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Sunday riuscì a tornare a casa sua, nel quartiere di Kalorama, a Washington, soltanto alle cinque del pomeriggio. Dopo la conferenza aveva dovuto autografare parecchie copie del suo libro e partecipare all’inevitabile pranzo con il dottor Wolk, che aveva bevuto troppo vino e tendeva a ridurre le argomentazioni filosofiche a predicozzi stile posta del cuore.

A peggiorare la situazione, lo aveva tempestato di domande sulle ricerche che stava svolgendo durante il suo anno sabbatico, e Sunday, dopo essersi arrampicato sugli specchi per non rispondere, aveva soddisfatto la curiosità del capo del dipartimento di filosofia della Georgetown University con una mezza verità: «Sto conducendo un esperimento per testare le dimensioni di un mondo esistenziale e il ruolo che in esso ha la natura umana».

Il dottor Wolk aveva dimostrato sincero interesse, ma Sunday si era rifiutato di approfondire sostenendo di non poter rivelare i dati preliminari del progetto e gli aveva promesso di fargli leggere il manoscritto.

Sentì che nell’appartamento risuonava musica zydeco e aleggiava profumo di aglio. Aprì con le sue chiavi ed entrò in una stanza dalle pareti e il soffitto bianchi, con un tappeto grigio chiaro, divani e poltrone in pelle nera con struttura cromata e un televisore a schermo piatto sintonizzato su un canale di musica. Era da lì che proveniva la musica zydeco.

Una donna danzava da sola, dandogli la schiena e muovendo seducente il bacino, i folti ricci biondo scuro raccolti sulla testa. Scalza, indossava pantaloni larghi verde oliva e una canottiera bianca che le lasciava scoperti i muscoli scolpiti delle spalle e la pelle sudata. Sul braccio sinistro aveva un tatuaggio colorato con il disegno di una pantera.

Sunday sorrise e chiuse la porta facendo rumore. La donna interruppe la danza e lo guardò con i suoi occhi verdi come il trifoglio, sorrise, batté le mani e gli corse incontro per baciarlo appassionatamente sulla bocca. Con il suo lieve accento cajun, gli sussurrò: «Credevo non arrivassi più, Marcus».

«Non sono riuscito a liberarmi prima» rispose Sunday. «Mantenere le apparenze è importante.»

La donna gli saltò addosso, stringendogli le gambe intorno alla vita e lo baciò di nuovo. «Ho una cosa da farti vedere, micetto.»

«Hai letto di nuovo Cinquanta sfumature di grigio, Acadia?» le chiese, divertito. E la guardò nelle iridi di quel colore incredibile.

«Meglio ancora» rispose Acadia, saltando di nuovo a terra. «Vieni con me.»

Lo scrittore la seguì lungo il corridoio guardandola sculettare e pregustando l’estasi. Invece di condurlo in camera da letto, però, Acadia lo portò nella stanza che usavano come ripostiglio.

Sulla parete in fondo c’erano quattro schermi da settantadue pollici a formare un unico schermo gigantesco interrotto soltanto da un sensore Xbox360 Kinect puntato verso di loro. Gli schermi emettevano un bagliore bluastro.

Un ragazzo sciatto, con un giubbotto di jeans, era seduto davanti agli schermi con la schiena alla porta e un paio di cuffie Bose da cui veniva fuori della musica hard rock. Sul tavolo era posato una specie di caschetto. Per terra, accanto al tavolo, c’erano un server delle dimensioni di una grossa valigia e una Xbox 360. Il tutto era collegato tramite cavi e cavetti a diversi portatili.

«Sorpresa!» esclamò Acadia. «Cosa ne pensi?»

Furibondo, Sunday la afferrò per la pantera tatuata e la trascinò prima nel corridoio e poi in camera da letto. Le mormorò con astio: «Non ti avevo dato l’okay! Chi è quel tipo?»

Acadia gli rispose, altrettanto rabbiosamente: «Preston Elliot, un genio dell’informatica. Se vuoi una soluzione ultra-avanzata, devi avere una strumentazione e una mente altrettanto sofisticate. L’hai detto tu stesso!» Prima che Sunday avesse il tempo di rispondere, si ammorbidì. «E poi, amore mio, Preston ha comprato tutto da Costco: possiamo riportarlo indietro e ci restituiscono i soldi senza far domande.»

Sunday continuava a rimanere scettico. «E lui quanto ci costa?»

Acadia dilatò le narici e gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Due ore di sesso con me, tutto permesso. Unica condizione: deve mettere il preservativo. Non hai detto che era proprio di questo che avevi bisogno, micetto?»

Sunday piegò la testa e la fissò con rinnovato rispetto. «Davvero? Non lo avevo notato. È...?»

«Più o meno della tua taglia, sì.»

Lo scrittore cominciava a intravedere le possibilità. La cosa lo intrigava. «E quindi?»

«Non pensi che sia giunto il momento?» chiese Acadia, «È da un po’ che non lo facciamo, amore mio.»

Sunday la guardò negli occhi ed ebbe un brivido di piacere al pensiero di ciò che lo aspettava. «Quando?»

Acadia si strinse nelle spalle. «Gli resta solo da fare il debugging. Dovrebbe finire domani, più o meno a quest’ora.»

«Chi sa che è qui?»

«Nessuno» rispose lei. «Gli ho chiesto esplicitamente la massima segretezza.»

«E pensi che lui starà ai patti?»

«Tu cosa pensi?» gli domandò, strusciandoglisi contro e scatenando il suo desiderio. Sunday la guardò negli occhi e si rivide diciottenne, per la prima volta in preda alla stessa brama incontrollabile, avvicinarsi alla sagoma buia nel giardino in punta di piedi, con il badile in mano. Fu una visione così intensa che per un attimo gli parve di sentir grufolare i maiali.

«Allora?» chiese Acadia.

«Vado via» rispose lui, eccitatissimo. «È meglio che non mi veda, stasera.»

Acadia assunse un’espressione da gattina e gli sussurrò nell’orecchio: «Acadia Le Duc è senza limiti e senza restrizioni. Capace di tutto. Tu lo sai, micetto, vero?»

«Oh, se lo so» rispose Sunday, senza fiato. «Tant’è che dipendo da te come un tossico.»

Punto debole
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