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L’indomani mattina, Marcus Sunday sorrise alla donna all’ingresso della Sojourner Truth School di Franklin Street che occhieggiava diffidente la barba rossa alla Lincoln, i calzoni bianchi, la camicia bianca, le scarpe e le bretelle viola.

«Sono Thierry Mulch e sono qui per parlare con la preside» disse, mostrandole una patente falsificata alla perfezione con la foto presa dai documenti di Preston Elliot, cui erano state aggiunte parrucca rossa, sopracciglia e barba rosse.

La donna prese il documento e lo passò sotto una lampada per controllarne la filigrana, che le parve del tutto regolare. Restituì il documento a Sunday, imperturbabile, e fece un vago cenno alle sue spalle. «La dottoressa Dawson la aspetta. Prima porta a destra.»

«Grazie mille» rispose lui, strizzandole l’occhio.

Si voltò e prese il corridoio, guardandosi nel vetro della bacheca sulla parete. Era un look da cartoni animati, perfetto per il suo pubblico.

Tirò su con il naso. Cos’era quell’odore? Hamburger? La mensa della scuola elementare offriva hamburger? Quanto di più probabile.

Arrivato alla porta che gli era stata indicata, sentì l’animato chiacchiericcio dei bambini dall’altra parte. Gli aprì una donna alta, afroamericana, in tailleur, che gli sorrise e disse: «Il signor Mulch?»

Sunday assunse un’espressione raggiante. «La dottoressa Dawson?»

La preside gli strinse la mano con vigore. «Mi fa molto piacere che lei si sia offerto di venire a parlare ai bambini della sua esperienza.»

«Mi sembra giusto condividerla con i giovani di domani» disse Sunday modesto.

«Sono certa che apprezzeranno.»

«Lo faccio volentieri.»

La preside aprì la porta e lo fece passare per primo.

L’auditorium era affollato di bambini di seconda e terza che accolsero con risate e gridolini i saluti esagerati di Sunday, che si sbracciava come un pagliaccio scappato dal circo Barnum.

Raggiunse il palco con buffi saltelli, sollevando il pugno verso il soffitto, poi si fermò e si guardò intorno come se stesse cercando qualcuno.

La preside lo seguì incerta e si avvicinò a un leggio. Facendo cenno ai bambini entusiasti di abbassare la voce, disse al microfono: «Silenzio, per favore. Il signor Mulch è molto simpatico e spero che ascolterete con attenzione ciò che ha da dirvi».

Si interruppe, aspettando che anche le ultime risate e battutine si spegnessero e che tornasse il silenzio.

«Grazie» disse poi. «Il signor Mulch è il creatore di un sito simile a Facebook ma dedicato ai bambini della vostra età, che sarà attivo entro la fine dell’anno. Vorrebbe parlarci di sé, della sua vita e del suo sito. Signor Mulch?»

Sunday lì per lì non rispose. Fra i bambini che applaudivano aveva individuato quello che gli interessava, seduto in terza fila a destra.

«Signor Mulch?» lo chiamò di nuovo la preside.

Lo scrittore inclinò la testa da una parte, spostando lo sguardo dalla preda alla signora Dawson. «Grazie.»

Si avvicinò al leggio e scrutò la folla di bambini che lo guardavano rapiti, com’è normale guardare un uomo alto due metri con barba e capelli rosso fuoco.

«Ve lo sentirete ripetere chissà quante volte nella vita» esordì. «Ma sono qui per convincervi che potete fare ciò che volete, diventare come vi piace. Quando avevo la vostra età, vivevo in un porcile. E adesso invece...»

Punto debole
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