Capitolo quattordici
Ruger
«Vorrei poterti dire altro», disse Kimber. Sembrava un procione, gli occhi completamente cerchiati da un trucco nero segnato dalle lacrime. Sedeva a un tavolo nell’Armeria, ovviamente esausta per la sua lunga notte. Ruger non riusciva ancora a credere di aver effettivamente scopato questa donna. Di proposito.
Certo, aveva un corpo fantastico, ma rispetto a Sophie non era niente. Nemmeno lontanamente il suo tipo ormai.
«Hai fatto del tuo meglio», disse Horse. Ci avevano messo un po’ a trovare Kimber perché era andata su tutte le furie alla ricerca di Sophie ed Em. Quando finalmente la raggiunsero, aveva tenuto in ostaggio quattro uomini all’angolo del bar Mick’s con una bomboletta di spray al peperoncino in una mano e il telefono nell’altra. Li stava filmando, chiedendo che le dicessero tutto quello che sapevano “giusto in caso”.
Grazie a dio non aveva una pistola.
«Ci ho provato», disse. «Non avrei mai dovuto lasciarla entrare da sola. È stata un’idea terribile. Non sai quanto mi dispiace. Spero che tu ci creda».
Picnic grugnì, ovviamente per nulla impressionato, ma riuscì a tenere la bocca chiusa.
«È un bene che tu sia andata con lei», disse Bam Bam, con voce rasserenante. «Se fossi andata anche tu, avremmo tre ostaggi invece di due. Non solo, non sei una di noi, quindi avrebbero potuto considerarti un peso morto. È stato meglio così».
«Ti va bene tenere d’occhio Noah finché non avremo risolto il problema?», chiese Ruger all’improvviso.
«Sì», disse, alzando lo sguardo e incrociandolo con quello di Ruger. «Mi prenderò cura di lui come se fosse mio. Non devi preoccuparti».
«Va bene», le disse. «Verrò a trovarlo se posso. Ma non mi lascerò distrarre dal trovare Sophie, però. Hai bisogno di una pistola?»
«Oh, ce l’ho una pistola», rispose, con voce triste.
«Ti accompagno fuori», disse Painter, con espressione fredda. Qualcosa in lui era cambiato, si rese conto Ruger. Era sempre stato un brav’uomo, ma questa mattina aveva un nuovo scopo nella vita. Forse questo lo avrebbe motivato a rimettere insieme i pezzi. Aveva sempre pensato che Painter ed Em sarebbero finiti insieme. Chiaramente lei si era stancata di aspettare. Appuntamenti online del cazzo… poteva dipingersi un bersaglio rosso sulla testa già che c’era.
Ruger stesso vedeva le cose con più chiarezza adesso. Aveva bisogno che Sophie tornasse, sana e salva. Aveva bisogno di lei più della sua stessa vita. Non gliene fregava un cazzo di nessun’altra donna. Se si fosse svegliato prima, non sarebbe successo niente di tutto questo, perché sarebbe stata al sicuro a casa, con lui, nel suo letto.
Ma una volta riavuta, non l’avrebbe più lasciata andare.
Mai più.
Voleva che si impegnasse? Si sarebbe tatuato il suo cazzo di nome sulla fronte se proprio doveva. Qualsiasi cosa servisse per tenerla al sicuro.
«Qualche notizia dai ragazzi di Portland?», chiese Duck.
«Non per il momento», rispose Picnic. «Pensano che Toke abbia preso in ostaggio uno dei Jacks – credo si chiami Clutch – nei pressi della costa. Lo stanno cercando, ma non hanno molti indizi».
«Come sta quello a cui ha sparato?»
«In condizioni critiche ma stabile, qualunque cosa voglia dire», disse Pic. «Immagino sia una cosa di cui essere grati. Va bene, andiamo avanti. Abbiamo due ore prima del nostro incontro con Hunter. Pareri?»
«Lascia che me ne occupi io», disse Duck, incrociando le braccia. «Sei troppo coinvolto e questo significa che il tuo cervello non funziona a dovere. Tu e Ruger dovreste restare qui».
«Assolutamente no», disse Picnic, scuotendo la testa. «Sono il presidente. Questo è il mio lavoro».
