Capitolo quindici

Ruger

Superarono la piccola salita che dava sulla casa e Picnic rallentò, alzando una mano perché gli altri si fermassero.

Ruger si fermò accanto a lui.

Santo cielo.

«Questa è la mia ragazza», disse Picnic, con la voce piena di orgoglio. «Dannazione, l’ho cresciuta proprio bene».

«Entrambe le nostre ragazze», mormorò Ruger. Sentì una sensazione liberatoria nel petto: si stava sbarazzando di un macigno di tensione che non si era nemmeno reso conto di provare. «Merda, non sapevo avesse questo talento innato».

Em e Sophie sedevano sulla veranda come due vicini di casa in visita davanti a un tè, tranne che Em aveva una pistola puntata su Skid. Il ragazzo giaceva a terra, con il corpo straziato e pieno di sangue e le braccia tese dietro la schiena legate al pilastro del portico.

«Pensi che l’abbia ucciso?», chiese Ruger.

«Spero di no», rispose Picnic. «La situazione è già abbastanza brutta senza che lei debba conviverci. Per non parlare del casino che dovremo ripulire, cazzo».

«Questo è vero», replicò Ruger.

«Sono papà, siamo venuti a prendervi!», urlò Picnic, salutandola con la mano. Em teneva gli occhi su Skid e non spostò la pistola di un millimetro.

«Sono contenta che tu sia venuto», rispose. «Una mano farebbe davvero comodo».

«È l’unico?», chiese Pic.

«Hunter è andato via un paio d’ore fa», gridò. «Erano solo loro due».

Scesero lentamente la collina verso la casa. Ruger studiò Sophie con attenzione mentre parcheggiava la moto, ma non vedeva segni di ferite gravi. Sembrava esausta e gli occhi erano cerchiati da sbaffi di trucco nero colato, ma non aveva altri segni visibili. Em sembrava stare peggio: il suo viso era pallido e un livido cominciava a formarsi sulla guancia. Strisce di tessuto bianche e insanguinate le erano state legate intorno alla gamba.

«Restate dove siete, ragazze», disse rapido Pic scendendo dalla moto. Ruger fece lo stesso, seguendolo in direzione dell’uomo a terra.

Skid era in condizioni pessime. Non si muoveva e Ruger gli vide il sangue gocciolare dal naso e dalla bocca. Dell’altro sangue inzuppava il terreno, anche se non riusciva a vedere da dove provenisse. Ruger si avvicinò con cautela all’uomo, inginocchiandosi per controllargli il polso.

Ancora vivo. Il battito era debole ma costante.

«Non è morto», disse. «Qual è il piano?».

Picnic girò Skid con un piede. In quel momento videro la ferita: aveva uno squarcio sulla nuca.

«Sanguina, ma non è grave», disse Em. «Non so se è svenuto per un trauma cranico o per lo shock. Sophie gli ha massacrato le palle a calci».

Ruger avvertì una contrazione istintiva alle parti basse e guardò Sophie. Lei guardava tutti loro, con il viso impassibile come quello di una sfinge.

Era perfettamente calma. Troppo calma. Doveva essere sotto shock, pensò Ruger.

Picnic si avvicinò a sua figlia e tese la mano per prendere la pistola. Em gliela porse e lui le avvolse un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé.

Ruger guardò di nuovo Sophie e lei gli diede le spalle. Poi sentì lo scricchiolio dei passi nel vialetto dietro di lui.

«Come ce la giochiamo?», chiese Bam Bam, guardando Skid. Ruger lanciò un’occhiata al suo presidente, domandandosi la stessa cosa. Avrebbero fatto fuori quel bastardo o no?

«Non davanti alle ragazze», disse Picnic, stringendole forte Em. «Ruger, Painter prendetele e portatele al sicuro. Chiama il medico. Può venire al club. Noi daremo una pulita qui».

Em scosse la testa, innervosendosi.

«Non ucciderlo», disse. «Se lo fai, ci saranno altri scontri».

«Si tratta del club, Em», rispose Picnic a bassa voce. Guardò Skid, poi si sollevò in punta di piedi, sussurrando all’orecchio di suo padre.

Picnic si irrigidì.

Em si allontanò, con sguardo chiaramente implorante.

Lui scosse la testa e lei incrociò le braccia, facendo un passo indietro. Interessante. Picnic strinse gli occhi e i due si fissarono per lunghi secondi. Poi Picnic sospirò.

«Va bene, lo porteremo con noi e lo scaricheremo da qualche parte in modo che i suoi compagni possano ritrovarlo», disse. «Guarda se riesci a trovare qualcosa con cui legarlo, Bam».

