Capitolo diciassette

Sophie

Ruger, Picnic e Painter si occuparono di Zach.

Lo fecero sparire, insieme alla padella, ai miei vestiti e a ogni altra prova in casa.

Cancellare una vita umana non avrebbe dovuto essere così facile.

Ruger mi disse di fare una doccia, poi mi infilai nel letto di Noah e provai ad addormentarmi. Anche se la mia mente non fosse stata affollata di pensieri, non sarei comunque riuscita a dormire. Stavo troppo male. Mi sarebbe rimasto un bel livido. Almeno non sarebbe stato visibile. Il sole stava già sorgendo quando sentii Ruger tornare e aprire il rubinetto della doccia. Venti minuti dopo entrò in camera da letto e si sdraiò accanto a me, stringendomi tra le sue braccia.

Mi voltai e seppellii la testa contro il suo corpo, tenendolo stretto.

«Grazie», sussurrai con ferocia, e dicevo sul serio. Non solo per stasera, ma per tutto. «Grazie per esserci sempre stato per me».

«È mio dovere», sussurrò di rimando. Sollevò una mano e mi accarezzò dolcemente i capelli, tranquillizzandomi.

«Mi sbagliavo», dissi.

«Uhm?»

«Mi sbagliavo su di te», proseguii. «Continuavo a ripetere che non volevo avere niente a che fare con te, e che il club faceva cose orribili. Ma sono io a fare cose orribili».

«Sei sopravvissuta», rispose e la sua voce non vacillò. «Hai protetto tuo figlio. Non c’è niente di di cui vergognarsi».

«Quando ti ho chiamato, avresti potuto mandarmi affanculo», rispose. «Non avevo il diritto di trascinarti in tutto questo. Ora sei mio complice».

«Piccola, è finita», disse. «Smettila di pensarci. Torno fra un paio di giorni, monto il nuovo pavimento in cucina, passo una mano di vernice. Poi è davvero finita. Non dobbiamo più parlarne, ok? In effetti, non dovremmo parlarne affatto».

«Va bene», sussurrò. «E noi? Sento che questo cambia le cose».

«Non dobbiamo capirlo adesso, Soph», disse. «Prova a dormire. Devi alzarti tra un’ora per andare al lavoro. Sarà una giornata lunga e faticosa, e devi farcela. Il lato positivo è che se qualcuno ti chiede perché hai un aspetto di merda, puoi sempre dire che hai i postumi della sbornia. Hai parecchi testimoni, grazie al cielo».

«Vorrei potermi dare malata», dissi. «Suppongo che stare a casa i primi giorni di lavoro perché ho postumi di una sbornia non sia una buona idea, eh?»

«Probabilmente no», disse. Mi baciò sopra la testa. «Come ho detto, non dobbiamo prendere decisioni in questo momento, ma rimarrò comunque con te per un po’. Non voglio che tu rimanga da sola».

Non ci pensai nemmeno a discutere. L’ultima cosa che desideravo al mondo era rimanere da sola. Non avevo mai creduto ai fantasmi, ma ero abbastanza sicura che quello di Zach avesse intenzione di perseguitarmi.

Probabilmente per il resto della vita.

Una settimana dopo non ne avevamo ancora parlato.

Ruger ci riportò a casa sua il sabato dopo che avevo ucciso Zach, e questa volta non mi misi a discutere con lui. Mi diede la mia vecchia stanza, e nonostante passassimo quasi tutte le notti insieme, si limitava a darmi un rapido bacio della buonanotte.

Lo apprezzai più di quanto riuscissi a dirglielo.

Le cose erano cambiate profondamente tra noi, e penso lo sapessimo entrambi. Tutti i nostri litigi e scaramucce sembravano così stupidi ora. Lo stesso valeva per il mio incessante tormento che mi portava a chiedermi se dovessi stare o meno con lui. Una volta che un uomo si sbarazzava di un cadavere per conto tuo, perdevi il diritto di fargli la predica.

Niente gridava “impegno” come diventare complici in un omicidio.

Prima o poi saremmo stati insieme. Non ero ancora pronta e, sorprendentemente, Ruger fu paziente. Entrambi temevamo che l’ennesimo trasferimento avrebbe sconvolto Noah, ma la prese bene: a quanto pareva aveva considerato il soggiorno a casa di Elle come un lungo pigiama party.

Elle si limitò a fare un sorriso da Stregatto quando le dissi che ci saremmo trasferiti. Apparentemente la vita va avanti, anche dopo aver ucciso un uomo.

La cena di prova del matrimonio di Marie e Horse era stata organizzata per il venerdì sera successivo. Inizialmente non ero stata invitata. E non ne avevano alcun motivo, considerando che non sarei andata al ricevimento e che non ero un membro della famiglia. Ruger era il testimone di Horse, però, quindi non poteva mancare. Sembrava che ai suoi occhi, e a quelli del club, fossimo ufficialmente una coppia, quindi alla fine fummo invitati anche io e Noah.

Fu una bella sensazione essere inclusi.

Il matrimonio si sarebbe svolto all’Armeria, il che all’inizio mi sembrò strano. Tuttavia, non si sarebbero sposati nell’edificio o nel cortile. Oltre il muro c’era un prato immenso dove le persone si accampavano per assistere alle cerimonie del club. Si estendeva in un boschetto di alberi secolari, formando una tettoia naturale, perfetta per un matrimonio. C’erano già delle tende ai confini del bosco, ma il centro e il retro erano contrassegnati da un nastro arancione fluo che delineava l’area per la cerimonia.

Mi offrii di guardare i bambini durante le prove, compresi i due ragazzi di Dancer. Entrammo nell’area giochi all’interno del cortile e tutti scorrazzarono come animali selvatici, gridando e saltando giù dall’altalena. Anche la cena di prova si svolgeva nel cortile, così mi ritrovai ad aiutare il catering con i preparativi mentre aspettavamo. Era di un’amica del club di nome Candace e aveva uno strano senso dell’umorismo.

