Epilogo

Cinque anni dopo
Ruger

«Ora la infilo».

La voce di Sophie era dolce e vellutata, con solo un accenno di risata.

Ruger annusò il suo odore peculiare e sentì una fitta all’inguine, lo stesso che aveva sentito ogni volta che l’aveva vista da quella prima notte nel suo appartamento. Era bella da fare male, e ancora non riusciva a credere che fosse davvero sua.

Ma perché cazzo lei pensava che fosse una buona idea non riusciva proprio a capirlo. Correva troppo. Non erano pronti, dovevano rallentare, pensare a come questo avrebbe potuto cambiare le cose tra loro. Far parte del club le aveva aperto gli occhi, ma dovevano esserci anche dei limiti.

Si accigliò, prendendole la mano e fermandola a metà movimento.

«Perché non puoi farlo con me e basta? Ha sempre funzionato tra di noi. Non capisco perché non sono abbastanza per te».

Sophie alzò gli occhi al cielo.

«Cristo, Ruger, per una volta smettila di fare l’uomo delle caverne», mormorò. «Lo sapevi che era già da un po’ di tempo che volevo provare, e non è come se fosse la prima volta. Non cambierà nulla tra me e te, tesoro. Ma ne ho bisogno. Vuoi che sia felice, dici sempre che vuoi che io sia felice. A volte questo significa arrendersi un po’, fare il passo successivo. Lasciami prendere le redini per una volta».

Ruger chiuse gli occhi per un secondo, inspirando a fondo. Poi li riaprì e guardò la donna che amava più di ogni altra cosa al mondo. Gli sorrise, e santo cielo, adorava davvero quel sorriso.

«Scusa, piccola», disse, sporgendosi in avanti per darle un bacio veloce su quelle sue labbra morbide e perfette. Doveva fidarsi di lei. Ruger si costrinse ad allontanarsi, facendo due passi indietro, con la ghiaia che scricchiolava sotto i talloni.

«Pronto?», chiese lei. Ruger annuì con decisione.

«Va bene, allora la infilo. Prometti che non ti farai prendere dal panico?».

Ruger alzò gli occhi al cielo.

«Non mi farò prendere dal panico. Cazzo non sono un bambino, Soph. Cristo».

Non rispose, ma erano sufficienti gli occhi di Sophie a parlare e Ruger percepì un sorriso prendergli forma suo viso.

«Va bene», ammise, alzando le mani in segno di resa. «Hai vinto. Sono un bambinone piagnucoloso e non riesco a sopportare il pensiero che tu faccia qualcosa di divertente senza di me. Non voglio che tu ti diverta, voglio tenerti scalza e incinta in cucina…».

«Oh, stai zitto», disse ridendo. «Ora lo faccio davvero e dovrai affrontarlo. Stai indietro. Non vorrei che il mio grande e cattivo motociclista venisse colpito da un sasso o chissà cosa».

E così inserì la chiave nell’accensione e l’Harley Softail rossa e nera prese vita ruggendo. L’espressione sul suo viso era di gioia pura, e Ruger doveva ammettere che vederla in sella a una moto era maledettamente eccitante. Non riusciva a decidere se voleva che indossasse più indumenti di pelle per proteggersi sulla strada o meno, perché era proprio bella quando…

Interruppe quel pensiero. Doveva concentrarsi sulla sicurezza della sua donna, non sulle sue tette.

«Stai attenta!», le gridò. Sophie rideva imboccando il vialetto, poi lanciò un urlo di gioia quando si misi in strada e si allontanò.

Dannazione.

«Cazzo, voglio uccidere Horse», mormorò Ruger. Odiava tutto questo. Lo odiava. «Ucciderò lui e quella stronza di sua moglie… lei e le sue grandi idee. Non ha bisogno di una moto».

«Non dovresti parlare così davanti a Faith», disse Noah, in piedi accanto a lui. «Se comincia a dire la parola con la C all’asilo, chi la sente mamma».