Ruger guardò Skid. A livello razionale, sapeva che lasciarlo vivere probabilmente era una buona idea. E a prescindere da tutto, Em e Sophie non avevano bisogno di un peso del genere sulla coscienza.

Eppure continuava a desiderare che quello stronzo morisse.

Avrebbero sempre potuto farlo fuori più tardi. Se avessero fatto un lavoro pulito, le ragazze non lo avrebbero mai saputo.

Sophie

Non sapevo come sentirmi mentre tornavo a casa in moto con Ruger, esausta e consumata, ora che se n’era andato l’effetto dell’adrenalina. Ci eravamo separati dal resto del club, che si era diviso in gruppi diretti in posti differenti. Voleva che un infermiere amico del club mi desse un’occhiata, ma insistetti che stavo bene.

E mi sentivo bene. Fisicamente.

Ma ora che era finita, ero così furiosa con Ruger che avrei voluto urlare, picchiarlo e prenderlo a calci in culo per avermi messo in questa situazione di merda. Ma allo stesso tempo desideravo che mi stringesse e mi facesse sentire di nuovo al sicuro, ed era davvero ridicolo.

Non sarei mai stata al sicuro con lui.

Più di ogni altra cosa, però, volevo tornare da Noah. Volevo tenerlo stretto fra le mie braccia e assicurarmi che non avremmo mai, mai più dovuto preoccuparci che accadesse qualcosa del genere. Continuavo a valutare diversi piani, incluso cambiare nome e trasferirmi in un altro Stato. Ma adesso avevo un buon lavoro, che avrebbe potuto permetterci di tirare avanti.

Dovevo solo erigere un muro tra me e Ruger. Stabilire dei limiti: lui dalla sua parte e io dalla mia, senza nessuno sconfinamento. Fatto questo, sarei stata bene.

Ma nonostante fossi arrabbiata con lui, mi sentivo bene e al sicuro appoggiata alla sua schiena mentre guidava, con le braccia strette attorno al suo petto. Ogni centimetro di Ruger era forte e solido. La mia guancia era appoggiata alla pelle del suo smanicato, e graffiava contro il tessuto ricamato delle toppe dei Reapers. Lo stomaco con i muscoli in tensione che si increspavano sotto le mie dita ogni volta che lui si inclinava per prendere una curva.

Per ora – solo per i prossimi venti minuti – mi sarei concessa di toccarlo, di assaporare la sua presenza.

Poi avremmo preso strade diverse.

Quando finalmente girammo intorno al fienile di Elle per fermarci nel piccolo parcheggio acciottolato di fronte al mio nuovo appartamento, lasciai cadere le braccia e lo lasciai andare. Non permisi alla tristezza di prendere il sopravvento.

Cercai di non sentire niente.

Scese dalla moto e mi prese per mano, guidandomi verso la porta, il che era positivo. Mi sentivo intrappolata in un sogno, ogni cosa intorno a me era distante e surreale.

«Merda», mormorai, guardando la serratura. «Non ho le chiavi. Sono nella borsa e non ho idea di dove sia, lo stesso vale per il telefono».

«Magari in casa ritroveranno la tua borsa», disse Ruger. «Il telefono è sparito. Te ne prendo uno nuovo domani».

Mi lasciò andare e tornò alla moto, frugando in una delle bisacce per tirare fuori una piccola borsa di pelle nera. Quando tornò e la aprì, vidi una collezione di strani piccoli strumenti.

«Grimaldelli», esclamò..

«Quindi questo è un altro lato della tua vita che non conosco?», chiesi, insensibile. «Te ne vai in giro, pronto e in attesa di fare irruzione nelle case degli altri?».

Mi guardò e aprì la bocca per parlare. Qualcosa sul mio viso doveva aver attirato la sua attenzione, perché la sua espressione si addolcì.

«Tesoro, sono un fabbro, una volta era il mio lavoro», disse, con voce gentile. «Fabbro, armaiolo… se è di metallo e ha componenti minuscoli, mi piace metterci le mani. Quando ero bambino ho costruito della roba con i Lego; ora ho dei giocattoli da ometto. Per un po’ mi sono occupato a tempo pieno di rispondere alle chiamate della gente rimasta chiusa fuori casa. Non si tratta sempre di cose spaventose, okay?».

Annuii, ma non ero sicura di credergli. «Comunque», mormorai.

La porta si aprì con un clic e entrai guardandomi intorno. Tutto era proprio come l’avevo lasciato il giorno prima. Normale. Tutto normale. Potrebbe quasi essere stato un sogno.

«Devi darti una ripulita», disse. «Chiamerò Kimber e le dirò di riportare Noah a casa tra un’oretta. Non voglio che vada fuori di testa».

