorizzata, mentre si avvicinava e mi prendeva il viso tra le mani, con le dita che stringevano con troppa pressione.
«Stai bene», disse, leccandosi le labbra. Si piegò in avanti e mi baciò. Non era un bel bacio, no, era uno di quelli destinati a punire. Bloccai la mascella e tenni le labbra chiuse finché non si alzò e mi afferrò i capelli, tirandoli di scatto. «Apri quella cazzo di bocca, puttana».
Obbedii, perché sapevo che tirarmi i capelli era la cosa meno dolorosa che poteva farmi. Mi baciò per un tempo infinito, con la lingua che sfregava dolorosamente sulla mia. La sua bocca aveva un sapore stantio e cattivo, come se non si lavasse i denti da un anno. Non riuscivo a respirare e mi veniva da piangere.
Alla fine, si allontanò.
«Hai ancora la fichetta dolce come la bocca?», chiese. Non risposi e mi strattonò di nuovo i capelli. «Rispondimi, cagna!».
«Non lo so», piagnucolai. Dovevo provare a metterlo in ginocchio. Avrei dovuto combattere, prenderlo a calci o morderlo o chissà che altro, ma vedere Zach mi aveva fatto sentire una ragazzina indifesa. Lo sapeva anche lui. Lo capivo dal bagliore di soddisfazione nei suoi occhi. Zach era un bullo. Non capirò mai come fossi stata così cieca da non accorgermene fin dal primo momento, ma ora era maledettamente evidente.
«Ho sentito che ti scopi ancora Ruger», sussurrò Zach, con una brutta espressione in volto. «In città dicono tutti che gli succhi il cazzo e che ti scopi tutti quelli del club. È vero, troia?»
«No», piagnucolai. «No, non è vero».
«Cosa non è vero?», chiese, la bocca contorta in un sorriso. «Non è vero che ti scopi Ruger, o non è vero che ti scopi quelli del club? Perché gente come quella non ruba l’eredità di un uomo per avere in cambio un “tante grazie” e una risatina, piccola. Non fanno nulla gratis. Voglio solo tu mi dica quanto sei puttana. Altrimenti non so come punirti».
«Non vado a letto con nessuno», dissi. Zach scoppiò a ridere. Rideva con convinzione, così forte che mi lasciò andare e usò il palmo di una mano per premere sugli occhi e asciugarsi le lacrime.
«Proviamo di nuovo», disse, quando finalmente smise. «Con chi vai a letto? Tu sei una puttana, e appartieni a me. Se non mi dici la verità, sarò costretto a romperti le dita».
Si chinò e mi prese la mano tra la sua, afferrando l’indice destro, piegandolo bruscamente all’indietro.
Fui presa dal panico, sperando di riuscire a escogitare qualcosa. Avevo la mente annebbiata, e il mio vecchio istinto di sopravvivenza stava avendo la meglio.
Dagliela vinta.
Fa quello che ti dice.
Forse mostrerà pietà se fai la brava…
«Ho fatto sesso con Ruger», dissi di colpo. Poi chiusi gli occhi, preparandomi a qualunque cosa sarebbe potuta accadere. Non si è mai pronti ad affrontare una situazione del genere, però. Mai del tutto. Mi aspettavo che mi spezzasse le ossa, perciò rimasi sorpresa quando mi diede un pugno nello stomaco. Mi piegai in due, senza fiato. Porca puttana, che male.
Zach scoppiò a ridere.
«Sei troppo prevedibile, cazzo».
Ero stata una sciocca, ora me ne rendevo conto, mentre mi tenevo lo stomaco e pregavo si limitasse a un colpo solo. Zach non faceva mai quello che mi aspettavo. Non potevi fare piani, non potevi prepararti, niente del genere. Era come un tornado: arrivava all’improvviso, ovunque fossi, scaricandoti addosso tutta la sua cattiveria senza nemmeno avvertire.
La risata di Zach si spense.
«È stato un lungo viaggio fin qui. Sono stanco e affamato», disse. «Quindi ora mi preparerai qualcosa da mangiare. Poi continueremo a discutere di chi ti porti a letto. Non vorremmo mica tralasciare i dettagli piccanti, vero?».