«Sei un padre e stai quasi esaurendo le energie», rispose Duck. «Se lo fai e incasini tutto, la tua ragazza muore. Credi davvero di poter guardare questo stronzo negli occhi e comportarti in maniera civile? Perché io non credo che tu ci riesca. Sii intelligente e lascia che me ne occupi io. Non vuoi me, fallo fare a Horse o a Bam Bam. Siamo tuoi fratelli per un motivo. Ti copriamo le spalle».
Picnic scosse di nuovo la testa, con espressione tesa. Aveva iniziato a caricare metodicamente caricatori di riserva sulla sua nuova pistola, con cui prima aveva sparato qualche colpo di prova. Ruger era certo avesse pianificato di uccidere Hunter con quella stessa pistola, perché avevano passato quasi un’ora insieme, scegliendo con cura l’arma giusta con cui farlo.
Una di quelle irrintracciabili, con un calibro abbastanza piccolo da causare danni lenti e costanti per molto, molto tempo senza porre fine alla vita del bastardo troppo rapidamente.
«Ruger, anche tu devi starne fuori», disse Horse. Ruger lo guardò e scosse la testa.
«No», disse. «Andrò. Non è discutibile. Non ho bisogno di stare nel gruppo di testa, ma voglio esserci».
Horse e Duck si scambiarono un’occhiata.
«Va bene, nuovo piano», disse Duck. «Io sarò in testa, voi ragazzi venite ma rimanete indietro. Non possiamo lasciare che vi prenda per il culo: se vi fa arrabbiare, e fate qualcosa di stupido, vince lui. Capito?»
«Capito», disse Pic. «Basta che te lo ricordi: alla fine è mio».
«Nostro», lo corresse Ruger. «Lui e il suo amico».
«E Toke?», chiese Bam Bam. «Cosa facciamo con lui?»
«Lascia che risponda ai fratelli», disse Ruger. «Abbiamo votato, abbiamo preso una decisione per il club. Lui l’ha ignorata. Quello stronzo deve pagare».
Sophie
«Si incontrerà con papà», disse Em, finalmente.
Prima era arrivato Hunter e l’aveva portata via, riaccompagnandola solo circa dieci minuti fa. Era stata via con lui per quella che le era sembrata un’eternità. Realisticamente, non poteva essere passata più di un’ora. Quando era tornata la prima volta era piuttosto tranquilla. Adesso era di nuovo sdraiata con me sul letto, io ammanettata per il polso destro ed Em per il sinistro.
«Perché?», chiesi.
«Penso che stia cercando di salvare la situazione», disse, con un velo di tristezza nella voce. «Penso che gli importi davvero di me, Soph».
Sgranai gli occhi.
«Non puoi dire sul serio», dissi. «Vuole scoparti, lo capisco, è un ragazzo e tu sei sexy. Ma un uomo che si prende cura di una donna, poi non la rapisce».
«Chiedilo a Marie», disse, visibilmente a disagio. «Horse l’ha proprio rapita. E adesso si sposano».
Quelle parole mi zittirono per un minuto.
«Vuoi raccontarmi tutta la storia?», chiesi alla fine.
«Non ti farà sentire meglio».
I tubi di scarico delle motociclette ruggivano fuori dalla casa e sentimmo il rumore di qualcuno che si allontanava.
«Questo è Hunter che se ne va», disse. «Se me ne vado e papà scopre che sono al sicuro, lo ucciderà senza dubbio».
«No», dissi guardandola. Sembrava abbattuta, pensierosa. Cazzo, non ce lo potevamo permettere. «Non osare ripensarci. Questo ragazzo è pericoloso e ci faremo male seriamente se restiamo qui. Stiamo per scappare. Infatti presto scapperemo».
«Lo so», disse. «Voglio solo…».
«Non voglio sentirlo».
Gli demmo un’ora, o almeno pensavamo fosse un’ora. Volevamo essere sicure che Hunter fosse lontano prima di tentare la fuga. Em aprì il coltello e tirò fuori un minuscolo e sottile cacciavite a testa piatta. Cinque minuti dopo eravamo libere dalle manette e facevamo a turno per sbirciare dalla finestra. Hunter non aveva mentito. Sembrava di essere nel bel mezzo del nulla, circondati da arbusti poco curati, terreni estesi e qualche sporadico pino.