Incontrai anche la mamma di Marie, Lacey Benson, e il suo patrigno, John.

Lacey era… diversa.

Somigliava molto a Marie. In effetti, avrebbero potuto essere sorelle, almeno a prima vista. E se i capelli di Marie erano indomabili e sciolti, quelli di Lacey erano acconciati in una di quelle pettinature che richiedevano un parrucchiere costoso, un doppio taglio e un sacco di prodotti per sembrare così naturali e perfetti. Marie di solito non si truccava. Lacey invece era impeccabile e i suoi vestiti sembravano avere il potere di non sgualcirsi. Era il ritratto di un’elegante matrona, se si esclude l’odore del fumo di sigaretta che le aleggiava intorno.

Era posata, sbalorditiva e completamente folle.

E non era una follia discreta.

Aveva un’energia frenetica che non poteva essere tenuta a bada e ronzava intorno a Marie come un colibrì, ovviamente al settimo cielo per la figlia. Era estenuante solo a guardarla.

Mi resi conto che Candace non era solo una brava persona: dovevano farla santa. Non importava quante volte Lacey le avesse fatto riorganizzare tutto, lei seguiva le sue direttive con un cenno del capo e un sorriso gentile. E aveva dell’incredibile, perché la madre di Marie aveva riorganizzato tutto sette volte.

Poi lo fece anche un’ottava, questa volta mentre i camerieri stavano già servendo.

Dopo cena, Lacey si alzò e fece un lungo e sconclusionato brindisi, raccontandoci storie che ero abbastanza sicura che Marie non apprezzasse. Scoprimmo di come non le piacesse indossare vestiti quando era piccola e si spogliava sempre al supermercato. Venimmo a sapere di quando aveva deciso di cavalcare la capra del vicino… indossando gli speroni.

E ci raccontò anche di quando aveva incontrato Horse per la prima volta, portando a un’interessante divagazione su carcere, poliziotti, gestione della rabbia, suo marito e pistole come regalo di fidanzamento.

Sentendo la competizione, la madre di Horse entrò nello spirito e apprendemmo così che si era rifiutato di fare pipì in casa per i primi cinque anni di vita, abitudine che il padre aveva trovato divertente da morire e aveva incoraggiato.

Il brindisi di Dancer aveva fatto vergognare entrambi. Si era messa davanti a tutti e aveva chiamato Marie per una presentazione speciale. Poi aveva tirato fuori il cavallino di peluche di cui ci aveva parlato la prima notte che ci eravamo conosciute, insieme a una piccola imbracatura scintillante e un guinzaglio abbinato.

Maggs ed Em completarono il tutto con una minuscola Harley giocattolo su cui far montare il cavallo.

Marie rise così forte che quasi si strozzò con lo champagne. Horse sorrise cupo, avvolgendo un braccio intorno al collo di Dancer e stringendole la spalla in un mezzo abbraccio. Poi le bloccò il collo, sfregandole la testa con le nocche. La ragazza urlò, pianse e lo preso a calci, ma lui non la liberò finché non ammise di aver inventato tutto, cosa a cui nessuno di noi credette neppure per un minuto.

Noah e io ce ne andammo verso le nove, proprio mentre le cose cominciavano a farsi interessanti. Gli ospiti avevano continuato ad arrivare per tutto il giorno, si erano accampati dietro l’Armeria, e si erano poi uniti alla festa una volta terminata la cena ufficiale. Ero esausta e mi faceva male tutto, quindi ero felice di andarmene. Avevo ancora dei lividi, anche se per fortuna questa volta non c’erano costole rotte. Crollai a letto da sola, desiderando che Ruger fosse accanto a me.

La mattina del matrimonio era calda e perfetta.

Avevano corso un bel rischio progettando un evento all’aperto all’inizio di ottobre. Ma ne valeva la pena, perché c’erano poche cose più belle dell’autunno nell’Idaho settentrionale. Le colline ricoperte di sempreverdi erano punteggiate di chiazze gialle e arancioni e l’aria aveva un sentore pungente che mi ricordava il sapore del primo morso a una mela croccante.

Mi ci vollero tutte le mie forze per impedire a Noah di andare a giocare in giardino mentre mi preparavo. Sapevo che entro la fine della giornata sarebbe stato lurido, ma volevo almeno che arrivasse al matrimonio pulito. Ruger non era tornato a casa la scorsa notte. Ipotizzai che avesse festeggiato con Horse fino a tardi e continuavo a chiedermi cosa avessero fatto…

C’erano migliaia di persone alla festa di ieri, e molte erano donne. Dopo il rapimento mi aveva detto di non volere nessun’altra tranne me, che mi sarebbe stato fedele.

Mi aveva persino dato un dolce bacio della buonanotte quando ci aveva accompagnati alla macchina.

Ma non ero del tutto sicura di quale fosse il nostro nuovo accordo o di quali fossero i limiti. Non ne avevamo ancora parlato. Non stavamo facendo sesso. Significava che era andato a letto con qualcun’altra? Più di una?

Pensarci mi fece star male.

Avrei potuto chiederglielo e basta. C’erano cose che non mi avrebbe detto, ma non pensavo fosse tipo da mentire. Solo che non ero sicura di voler sentire la sua risposta.

Varcai il cancello dell’Armeria circa un’ora e mezza prima dell’inizio della cerimonia. C’erano macchine dappertutto e anche moto. Quella mattina le ragazze erano state impegnate con gli addobbi. Mentre parcheggiavo scorsi Painter, che alzò una mano in un saluto amichevole. Feci il giro dell’edificio e lasciai che Noah si unisse al branco di bambini che scorrazzavano liberi lì di fronte, perché il cortile era off limits. Erano impegnati a organizzare il ricevimento.

