Capitolo undici
Le mie mani tremavano così forte che faticai a inserire le chiavi nel quadro. Maggs si offrì di seguirmi fino a casa, ma io volevo andare da sola. Avevo molte cose a cui pensare e non me la sentivo di stare in compagnia. Chiaramente, Ruger e io avevamo due concezioni diverse di comportamento normale e appropriato.
Prima di tutto, ritenevo che le relazioni a lungo termine dovessero essere monogame. Lui invece riteneva che dovesse essere monogama per me ma aperta per lui. Un altro problema? Le feste a cui partecipavo io di solito finivano quando era finito il cibo e gli invitati erano stanchi.
Le sue finivano con accoltellamenti e inseguimenti ad alta velocità.
E per ultimo, ma certamente non meno importante, tendevo a pensare che il sesso fosse un affare privato. Gli piaceva strofinare il suo sperma sul mio stomaco davanti agli amici dopo avermi marchiato con dei succhiotti.
Dovevo andarmene.
Subito. Niente più scherzi.
Più pensavo a quello che era successo, più mi arrabbiavo. Em avrebbe potuto rimanere uccisa. Potrei già avere una cazzo di malattia venerea, visto che ho scopato il re dei donnaioli – senza preservativo – in un maledetto capanno, perché sono proprio una donna di classe. Oh, e come-cavolo-si-chiama avrebbe potuto violentarmi al buio, solo perché avevo avuto il coraggio di portare fuori la spazzatura quando doveva essere svuotata.
Che razza di problemi avevano queste persone?
Due ore dopo essere entrata nel vialetto di Ruger, avevo quasi finito di impacchettare la nostra roba. Eravamo a casa sua solo da una settimana, quindi non fu troppo difficile. Infilai la mia roba negli scatoloni e poi li trascinai in macchina. Probabilmente avrei potuto trasportare tutto in un viaggio, visto che Noah era ancora da Kimber. L’avrei chiamata l’indomani come prima cosa e le avrei chiesto se poteva ospitarci per un paio di giorni.
’Fanculo Ruger. ’F anculo la sua bella casa e ’fanculo ai Reapers. ’Fanculo anche alle loro motociclette. Speravo si beccassero tutti un’intossicazione alimentare a causa di uno dei loro maledetti arrosti di maiale.
Avevo già finito di impacchettare i vestiti, le cose del soggiorno e del bagno quando sentii la moto di Ruger entrare nel vialetto. Be’, fantastico… Avevo programmato di andarmene prima che tornasse a casa, ma se voleva litigare, lo avrei accontentato. Forse non avrei rimesso a posto la mia vita, ma ero abbastanza sicura di una cosa: le feste che finivano con accoltellamenti non facevano parte del mio piano a lungo termine.
Non lo era nemmeno essere legata a un uomo in prigione, lavorare come spogliarellista, o preoccuparmi di essere al sicuro senza un maledetto marchio sulla schiena come fossi una mucca del cazzo.
Avevo appena iniziato a gettare i vestiti di Noah nella valigia quando gli stivali di Ruger risuonarono giù per le scale. Si fermò in cucina e sentii il rumore dell’acqua che riempiva un bicchiere. Quindi ora non era abbastanza per lui mettermi in pericolo e invadere la mia privacy? Doveva sporcarmi anche i bicchieri? Gettai Puff, il drago di stoffa di Noah, in valigia con un tonfo di disgusto.
Aspetta.
Perché cazzo dovevo preoccuparmi di dove ha preso l’acqua?
Non sarei rimasta qui a lavare quei dannati piatti. Non era casa mia. Quella serata ridicola, il modo orribile in cui la festa era finita, fare i bagagli per traslocare Dio sa dove alle tre del mattino, mi diede il colpo di grazia. Afferrai Puff e balzai dal letto, ridendo della mia stessa follia.
Perché mai, anche solo per un secondo, avevo pensato che avremmo potuto vivere nel seminterrato di Ruger?
Risi sentendolo camminare lungo il corridoio. Risi quando entrò nella stanza, e continuai a ridere quando si inginocchiò davanti a me. Ignorai le ondate di rabbia e frustrazione che sembravano irradiarsi dai suoi occhi perché non me ne fregava un cavolo. Allungò la mano e mi prese il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi. Mi trafissero in modo accusatorio – davvero pensava di avere diritto a un’opinione?
Smisi di ridere e gli feci il mio sorriso più malvagio.
«Che diavolo sta succedendo qui?», chiese.
«Sto facendo le valigie», gli dissi, sollevando il drago perché lo vedesse. «Ce ne andiamo. Non sono la tua puttana e Noah non è tuo figlio. Il vostro è un club di pazzi e non voglio avere niente a che fare con nessuno di voi».