Fuori c’era solo il furgone, niente moto, il che, speravo, significava che avremmo avuto a che fare solo con Skid. Anche così, non avevamo molta copertura.
«Se ci insegue, non abbiamo alcuna possibilità», dissi, con voce cupa.
«Non ci inseguirà», rispose. «Ecco cosa faremo. Sgattaioleremo di sotto. Scopriremo dov’è, poi tu esci da un lato della casa e io esco dall’altro. Riesco a vedere una porta sul retro da qui».
«E se ci vede?»
«Chiunque trovi dovrà rallentarlo abbastanza a lungo perché l’altra possa scappare e cercare aiuto», mi disse. «Indipendentemente da quanto ci vorrà. E sarò io quella che gli si avvicina di più».
«Perché?», chiesi, sorpresa. «Non che io voglia correre altri rischi, ma…».
«Perché hai un bambino», disse. «A prescindere da tutti i problemi, Noah ha bisogno di te mentre nessuno ha bisogno di me».
«La tua famiglia, l’intero club, hanno tutti bisogno di te», protestai.
«Sai che ho ragione», disse. «Non cercare nemmeno di fare l’eroina. Se solo una di noi esce di qui, quella sei tu. Non litighiamo per questo, okay?».
Feci un respiro profondo e poi annuii perché aveva ragione. Noah era più importante di tutti noi messi insieme.
«Va bene, ma fammi una promessa», dissi. «Devi provare seriamente a scappare. Non farti prendere solo perché vuoi tenere Hunter al sicuro».
Si voltò a guardare fuori e per un momento pensai che potesse mettersi a discutere. Quanto le aveva fottuto il cervello Hunter?
«Dico sul serio. Inizierò subito a gridare e fargli sapere che abbiamo quel coltello se non mi prometti che farai del tuo meglio per scappare».
«Farò del mio meglio», disse. «Se ci liberiamo, possiamo sempre dargli il tempo di tornare prima di chiamare papà, sai. Non è tutto o niente. Io non sono stupida».
Tenni la bocca chiusa. Se scappavo e trovavo un telefono, Hunter era fritto. «Suppongo sia meglio cogliere l’attimo, eh?»
«Tanto vale andare adesso», disse. «Terrò io il coltello, a meno che tu non sappia come usarlo».
«Intendi combattere?», chiesi, sorpresa. Lei annuì. «Ehm, no. Non ho mai preso lezioni di difesa personale con i coltelli a scuola. Puoi tenerlo».
«Va bene, facciamolo», disse Em, facendo un’ottima imitazione della voce di Arnold Schwarzenegger. Sfortunatamente, ci sarebbe voluta più di una vocetta per infondermi coraggio. Sbattemmo i pugni, aprimmo la porta della camera da letto e iniziammo a strisciare sul pavimento. Avevo il terrore che cigolasse sotto il nostro peso, ma per fortuna sembrava abbastanza solido. Em lasciò la porta della camera da letto aperta, e dal piano di sotto sentii il suono di un gioco in tv.
«Scendo io le scale per prima», sussurrò Em. «Poi ti faccio cenno quando hai il via libera. Stai pronta a correre in qualunque direzione ti indichi, in base a dove lo vedo. Se ti indico la camera da letto, sali su e rimettiti le manette, okay? Se ti faccio cenno, è fatta. Avremo solo un’occasione, quindi non rovinare tutto. Conto su di te per mandare rinforzi se devo distrarlo».
«Ce la posso fare», le dissi, sperando che fosse la verità. «Ne usciremo entrambe, okay?»
«Oh, un’ultima cosa, e questo è importante», disse.
«Che cosa?»
«Se trovi un telefono, chiama mio padre o Ruger», disse. «Non chiamare la polizia».
La fissai. «Mi prendi in giro?»
«No», disse, con la voce seria. «Non sto affatto scherzando. Questi sono affari del club: se coinvolgiamo la polizia, le cose andranno molto peggio, e anche in fretta».
«No», dissi con tono secco. «Se esco di qui chiamo il nove uno uno alla velocità della luce».