«Era preoccupato per me?», chiesi, avvicinandomi per bere un bicchiere d’acqua. Pensai di offrirgliene uno, e poi non lo feci, perché ’fanculo Ruger. Quella piccola ondata di rabbia era positiva, perché mi rendeva meno insensibile.

«Sono sicuro di sì», rispose. «Kimber è stata con lui tutto il tempo, però. Hanno guardato film e cazzate in televisione. Ho parlato con lui per circa cinque minuti questa mattina, ma non l’ho visto. Ero concentrato a riportarti a casa».

Mi voltai a guardarlo, era così imponente che sembrava occupare tutto il mio minuscolo soggiorno.

«Soph, dobbiamo parlare», disse lentamente, con aria nervosa. «Ho bisogno che tu mi dica tutto quello che è successo. Ti hanno… fatto del male…?».

Sbuffai.

«Ehm, sì, mi hanno fatto male», dissi, allungando una mano per toccarmi la guancia livida. «Mi hanno sbattuta su un furgone, mi hanno legata e tenuta prigioniera mentre minacciavano di uccidermi a causa di alcune stronzate del club che non capisco e di cui non mi interessa niente. Quindi sì, quella parte è stata una bella merda. Grazie per avermelo chiesto».

«Ti hanno violentata?», chiese senza mezzi termini. Scossi la testa. Il suo viso si addolcì dal sollievo e si avvicinò a me. Alzai la mano, fermandolo.

Limiti. È ora di imporli.

«Ruger, finora abbiamo scherzato, ma adesso è finita», dissi, concentrando gli occhi sul suo petto. La toppa con scritto 1% mi provocava, ricordandomi esattamente perché dovevo darci un taglio. «So che non è la prima volta che lo dico, ma ora è cambiato tutto. Non importa come mi fai sentire o quanto sei gentile. Il vostro club è pericoloso e non voglio avere niente a che fare con nessuno di voi. Io e Noah non possiamo permettercelo».

Si pietrificò.

«Posso capire perché ti senti così…», iniziò a dire, ma lo interruppi.

«No, non puoi proprio», dissi. «Non hai passato la notte ammanettato a un letto, chiedendoti se saresti stato violentato o ucciso. Non hai sentito un tuo amico urlare nel buio, né uno sparo quando hai cercato di scappare. Saremmo potute morire, Ruger… Quindi ecco come andranno le cose d’ora in poi. Ti farò vedere Noah una volta alla settimana. Ci organizzeremo in anticipo. Lo terrai lontano dal club e non gli parlerai di motociclette. Non indosserai i tuoi dannati colori e non farai nulla che possa metterlo in pericolo. Ti metterai d’accordo con me e lo passerai a prendere e lo riporterai a casa dove e quando ti dirò io».

Lo sguardo di Ruger si inasprì e la mascella si serrò. Sentivo la sua rabbia e la sua frustrazione avvolgere l’aria come fossero una realtà tangibile, e in realtà era piuttosto divertente perché non me ne fregava un cazzo di quello che pensava dei miei piani.

Non più.

«Seguirai le mie regole», continuai. «O non permetterò mai più a Noah di rivederti. Credimi, lo farò. A dire il vero mi piacerebbe vietarglielo anche adesso, ma so quanto ti ama e sarebbe devastante per lui. Quindi faremo una prova e, se funziona, andrà tutto bene. Se non funziona o mi sento in pericolo, sei fuori».

«Non puoi farlo», disse. Fece un altro passo verso di me. Rimasi ferma mentre si avvicinava, provando a dominarmi con la sua presenza fisica come al suo solito, invadendo il mio spazio. Alzai lo sguardo verso di lui, il suo petto era a qualche centimetro dal mio mento, e non mi importava quanto Ruger fosse imponente e spaventoso.

Non mi importava di niente.

«Io sono sua madre. E non tu hai nessun diritto. Nessuno. Te lo lascio vedere perché sono una brava persona e posso smettere di essere gentile in qualsiasi momento. Non fare lo stronzo con me, Ruger».

Si allungò e mi toccò con delicatezza il viso, sfiorandomi la guancia con un dito. Mi fece venire i brividi lungo la schiena, e in un batter d’occhio iniziai a desiderarlo.

«Non andrò a letto con altre donne», disse. «Ci tengo a fartelo sapere. Ti ho quasi perso. Non rischierò di farlo di nuovo. Prima ti avevo detto che non sarei mai stato un uomo da una donna sola, ma ora ho capito che mi sbagliavo».

Lo guardai in faccia, scrutando i suoi occhi. Diceva sul serio. Pensai di sdraiarmi a letto con lui… volevo arrendermi. Lo desideravo.

Ma non importava.

«Troppo tardi», dissi, ed ero seria. «Ho chiuso con te e dico sul serio. Vattene. Da. Casa. Mia».

Sostenne il mio sguardo, e poi avvenne il miracolo.