«Ricordi quando ti detto che venire alla festa era una pessima idea?», mi chiese alzando un sopracciglio.
«Sì, me lo ricordo», sbottai. «Ma sai cosa ti avrebbe fatto passare dalla parte della ragione? Avvisarmi che quando le vostre feste si fanno roventi, le ragazze vengono accoltellate… Perché sono abbastanza sicura che non abbiamo parlato di quell’aspetto. Me lo sarei ricordata, Ruger».
«Faremo giustizia», disse, facendosi scuro in volto. «Toke la pagherà. Deke e Picnic ci stanno già lavorando».
«Ehm, mi dispiace dirtelo, ma Em non ha bisogno di giustizia», gli feci notare, con tono sarcastico. «Ha bisogno di non farsi accoltellare, innanzitutto. Le donne sono schizzinose da questo punto di vista: non ci piace venire accoltellate».
«È stato un terribile incidente», disse lentamente. «E qualsiasi assurdità tu stia immaginando, non è mai successo prima d’ora».
«Mi stai dicendo seriamente che non sono mai successi litigi all’interno del club?»
«No», disse, parlando piano e in modo chiaro. «Ti sto dicendo che di solito non coinvolgono donne innocenti. Se due uomini vogliono litigare, sono affari loro».
«E le donne che non sono poi così innocenti?», chiesi. «Dove sono i tuoi limiti in quel caso? Ti piace picchiare le ragazze, Ruger? Lo accettano nel tuo stupido club?».
L’atmosfera cambiò tra di noi, diventando gelida. Oh, questo è stato un colpo basso… Un livello completamente nuovo di rabbia calò su di noi, e improvvisamente capii che prenderlo in giro poteva non essere una grande idea.
«Non parlare del club in questo modo», disse, con un’espressione dura come la pietra. «Mostra rispetto se vuoi essere trattata con rispetto. E sai che c’è? Hai proprio ragione, avrei colpito una donna, se fosse stata lei a picchiarmi per prima. Non sono il cazzo di principe azzurro, Sophie. Quale parte del discorso non capisci? Sono sempre stato sincero con te, non ho mai detto stronzate. E sì, se è una donna che attacca un uomo vuol dire che se l’è cercata. Se vuole comportarsi come un uomo, può benissimo combattere come un uomo».
«E questo non ti dà fastidio?», gli chiesi.
Lui scosse la testa. «Neanche un po’. Vuoi la parità di genere, piccola? Eccoti la parità di genere».
«Sì, sei praticamente femminista», mormorai. «Em non stava combattendo, Ruger. Avrà una cicatrice per il resto della sua vita. E com’è che le donne vengono trattate alla pari solo quando si tratta di subire colpi ma le le altre volte sono solo proprietà di qualcuno?»
«Smettila di parlare di cose che non capisci», ringhiò. «“Proprietà” è un termine che indica rispetto. Fa parte della nostra cultura. Se inizi a giudicarci per questo, allora giudica tutte quelle donne che cambiano cognome quando si sposano, perché è la stessa cosa, cavolo».
Si fermò, passandosi una mano tra i capelli, chiaramente frustrato.
«Quando sei proprietà di qualcuno, sei una donna che i fratelli proteggerebbero a costo della vita», continuò, e il suo tono di voce si addolcì. «Morirebbero anche per proteggere tuo figlio. Non trasformare quel tipo di lealtà in qualcosa di negativo perché non ti piacciono le parole che usiamo. Dancer, Marie, Maggs? Sono orgogliose di appartenere a qualcuno, perché sanno cosa significa. Nessuno le costringe a farlo».
Deglutii, elaborando il concetto.
«Allora dimmi questo», proseguii. «Perché Horse mi ha detto che Marie “vale ogni centesimo che ha sborsato”? Perché sembrava un po’ fuori di testa, e non credo che stesse scherzando».
«Sei al club da meno di un giorno e ne hai già sentito parlare?», mormorò, quasi a sé stesso. «Cristo, un po’ di discrezione sarebbe stata gradita, cazzo».
«Che c’è? Non volete spaventare le ragazze nuove con la verità?»
«Non preoccuparti», rispose. «Marie e Horse stanno bene e si sposeranno il mese prossimo, quindi non penso sia una storia importante».
«Santo cielo, l’ha davvero comprata?», chiesi, spalancando gli occhi. «Ruger, questo è… non ho parole per questo!»
«Ottimo, così forse stai zitta», disse. «Se ti interessa, ora ti dico come sta Em. Te la ricordi la tua amica per cui sei così preoccupata? Forse è più importante che farmi la predica sui diritti delle donne, non credi?».