«Allora non andremo da nessuna parte», rispose. I miei occhi si sgranarono.
«Dici sul serio?»
«Assolutamente», rispose. «Se chiami la polizia, papà o Ruger potrebbero finire in prigione prima che finisca tutto».
«Come lo sai?»
«Pensi che stessi scherzando quando ho detto che papà avrebbe ucciso Hunter?», chiese lentamente. «Questo non è un gioco. Cercherò di convincerlo a non farlo. Spero con tutta me stessa che non accada. Ma se Hunter finirà in prigione non sarà protetto comunque, e se papà lo fa fuori, non voglio perdere anche lui».
«Cristo», mormorai, scioccata. «Non so cosa dire».
«Dì che non chiamerai la polizia», rispose. «Se ti trovi in condizione di fare una chiamata, sarai già al sicuro. Tuttavia, ho il diritto di prendere le mie decisioni da sola».
Ci pensai un attimo.
«Va bene», sussurrai. Non mi piaceva, ma lo avrei fatto.
Annuì, poi iniziò a scendere le scale molto lentamente. Questa sarebbe stata la parte più difficile, perché dovevamo passare dal soggiorno per andare in qualsiasi altra parte della casa. Probabilmente Skid era lì, perché era lì che si trovava la tv. Ripensai alla conformazione della casa nella mia testa: sarebbe stato di spalle e non ricordavo di aver visto specchi alle pareti.
Con un po’ di fortuna ce l’avremmo fatta.
Em mi guardò, portandosi un dito alla bocca e poi mi fece un cenno con la mano. Iniziai a strisciare, passo dopo passo, cercando di rimanere completamente in silenzio, pur continuando a muovermi abbastanza velocemente da non perdere la nostra opportunità. Skid apparve quando raggiunsi il fondo della tromba delle scale. Si sedette sul divano, di spalle, impegnato in una specie di videogioco sparatutto.
Fortunatamente, sembrava comprendere rumori assordanti e cose che saltavano in aria.
Em mi toccò la mano e la guardai. Si indicò il petto, poi la porta d’ingresso. Poi indicò me e il retro della casa. Sollevò tre dita, poi fece il conto alla rovescia: due, una… via.
La superai, camminando veloce ma silenziosamente verso il retro della casa. In pochi secondi ero uscita dal soggiorno, attraverso una sala da pranzo, e una cucina. Trovai la porta sul retro. Era chiusa, ovviamente, ma tutto quello che dovevo fare era aprire il catenaccio. Nessun dispositivo speciale di sicurezza o altro.
Non avevano progettato di rapirci, capii. Anche io sapevo che quando pianifichi un rapimento, prepari un posto per i tuoi prigionieri.
Fin qui tutto bene.
Aprii la porta sul retro e poi Skid gridò dietro di me. Sentii Em urlare contro di lui e poi un forte rumore. Uscii dalla porta, correndo più veloce che potevo e facendo il giro intorno alla casa.
C’era un lungo vialetto di ghiaia e, dato che eravamo già state scoperte, lo seguii, in attesa di sentire il suono di veicoli in avvicinamento o spari. Non sentii altro che quel primo forte scoppio. Il mio cuore batteva forte e il mio cervello si spense: Skid avrebbe davvero ucciso Em? Corsi all’impazzata, l’adrenalina alimentava le mie gambe.
Poi sentii uno sparo.
Cazzo.
Ruger
Hunter aveva organizzato l’incontro a Spirit Lake, ma Ruger ricevette un messaggio a metà strada in cui li informavano di dirigersi a Rathdrum. Il Devil’s Jack li aspettava in un bar con un cartello fuori dalla porta che stabiliva chiaramente «Vietato indossare colori», costringendoli a togliersi gli smanicati prima di entrare.
Cazzo. Che palle d’acciaio, però.
Entrarono e lo trovarono seduto in fondo a bere una birra. Picnic fece dei passi in avanti, ma Bam Bam lo prese per un braccio, tirandolo indietro.
«No», disse, a voce bassa. Picnic annuì energicamente mentre Duck prendeva il comando.