Picnic era appoggiato contro il muro, guardando i bambini con aria pensierosa. Poi mi vide e mi fece cenno di avvicinarmi.

«Come va?», chiese.

Feci spallucce. «Abbastanza bene, credo», risposi. Posando lo sguardo ovunque ad eccezione del suo viso, riuscii a pronunciare le parole che volevo dirgli dalla sera precedente. «Grazie per avermi aiutato. Voglio dire, lo scorso fine settimana».

«Nessun problema, non è mai successo», disse, inclinando la testa e studiandomi il viso. «Ma volevo parlare con te».

«Certo», accettai, perché gli dovevo un bel favore.

«Sai cosa è successo tra Em e Hunter?», chiese senza mezzi termini. «Non è più lei e non mi dice un cazzo. Non è normale: è sempre stata la mia bambina, quella che mi diceva tutto. Non come sua sorella. Adesso si è chiusa in sé stessa».

Sospirai e lo guardai in faccia. I suoi occhi azzurri erano preoccupati e vidi quanto gli costasse indagare.

«Non lo so», dissi. «È rimasta sola con lui la prima notte, e poi di nuovo per un’oretta il giorno dopo. Non mi ha mai detto cos’è successo, ma non credo che l’abbia violentata, se è quello che stai pensando. Non sembrava una vittima. Em era incazzata con lui, davvero incazzata. Questo è tutto quello che posso dirti».

«È più di quanto abbia detto lei fin ora», rispose. Serrò la bocca. «È di sopra con Marie. Forse è meglio che salga anche tu. Sono uno stormo di arpie, cazzo. Prima ho provato a salire per parlare con Em, ma non mi hanno lasciato entrare».

«Devo tenere d’occhio Noah».

Picnic lanciò un’occhiata al gruppo di bambini che correvano nell’erba. «Non andrà da nessuna parte», disse. «Ci sono già molti adulti qui fuori. Dovresti stare con Marie».

«Non la conosco nemmeno così bene», protestai. «Mi sento un po’ a disagio…».

«Tesoro, sei dentro a questo club tanto quanto lo siamo noi a questo punto», rispose, con tono di voce perentorio. «Difficile esserci più dentro di così. Tanto vale che ti divertirti un po’».

Sorrise e rimasi di nuovo colpita da quanto fosse bello per la sua età.

«Va bene, vado a vedere come stanno».

«Divertiti», mi disse. «E tieni d’occhio Em. Se riesci a escogitare un modo per aiutarla, fammelo sapere».

«Certo».

Trovai Marie al terzo piano, in una delle camere da letto.

Maggs mi aveva incontrata in cucina e mi aveva reclutato per aiutarla a portare su la birra. Apparentemente Marie aveva deciso che sposare Horse del tutto sobria non fosse la migliore delle idee. In quanto sue amiche, ci era stato chiesto di unirci a lei, perché è quello che fanno gli amici.

Non sia mai che abbandoni qualcuno nel momento del bisogno.

Trasportammo la birra su per le scale, e Maggs mi disse che non aveva mai visto Marie più bella… o più stressata. La sentii urlare prima di raggiungere la stanza, dicendo qualcosa sull’essere adulti e sul voler prendere le proprie decisioni. Aprii la porta e lasciai cadere la birra sul pavimento con un tintinnio di bottiglie.

Marie era in piedi al centro della stanza, con indosso uno splendido abito bianco, dall’aspetto molto classico, con una scollatura a cuore, la vita stretta che metteva in risalto la sua figura, e un ampio strascico. I capelli castani erano raccolti, cadendole sulle spalle in un tripudio di riccioli, intervallati da fiori intrecciati. Niente velo.

Immagino avesse avuto la sua dose di tulle bianco durante il viaggio in limousine.

«Ti voglio bene!», gridò appena mi vide, anche se non ero nemmeno sicura si fosse accorta di chi avesse davanti. No, si concentrò sulla birra, prendendone una e togliendone il tappo usando l’anello di fidanzamento come apribottiglie. Tracannò quasi l’intera bottiglia, poi la posò e si voltò verso sua madre con aria di sfida.

«Non esiste che mia figlia si sposi con indosso un gilet di pelle nera», proclamò Lacey, sventolando in mano l’oggetto incriminato: il giubbotto di Marie con la toppa Propietà di Horse.

«Horse vuole che lo indossi», sbottò Marie. «Per lui è importante».

«Non si abbina al tuo vestito», ribatté Lacey. «È ridicolo. Questo è il tuo giorno: dovresti sembrare una principessa!».

«Se è il mio giorno, perché non posso decidere cosa indossare?», chiese Marie, alzando la voce. Gli occhi di Lacey si strinsero a fessura.

«Perché sono tua madre e so cosa vuoi veramente?», gridò. «Cazzo, ho bisogno di una sigaretta».

«Non voglio che il mio vestito puzzi di fumo», gridò di rimando Marie. «E voglio che il mio giorno sia solo mio! Dammi la mia cazzo di toppa di proprietà!».

«No!», sibilò Lacey. Si guardò intorno con agitazione, poi vide un paio di forbici da fiorista sul bancone. Afferrandole, le puntò minacciosa verso il giubbotto. «Stai indietro o taglio la toppa!».

Ci raggelammo tutte.

«E se togli la toppa dal gilet e la metti sul vestito?», suggerii all’improvviso, ispirata dalla vista delle forbici. «In questo modo puoi ancora indossarlo, ma il gilet non rovinerà le linee del vestito per le foto».

«Non puoi togliere la toppa», dichiarò Cookie. «Sarebbe come divorziare da Horse. Ma potremmo farne una copia e cucirgliela addosso».

Nella stanza piombò il silenzio mentre Marie e sua madre combattevano una silenziosa battaglia di sguardi.