Raggelai per la vergogna. Ruger aveva ragione. Mi ero preoccupata di più a litigare con lui che a chiedergli come stava Em. Quanto mi facevo schifo?
«Sì, vorrei sapere come sta», dissi. Gettai Puff di lato e mi alzai in piedi. Ruger si fece avanti verso di me, con quell’atteggiamento intimidatorio che gli riusciva così bene. «Allora come sta?»
«Sta bene», disse dopo una lunga pausa. «Non è stato un grosso taglio. Lungo circa sette centimetri e per niente profondo. Un amico del club è passato e le ha dato dei punti per assicurarsi che rimanga carina quando guarirà. Antibiotici, solo per scrupolo. L’ultima volta che l’ho vista, era strafatta di antidolorifici e cantava una canzone per bambini su gattini e guantini. Picnic però non è altrettanto allegro, devo ammetterlo».
«Questa è una buona notizia», risposi, fissando il suo petto con aria assente. Era davvero troppo vicino. «Ho ricevuto un messaggio da Maggs un’ora fa, ma non ero sicura se stesse minimizzando o meno. Non mi piacciono le tue feste, Ruger».
«La prima parte non è stata poi tanto male», disse calmo, con un sorriso complice stampato in volto. «Te lo ricordi il capanno?».
Allungò una mano e mi toccò con delicatezza il collo, poi lo avvolse con le dita.
«I miei segni ti stanno proprio bene», continuò. «Potrei prendere in considerazione l’idea di lasciarteli a lungo termine, non ho ancora deciso. Ma devi imparare a non flirtare con altri ragazzi, piccola. Adesso sei mia».
«Primo, toglimi quella maledetta mano di dosso, perché non sono tua», dissi. Mi ignorò. «E secondo, non ho flirtato con nessuno!».
«Hai mostrato le tette a tutto il club, maledizione», disse. La sua mano si strinse leggermente sul mio collo. Non abbastanza forte da farmi male, quanto bastava per dimostrare che poteva farmene.
Oh, non mi piaceva affatto…
«Toglimi. Quelle. Cazzo. Di. Mani. Di. Dosso», ringhiai. Questa volta lo fece, ma allo stesso tempo mi spinse in avanti con il suo corpo, sbilanciandomi. Caddi sul letto di Noah, sbattendo quasi la testa contro il muro. Prima che potessi rotolare via, Ruger si lasciò cadere su di me, intrappolandomi con la stessa facilità di quando eravamo nel mio appartamento di Seattle.
«Indossavo un reggiseno e Maggs mi ha detto di farlo», sibilai, senza preoccuparmi di affrontarlo. Questo probabilmente lo avrebbe eccitato. Pervertito. «Ha detto che doveva guardarmi, se volevo fare la cameriera al The Line. Ho bisogno di un maledetto lavoro, Ruger. Non mi è sembrato un grosso problema. La metà delle donne non indossava nemmeno la camicia. Non mi sono mica tolta il reggiseno».
«Sei un’idiota, cazzo», sbottò. «Certo che Buck controlla le potenziali cameriere… allo strip club. Durante l’orario di lavoro. Lo ha fatto per farmi incazzare e tirarmi fuori dal ring. Ti ha preso in giro per vincere una scommessa, Soph… non ti avrebbe mai assunto senza il mio permesso, comunque».
«Perché Maggs ha detto che andava bene, allora?», chiesi. Dannazione, era pesante. Aveva anche un buon odore, cosa che odiavo. Com’era prevedibile, il corpo non stava più ascoltando il cervello, perché sentivo l’urgenza di allargare le gambe e avvolgerle intorno alla sua vita.
«Cazzo ne so, ma l’ha fatto apposta», ringhiò. «Potrai chiederglielo tu stessa. Ti ha incastrato, e questo significa che ha incastrato me. Parlerò con lei più tardi».
Strizzai gli occhi.
«Lascia in pace Maggs», esclamai. «Se qualcuno deve “parlare” con lei, sarò io. Se tu e Horse aveste un problema, coinvolgereste anche me?»
«Cristo, sei una rompicoglioni», disse.
«E tu sei un maiale disgustoso. Non hai nessun rispetto per me…».
«Ti rispetto», disse, aggrottando la fronte.
Sbuffai. «Sì, scommetto che ti scopi in pubblico tutte le donne che rispetti? E cosa diavolo era quella stronzata di venirmi sullo stomaco? Non sono una maledetta porno star, Ruger, sono ancora tutta appiccicosa e disgustosa. Un po’ difficile da pulire in un bagno chimico».