«Le vostre ragazze stanno bene», disse Hunter mentre gli uomini si sedevano, e Ruger si rese conto che non era rilassato come voleva fargli credere. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio e sembrava covare una rabbia ferale. Quella natura selvaggia metteva Ruger dannatamente a disagio. Un uomo come quello era capace di fare qualsiasi cosa, non si potevano prevedere le sue azioni. «E ho intenzione che rimanga tutto così, a patto che voi facciate la vostra parte. A che punto siamo? Hai notizie per me sul tuo ragazzo?»
«No, non abbiamo un cazzo», disse Duck, con voce calma e concreta. «Ecco cosa devi sapere. Toke…».
«Toke ha colpito Em con un coltello», disse Hunter. «Ho visto il danno. È fuori controllo, e non solo con noi. Ho ragione?»
«Come l’hai visto?», chiese Picnic. «Perché cazzo mia figlia era senza maglietta?»
«Chiudi il becco», disse Hunter. Picnic balzò in piedi, ma Horse lo prese, spingendolo di nuovo a sedere.
«Non ora, Pic», mormorò Horse. «Abbi pazienza».
«Perché mia figlia era senza maglietta?», ripeté Picnic. Ruger sentì montargli dentro la rabbia, ma tenne la bocca chiusa e gli occhi aperti.
«Penso che la domanda giusta sia: perché è stata accoltellata?», chiese Hunter, con la voce piena di una rabbia accuratamente tenuta a bada. «O forse, perché voleva incontrare uno sconosciuto in un bar? Hai fatto un casino, vecchio, e ora te l’ho presa. Sembra che abbia comunque bisogno di qualcun altro che la protegga».
Che mi venga un colpo, pensò Ruger. Prova qualcosa per Em.
«Torniamo a noi», disse Duck, con tono pacato e pericoloso allo stesso tempo, e non era affatto da lui. Di solito aveva una lingua lunga e un carattere irascibile, ma la crisi sembrava aver tirato fuori il suo aspetto più calcolatore. Aveva raccontato ai suoi fratelli storie sul Vietnam, sulle pattuglie nelle campagne disabitate, di quando si aggirava furtivamente dietro le linee nemiche, ma Ruger aveva sempre pensato che dicesse una marea di cazzate.
Adesso non ne era più così sicuro.
«Non possiamo darti ciò che vuoi», disse Duck a Hunter. «Credimi, lo vorremmo. Lo abbiamo cercato per tutta la settimana. E questa merda va a scapito di tutto il club. Abbiamo votato per la tregua e la decisione è stata presa. Di questo risponderà agli ufficiali nazionali. Ma non fare del male a due ragazze innocenti per cercare di costringerci a fare qualcosa di impossibile. Te lo giuro, se una delle due ha anche solo un graffio sei un uomo morto. Capito?».
Hunter si appoggiò allo schienale della sedia, studiando a turno ogni uomo.
«Davvero ti aspetti che io creda che non puoi rintracciare il tuo uomo?», chiese, inclinando la testa. «Sembra che anche i Reapers abbiano dei problemi interni».
«Può darsi», disse Horse. «Ma le cose stanno così, non possiamo dirti dove si trova. Non posso convincerti, e il male che potresti fare a Em e Sophie, non cambierebbe comunque la realtà dei fatti. I nostri lo cercano da una settimana».
«Fammi indovinare, i suoi fratelli di Portland? Deke?», chiese sarcastico Hunter. «Perché gli copriranno il culo».
«Non solo Deke», rispose Horse. «E credimi, vogliono il suo culo tanto quanto te. Non si tratta solo di te: ha rotto il patto con tutti noi. Abbiamo votato. Abbiamo deciso per una tregua».
«Sul serio, Hunter. Conosciamo le stronzate di Toke», disse Ruger, rimanendo in qualche modo calmo e fermo, nonostante volesse saltare sul tavolo e strappare il cuore a quel coglione. «Penso che tu abbia capito che stiamo assistendo all’inizio di una guerra, proprio qui, adesso. Toke è fuori controllo e lo sappiamo tutti. Qualunque cosa gli succeda, lo ha provocato lui stesso. Ma tu che rapisci le nostre ragazze? È un affare diverso. Quando verremo a cercarti, porteremo con noi tutto il club».