Ruger ascoltò.

Indietreggiò, si voltò e uscì di casa. Sentii la sua moto accendersi rombando e poi lui che se ne andava.

Ce l’avevo fatta. Ero finalmente riuscita a rimettere Ruger al suo posto. Sfortunatamente, ero troppo stanca per godermela.

Lunedì

Kimber: Come stai?

Io: Ok. Noah è ancora un po’ appiccicoso. Hai fatto un buon lavoro ma era ancora impaurito. Grazie mille per esserti presa cura di lui. Sono così felice che sia stato al sicuro.

Kimber: Questo è quello che fanno gli amici, tu lo faresti per me. Stavo pensando a te… Vuoi che ci vediamo, magari per parlare?

Io: No. Voglio solo stare tranquilla per un po’.

Mercoledì

Marie: Ehy Sophie! Io, Maggs e Dancer usciamo domani sera… Vuoi unirti a noi?

Io: Grazie ma probabilmente no. Divertitevi.

Marie: Ok. Come stai?

Io: Sto bene.

Marie: Hai parlato con Em?

Io: No. Sta bene?

Marie: Non ne sono sicura. Non vuole dirmi niente. Sono preoccupata… È successo qualcosa che dovremmo sapere? Voglio dire, mentre eravate … in quel posto? Magari possiamo vederci e parlarne.

Io: Sto bene, voglio solo restare da sola con Noah per un po’. Io e Em non siamo state insieme per tutto il tempo. Se vuoi saperne di più, fattelo raccontare da lei.

Marie: Va bene. Siamo preoccupate anche per te… Come vanno le cose?

Io: Bene. Ho solo bisogno di spazio.

Marie: Capisco. Ma per favore chiama se hai bisogno di noi ((abbracci))

Giovedì

Dancer: Ehi. Come va? Magari potremmo far giocare i bambini insieme questo pomeriggio?

Io: Ehm, siamo piuttosto occupati in questo momento.

Dancer: Capisco… Ti ricordi dell’addio al nubilato di Marie? È giovedì prossimo. Abbiamo una baby-sitter, si è offerta di badare anche a Noah.

Io: Non sono sicura di farcela. Mi troverò una baby-sitter.

Dancer: Ok. Non rimanere nascosta troppo a lungo.

Venerdì

Kimber: Questa è un’assurdità. Capisco tu sia arrabbiata con Ruger e i Reapers ma io non sono una di loro, non puoi tagliarmi fuori. Se tu e Noah non venite stasera mando Ryan a prenderti.

Io: Guardiamo film a casa.

Kimber: No. Vieni a casa mia. Stiamo dando una festa. Ho bisogno di rinforzi!!! Niente Reapers. Persone Normali. Bambini. Tu e Noah fatevi vedere alle sei, altrimenti verrò a prenderti. Non fare cazzate.

Io: Sei una stronza invadente.

Kimber: Credi? Porta qui il culo o vengo a prenderti. Niente scuse. Porta il costume da bagno e un dolce.

Il mio iPhone nuovo di zecca segnava le cinque e cinquantasei quando arrivammo a casa di Kimber. Ruger me l’aveva portato la domenica precedente, il giorno dopo la mia piccola avventura con Em. Volevo dirgli di andare al diavolo, ma avevo bisogno di un telefono, e lui se lo poteva permettere più di me. E non mi sentivo affatto in colpa. Prima di tutto, era colpa sua se ero stata rapita, quindi potevo anche biasimarlo per avermi perso il telefono.

Non lo lasciai entrare in casa. Noah voleva andare da lui e io glielo vietai. Poi sbattei la porta in faccia a Ruger.

Adesso era venerdì sera e avevo ceduto all’ultimatum di Kimber, perché sapevo che era seria quando diceva che sarebbero venuti a prendermi. Tenevo un piatto di brownies in una mano e una borsa con il costume da bagno nell’altra, e quando Ryan, il marito di Kimber, aprì la porta, dovetti sorridere. Indossava un costume da bagno verde fluo e una camicia viola con motivi hawaiani. In testa aveva un cappello da cowboy arancione e in una mano teneva una pistola d’acqua.

Mi resi conto che venire qui era stata una buona idea.

«Benvenuta alla festa», disse, con un sorriso a trentadue denti.

«Bel look», esclamai, osservando com’era vestito.

«Ehi, devi essere un uomo molto sicuro di te per conciarti così», disse lui senza un briciolo di vergogna.

«Hai perso una scommessa?», chiesi, sogghignando.

«Infatti, l’ha persa», disse un altro uomo, venendo verso di noi per piazzarsi accanto a Ryan. Aveva dei capelli castani lunghi e arruffati e un bel sorriso, e dal suo sguardo si capiva che era contento del mio arrivo. Aveva anche lui una pistola ad acqua, sebbene indossasse dei pantaloni perfettamente normali e una maglietta con la scritta Code Monkey Like You.