«Questa casa ha tre docce, piccola. Non è colpa mia se non ne hai ancora fatta una. Mi piace l’idea di avere qualcosa di mio su di te, quindi non affrettarti».
«Ero impegnata a fare le valigie! Volevo uscire di qui prima che arrivassi a casa, stronzo!».
«Sì, lo vedo», mormorò. Si chinò, il suo viso era così vicino che le nostre labbra quasi si sfiorarono. «Non te ne andrai, piccola. Sei mia. Ne abbiamo già parlato. Caso chiuso».
«Oh, me ne vado eccome», gli dissi. «Persino tu sai che non è una relazione sana, Ruger».
Mi sorrise con lo sguardo predatore. «Non mi interessa se è una relazione sana la nostra», sussurrò. «Questo dannato mondo è folle. Pensi che tutte quelle persone che vivono in quelle enormi case sul lago abbiano una vita felice, carina, perfetta? Pensi che quelle puttane non si stiano pugnalando alle spalle a vicenda mentre i loro mariti si scopano le stagiste durante la pausa pranzo?».
Scossi la testa.
«La mia amica Kimber non è così. La sua vita è bella e normale e per niente folle».
«Allora è una su mille», rispose. «Perché te lo giuro, a volte le cose peggiori accadono dietro le porte più belle, mentre tutti ridono e sorridono e fingono che vada tutto bene. Ora ti racconto come funziona il mio mondo. Siamo dei pazzi scatenati. Lo sappiamo. Ci prendiamo cura degli affari e andiamo avanti. Tra vent’anni quelle persone “normali” di cui sei così gelosa continueranno a pugnalarsi alle spalle a vicenda, e lo faranno anche i loro figli».
«Correrò il rischio», dissi.
Ruger si accigliò e si alzò bruscamente. Poi mi afferrò e mi caricò sulle spalle come un sacco di patate. Urlavo mentre mi portava fuori dalla stanza e su per le scale fino al suo loft, prendendolo a calci e pugni per tutto il tempo. Non servì a niente. Non so cosa mi aspettassi – forse che mi buttasse sul letto e mi violentasse, come in un film o roba del genere. Ma non lo fece. Mi portò nel suo grande bagno, mi scaricò nella doccia e aprì il rubinetto.
«Che diavolo stai facendo!», urlai quando l’acqua fredda mi colpì, ancora completamente vestita. Ruger afferrò il sifone della doccia e iniziò a spruzzarmi.
«Ti sto mostrando rispetto», mi urlò per tutta risposta. «Mi dispiace tanto di aver combinato quel casino prima. Sto solo facendo del mio meglio per rendere questa relazione sana e pulita, perché è maledettamente importante per te. Non sono forse un cazzo di principe azzurro?»
«Ti odio!», urlai, cercando il sifone. Rise e mi spruzzò il viso. Riuscii a divincolarmi. In un lampo, Ruger mi afferrò, poi mi strinse forte a sé. Mi ritrovai a guardarlo, i miei vestiti bagnati che ci inzuppavano entrambi, lui con un braccio avvolto intorno alla mia vita e l’altra mano stretta tra i miei capelli.
Ci lanciammo un’occhiata torva.
«Cristo, mi mandi fuori di testa», disse in maniera rude. «Mi diventa duro solo a pensarti. Ti sogno ogni notte. Mi sveglio la mattina e tutto quello a cui penso sei tu a casa mia, tu e Noah finalmente miei. La mia famiglia. È anche meglio che guidare la moto. Sono pazzo di te, Soph».
Scossi la testa, sbalordita. Non gli credevo. Non potevo permettermelo.
«Lo dici solo per controllarmi», sussurrai, non sapendo se stessi parlando a me stessa o a lui.
«Che mi venga un colpo, non capisci proprio, vero?».
Mi serrò la bocca in un bacio veloce e violento, e io riuscii a resistergli per circa due secondi. Poi cedetti, perché il mio corpo lo riconobbe, aveva bisogno di lui. All’improvviso c’erano troppi vestiti tra di noi. Le nostre mani si agitarono e scoprii che dei jeans fradici – persino degli shorts – erano l’indumento meno pratico al mondo quando arrivava il momento di svestirsi in fretta.
A fatica, riuscii a tirarli giù e calciarli via proprio mentre lui mi afferrava la vita, mi faceva girare e mi appoggiava contro il mobile. Alzai lo sguardo per vederlo allo specchio, con la faccia paonazza dal desiderio, gli occhi che catturavano i miei mentre mi sbatteva il pisello in profondità. Mi riempì velocemente e con violenza, allargandomi fino a farmi sfiorare il dolore. Ansimai, il suono era un misto di piacere e sofferenza.