Frugai nel frigo, cercando di capire cosa cucinare. Mi faceva male lo stomaco, anche se non mi sembrava di avere qualche costola rotta. Per il momento. Non avevamo molto cibo, ma potevo preparare delle uova e dei toast. Zach aveva sempre amato la colazione per cena.
«È stato davvero stupido da parte tua tornare a Coeur d’Alene», disse Zach tanto per fare conversazione. Si sedette al tavolino tra il soggiorno e la cucina, guardandomi e mangiucchiandosi le unghie. «Non riesci proprio a tenere le gambe chiuse, vero? Non gli permetterò mai di averti. Mai. Non ero stato chiaro?».
Non risposi. Qualsiasi cosa gli avessi detto, lo avrebbe fatto esplodere. Me lo ricordavo fin troppo bene. A Zach era sempre piaciuto farmi la predica quando mi puniva, e se non lo ascoltavo, la punizione diventava molto, molto peggiore. Dovevo solo accovacciarmi e resistere. Prima o poi si sarebbe stancato o annoiato e sarebbe finito tutto.
Almeno per un po’.
Tuttavia non mi sarei mai liberata veramente di lui. Avevo pensato di poter cambiare vita.
Stupida, stupida, stupida.
«Te l’ho detto mille volte di non andare a letto con Ruger, ma continui a non darmi retta», continuò. «Non riesci proprio a ficcartelo in testa, vero? Immagino che le troie come te non riescano a darsi una regolata… Devi essere addestrata, come i cani. Come le cagne. Vuoi che ti raddrizzi io?».
Feci un respiro profondo, poi buttai fuori l’aria, serrando gli occhi. Sapevo qual era la mossa successiva. Il nostro era un balletto ben coreografato.
«Sì, Zach», sussurrai, sentendo la mia anima sprofondare, nascondendosi da ciò che stava per accadere. Se mi fossi distaccata abbastanza dalla realtà, non avrebbe fatto così male una volta iniziato a colpirmi seriamente. «Voglio che mi addestri».
«Brava ragazza», mormorò, sembrando quasi un essere umano.
Mi inginocchiai e aprii il cassetto sotto il forno, cercando qualcosa in cui cuocere le uova. Di solito usavo una piccola padella antiaderente. C’era anche una grande padella di ghisa che avevo trovato in casa quando mi ero trasferita.
Non ci avevo mai cucinato: la ghisa mi era sempre sembrata strana e spaventosa.
Uh.
Perché avrei dovuto temere di usare una cazzo di padella? Perché era diversa da ciò a cui ero abituata? Cambiare abitudini era difficile.
Ma potevo farcela.
Potevo usare quella padella.
Come in sogno, allungai la mano e l’afferrai per il manico. Quanto sarebbe stata dura…? Più dura dei pugni di un uomo che si conficcavano nella tua carne? Più dura delle costole incrinate, degli occhi lividi, del tuo bambino che grida per un’ora perché la sua mamma non riesce ad alzarsi dal pavimento per prenderlo in braccio?
Cambiare il modo in cui reagivi a un uomo che ti faceva del male era dura.
Ma era possibile.
La padella era pesante. Davvero pesante. Le mie braccia erano forti, però. Erano anni ormai che prendevo in braccio Noah, e questo non era niente in confronto. Mi alzai e appoggiai la padella sul fornello, allungando una mano e accendendo il gas.
«Forse è il caso di chiarire alcuni aspetti», disse Zach. Si appoggiò allo schienale della sedia, sorridendomi, fiero di sé. Erano passati solo pochi secondi da quando avevo trovato la padella, ma era cambiato tutto. Sentii la mia anima uscire dal suo nascondiglio.
«Mi hai mandato in prigione», continuò Zach. «È stato un gesto molto, molto brutto. Devo ammettere che mi ha sconvolto per un po’. Te l’ho lasciata passare. Poi hai rubato i miei soldi e questo è più di quanto un uomo possa sopportare. Se provi a metterti contro di me, ti ammazzo. In effetti, non ucciderò solo te, ucciderò anche Noah. Non mi è mai piaciuto quel piccolo pezzo di merda».
Un altro pugno allo stomaco. Questa volta non aveva usato le mani. Non ne aveva bisogno. Guardai la padella che si riscaldava lentamente.