Lo avevo già visto in foto: era il ragazzo con cui Kimber voleva farmi uscire.

«Io e Ryan abbiamo fatto una piccola gara tra programmatori al lavoro e io gli ho rotto il culo. Ciao, sono Josh. Piacere di conoscerti».

«Piacere mio», dissi, abbassando lo sguardo sulle mie mani totalmente impotenti. «Ehm, scusa, vorrei tanto stringerti la mano, ma…».

Rise, e poi i suoi occhi si sgranarono comicamente quando vide i brownies.

«Lascia che ti aiuti con quelli», disse, allungando la mano per afferrare i dolcetti. «E chi è lui?»

«Sono Noah», annunciò il mio bambino. «Hai altre pistole ad acqua come quella, Ryan?»

«Ne ho una scatola piena sul retro», replicò Ryan. «Vuoi venire a prenderne una? Ci sono un sacco di bambini là fuori. Scommetto che gli piacerebbe tantissimo giocare con te».

«Mamma?». Mi guardò, con occhi supplichevoli.

«Vai pure», dissi, sentendomi quasi spensierata. Kimber aveva ragione. Dovevo uscire, e venire a una bella festa di periferia come questa era proprio quello di cui avevo bisogno. Niente Reapers, niente rapimenti, niente di spiacevole.

Potevo farcela.

Noah attraversò la casa, seguito da Ryan. Josh mi guardò, rivolgendomi un sorriso amichevole.

«Quindi, una volta sistemata questa roba, posso offrirti da bere?»

«Certo», dissi. «Allora dimmi, da quanto tempo voi e Ryan lavorate insieme?».

Tre ore dopo sentivo che la mia vita stava andando per il verso giusto. Josh si rivelò un bravo ragazzo, passò buona parte della serata con me, ma non così a lungo da sembrare strano. Ryan grigliava hamburger e hot dog, i bambini giocavano in piscina e il frullatore di Kimber lavorava quasi senza sosta, sfornando Margarita di ogni gusto immaginabile. Io rimasi fedele al mio tè freddo e risi così forte che quasi scoppiai a piangere quando Ryan prese sua moglie e la gettò in piscina.

La folla di bambini si faceva sempre più numerosa, e conobbi così tante persone che non riuscivo a ricordare tutti i nomi. La maggior parte abitava nel quartiere di Kimber o erano colleghi di Ryan: mamme eleganti e raffinate appena uscite dal corso di yoga e i loro mariti un po’ stupidi che lavoravano come contabili e nell’informatica. Niente a che vedere con le feste dei Reapers.

La prima volta che incontrai Ryan, non avevo capito come facessero lui e Kimber a stare insieme. Lui era un vero nerd e lei una pazza fichissima, ma si compensavano alla perfezione. Dopo mangiato stavo tenendo in braccio Ava a bordo piscina quando Josh si avvicinò e si lasciò cadere su una sedia accanto a me.

«Allora», disse, sorridendomi. «Ho una domanda per te».

«Di cosa si tratta?», chiesi.

«Tu e Noah volete venire a cena da Chuck E. Cheese domani?», domandò. «So che non è l’ambiente più romantico del mondo, ma ho questa teoria per vincere a skee-ball che devo proprio mettere in pratica e ho pensato che Noah sarebbe un ottimo assistente».

Scoppiai a ridere.

«Sei pazzo? Chuck E. Cheese il sabato sera è una follia. Scommetto che non dureresti nemmeno un’ora».

I suoi occhi si illuminarono.

«È una sfida?», chiese. «Sei sicura di essere all’altezza?»

«Sei troppo divertente», dissi, scuotendo la testa.

«Abbastanza divertente da uscire con te domani?», disse, rivolgendomi un sorriso sornione. «Vorrei assumere un atteggiamento minaccioso e virile, e cercherò di fare il misterioso, ma non ne sono mai stato davvero in grado».

Mi ripresi, pensando a Ruger. I due non avrebbero potuto essere più diversi, questo era certo.

«Ehm, non sto davvero cercando un fidanzato», dissi piano. «E sarò onesta: se porti un bambino di sette anni ad un appuntamento, non hai molte possibilità che te la dia alla fine».

Alzò le spalle.

«È solo un’uscita», disse. «Non è un affare di Stato. Oltre a questo, ho un profondo e oscuro segreto da confessarti».

Si chinò verso di me, facendo cenno di avvicinarmi. Mi spostai, mettendo in equilibrio Ava mentre mi parlava all’orecchio.