Le narici di Lacey si dilatarono.

«Potrei farlo», disse Marie lentamente. Ci voltammo tutti verso Lacey. Annuì piano.

«Sono disposta ad accettarlo».

Si fissarono l’un l’altra ancora per un momento. Lacey tese lentamente il giubbotto e Marie glielo strappò di mano. Dancer afferrò il giubbotto e se ne andò al piano di sotto, presumibilmente alla ricerca della fotocopiatrice.

«Vado a fumare e faccio alcune delle mie dichiarazioni di pace», disse lentamente Lacey, trafiggendoci con lo sguardo, una ad una. «Quando tornerò, voglio vedere la toppa sul vestito posizionata in modo tale da non essere visibile dal davanti, per le foto. Se la vedo nel posto sbagliato, avremo un problema e nessuna dichiarazione di pace sulla Terra sarà sufficiente a salvarvi il culo. Siamo intesi?».

Si precipitò fuori dalla stanza e Marie ringhiò.

«Ho bisogno di un’altra birra».

Gliene porsi subito una, poi ne presi una per me. Santo cielo, e io che pensavo sua madre fosse pazza ieri sera…

Marie stava bevendo quando ricomparve Dancer, ansimante. Teneva in mano una copia a colori della toppa con aria trionfante.

«Dove la vuoi?», chiese a Marie. «Dovremo attaccarla al vestito poco prima di farti percorrere la navata».

«La voglio sul sedere», disse Marie, proprio mentre bevevo il mio drink. «Così mia madre sarà costretta a guardarla per tutta la cerimonia».

Non riuscii a trattenermi. Scoppiai a ridere, cercando di dissimulare con un colpo di tosse, dimenticando che avevo la bocca piena di birra. Finii per aspirarla con il naso, facendo sganasciare tutte dalle risate. Dancer stava letteralmente piangendo dalle risate finché non riuscì a calmarsi, e ci prendemmo un momento per tamponarci gli occhi con il fazzoletto, cercando di aggiustarci il trucco. Poi si rivolse a Marie.

«Mi piace l’idea che sia là dietro», disse, trattenendo un’altra risata. «So che farà arrabbiare tua madre, ed è fantastico. Ma invierà anche un bel messaggio a Horse…».

Gli occhi di Marie si spalancarono.

«Oh, hai ragione», sussurrò. «Facciamolo».

E fu così che Marie finì per sposare Horse con una toppa di proprietà sul culo.

Accompagnammo Marie al piano di sotto, e poi Dancer ed Em la portarono ovunque avesse intenzione di nascondersi fino all’inizio della cerimonia. Recuperai Noah e ci incamminammo verso il prato, che aveva un aspetto completamente diverso dalla sera prima.

Adesso c’erano il doppio delle tende, probabilmente più di un centinaio. Avevano sistemato un piccolo pulpito di legno nella parte anteriore e le sedie erano state disposte in file ordinate su entrambi i lati del corridoio, proprio come qualsiasi matrimonio all’aperto. Ma questo non era un matrimonio qualsiasi. Era un matrimonio dei Reapers, e apparentemente a loro piaceva aggiungere un tocco personale alla cerimonia. I ragazzi avevano parcheggiato le moto in due file ordinate e diagonali su entrambi i lati della navata centrale, formando un percorso di cromature scintillanti che Marie poteva attraversare.

Dovevo ammetterlo, aveva un aspetto fantastico.

In qualità di… qualunque cosa fossi… di Ruger avevo un posto riservato in prima fila, proprio accanto a Maggs, Cookie e Darcy. Restammo seduti per una decina di minuti, mentre Noah si dimenava, in attesa che la cerimonia iniziasse. Poi l’altoparlante si accese e il prete esortò i presenti a prendere posto.

Horse e Ruger spuntarono dagli alberi, facendo il giro per posizionarsi davanti ad aspettare. Entrambi indossavano jeans neri e camicie coi bottoncini di un bianco brillante. Indossavano anche i loro colori. E addirittura il prete indossava un giubbotto, sebbene non fosse un Reaper.

«È il cappellano di Spokane», mi sussurrò Maggs. «Ha già fatto altre cose per il club in passato. È un bravo ragazzo».

Annuii, poi ci voltammo tutti a guardare mentre la marcia nuziale di Pachelbel iniziava a diffondersi nel prato. La prima a percorrere la navata fu una ragazzina che non conoscevo, che portava un cesto di petali di fiori che spargeva camminando. I due ragazzi di Dancer la seguirono con gli anelli. La mamma e il patrigno di Marie erano i prossimi, e poi sentii il rombo di una motocicletta attraversare il prato.

Allungai il collo per vedere Picnic avvicinarsi al gruppo con Marie in sella alla sua moto. I miei occhi si spalancarono, deliziati. Maggs ridacchiò e si sporse in avanti.

«Non abbiamo detto a sua madre di questa parte…».

Lanciai rapidamente uno sguardo in avanti per vedere gli occhi di Lacey, socchiusi e sospettosi. John le avvolse un braccio intorno alle spalle e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei lo fissò, poi fece spallucce e alzò gli occhi al cielo. Apparentemente era in grado di ammettere la sconfitta.

Picnic si fermò alla fine del corridoio, dove Em e Dancer, nel ruolo di damigelle d’onore, l’aspettavano per aiutare Marie a scendere dalla moto e sistemarle il vestito. Poi le due donne percorsero la navata davanti all’amica, fianco a fianco. Ci alzammo tutti quando Picnic porse il braccio a Marie, scortandola lentamente verso il suo futuro sposo.

Fu allora che gli invitati iniziarono a ridere.

Sembravano tutti confusi, e quando alzai lo sguardo vidi Horse accigliato. Si chinò verso Ruger, mormorandogli qualcosa all’orecchio. Le ondate di risate continuavano a crescere mentre Marie avanzava, poi riuscii a vedere la toppa Proprietà di Horse mostrata con orgoglio sul sedere, come promesso.