«Em e Sophie sono al sicuro», disse Hunter. «E prometto che rimarranno al sicuro, almeno per ora. Ma non le riavrete».
«Che ne dici di darcene una?», chiese Duck. «Sophie ha un bambino. Rimandala indietro».
Picnic si irrigidì, ma tenne la bocca chiusa. Questo non faceva parte del piano. Ruger capì dove voleva andare a parare Duck, però. Una era meglio di niente, e se Hunter aveva un debole per Em, sarebbe stato motivato a proteggerla. Non solo, Em avrebbe sicuramente voluto che Sophie tornasse con Noah. Ruger lanciò un’occhiata a Pic e vide che in cuor suo aveva compreso.
Cazzo… Non poteva nemmeno immaginare cosa stesse passando Picnic in quel momento. Era già abbastanza preoccupante che avessero preso Sophie. Se qualcuno cercasse di portargli via Noah, perderebbe completamente le staffe. Pioverebbe il maledetto fuoco dell’inferno su di loro.
«Cosa mi dai se la lascio andare?», chiese Hunter. «Voglio qualcosa da riportare al club».
«Che ne dici di un ostaggio?», disse Painter all’improvviso. «Hanno uno dei tuoi fratelli: prendi uno dei nostri e lascia andare entrambe le ragazze».
Hunter accennò una risata.
«’Fanculo», disse. «Quelle facce da cazzo non valgono niente per me. Se volessimo uno dei Reapers, ce lo andremmo a prendere a Portland».
Si sporse in avanti, con lo sguardo intenso.
«Voglio la pace», continuò Hunter. «Nonostante tutto, voglio ancora la pace. Il nostro accordo non è cambiato, e se mi dici che Toke è un cane sciolto, dammi qualcosa da portare al mio club e forse possiamo ancora salvare la tregua».
Tirò fuori il telefono, guardandolo.
«Torno fra cinque minuti», disse Hunter. Si alzò e se ne andò, tenendolo all’orecchio.
«Questa è una perdita di tempo», disse Picnic. «Deke aveva ragione: non aveva senso stringere un accordo con questi bastardi».
Ruger annuì e sentì i suoi fratelli mormorare in segno di assenso. L’intero club doveva rivalutare la propria decisione, senza dubbio. Questo non giustificava il gesto di Toke, ma ora Ruger capiva le sue motivazioni.
Hunter riattaccò il telefono e si voltò verso di loro. Quasi immediatamente squillò di nuovo e lui rispose, studiando il loro tavolo per tutto il tempo. Mentre se ne stava impalato con un’espressione vuota, Ruger colse un accenno di follia nei suoi occhi.
Poi il membro dei Devil’s Jacks riattaccò il telefono e si diresse verso di loro.
«Ci sono buone notizie e cattive notizie», disse lentamente.
Ruger si irrigidì.
«In che senso?», chiese Duck.
«Clutch è vivo», rispose. «Per ora, almeno. Non abbiamo molte informazioni su di lui al momento. Lo hanno portato in ospedale. Questo è la buona notizia».
«E la cattiva?», domandò Picnic.
«Sono stati i poliziotti a trovare lui e Toke», rispose Hunter. «Qualcuno ha sentito dei rumori sospetti e ha chiamato la polizia. Hanno beccato Toke nascosto in un hotel, con il nostro ragazzo incatenato in bagno. Le ragazze che erano nella nostra club house quando ha cominciato a sparare stanno collaborando, quindi i poliziotti hanno dei testimoni. Metteranno Toke in custodia cautelare. È fuori dalla nostra portata, per ora. I fratelli non ne saranno contenti».
«Ci restituirai Sophie ed Em?», chiese Ruger.
La domanda creò un’aria pesante tra loro mentre Hunter si appoggiava allo schienale e faceva un altro sorso, senza alcuna espressione.
«Sì», disse. «Lo faccio per dimostrare che abbiamo intenzioni serie riguardo alla tregua. La situazione di Toke non è ancora risolta. Ma sono disposto ad accettare che non stesse agendo per conto dei Reapers, dunque è fuori dall’equazione».