«Ho davvero un’incredibile teoria per vincere a skee-ball», disse, con voce grave e seria. «Deve essere testata. Mi faresti un enorme favore».

Ripresi a ridere, allontanandomi.

«Quella battuta funziona con tutte?», domandai. Mi sorrise.

«Non saprei, tu che ne dici?».

Pensai a Ruger, a come mi faceva sentire e lo paragonai a quest’uomo.

Josh non mi faceva venire i brividi quando sentivo il suo respiro sul mio orecchio, ma era di bell’aspetto e sembrava divertente e amichevole. E comunque in quanti guai potremmo cacciarci con un appuntamento in una pizzeria per bambini?

«Va bene», dissi, sentendomi orgogliosa di me stessa. Avrei dimenticato Ruger: questo era il modo perfetto di fare il primo passo. «Ci divertiremo. Ma solo in modo amichevole. Non sto cercando una storia seria, davvero».

«Non ti preoccupare», rispose, sorridendomi. «Andremo solo a divertirci, e Ryan può garantire per me. Non sono un supercriminale sotto copertura, nessun sordido segreto, niente. Ciò che vedi è ciò che sono».

Stavo per ribattere, ma un denso getto d’acqua mi colpì all’improvviso al lato della testa, inzuppandomi mentre Ava urlava. Alzai lo sguardo e vidi Noah scappare con un gruppetto di bambini, strillando trionfante. Merdina…

«Devo asciugarmi», dissi a Josh.

«Vuoi che vada a difendere il tuo onore?» chiese, alzando la sua pistola ad acqua.

«Sì, fallo».

Si alzò e mi salutò, con gli occhi che brillavano dalla gioia, poi si precipitò sulla folla di bambini che si sparavano a vicenda e correvano sull’erba.

Trovai Ryan vicino alla griglia. In una mano teneva una birra e nell’altra un paio di pinze, e mentre li spostava per prendere Ava, mi sorrise.

«Sai, Josh è davvero un bravo ragazzo», disse. «Lo conosco da un paio di anni».

«Ehm, sembra carino», risposi goffamente.

Ryan rise. «Non preoccuparti, non ti metto pressione», disse. «Volevo solo farti sapere che non è un serial killer».

«Buono a sapersi», dissi. «Grazie per avermi invitato. Grazie di tutto, in realtà».

«Nessun problema», rispose. «Kimber pensa che tu sia fantastica. Sai, non è così facile per lei trovare degli amici, nonostante quello che potresti pensare. Sei speciale per lei».

Quelle parole mi colsero di sorpresa.

«Kimber ha sempre avuto più amici di chiunque altro», dissi ridendo.

Il suo viso si fece serio e scosse la testa. «No, ha sempre avuto più persone alle sue feste di chiunque altro. C’è una grande differenza».

Non sapevo cosa dire. Ryan scrollò le spalle e sorrise di nuovo.

«Vai ad asciugarti», aggiunse. «Facciamo accendere le scintille luminose ai bambini quando si fa completamente buio. Avrò bisogno di aiuto e Kimber è inutile dopo tre Margarita».

Sorrisi esitante ed entrai. A sinistra c’era una stanza familiare, con la cucina e un bancone per la colazione sulla destra. Il mio sandalo si impigliò nella porta, allentando la cinghia, quindi mi chinai per riallacciarlo appena varcato l’ingresso.

«Cristo, hai visto cosa indossa Ryan?», sentii dire a una donna in cucina.

«Lo so», disse un’altra. «E Kimber non sta molto meglio. Quel bikini potrebbe essere più piccolo di così? Sai che è una troione, vero? Faceva la spogliarellista. Spero solo che se ne vadano prima che Ava cominci la scuola. Non voglio che Kaitlyn sia nella sua stessa classe».

«Ma scherzi? Ecco perché mi sono trasferita in questo quartiere: volevo che i nostri vicini fossero gente normale, non dei buzzurri. E la sua amica… Dio, doveva avere, che ne so, dieci anni quando ha avuto suo figlio?»

«L’ho vista fare la gatta morta con Josh. Disgustoso».

Il mio telefono vibrò, lo tirai fuori dalla tasca e trovai un messaggio di Marie.

Ehi. So che le cose non vanno per il verso giusto, ma spero davvero che verrai alla mia festa di addio al nubilato il prossimo fine settimana. Siamo tutti in giro stasera e pensiamo a quanto sarebbe più divertente con te qui! baci baci.

«Quindi, la ragazza che mi fa la pedicure si è trasferita in un nuovo salone di bellezza. Sono tutte vietnamite e detesto il modo in cui parlano fra di loro senza spiccicare una parola della nostra lingua. Che maleducate!», disse la donna in cucina.

«Hai proprio ragione. Non lascio mai la mancia quando lo fanno. Se vogliono vivere qui devono impararla la nostra lingua…».