Picnic si fermò alla fine del corridoio, facendo un passo indietro quando Horse venne a prendere Marie. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio e lui si guardò intorno alla ricerca della toppa. La sua faccia si distese in un enorme sorriso quando la vide e, cercando Lacey con lo sguardo, notai che si stava mordendo il labbro, provando a non ridere. Fece l’occhiolino a Marie, ammettendo silenziosamente che sua figlia aveva vinto, e la cerimonia iniziò.

Non ricordo tutti i dettagli. Fu rapido. Continuavo a guardare in alto e vidi Ruger che mi osservava, con espressione seria. Tuttavia notai due fatti molto interessanti. Il primo era che il nome completo di Horse era Marcus Antonius Caesar McDonnell, che Dio lo aiuti.

La seconda era che Marie non aveva fatto voto di obbedienza.

Brava ragazza.

Quindi il prete li dichiarò marito e moglie e Horse diede a Marie un bacio che ero abbastanza sicuro avrebbe potuto mettere incinta una donna. Pour Some Sugar on Me dei Def Leppard esplose dagli altoparlanti mentre Horse camminava con sua moglie lungo la navata fra le grida dei presenti… e i motociclisti gridano davvero forte.

Ruger accompagnò Dancer, ed Em camminò da sola.

«Hanno lasciato il posto vuoto per Bolt», mi disse Maggs, con gli occhi velati di tristezza. «Lasciano sempre un posto per Bolt. Aspettano che torni a casa».

Lanciai un’occhiata a Cookie, che era diventata pallida in volto.

«Tutto bene?», chiesi. Mi rivolse un sorriso tirato.

«Scusami, devo andare a controllare Silvie», disse. Il mio sguardo doveva essere confuso, perché aggiunse: «La bambina che porta i fiori. È mia figlia».

«Oh, è bellissima», dissi, ma Cookie era già in piedi, pronta ad allontanarsi.

Quando iniziai a conoscere meglio i Reapers, mi colpirono un paio di cose.

Erano orgogliosamente leali l’uno all’altro. Sembravano parlare in codice a volte, e avevano le loro regole e i loro modi di sbrigare le faccende. Non gli piacevano i poliziotti e sapevano come sbarazzarsi dei cadaveri. Ma i Reapers non avevano davvero brillato finché non li vidi festeggiare.

Dategli un matrimonio da celebrare e una piramide di fusti, e vi faranno saltare in aria il posto.

Anche la mamma di Marie sapeva il fatto suo quando si trattava di organizzare un ricevimento. Avevano optato per un evento informale, e quando misi piede in cortile lo trovai trasformato in qualcosa che non si poteva definire certo elegante, ma era decisamente divertente. C’erano luci ovunque, musica esplosiva e cibo a sufficienza per due eserciti.

L’aspetto migliore di tutti? C’era l’area bimbi.

Sì, avevano assunto l’intero staff di un asilo del posto per venire all’Armeria e allestire un’area per bambini, completa di giochi, premi, truccabimbi e un vero pony da cavalcare, cazzo. I bambini avevano persino il loro piccolo buffet dove potevano comporsi i loro hot dog e hamburger.

Noah perse interesse per me nel giro di un istante.

«Wow, è fantastico», dissi a Maggs mentre si metteva a correre. «Non sapevo che Marie fosse ricca».

«Marie è cresciuta in una roulotte», rispose Maggs, ridacchiando. «Ma il suo patrigno sta cercando di recuperare il tempo perduto, e ha davvero un sacco di soldi. Quello che Lacey vuole, lo ottiene. E oggi voleva un pony».

«Ma che dici!», esclamai.

Poi le braccia di Ruger mi avvolsero e lui si chinò su di me, annusandomi i capelli.

«Ehi», mi sussurrò all’orecchio. Mi sciolsi. Maggs alzò gli occhi al cielo mentre mi voltavo tra le braccia di Ruger.

«Ehi», sussurrai di rimando. Poi gli misi le mani sulle spalle e mi alzai sulle punte dei piedi per baciarlo. Lo facevamo spesso nell’ultima settimana. Baci morbidi, dolci e rapidi che mi permettevano di mostrare i miei sentimenti senza che la situazione diventasse troppo intensa.

Questa volta non fu morbido e dolce.

Immaginai che guardare Horse e Marie avesse ispirato Ruger, perché mi stava baciando rapido e potente, proprio come faceva una volta. Poi si staccò e mi guardò, col viso serio.

«Va tutto bene fra di noi?», chiese.

«Sì, va tutto bene», risposi, sorridendogli. «Mi sei mancato».

«Anche tu mi sei mancata. Una parte di te in particolare. Andiamo a riprendere confidenza».

Arrossii mentre mi prendeva il braccio e venivo in parte condotta e in parte trascinata lungo il cortile. Inciampai, seguendo il suo trasporto ma non riuscendo a tenere il ritmo del suo passo.

«Dove stiamo andando?», chiesi. «Ci perderemo la festa!».

«Horse ha detto che la festa può aspettare finché non ha scopato sua moglie, e lui è un uomo intelligente», mormorò Ruger, fermandosi accanto a un tavolo per prendere uno zaino. Poi capii dove eravamo diretti.

«No», dissi, sussultando e tirando la sua mano. «Non il capanno. Non ci torno lì dentro».

«Nessun problema», rispose Ruger, cambiando direzione senza fare nemmeno una pausa. Ora eravamo diretti verso il retro dell’Armeria. Mentre passavamo vidi Dancer che rideva e mi indicava col dito.

Incontrammo qualche amico.

Poi ci ritrovammo nella tromba delle scale, a salire fino al terzo piano. Ruger notò una porta aperta in una delle stanze e quando entrammo vidi una donna in ginocchio, che stava facendo un pompino a un uomo che non avevo mai visto prima.