Non mi ero mai sentita così bene in vita mia.
«Sono pazzo di te, cazzo», mormorò, con le dita che affondavano nella mia pelle. «Lo sono sempre stato».
«Ruger…».
Poi mi prese, costringendomi ad aggrapparmi al lavabo con entrambe le mani mentre mi montava da dietro. Una mano mi bloccò i fianchi mentre l’altra raggiunse il clitoride. Quel suo piercing scivolò lungo il mio punto sensibile, le palline di metallo sulla parte superiore e inferiore della punta del suo cazzo mi portarono a un livello di piacere completamente sconosciuto. Il mio orgasmo arrivò con una velocità agonizzante e urlai, fremendo mentre lui era dentro di me.
Ruger spinse altre tre volte e poi venne a sua volta, in uno zampillo di seme caldo. Merda. Avevamo di nuovo dimenticato il preservativo.
Si tirò fuori da me lentamente e ci guardammo allo specchio, i nostri petti ansimavano. Lui era completamente vestito e io indossavo ancora la maglietta. Avevo i capelli bagnati e arruffati e il trucco degli occhi mi colava sul viso.
Ero ridotta a un disastro bello e buono, togliendo la parte del “bello e buono”.
«Hai qualche malattia?», chiesi, il mio cervello lottava coraggiosamente per riprendere il controllo.
Scosse la testa, continuando a guardarmi allo specchio. «Uso sempre il preservativo», disse. «Non scopo mai una ragazza senza, a dire la verità».
«Mi hai scopato senza due volte», dissi, con tono schietto. «Vuoi ripensare alla tua risposta?».
Mi regalò un sorriso compiaciuto. «So che prendi la pillola», disse. «Quindi la gravidanza non è un problema. So anche che sei pulita. Sei la mia donna, quindi perché non dovrei sentirmi dentro di te? E te lo giuro, piccola. Non ho mai, mai scopato nessuno senza protezione prima d’ora. Ho persino donato il sangue un paio di settimane fa, tutto a posto».
«Questo è un sollievo», dissi, riprendendomi. Mi guardai intorno per cercare le mutandine e i pantaloncini. Erano finiti vicino al gabinetto, grondando acqua ovunque.
«Come fai a sapere che prendo la pillola?», chiesi, prendendo un asciugamano per avvolgermi.
«Le ho trovate nella tua borsa», disse senza un accenno di vergogna. Alzai lo sguardo, sorpresa.
«Perché frugavi nella mia borsa?», chiesi, affatto contenta.
«Per prendere il telefono», rispose, sistemandosi i pantaloni. «Volevo installarti un gps».
Rimasi pietrificata.
«Hai messo un gps al mio cellulare?», chiesi incredula. «Che cavolo di problema hai? Vuoi mettermi il microchip come si fa con i cani?»
«Voglio essere in grado di trovarti in caso di emergenza», disse, serio in volto. «So che sembro paranoico, ma l’inverno scorso abbiamo avuto una brutta situazione… Marie e Horse sarebbero morti adesso se non le avessi installato un gps nel cellulare. C’è mancato poco. Adesso lo faccio per tutte le ragazze del club. Non ti preoccupare, non ti spio. Ma ci sarò se dovessi metterti nei guai».
«Non so nemmeno da dove cominciare», dissi chiudendo gli occhi. Mi resi conto di essere esausta. Non c’era da stupirsi che il mio cervello non funzionasse a dovere.
«Andiamo a letto», disse. «Sono stanco. Sei stanca anche tu».
«Dormirò di sotto», gli dissi, stringendo l’asciugamano mentre cercavo i vestiti.
«Dormirai qui con me», rispose. «Puoi combattere e perdere, e costerebbe più fatica a entrambi, oppure puoi semplicemente arrenderti. Finirà allo stesso modo in tutti i casi».
Lo guardai e capii che aveva ragione. Gli avrei dato una raddrizzata più tardi, adesso avevo bisogno di dormire.
«Posso prendere in prestito qualcosa di tuo da indossare?», chiesi, cercando di non sbadigliare. «Sono troppo stanca per andare a prendere della roba asciutta».
«Preferirei dormissi nuda».
«E io preferirei che andassi a farti fottere, ma visto che non è un’opzione, posso prendere in prestito qualcosa da indossare?».
Mi sorrise.
«Fai come se fossi a casa tua. Le magliette sono nel primo cassetto, la biancheria intima nel secondo in basso».
Uscii dal bagno e mi guardai intorno per trovare la sua cassettiera. Come mi aspettavo, il primo cassetto conteneva una varietà di magliette. Ne trovai uno con il simbolo dei Reapers e la tirai fuori. Poi passai al cassetto successivo. La maggior parte delle sue cose erano nere o grigie, ma un bagliore rosa nella parte posteriore attirò la mia attenzione.