«Forse lo farò solo sparire», mormorò. «Mi basta prenderlo e scaricarlo da qualche parte. Non lo ritroverai mai più, non saprai mai se è vivo o morto. Se fai la brava, forse per il suo diciottesimo compleanno ti dirò dove ho seppellito il corpo…».
Mi voltai per prendere le uova dal frigorifero, guardando Zach. Si stava fissando una mano, stringendola a pugno più e più volte, contraendo i muscoli del braccio. Misi il cartone delle uova sul bancone, poi presi una ciotola per mescolarle – gli piacevano strapazzate, una miscela di uova intere e albumi per aggiungere proteine extra. Iniziai a spaccarle, e i duri gusci bianchi sembravano piccoli teschi.
Si aprirono così facilmente…
Gli lanciai un’altra occhiata. Si stava ancora guardando le dita, contraendo ritmicamente i pugni.
Si stava preparando a colpirmi di nuovo.
«Credo che te lo metterò in culo», disse con disinvoltura. «Ti farò implorare. Non hai idea di quanto mi sia mancato questo aspetto di te, sentirti implorare».
Sentii una morsa al petto, ma non mi concessi il lusso di reagire alle sue parole. Presi semplicemente uno strofinaccio e lo avvolsi attorno al manico di metallo della padella bollente. Poi feci un respiro profondo e pensai a Noah, all’aspetto del suo visino una volta subita la furia di Zach. No. Non sarebbe accaduto.
Puoi farcela, dissi fra me e me, e sapevo di avere ragione. Ce la potevo fare.
Afferrai la padella, feci tre passi verso Zach e la sollevai, fracassandola sulla sua testa con tutte le mie forze.
Non se lo aspettava.
Poi lo colpii una seconda volta, giusto per esserne sicura. E una terza.
L’odore di carne bruciata riempiva la cucina.
Sorrisi.
Ruger
Sentì il telefono vibrare e prese seriamente in considerazione l’ipotesi di ignorarlo.
Erano quasi le tre e mezzo del mattino e le ragazze erano arrivate all’Armeria un’ora prima. Non aveva mai visto Marie così ubriaca. Indossava un piccolo velo bianco in testa e una fascia bianca sul petto con su scritto Sposa, e si portava in giro come un trofeo una strana cosa vibrante. Maggs aveva detto che era un sex toy, ma dannazione, Ruger non riusciva a capire a cosa servisse.
Anche Horse era ubriaco, seppur non quanto Marie. Aveva portato via la sua futura sposa non molto tempo dopo il suo arrivo. Adesso erano di sopra. Quella era l’ultima volta che li avevano visti, anche se Dancer stava cercando di convincere le ragazze ad andare a salvarla. E loro continuavano a ridersela come un branco di dannate streghe.
Ruger tirò fuori il telefono e vide che era Sophie a chiamare. ’Fanculo. E adesso? Stava cercando di darle spazio, ma era difficile fingere che andasse tutto bene mentre aspettava che si schiarisse le idee. Gli mancava. I Jacks gliel’avevano portata via per meno di un giorno, ma quelle ore l’avevano quasi ucciso.
Aveva bisogno di lei. Aveva bisogno di lei in quel momento. Non era sicuro per quanto altro tempo sarebbe riuscito a sopportarlo.
«Ehi, Soph», disse, uscendo dalla porta nell’aria notturna. Era quasi ottobre, ma faceva ancora caldo. Una perfetta notte d’estate di San Martino.
«Ruger», disse, ma aveva una voce strana. «Ehm, ho un problema».
«Di che si tratta?»
«Non credo di potertelo dire al telefono. Vorresti… pensi di poter venire? Voglio dire, so che sei alla festa… sei in grado di guidare?».
Doppia fregatura. C’era davvero qualcosa che non andava. La sua voce quasi lo urlava.
«Sì, sono in grado di guidare», disse, e per fortuna lo era davvero. Non era dell’umore giusto per bere: aveva troppi pensieri per la testa. La sentì trattenere il fiato. «Devo portare qualcuno con me?»
«Ehm, probabilmente dovremmo essere discreti», disse piano. «Sono davvero nei guai, Ruger. Non so cosa fare».
