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Mi suonò il cellulare mentre ero a un passo dal nastro giallo. Era Carl Mentone, detto «Kid»: poco più che ventenne, brillante esperto di tecnologia, specialista della sorveglianza. Lo avevo assunto l’anno prima ed era stata una delle mie mosse più intelligenti.
«Già qui?» gli chiesi.
«Sulla terrazza di Wilkerson. Visuale dall’alto.»
«Vedi cosa riesci a fotografare con questo tempo. E registra tutto quello che trasmetto.»
«Posso fare entrambe le cose, Jacky-boy. Ho l’obiettivo al riparo e con la luce non servono gli infrarossi. Sto già mandando le riprese della tua videocamera all’hard drive.»
«Non chiamarmi Jacky-boy.» Riattaccai. Vidi un agente che si avvicinava al nastro giallo e ruotai la penna nel taschino della giacca, in modo che Kid e io vedessimo le stesse cose.
«Fate allontanare tutti», disse l’agente.
Gli mostrai il tesserino. «Jack Morgan. Chi è che comanda?»
L’agente si fece ostile. «Può anche dirlo all’LAPD, ma...»
Avvistai un vecchio amico sotto i teloni e lo chiamai. «Harry?»
Il capitano Harry Thomas, sessantadue anni, era alla testa dell’Unità Omicidi del dipartimento dello sceriffo della contea di Los Angeles. Lo conoscevo fin da quando ero un ragazzino. Era un amico di mio padre, prima che il vecchio cominciasse a giocare sporco ingannando i propri clienti, per poi finire ammazzato in prigione. Per un certo periodo, mentre mio padre scendeva la china e prima che mi arruolassi nei Marine, Harry Thomas era stato una delle poche persone al mondo cui sembrasse importare qualcosa di me.
La sua faccia rugosa si illuminò di un sorriso radioso quando mi vide. «Jack? Cosa diavolo porta la Private in mezzo a questo casino?»
Passai sotto il nastro, in barba all’agente. «Quattro cadaveri su un fuoco. E un mio cliente che abita qui sopra.»
«Spiaggia pubblica», osservò Harry, alzando gli occhi verso casa Wilkerson. «Non è granché come motivo per entrare nella mia scena del crimine, a meno che il tuo cliente voglia confessare.»
«Lui è pulito. Ma, visto che per venire qui ho dovuto salutare in fretta una ragazza incredibile, adesso sono curioso. Posso dare un’occhiata?»
Harry esitò. «Niente scherzi, Jack.»
«Io?»
«Uh-huh.» Il capitano della Omicidi non si fidava. «Stivali e guanti.»
Di lì a poco, con indosso i copriscarpe protettivi azzurri e i guanti in lattice, mi infilai sotto i teloni montati sulla scena. Là dentro l’aria era satura dell’odore di carne bruciata. Le vittime erano quattro uomini vestiti da dopo-surf, a faccia in giù tra la cenere di un braciere. I tecnici della Scientifica stavano effettuando i rilievi. Tirai fuori un fazzoletto di carta e finsi di soffiarmi il naso prima di passarlo sull’obiettivo della penna nel taschino, nel caso si fosse bagnato di pioggia.
«Li ha trovati un tizio che portava a spasso il cane», raccontò Harry. «Assurdo che sia uscito con questo tempo, ma ci ha fatto un favore. Siamo riusciti a mettere al sicuro la scena entro un’ora da quando crediamo sia avvenuta la sparatoria. Oltretutto è illegale accendere fuochi qui, con o senza braciere. Si direbbe che fossero in cerca di guai. Da queste parti la gente esige il rispetto delle regole.»
«Andiamo, Harry», obiettai. «Pensi che qualcuno abbia giustiziato uno a uno questi quattro perché avevano acceso un falò? Ha tutta l’aria di un lavoro da professionisti. Un’eliminazione pianificata.»
«Già», ammise lui, con una smorfia. «Così pare anche a me.»
«Identità?»
«Gente del posto. Surfisti accaniti. Uno si occupava di investimenti e adesso fa il barista sulla Highway. Un altro è un ex militare, tornato dall’Iraq con qualche problema. Gli altri due... stiamo ancora aspettando. Non avevano documenti addosso.»
«Rapina a mano armata finita male?»
«Sempre che uno di loro avesse con sé qualcosa di valore.»
«Oppure avevano qualcosa in comune, un segreto, per esempio, e si è trattato di una vendetta», ipotizzai, chinandomi sulla sabbia, vicino ai piedi dei cadaveri. «La pioggia e il vento avranno cancellato impronte e segni di trascinamento.»
«Non abbiamo altro, finché il laboratorio non ci dice qualcosa in più. Ma non ti terrò al corrente, Jack.»
In sostanza, Harry mi stava dicendo in modo cortese che – a prescindere dall’amicizia di vecchia data – dovevo togliermi dai piedi. Stavo per alzarmi quando notai un biglietto color senape che spuntava da sotto la gamba del barista. Prima che qualcuno mi dicesse di non farlo, allungai una mano e lo sfilai.
«Ehi, che diavolo stai facendo?» intervenne Harry, seccato.
Da un lato non c’era nulla. Lo girai in direzione della penna, poi lo consegnai al capitano, vedendo cosa c’era scritto in corpo diciotto:
NIENTE PRIGIONIERI