Ruger sentì la morsa intorno al petto allentarsi per la prima volta da quando aveva ricevuto la chiamata in preda al panico di Sophie.
«Quando?», chiese Picnic.
«Presto», rispose Hunter. «Ma solo se prima esco vivo di qui. Sono sicuro che comprenderai la mia preoccupazione, non è vero?».
Duck sbuffò, era quasi una risata.
«Sì, anche io sarei preoccupato al tuo posto», disse. «Non ce ne dimenticheremo. Ma non sono sicuro che la tregua durerà dopo questa piccola avventura».
«Nemmeno io», ammise Hunter. «Farò del mio meglio. Spero che lo farai anche tu. Skid lascerà andare le ragazze una volta che gli avrò dato la mia parola. E non succederà finché non sarò sicuro di essere in salvo, quindi se inizi a seguirmi, le tue ragazze resteranno rinchiuse più a lungo».
«Capito», disse Picnic. «Fai in fretta».
«Un’ultima cosa», disse Duck. «Per quanto riguarda Toke… puoi corrompere i testimoni? Vorremmo che la cosa restasse il più possibile all’interno del club. Toke terrà la bocca chiusa, e sono certo che lo faranno anche i tuoi ragazzi».
Hunter si strinse nelle spalle.
«Vedremo cosa succede».
«Giusto», disse Duck. «Tieni Em e Sophie al sicuro, capito? Altrimenti ti farò scuoiare personalmente e ti userò come paralumi per l’Armeria».
Sophie
A volte il tuo cervello ti dice di fare qualcosa che sai che è sbagliato. Il mio cervello mi diceva di correre più velocemente possibile quando sentii la pistola di Skid sparare, per seguire il piano di Em come una brava bambina. Avrei dovuto scappare e chiedere aiuto. Senza voltarmi. Mio figlio aveva bisogno di me… Eravamo d’accordo.
E poi salvare Em era compito di Picnic e Ruger.
Questa non era la mia battaglia.
Ma in un certo senso sapevo, nello stomaco e nell’anima, che se avessi continuato a correre, Skid avrebbe ucciso Em. Forse l’aveva già fatto.
Non potevo abbandonarla.
Così smisi di correre e tornai alla casa, avvicinandomi di soppiatto il più velocemente possibile, riparandomi sotto una finestra che dava sul soggiorno. Ascoltai per un secondo, sentendo il suono soffocato della voce di Skid. Em gli rispose, con un tono supplichevole. Immaginai fosse distratto, quindi sbucai a dare una rapida occhiata.
Em giaceva sul pavimento, premendo contro l’esterno della coscia sinistra con entrambe le mani. Il sangue rosso vivo le filtrava fra le dita. Skid era sopra di lei, con la pistola puntata e carica, e l’espressione sul suo viso era tutt’altro che amichevole. Sarebbe stato felice di ucciderla.
’Fanculo.
Mi guardai intorno freneticamente, cercando di pensare a un piano. Dovevo cercare di fermarlo senza farci scappare il morto. Strisciai rapidamente intorno alla casa, fino al portico, dove c’erano due sedie di legno e un tavolino. Provai a sbirciare dalla finestra per vedere cosa stava succedendo, ma le ombre nascondevano la vista.
Poi sentii Em urlare.
Non c’era più tempo.
Afferrai una delle sedie, felice di scoprire che era in legno massiccio e che era bella pesante. Poi suonai il campanello e aspettai, pronta a colpire con la sedia.
«Chi va là?», urlò Skid.
Rimasi in silenzio – voglio dire, cosa diavolo avrei dovuto dire? Per favore vieni fuori così posso colpirti? Usando il gomito, suonai di nuovo il campanello. I miei muscoli iniziarono a bruciare per lo sforzo mentre tenevo sollevata la sedia. Sbrigati, stronzo.
«Vaffanculo!», gridò Skid. Em doveva aver fatto qualcosa per mettergli i bastoni tra le ruote perché sentii un rumore fragoroso. Suonai il campanello cinque o sei volte di seguito con il gomito come un ragazzino fastidioso.
Skid spalancò la porta.