Che diavolo?
Tirai fuori un paio di mutandine rosa di seta.
«Gesù, Ruger», dissi. «C’è qualche stanza di questa casa in cui le donne non lasciano la loro biancheria? Maledizione, sembra un negozio di Victoria’s Secret!».
Mi voltai verso di lui, tendendo le mutandine con due dita, disgustata. Lui inclinò la testa e mi fece uno strano sorriso.
«Quelle sono tue, in realtà», disse lentamente. «Le hai dimenticate».
«Di cosa stai parlando?»
«Quella prima notte», disse. «Con Zach. Le hai lasciati nel mio appartamento. Da allora le ho avute io».
Mi bloccai e le studiai più da vicino. Era passato molto tempo, ma avevano un aspetto familiare. Ero così triste dopo averle perse, perché avevo comprato un modello speciale…
«Non riesco a decidere se è solo un po’ inquietante o inquietante da morire», dissi alla fine, guardandolo. Fece spallucce, con lo sguardo fisso sul mio.
«L’altra sera mi hai chiesto se desiderarti fosse una sensazione nuova per me», disse, per la prima volta con espressione priva di scherno. «Non è una cosa nuova, piccola. Non è affatto una novità».
Mi svegliai all’improvviso, chiedendomi dove diavolo fossi. Un braccio forte e mascolino giaceva sul mio stomaco, bloccandomi. Un soffitto a volta di cedro si stagliava in alto. Mi voltai e vidi Ruger sdraiato a faccia in giù accanto a me, e tutto mi tornò in mente in un baleno.
Dovevo andarmene da lì prima che si svegliasse e iniziasse con le sue stronzate alla tu-sei-la-mia-donna-e-io-ti-possiedo. Non potevo più permettermi di scherzare – Noah ne aveva già passate abbastanza.
Sollevandogli il braccio con cautela, mi alzai dal letto e mi voltai per guardare la sua sagoma addormentata. La schiena di Ruger era coperta per metà dalle coperte e per la prima volta ebbi la possibilità di guardare il suo tatuaggio alla luce. Il suo corpo perfettamente scolpito non era solo sexy. Era letteralmente un’opera d’arte. Le sue braccia erano una massa di modelli e disegni così intricati che faticai a distinguerli, ma a dominare sul bicipite destro c’era un’immagine di quella che doveva essere l’Arca di Noè. Gli animali che si allontanavano dall’arca erano fantastici: draghi, demoni e serpenti, ma la stessa Arca era inconfondibile.
Il mio respiro si bloccò. Come avevo fatto a non notarlo prima?
Si mosse nel sonno, il lenzuolo scivolò più in basso. Non potevo concedermi altro tempo… Volevo andarmene prima che si svegliasse e iniziassimo a litigare. Dato il nostro trascorso, avrei fatto di nuovo sesso con lui se ne avessi avuto l’occasione. Il clitoride si rianimò e inviò un promemoria urgente al cervello, sostenendo questa opzione. Scoparsi un donnaiolo aveva un vantaggio: di certo sapeva il fatto suo.
E le mutandine rosa che indossavo? Non sapevo cosa pensare al riguardo. Avrebbe dovuto farmi schifo, ma per lo più mi eccitava. Lo avevo desiderato per tutti quegli anni, e anche lui desiderava me. Non abbastanza per restare fedeli, ovviamente. Ma lui mi voleva ancora.
I miei capezzoli si unirono al mio clitoride per chiedere un altro round.
Li ignorai entrambi.
Non era cambiato niente. La festa, Em, tutti i motivi per cui avrei dovuto evitare i Reapers. Io e Ruger semplicemente non potevamo stare insieme. Ma per alcuni minuti, mentre lui ancora dormiva, mi abbandonai a osservare l’uomo incredibilmente sexy che era stato un secondo padre per mio figlio. Sulla parte superiore della schiena c’era un ampia striscia di inchiostro ricurva che si abbinava alla toppa sullo smanicato con su scritto Reapers. Il loro simbolo – il teschio con la falce – copriva il centro e vidi solo un accenno della fascia su cui sapevo ci sarebbe stato scritto Idaho.
Per quanto strano possa sembrare, la combinazione dei colori del suo club e dell’Arca illustrava perfettamente le contraddizioni di Ruger.
Macchie strane gli coprivano le spalle, e lungo il suo fianco vidi solo un accenno dell’artiglio della pantera che si estendeva dall’anca.
Si spostò e io mi bloccai, mentre la realtà mi crollava di nuovo addosso.