«Sei ferita?», chiese subito.
«Non credo», rispose. «C’è di peggio… Ruger, ho fatto una cosa brutta. Penso che dovresti venire subito. Ho bisogno che tu mi dica cosa fare. So che continuo a chiederti di restare fuori dalla mia vita, ma mi sbagliavo. Non posso farcela da sola».
«Va bene, piccola. Vengo subito».
Parcheggiò davanti casa sua venti minuti dopo. Lei era seduta fuori sulla piccola veranda, le braccia strette intorno alle ginocchia. Sembrava incredibilmente fragile, pronta a esplodere in mille pezzi se lui l’avesse toccata. Dei piccoli punti rossi le screziavano il viso.
Schizzi di sangue. Cazzo.
«Cosa è successo, Soph?», chiese Ruger, accovacciandosi. Lei gli rivolse uno sguardo assente. «Sei caduta o ti sei fatta male?»
«No», disse piano. «Zach mi ha dato un pugno allo stomaco e ha minacciato di uccidere Noah, quindi l’ho ucciso io».
Ruger rimase di sasso.
«Come, scusa?», chiese con cautela, chiedendosi se le parole di Sophie fossero frutto della sua immaginazione.
«Zach mi ha dato un pugno allo stomaco e ha minacciato di uccidere Noah, quindi l’ho ucciso io», ripeté, incrociando il suo sguardo. «Era arrabbiato con me perché aveva sentito dire che andavo a letto con te. È sempre stato geloso pazzo, lo sai. Non so cosa lo abbia provocato, ma deve avermi spiato in qualche modo, perché sapeva esattamente come trovarmi. Era dentro l’appartamento, ad aspettarmi, quando sono tornata a casa dal karaoke. Mi ha baciato e poi ha iniziato a fare domande e mi ha dato un pugno. Ha detto che avrebbe ucciso Noah e sapevo che diceva sul serio, quindi l’ho colpito in testa con una padella di ghisa finché non è morto».
Ruger deglutì. Non provava pena per Zach, ma questo era un bordello infernale.
«Sei sicura che sia morto?».
Annuì lentamente.
«Ho continuato a colpirlo, per esserne certa», rispose, con troppa calma. «Gli ho controllato il polso. È decisamente morto. Ti prego, dimmi qual è la prossima mossa. Finalmente ho fatto il lavoro sporco da sola, Ruger, ma non so come portarlo a termine».
Accidenti. Non avrebbe dovuto lasciarla sola. Sarebbe dovuto venire a controllarla quando non si era presentata con il resto delle ragazze… Che stronzata averle dato spazio.
«Va bene», disse. «Dov’è Noah?»
«A dormire da Elle», disse Sophie. «Ci penserà lei a prepararlo per la scuola domattina. Lo vado a prendere e lo accompagno mentre vado al lavoro».
Be’, era già qualcosa.
«Vado dentro a dare un’occhiata», disse. «D’accordo?»
«Certo», mormorò. «Nessun problema. Resterò qui fuori, ti dispiace?»
«Va bene», le disse, allungando una mano e posandogliela sulla guancia. Appoggiò la testa al suo palmo, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Poi si alzò, oltrepassandola, e aprì la porta.
’Fanculo. Doppia fregatura…
Zach era a terra, con i capelli zuppi di sangue, che colava in una pozza ai suoi piedi. Un fetore tremendo riempiva l’aria, un misto di carne e capelli bruciati.
La padella giaceva accanto al cadavere di Zach, i lati erano incrostati da altro sangue. Era addirittura schizzato alle sue spalle. Ci sarebbe voluta una bella pulizia. Nuovo linoleum di sicuro, e forse persino sostituire le assi del pavimento sottostanti, rifletté.
Ruger controllò il polso di Zach solo per esserne certo, ma Sophie aveva ragione. Il suo fratellastro era decisamente morto. Questo era un casino, un gran casino, e ripulirlo non sarebbe stato piacevole.
Era orgoglioso di lei, però.
Si era difesa da sola quando era stato il momento, e in fin dei conti era colpa di Ruger. Avrebbe dovuto uccidere Zach quattro anni prima. Poi avrebbe dovuto ucciderlo quando aveva riscosso il mantenimento del figlio. Era stato un momento di debolezza.