«Mi serve una coperta», gli disse Ruger, tirandone via una dal letto. Il ragazzo annuì ed eravamo già fuori prima che potessi avvampare per l’imbarazzo. Ruger mi trascinò in direzione di altre scale che si aprivano su una porta che dava sul tetto. Era una zona ampia e aperta, con grandi parapetti che ne delimitavano i bordi. Era un po’ in pendenza, ma non molto. Eravamo all’aperto in pratica.

«Qui non è molto meglio del capanno», dissi, e Ruger si voltò verso di me, alzando le sopracciglia.

«Dici sul serio?», chiese. «Trovo l’unico posto nel raggio di un chilometro in cui possiamo avere un po’ di privacy e ti lamenti pure? E poi è tradizione. I ragazzi portano qui le loro donne di continuo. Diavolo, Horse ha chiesto a Marie di sposarlo su un tetto».

Aggrottai la fronte.

«Immagino che vada bene», dissi.

«Be’, questo è un sollievo», mormorò, gettando la coperta sul pavimento. Poi le sue mani afferrarono i miei capelli e la sua bocca affondò sulla mia.

Non ricordo bene come finii a terra. E certamente non ricordo cosa successe alle mie mutandine, anche se sospettavo che Ruger le avesse rubate. Sembrava che avesse una sorta di feticismo per le mutandine.

Ricordo invece che cercai di non urlare e svenire quando la sua bocca mi succhiò forte il clitoride. Ricordo anche quando affondò dentro di me, spalancandomi e ricordandomi che non ero pazza di lui solo perché si prendeva cura di Noah.

Porca miseria, quell’uomo aveva talento.

Ci prendemmo una pausa dopo quel primo giro di sesso riconciliatore, trasferendoci all’ombra dietro alla piccola rimessa che ospitava la tromba delle scale. Ruger si sdraiò e mi fece posto fra le sue braccia, e io mi accoccolai a lui. Aveva perso i vestiti nella foga del momento, e pensai che se rimanere completamente nudo all’aperto non gli dava fastidio, tanto valeva godermi la vista.

Feci leva su un braccio e iniziai a baciarlo sul petto.

«Che bello», disse, con voce roca. «Cristo, quanto mi è mancato toccarti».

«Mi sei mancato anche tu», dissi. Il tatuaggio tribale sul pettorale mi attirava, quindi iniziai a delinearlo con la lingua. Mi piaceva che avesse il suo sapore, giusto un po’ salato e assolutamente virile. Mi piaceva anche quanto fossero sodi i suoi muscoli, e nel profondo dovevo ammettere che amavo l’idea che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me.

Qualsiasi cosa.

Mi abbassai per cercare l’anello nel suo capezzolo, giocherellandoci con la lingua.

«Pensi che ora sia il momento di parlare?», chiese.

Lasciai andare l’anello con riluttanza.

«Sì, probabilmente», dissi, guardandolo. «Probabilmente dovremmo capire… in che direzione andare».

«Rendiamolo ufficiale», disse. «Voglio che tu sia la mia signora, penso che tu già lo sappia. Sei pronta?»

«Penso di sì», dissi piano. «Eri serio quando parlavi di fedeltà? Cioè, come mi hai detto dopo che sei venuto a prendermi, quando io e Em eravamo con i Devil’s Jacks? Eri seriamente intenzionato a non andare a letto con tutte? Perché questo è ancora un problema per me».

«Assolutamente serio», rispose Ruger. Mi guardò dritto negli occhi. «Non sono andato a letto con nessun’altra, piccola. Non da quando abbiamo scopato nel capanno. Lo ammetto, ci ho pensato, ma le altre non erano te. Non mi andava».

Trattenni il fiato.

«Allora perché continuavi a dirmi che non avresti potuto fare promesse?», chiesi, sorpresa. «Pensavo non facessi altro che scopare in giro a destra e a manca».

«Ti ho sempre detto che non avrei mentito», disse. «Non volevo fare una promessa che non potevo mantenere. Ma merda, Soph, quando ho pensato che avrei potuto perderti? È diventato tutto molto chiaro, all’improvviso. Non me ne frega un cazzo delle altre, piccola. Ti amo. Penso di averti amato dal primo momento, quando ho trovato te e Zach sul mio divano. Ho passato un sacco di tempo a cercare di convincermi del contrario, ma non ce la faccio».

Sbattei le palpebre rapidamente. Mi amava. Ruger mi amava. Immagino che ne fossi consapevole da un po’ di tempo: non ti prendi cura delle persone nel modo in cui si è preso cura lui di me e di Noah se non le ami.

Sentirglielo dire era comunque bello.

«Anch’io ti amo», risposi, sentendomi d’un tratto timida. «Penso di amarti da tanto tempo. Ci sei sempre stato per me».

«Questo è quello che succede quando sei pazzo di qualcuno», disse, accennando un sorriso. «Credimi, non ti aiutavo a traslocare, non ti montavo gli allarmi alle finestre, e tutta quella roba perché ho un cuore grande, piccola. Non faccio mica beneficienza».

Feci una risatina. Il suo sguardo era così intenso che non potevo sostenerlo. Invece guardai la sua spalla e per la prima volta studiai davvero i tatuaggi che aveva in quel punto. C’erano una serie di puntini rotondi, ognuno leggermente sfumato, quasi come la scia di una cometa.

«Cosa sono questi?», chiesi.

«Che cosa?»

«I tatuaggi sulle tue spalle. È da un po’ che cerco di capire cosa sono. Non assomigliano a niente».

Si sollevò, appoggiandosi all’indietro sui gomiti, e mi rivolse uno sguardo serio.

«Siediti sui miei fianchi», disse. Sollevai un sopracciglio.