Lo colpii duramente in faccia con la sedia. Barcollò e dalla pistola partì un colpo, mancandomi, per fortuna. Ignorai il ronzio nelle orecchie, girai la sedia e lo colpii di nuovo. Rabbrividì, poi si lanciò verso di me, il sangue che gli colava sul viso e dal naso rotto. Urlai mentre lui afferrava la sedia per le gambe, scostandola e sollevandola in alto.
Poi Em gli balzò addosso da dietro.
Lo attaccò come un furetto rabbioso, stringendo le braccia attorno al suo collo mentre mordeva, graffiava e scalciava. Barcollò in avanti e io mi unii a lei, afferrando la seconda sedia e colpendolo sulle ginocchia. Lanciò un urlo acuto mentre cadeva dal portico. Em lo spinse nel fango e io saltai dopo di loro, atterrando tra le gambe del ragazzo e dandogli calci sull’inguine a ripetizione. Fortunatamente non ci sarebbero stati dei piccoli Skiddini a portare avanti l’eredità di famiglia.
Skid urlò come un bambino per tutto il tempo.
Ed Em? Non riuscivo a capire se stesse ridendo o piangendo.
Dieci minuti dopo, avevamo ammanettato il corpo ammaccato e sanguinante di Skid a un pilastro del portico. Era svenuto per il dolore, il che probabilmente era una cosa positiva. Non volevo guardare i suoi occhi diabolici o ascoltare qualunque stronzata potesse vomitare.
Ora ero seduta su una delle sedie del portico, la sua pistola era stata sequestrata e la tenevo con cura vicino alla gamba, carica e pronta a sparare. Non volevo ucciderlo, ma lo avrei fatto se costretta. Non ne dubitai nemmeno per un secondo.
Em uscì zoppicando di casa, la gamba fasciata con dei lembi di lenzuolo dalla camera da letto. Per fortuna, il proiettile le aveva colpito la coscia solo di striscio. Eppure aveva il viso pallido e affranto dal dolore.
Nonostante tutto, riuscì a fare un piccolo sorriso, tenendo sollevato un cellulare in segno di trionfo.
«L’idiota ha installato Google Maps», disse. So esattamente dove siamo. Chiamo papà perché venga a prenderci».
Fece il numero.
«Ehi papà? Sono io. Stiamo bene. Potrebbe servirmi un passaggio, però».
I suoi occhi guizzarono verso Skid quando la voce soffocata di Picnic esplose al telefono.
«No, va tutto bene», rispose. «Ma è meglio che porti il furgone. Potrebbe servirci il baule».
Diede loro indicazioni e riattaccò.
«Saranno qui tra una ventina di minuti», mi disse Em. «Sembravano abbastanza felici di sentirci».
«Hunter era con loro?» chiesi. Non appena la domanda mi uscì di bocca, me ne pentii. Volevo davvero sentire la risposta? Em deglutì e distolse lo sguardo.
«No», disse. «L’incontro era già finito. Immagino che lo abbiamo mancato per cinque minuti, forse. È stato fortunato».
Alzai un sopracciglio, ma tenni la bocca chiusa. Em lasciò cadere il telefono a terra, poi lo calpestò e udii lo scricchiolio del vetro e della plastica.
«Che diavolo?», esclamai, sorpresa. «Perché l’hai fatto?»
«gps», disse brevemente». Non voglio che i Devil’s Jacks ci rintraccino e non possiamo lasciarlo qui.
«E se ne avessimo bisogno di nuovo?»
«Non ne avremo bisogno», disse. «Papà e Ruger ci troveranno. Non preoccuparti. Entro domani sarà come se non fosse mai successo. In effetti, non voglio parlarne e non voglio pensarci mai più. Capito?»
«Capito», dissi, socchiudendo gli occhi. Em afferrò la seconda sedia e la trascinò verso di me, sedendosi.
«Vuoi che prenda la pistola per un po’?»
«Grazie», dissi, porgendogliela. Era sorprendentemente pesante e dopo i primi minuti la mia mano aveva iniziato ad avere i crampi. Allungò le dita, guardando gli alberi attraverso il lungo vialetto di ghiaia.
«Senza offesa», dissi lentamente. «Ma questa è stata la serata tra ragazze più schifosa di sempre».
Em scoppiò in una risata breve, sorpresa.
«Dici?».