Si era trattenuto a causa di Noah.
Non voleva uccidere il padre del ragazzo. Non voleva nemmeno fare questo a sua madre. La donna amava Zach, per ragioni che Ruger non aveva mai capito. Quindi aveva dato a Zach un’altra possibilità, lasciando fosse la sua donna a finire il lavoro.
Che cazzo di idiota.
Ruger tirò fuori il telefono e chiamò Pic.
«Sono Ruger», disse. «Sono davanti casa di Soph. Potrebbe servirmi una mano, è una faccenda delicata. Puoi mandarmi qualcuno? Forse servirà un furgone…».
«Quanto è delicata la faccenda?», chiese Picnic. Nemmeno lui aveva bevuto molto, grazie al cielo. Nessuno dei due si era rilassato del tutto dopo il rapimento e quello stato di allerta ora avrebbe potuto salvare il culo a Sophie.
«Piuttosto delicata», disse Ruger lentamente. «Meglio parlarne di persona».
«Ricevuto», rispose Pic, riattaccando. Ruger tornò fuori e trovò Sophie ancora seduta in veranda. Si sedette dietro di lei, avvolgendole le braccia attorno al corpo e circondandole le gambe con le sue mentre la tirava a sé. Lei rabbrividì.
«Ehi, Soph», sussurrò, accarezzandole il collo. Si appoggiò su di lui e Ruger si rese conto che piangeva sommessamente, e che le lacrime le rigavano il viso.
Ottimo. Piangere era meglio di quella calma inquietante che aveva avuto prima.
«Mi dispiace davvero, Ruger», gli disse. «Continuo a chiamarti per sistemare le cose, facendoti sempre fare il lavoro sporco. Prima Miranda, ora questo. Avrei dovuto chiamare la polizia…».
«Assolutamente no», disse. «È un problema di cui non abbiamo bisogno. Potresti salvarti con la legittima difesa, oppure no. Non dopo che hai continuato a colpirlo. Era solo seduto quando hai attaccato, giusto? Non stava per picchiarti o qualcosa del genere?»
«Non proprio», rispose Sophie. «Si stava guardando le mani e pensava gli stessi cucinando le uova».
«Hai fatto quello che dovevi», disse Ruger, sperando che lei gli credesse. «È stata una sua decisione: ha minacciato tuo figlio, Soph. Dovevi proteggerlo. Questo è ciò che fanno le madri».
Annuì.
«Lo so», rispose. «Ha detto che ci avrebbe ucciso tutti e sapevo che non stava scherzando. L’ordine restrittivo non è servito a un cazzo. Andare in prigione lo ha fermato solo per un po’… E se la prossima volta se la fosse presa con Noah? Non ero disposta a correre il rischio».
«Sistemeremo noi questo casino al posto tuo», rispose, appoggiando la guancia alla sua testa. Dio, amava il suo odore, e per una volta il suo pisello ebbe la decenza di stare al posto suo. «Speriamo nessuno sapesse che stava venendo qui. Scomparirà e basta. Se mai la polizia dovesse curiosare, diremo che sono stato io, okay?»
«Non puoi…», tentò di protestare, ma lui la interruppe.
«Non ho intenzione di farlo», disse Ruger. «Credimi, la prigione non è nella mia lista dei desideri. Se ce la giochiamo bene, non sarà un problema. Zach non è mai stato qui, tutto questo non è mai successo. Ma se le cose dovessero mettersi male, devi fare ciò che ti dico, devi fare ciò che ti dice l’avvocato del club. Intesi?»
«Mi sento così in colpa a trascinarti in questa storia».
«Siamo una famiglia», sussurrò. «Ci prendiamo cura l’uno dell’altra. È così che funziona, piccola. Non hai fatto altro che proteggere te stessa e Noah, ora è il mio turno di proteggerti. I miei fratelli mi copriranno le spalle e alla fine ce la caveremo».
«Siamo una famiglia, no?», sussurrò lei.
«Sempre».
Lei annuì lentamente e lui la strinse forte. Si sedettero l’uno accanto all’altra in silenzio ad aspettare Picnic, ascoltando le rane e i grilli cantare in sottofondo.