«Sei già pronto per il secondo round?», domandai. «O stai solo cercando di evitare la domanda? Fammi indovinare, ti sei ubriacato e ora non ricordi cosa sono?».

Scosse lentamente la testa.

«Oh, me lo ricordo eccome», disse. «Avanti, vienimi in braccio. Voglio mostrarti una cosa».

Lo guardai sospettosa, ma gli scavalcai i fianchi con le gambe. Il suo pisello era proprio in mezzo alle mie gambe e sentii una vampata di desiderio attraversarmi. Non era l’unico pronto per ricominciare.

«Ora mettimi le mani sulle spalle», disse.

«Cosa?»

«Mettimi le mani sulle spalle».

Obbedii. Poi di colpo capii.

«Santo cielo, sei proprio un maiale!», dissi stupita. «Che razza di stronzo si tatua delle impronte sulle spalle? Dio, le donne che scopi sono così stupide da aver bisogno di un punto di riferimento per non cadere?».

I suoi occhi si spalancarono e poi iniziò a ridere. Strappai via le mani, fissandolo. Provai a scendere, ma si sedette, tenendomi per la vita. Poi smise di ridere e mi rivolse un sorriso.

«Prima di tutto, sì, alcune di loro probabilmente erano davvero così stupide», ammise. «Ma quelle sono le tue impronte, piccola».

Lo guardai confusa.

«Probabilmente non te lo ricorderai, ma quella notte che hai avuto Noah…», disse, «ti sei accovacciata sul lato della strada e mi hai tenuto per le spalle mentre spingevi».

Capii cosa stava dicendo Ruger e alzai le mani, appoggiando di nuovo le dita sui tatuaggi. Si adattavano alla perfezione.

«Non so nemmeno come spiegarti cos’ho provato quella notte», disse. «È stato così intenso, Soph. Non avevo idea di cosa stessimo facendo. Non avevo mai visto niente del genere, non avevo mai provato nulla di simile. Hai fatto uno sforzo incredibile per metterlo al mondo. Tutto quello che potevo fare era stringerti, sperando di non aver incasinato tutto. Mi hai stretto le spalle così forte che mi hanno fatto male per giorni. Hai conficcato le unghie, mi hai lasciato i lividi, tutto. Cristo, eri forte».

Ripensai a quella notte, ricordando come mi ero accovacciata sul ciglio della strada. Il dolore. La paura.

La gioia di tenere in braccio Noah per la prima volta.

«Mi dispiace», dissi con dolcezza. «Non volevo farti male».

Sbuffò e mi sorrise.

«Non mi hai fatto male, piccola», disse. «Mi hai marchiato. C’è una bella differenza. Quella notte è stata la cosa più importante che sia mai successa nella mia vita. Stringerti, raccogliere Noah… mi ha cambiato per sempre. Non volevo dimenticare. Così, quando i lividi hanno iniziato a svanire, sono andato a farli tatuare, per renderli indelebili».

«Dannazione», dissi, toccando con delicatezza quei disegni con la punta delle dita. «Penso che sia la storia più dolce che abbia mai sentito».

Sentii il suo pisello inturgidirsi e Ruger fece una smorfia.

«Abbastanza dolce da farmi scopare di nuovo?», chiese. «Perché questa storia l’ho già raccontata ad altre donne in passato e funziona ogni volta, cazzo. Di solito non riescono a togliersi i pantaloni abbastanza in fretta quando ho finito. Odio pensare che tu sia l’unica ragazza a resistere, considerando che si tratta di te».

Iniziai a ridere, e poi mi voltò, bloccandomi le mani sopra la testa. Smisi di ridere quando me lo infilò in mezzo alle gambe.

«Ti amo, piccola», disse, scivolando piano dentro di me. «Te lo prometto. Ci sarò sempre per te».

«Lo so», gli sussurrai. «Ci sei sempre stato. Anch’io ti amo, Ruger. E giuro, se racconti quella storia a un’altra ragazza, te lo strappo quel tatuaggio».

«Me lo segno», disse con un sorriso.

Allungai una mano e lo baciai mentre spingeva fino in fondo, lavorando lentamente dentro e fuori, sfiorandomi il clitoride a ogni colpo. Alzai le gambe per avvolgerle intorno alla sua vita, chiudendo gli occhi per via del sole e lasciando che la sensazione del suo grosso cazzo che mi dilatava si impregnasse di tutto il mio essere.

Amavo quest’uomo.

Amavo il modo in cui mi teneva, amavo il modo in cui si prendeva cura di mio figlio e amavo il modo in cui sistemava sempre tutto ciò che era incasinato, le cose orribili che andavano storte nella mia vita. Mentre ondeggiava dolcemente dentro di me, potevo sentire gli ospiti che festeggiavano giù in cortile, la musica si alzava mentre la gente urlava e applaudiva e sfruttava al meglio quello che doveva essere uno degli ultimi giorni caldi dell’anno. C’era Maggs, e anche Em e Picnic e Dancer e Bam Bam… Ruger non era solo, mi resi conto. Mi avevano dato tutti una mano, anche quando li avevo giudicati per essere dei Reapers.

Ma i Reapers erano parte di Ruger e Ruger era parte di me. Colpì particolarmente in profondità e io iniziai a ridere.

«Che cazzo?», grugnì senza fermarsi.

«Sei parte di me», dissi ridacchiando.

Fece una pausa, alzando un sopracciglio. Poi ruotò i fianchi lentamente e deliberatamente, facendomi sussultare.

«Proprio così», disse, sorridendo. Gli afferrai il sedere, esortandolo a ricominciare a muoversi. Non se ne lamentò. In pochi secondi mi ero dimenticata della festa al piano di sotto ed ero concentrata sulle sensazioni che mi montavano dentro. Ruger si mosse più veloce, affondando dentro di me, facendo scorrere il mio sedere sulla coperta con la forza delle sue spinte.