Avevo bisogno di uscire o avremmo litigato di nuovo. Ad essere onesti, era probabile che avremmo litigato comunque, ma una piccola pausa non mi sarebbe dispiaciuta. Andai al piano di sotto e trovai il mio telefono, e controllai l’ora. Sette del mattino. Mi ci vollero meno di trenta minuti per finire di preparare l’ultimo dei miei bagagli. Poi portai tutto in macchina, la caricai e salii.
Girai la chiave nell’accensione, sentendomi triste e un po’ malinconica.
Sarebbe finito tutto bene, dissi a me stessa con fermezza. Stavo facendo la cosa giusta. Come per darmi ragione, il sole era già alto e luminoso nel cielo. Gli uccelli cantavano come in uno stupido film della Disney. Uscendo dal vialetto per immettermi in strada, vidi Elle, la vicina di Ruger, che passeggiava con il suo cane. Sorrise quando mi vide, facendomi cenno di abbassare il finestrino. Accostai.
Gli occhi di Elle si spostarono sull’auto, notando la presenza di scatole e la mancanza di un bambino.
«Guai in vista?», chiese seccamente.
Sorrisi mesta e alzai le spalle.
«Così sembrerebbe», risposi. «Io e Ruger viviamo in mondi diversi. Ho capito che non importa quanto sia basso l’affitto, non funzionerà mai».
«Hai un piano?», chiese, ma non era una di quelle domande che celavano un’accusa passivo-aggressiva. Mia madre era stata una maestra in quello… si vedeva che Elle era sinceramente preoccupata.
«Non proprio», dissi. «Ma immagino che non importi. Ogni volta che faccio progetti, va comunque tutto a rotoli. Noah è con la mia amica Kimber e ha una camera da letto in più. Sono sicura che ci ospiterà finché non troverò una soluzione».
«Capisco», rispose lei, increspando le labbra pensierosa. Lanciò un’occhiata alla casa di Ruger, poi inclinò la testa verso di me. «Perché non vieni a fare colazione? C’è una cosa di cui vorrei parlarti».
Quelle parole mi sorpresero.
«Ehm, non voglio sembrare scortese, ma sto cercando di andarmene prima che Ruger si svegli», le dissi. «Non ne sarà troppo felice».
«Lo supererà», disse, di nuovo con quel tono di voce secco. «Può anche essere un motociclista grande e cattivo, ma è pur sempre un uomo e gli uomini sono notoriamente stupidi. Non si riesce a vedere casa mia dalla strada e probabilmente non verrà a cercarti qui, comunque. Ho un fucile, in caso. E anche dei dolci al caramello».
Rimasi a bocca aperta. Non me l’aspettavo.
«Va bene», risposi, davvero impressionata.
Mezz’ora dopo ci sedemmo al tavolo della sua cucina, mangiando panini dolci e discutendo della mia vita folle. In qualche modo, riuscì a far emergere la parte divertente della situazione, rendendo il tutto meno spaventoso. Volevo essere Elle da grande, decisi. Era intelligente, divertente, cinica e piuttosto sexy per essere una donna sui quarant’anni.
«Allora, hai un piccolo problema», disse alla fine, la regina dell’eufemismo. «Trasferirsi è una mossa intelligente. Sono d’accordo con te al cento per cento».
«Veramente?», chiesi. «Perché penso che Maggs mi abbia incastrato ieri sera. Sta cercando di spingerci a stare insieme, lo so».
«Be’, c’è una sostanziale differenza tra stare insieme e scopare», disse Elle, affettando con attenzione una fetta di melone.
«Mi spaventa quando lo fai», ammisi.
«Cosa? Mangiare il melone? La frutta e la verdura arancione sono estremamente salutari, Sophie».
Ridacchiai e scossi la testa.
«No, comportati da signorina e poi imprecare come un marinaio».
«Il mio defunto marito era in marina», disse, mostrando un sorriso dolce. «E ti assicuro, il suo linguaggio farebbe piangere come ragazzine i tuoi amici motociclisti. Ruger in un certo senso mi ricorda lui. Così selvaggio e violento, ma anche riservato».
«Ti manca?», chiesi con tenerezza.
«Certo», rispose, il suo tono si acuì. «Non puoi fare a meno di sentire la mancanza di un uomo così. Ma è questo il punto, Sophie. Ho rinunciato a tutto per lui. Ci siamo trasferiti ogni due anni, quindi ho avuto problemi a fare amicizia. Pensavo di avere un figlio, ma non volevo crescerne uno da sola e sapevo che lui sarebbe stato via per metà del tempo. Poi se n’è andato ed è morto e ora sono tutta sola. A volte lo odio per questo».