Mi alzai e attraversai la cucina, trafiggendo ciascuna delle donne a turno con un dolce sorriso. Cagne. Come osano spettegolare su Kimber, a casa sua? Non potevo credere fossero in grado di ubriacarsi con il suo alcol mentre la facevano a pezzi in quel modo.

Almeno nessuno tirava fuori i coltelli. Non di metallo, comunque.

Volevo tornare a casa.

«Ci sei, amico», disse Josh, guardando intensamente Noah che si preparava al tiro davanti alla macchinetta dello skee-ball. Faceva ridere. Josh stava scherzando sulla sua teoria… in parte. Quell’uomo amava davvero il gioco. Anche Noah finì per adorarlo, quindi le cose erano andate abbastanza bene.

Eravamo da Chuck E. Cheese da quasi tre ore e mi ero divertita tantissimo. Josh era di ottima compagnia. Non mi stressava e non mi spaventava. Avevamo cenato e, in sua difesa, aveva mangiato la pessima pizza che gli servirono senza un solo commento sprezzante (nemmeno io potevo farcela).

Poi comprò a Noah più gettoni di quanti ne avesse mai visti prima e iniziammo a giocare.

Adesso erano quasi le nove e sapevo che dovevamo portare presto Noah a casa, o le cose avrebbero potuto mettersi male. Toccai il braccio di Josh, attirando la sua attenzione. Si voltò e mi sorrise, con l’aria di un cucciolone felice.

«Dobbiamo tornare a casa», dissi, facendo un cenno a mio figlio. «È stanco. Non voglio affaticarlo troppo».

«Capito», rispose Josh. Mi mise un braccio intorno alle spalle e mi tirò a sé, stringendomi. «È un bravo bambino, il tuo».

Sorrisi, perché sapevo che aveva ragione. Anche perché mi piaceva la sensazione del suo braccio intorno alla mia spalla. Josh non mi faceva esplodere il cuore come Ruger, ma aveva un buon senso dell’umorismo ed era divertente da frequentare. Doveva pur contare qualcosa.

Inserimmo i biglietti che avevamo vinto (e sembravano migliaia) nelle macchinette, provocando a Noah una gioia immensa. Poi trascorremmo altri venti minuti al banco dei premi mentre si tormentava su quali minuscoli anelli di plastica o gomme da cancellare scegliere.

Il sole era tramontato quando finalmente uscimmo. La pizzeria era in uno di quei centri commerciali con diversi tipi di ristoranti nel parcheggio. Guardai la steak house con desiderio, ancora un po’ affamata – ero riuscita a ingoiare solo mezza fetta di pizza. Josh mi diede un colpetto sulla spalla.

«Forse la prossima volta potremmo mangiare un pasto da adulti», disse.

«È così che mi chiedi di uscire di nuovo?», domandai, fermandomi accanto alla mia macchina. Noah saltellava felice a fianco a me, giocando con i suoi nuovi tesori. Guardai Josh e sorrisi. Lui ricambiò e rimasi colpita da quanto fosse carino. Carino e un po’ nerd, come Ryan.

Potevo fare molto peggio.

«Dipende dalla tua risposta», aggiunse, allungando una mano per sistemarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Odio essere rifiutato».

«Non credo tu sia il tipo», dissi.

Si chinò in avanti e mi diede un bacio delicato sulle labbra. Era bello, non eccitante e intenso, ma piacevole.

«Zio Ruger!», urlò Noah e lo sentii correre di scatto. Mi allontanai immediatamente da Ryan, il mio radar di mamma completamente in funzione. Mi precipitai dietro di lui, chiamandolo per nome e intimandogli di fermarsi. Mi ignorò, saltando tra le braccia di Ruger, che si trovava sul marciapiede fuori dalla steak house.

Con lui c’erano molti altri ragazzi del club.

«Noah, non puoi scappare così!», dissi, afferrandogli il mento in modo da guardarlo dritto negli occhi. «Ti farai ammazzare. Lo sai benissimo… ora sei un bimbo grande».

«Mi dispiace», disse subito. «Me ne sono dimenticato. Mi sono emozionato perché volevo mostrare a zio Ruger i miei premi».

Cazzo, ero così in pensiero per Noah che non avevo nemmeno badato a Ruger. Alzai lo sguardo e lo trovai che fissava il parcheggio.

«Chi è il tuo amico?», chiese, indicando con il mento Josh, che ci salutava con aria poco entusiasta.

«Josh», dissi in tono di sfida. «È un amico del marito di Kimber. Lavorano insieme».