Il ragazzo avrebbe compiuto dodici anni il trenta e nell’ultimo anno aveva iniziato a diventare un adolescente. Riceveva già le telefonate delle ragazze, provocando a Sophie degli attacchi di cuore. Ruger era solo felice che Noah assomigliasse a sua madre sia nell’aspetto che nel cervello. Faith sedeva appollaiata sulle spalle di Noah, guardando Ruger con occhi grandi, gli stessi di sua madre. Gli rivolse un sorriso bellissimo e straziante, poi aprì la bocca e parlò con voce solenne.

«Cazzo, voio ‘ccidele Howse», disse.

Ruger sospirò, poi allungò la mano verso sua figlia, che si arrampicò su di lui come una piccola scimmia ragno. Le affondò il naso nel collo, annusando quel dolce profumo di bambina.

«Non puoi vincere questa battaglia», disse Noah. «Sai che prima o poi Faith lo dirà quando mamma può sentirla».

«Dirò che ha imparato da te», disse Ruger, socchiudendo gli occhi.

Noah rise. «Chissà da chi ho imparato».

«A volte sei un proprio una merdina».

«Sì, ma sono una merdina che è disposta a gettarti un’ancora di salvezza», rispose Noah pensieroso. «Se lo dice davanti alla mamma, dirò che è colpa mia solo se mi dai dei soldi».

«Quanto vuoi?»

«Venti dollari a parolaccia».

«Affare fatto».

Sophie

La moto ruggiva sotto di me e il vento mi danzava sul viso.

Lo amavo. Mi esercitavo da un po’, soprattutto a casa di Marie.

Aveva preso la sua un anno fa. Non mi stancherei mai di montare dietro a Ruger, ma mi piaceva anche stare da sola. In effetti, avevo passato sei mesi a cercare di convincere Ruger che avrei dovuto procurarmi il mio mezzo.

Quello stupido era certo che mi sarei ammazzata.

Il problema era che, nel profondo, Ruger era uno stronzo sessista. In realtà, non così nel profondo: era sempre stato piuttosto sincero al riguardo. Ma quando aveva deciso che era ora che Noah iniziasse a imparare ad andare su una piccola moto da cross, ne ebbi abbastanza.

Una moto andava bene per mio figlio dodicenne, ma non per me?

Cazzate.

Così all’inizio di quella settimana avevo annunciato che stavo comprando una moto e che lui poteva aiutarmi a sceglierne una o accettare quella che avrei scelto da sola. Quello gli accese il fuoco sotto il culo, e oggi un suo amico aveva consegnato la mia graziosa piccola Harley. A Ruger non piaceva, ma almeno sapeva che era una moto decente e in buone condizioni.

Tuttavia, la pagai con i miei soldi. Volevo che fosse la mia moto. Non che avessimo veramente il “mio” o il “suo” dopo che ci eravamo sposati, ma aveva insistito che tenessi parte del mio stipendio in un conto separato. Non ne avevamo mai parlato, ma in un certo senso Ruger sapeva, istintivamente, che avevo bisogno di sentirmi in grado di prendermi cura di me stessa.

Avere i miei soldi aiutava.

Avevo programmato di usarne la maggior parte per la scuola per i bambini, ma ogni tanto ci regalavamo qualcosa di speciale. L’avevo portato alle Hawaii per il nostro secondo anniversario, ed era stato un buon investimento, perché ero tornato a casa con Faith come souvenir. Mi chiedevo se un altro bambino avrebbe rovinato il rapporto di Ruger e Noah, ma invece si erano avvicinati. Ogni giorno che passava Noah diventava sempre più un giovane uomo, ed era anche grazie a Ruger.

Dopo pochi minuti arrivai alla fine della strada e valutai se tornare indietro. Non avevo davvero messo alla prova la mia bambina – era decisamente una lei e sentivo che eravamo già sorelle – ma sapevo che tutto questo stava uccidendo Ruger.

Sorrisi, sentendomi un po’ cattiva.

Una parte di me voleva semplicemente spiccare il volo, sentirsi libera e lasciarlo cuocere nel suo brodo per un po’. Lo avrei fatto arrabbiare sul serio… e il sesso rabbioso con il mio uomo era davvero incredibile. L’idea mi stuzzicava, eppure girai la moto e ritornai a casa.

Piccoli passi.

Non c’era bisogno di spaventarlo troppo il primo giorno, dopotutto.

Meglio risparmiarsi qualcosa per il futuro, per farlo rigare dritto.