«Merda, ci sono quasi», mormorai.

Ruger grugnì, poi si staccò da me bruscamente, rotolando sulla schiena alla disperata ricerca d’aria.

«Che cazzo fai?», gli chiesi.

«Voglio darti una cosa», disse, con voce tesa. Mi alzai e lo guardai dritto negli occhi.

«No. Hai il tempismo più schifoso del mondo».

Rise, anche se c’era sicuramente una nota di tensione. Scosse la testa, mettendosi a sedere e protendendosi per frugare nello zaino che aveva portato con noi. Poi lo tirò fuori. Un giubbotto di pelle nera.

Un giubbotto con la scritta Proprietà di Ruger. La mia bocca si spalancò e feci un respiro profondo.

«Ruger…».

«Prima ascoltami», disse, con gli occhi fissi sul mio viso. «Non sei del mio mondo, quindi non sai esattamente cosa significhi indossare un gilet come questo».

«Va bene…», dissi lentamente, anche se non riuscivo a immaginare delle parole che mi avrebbero fatto sentire a mio agio.

«Guardi questo e vedi solo la parola “proprietà”», disse. «Ma il vero significato è che sei la mia donna e voglio che lo sappiano tutti. Vivo in un mondo difficile, piccola. Un mondo in cui succedono cose brutte, e l’hai visto di persona. Ma non importa cosa succeda, i miei fratelli mi copriranno sempre le spalle. Questo giubbotto significa che sei una di noi. Quelle non sono solo parole, Sophie. Siamo una tribù e tutti i Reapers del club, uomini che non conosci nemmeno, morirebbero per proteggere una donna che indossa questo giubbotto. Lo farebbero perché sono miei fratelli e perché significa più di quanto qualsiasi anello potrebbe mai dimostrare nel nostro mondo».

«Non capisco…», mormorai, cercando di dare un senso alle sue parole.

«Quando un uomo prende una donna come sua proprietà, non si tratta di possederla», continuò, scrutandomi il viso. «Si tratta di fidarsi di lei. È la mia vita che ti sto offrendo, Sophie. Non solo la mia vita, anche quella dei miei fratelli. Significa che sono responsabile di tutto ciò che fai. Se fai cazzate, la pago io. Se hai bisogno di aiuto, noi ci siamo. Sei l’unica donna che abbia mai incontrato a cui prenderei in considerazione l’idea di dare questo tipo di potere. Cavolo, non lo sto solo prendendo in considerazione, muoio dalla voglia che tu lo accetti. Voglio che indossi la mia toppa, Soph. Ti va?».

Sospirai, poi presi il giubbotto. Era caldo a causa del sole e ci passai sopra le dita, sentendo la forza delle cuciture. Era stato fatto per durare, senza dubbio. Avrei potuto indossarlo per anni. Forse anche una vita intera.

Guardai Ruger, le mani forti che avevano preso mio figlio alla nascita, e il sorriso che mi lasciava senza fiato. Conoscevo già la risposta. Non c’era bisogno di rendergliela troppo facile, però…

«Posso chiederti una cosa?»

«Certo», disse, e mi sembrava quasi di sentire un accenno di ansia nella sua voce.

«Era davvero necessario fermarsi nel bel mezzo del sesso per iniziare questa conversazione? Ero quasi arrivata alla parte migliore».

Rise, poi scosse la testa.

«Mi ero fatto una promessa», disse, sembrando quasi imbarazzato.

«E di che si tratta?»

«Mi ero ripromesso che la prossima volta che ti avessi scopato, avresti indossato la mia toppa. Però mi sono distratto. Hai delle belle tette, piccola».

«Mi hai già scopato una volta quassù», dissi, cercando di mantenere un’espressione seria. «Perché non hai finito?»

«Perché sono un idiota», disse, scrollando le spalle. «Non lo so. Mi sono reso conto che presto saresti esplosa intorno a me, stringendomi il cazzo come se il mondo stesse per finire, e volevo che indossassi la mia toppa quando sarebbe accaduto. Mi è venuto in modo naturale».

Sollevai il giubbotto, osservandolo con espressione pensierosa. Tanto valeva torturarlo un po’, visto che mi aveva lasciata in sospeso.

«Sembra un bel giubbotto», dissi con cama. «Sei sicuro di essere pronto per questo passo?»

«Sì, Sophie, cazzo se ne sono sicuro», rispose, alzando gli occhi al cielo. «Allora, che cosa hai intenzione di fare? O lo indossi e troviamo entrambi il nostro lieto fine, o ce ne torniamo a casa doloranti e arrapati da morire. Perché dico sul serio. Niente toppa, niente cazzo».

«Va bene», dissi.

«Sul serio?»

«Sì, sul serio», risposi. «Non sembrare così sorpreso. Hai davvero un bel pisello, tesoro».

Mi misi il giubbotto, godendomi lo sguardo nei suoi occhi mentre mi fissava. Mi irritava un po’ i capezzoli, e trattenni una risata. Forse Marie avrebbe potuto darmi qualche suggerimento su come fare per evitarlo… Poi Ruger mi sollevò e mi mise sopra, alzandomi quel tanto che bastava per far scivolare il cazzo con il piercing in questione tutto dentro di me. Appoggiai le braccia sul suo petto e mi chinai, dondolandomi lentamente mentre studiavo il suo viso.

«Allora, cosa ne pensi?», sussurrai.

«Mi piace come ti sta, Soph», disse, sorridendomi. «Vista grandiosa. Naturalmente, non mi dispiacerebbe vederlo da dietro. Sei pronta per girarti, cowgirl?»

«Prima finisci da questo lato», mormorai. «Ci penseremo poi a diventare creativi».

Ruger sorrise e si avvicinò a me, cercando il clitoride con le dita.

«È una promessa?», chiese.

«Cavolo sì».