«Ci ha portato da Chuck E. Cheese e abbiamo fatto tonnellate di giochi e ho vinto tutti i tipi di premi ma non avevo abbastanza biglietti per prendere quello che volevo davvero, quindi ha detto che forse potevamo tornare un’altra volta e ho detto di sì», gli disse Noah tutto d’un fiato. «È simpatico, zio Ruger».

Ruger assunse un’espressione da duro e mise giù Noah.

«Resta qui, ragazzo», disse. Poi attraversò il parcheggio, pensando ovviamente di intercettare Josh. Cazzo.

«Rimani qui», dissi a Noah, poi guardai Bam Bam. «Puoi assicurarti che non scappi?».

Il marito di Dancer subito annuì, ma il suo sguardo non era esattamente amichevole.

Ottimo.

Mi precipitai verso Ruger e Josh.

«Ehi», dissi, guardandoli. La faccia di Ruger si fece dura come la pietra, e i suoi occhi brillavano minacciosi e possessivi. Josh sembrava confuso e un po’ incerto. «Josh, ti presento Ruger, lo zio di Noah. Ruger, lui è il mio amico Josh. Ce ne stavamo proprio andando. Scusa se Noah ti ha infastidito».

«Noah non dà mai fastidio», disse Ruger, inclinando la testa verso Josh, che cercò di rivolgergli un sorriso.

«È un ragazzo fantastico», disse Josh. «Devi essere orgoglioso di lui».

«Già», gli disse Ruger. «Ora vattene. Forse è meglio se non chiami più Sophie».

Gli occhi di Josh si spalancarono.

«Va’ a farti fottere, Ruger», dissi. Josh mi lanciò un’occhiata, con aria tesa. «Josh, per favore ignoralo. Se ne sta andando».

«No, non me ne vado», disse prontamente Ruger. «E non me ne andrò. Non sei il benvenuto qui. Non so cosa ti abbia detto Sophie, ma è già occupata».

«Non è vero», dissi velocemente. Josh ci guardò, deglutendo.

«Hai bisogno di una mano, Ruger?», gridò Horse dal marciapiede. Rivolse a Josh un sorriso animalesco.

«Non con questo coglione», rispose Ruger, tenendo gli occhi puntati su Josh, il quale si arrese, distogliendo lo sguardo.

«Ehm, devo andare», disse, con un sorriso rapido e imbarazzato.

Poi si voltò e si allontanò a passo svelto.

Lo fissai, sbalordita.

«Sembra che il tuo nuovo ragazzo si spaventi facilmente», mormorò Ruger. «Non si è neanche assicurato che fossi al sicuro con me. Non vorrei un uomo così a guardarmi le spalle. Ovviamente io di queste cose non devo preoccuparmene. I miei fratelli ci saranno sempre per me, qualunque cosa accada».

Mi prese per le spalle e mi fece voltare verso la steak house. Vidi Horse, Bam Bam, Duck e Slide in piedi intorno a mio figlio. Bam teneva una mano sulla spalla di Noah con fare protettivo. Ruger piegò la testa dietro di me per parlarmi a bassa voce nell’orecchio mentre le sue dita mi stringevano le spalle.

«Guarda là», disse. «Li conosci, quindi sai che Noah non potrebbe essere più al sicuro di così. Ma il tuo amico Josh? Lui non sa un cazzo di quei ragazzi. Questo non gli ha impedito di andarsene per mettere in salvo la pelle mentre tuo figlio era con loro. Che razza di uomo ti sei trovata».

Deglutii, perché sapevo che aveva ragione.

Quindi Josh non avrebbe avuto un secondo appuntamento neanche se si fosse preso la briga di chiamare. Probabilmente era un punto interrogativo, perché avevo la sensazione che non l’avrebbe mai più fatto.

«Non devi intrometterti nella mia vita», dissi a Ruger, guardando Noah mostrare attentamente i suoi premi, offrendo a Horse uno dei suoi preziosi anelli. Horse lo accettò, facendolo scivolare giù per un quarto del mignolo.

Noah brillava d’orgoglio.

«Sì, questo l’ho capito fin troppo bene», disse Ruger. «Non portare più Noah fuori con un ragazzo del genere. Gli manderai un messaggio sbagliato».

«Non sono affari tuoi».

«Saranno sempre affari miei».

«Non puoi averla vinta ogni volta», gli dissi seria. «Solo perché lo dici tu, non significa sia vero».

«Solo perché lo dico non significa nemmeno che mi sbaglio».

Lo fulminai con lo sguardo, poi mi avvicinai con passo marziale e recuperai Noah, cercando di non digrignare i denti. Lo portai a casa e lo misi a letto, sentendomi una stronza tutto il tempo.

Quando mi addormentai quella notte, non fu Josh l’uomo che sognai. No, fu lo stupido Ruger. Per l’ennesima volta.

Persino nei miei sogni l’aveva vinta.