Non sapevo bene cosa dire, così diedi un altro morso al panino. Elle sorseggiò il tè e poi si sedette di nuovo sulla sedia, guardandomi molto seria.
«Ho fatto qualcosa di molto stupido quando avevo la tua età», disse. «Ho lasciato che fosse un uomo a prendere le decisioni per me. Non so se tu e Ruger stiate insieme, ma hai bisogno di spazio per capire alcune cose. Non puoi permetterti di dipendere da qualcuno a meno che non ti fidi ciecamente di lui».
«Mi fido di Ruger», dissi calma. «Almeno, mi fido di lui quando si tratta di Noah. Ma sono anche sicura che non cambierà mai, ed un problema».
«Gli uomini lo fanno raramente», concordò. «Anche se è possibile, suppongo. Come ho detto prima, penso di avere una soluzione per te. Sapevi che c’è un appartamento nel mio fienile?»
«Il tuo fienile?», chiesi, perplessa. Guardai fuori dalla finestra verso la struttura di legno dietro la casa. «Non sapevo usassi il fienile».
«Infatti non lo uso», disse. «Questa fattoria apparteneva alla mia prozia, che aveva convertito parte del fienile in un appartamento per mia cugino. Aveva un ritardo nello sviluppo. Non avrebbe permesso che lo mettessero in una struttura, ma non poteva vivere da solo. L’appartamento gli dava un po’ di libertà e indipendenza, ma lo teneva anche al sicuro. È morto due anni fa e da allora è vuoto. Sono sicura che avrà bisogno di una bella pulita, ma vorrei darlo a te e Noah».
«Dici sul serio?», chiesi.
Lei annuì. «Certo», disse. «Non te l’avrei offerto altrimenti. Non viene utilizzato e voi due mi piacete. Noah merita un posto decente dove stare, ed è decisamente meglio che schiantarsi sul divano di un’amica. C’è solo una camera da letto, ma non devi viverci per sempre. È arredato. Solo finché non ti rimetti in sesto».
«Quanto pensi di chiedere in termini di affitto?», chiesi cauta.
Pensò per un momento. «Speravo che potessi aiutarmi con la manutenzione del giardino», disse. «Io ho avuto un po’ di problemi a stargli dietro negli ultimi tempi».
Incrociai il suo sguardo dal lato opposto del tavolo e nessuna di noi disse niente per un lungo momento.
«Sei una persona molto gentile», sussurrai.
«Anche tu», rispose con calma. «Non ho idea se le cose andranno bene tra te e Ruger, ma in questo modo Noah può rimanere nella stessa scuola e sarà comunque raggiungibile a piedi».
«Pensi che sia una buona idea stargli così vicino?», chiesi senza mezzi termini.
«Non credo che tu riesca a trovare un posto in cui non possa scovarti», rispose ironica. «Non importa quanto andrai lontano. Come ho detto, ho un fucile. Il fienile ha una buona serratura. Con questi due accorgimenti, non credo ti succederà niente. Vorresti venire a dare un’occhiata?»
«Mi piacerebbe».
Io: Grazie ancora per aver tenuto d’occhio Noah questo fine settimana. Ho già finito il trasloco ancora non riesco a credere che Elle avesse questo posto. Che fortuna sfacciata!!!!
Kimber: Nessun problema. Allora… Lo hai già visto?
Io: Chi? : -)
Kimber: Non fare la stupida. Quella è una prerogativa di Ruger. Ha sbroccato?
Io: Questa è la parte inquietante. Non l’ha fatto.
Kimber: Davvero?
Io: No. Mi ha mandato un messaggio e mi ha chiesto se stavo bene. Ho detto di sì. Ha chiesto dov’ero.
Kimber: Gliel’hai detto?
Io: Sì. Lo avrebbe capito comunque.
Kimber: Eh… è strano. Dopo quello che è successo sabato sera, è un cambiamento drastico. Mi aspettavo che ti inseguisse e ti trascinasse con sé – sai, come un cavernicolo.
Io: Lo so. Anch’io mi aspettavo di più. Mi rende nervosa.
Kimber: Ah! volevi che fosse incazzato!
Io: No… forse? È stupido. Ho un colloquio di lavoro domani pomeriggio. Receptionist in una clinica odontoiatrica. Proprio vicino alla scuola.
Kimber: Woooo wooo!!!!! Non cambiare argomento.
Io: Ehi! Ho bisogno di un lavoro più di quanto mi serva parlare di Ruger.
Kimber: Si tratta di me, piccola. Ho bisogno di pettegolezzi. Me lo devi. Ho tenuto d’occhio tuo figlio. E ti ho fatto ubriacare. Intrattienimi.