PROLOGO
Lettera: Giulio Cesare ad Attia (45 a.C.)
Manda il ragazzo ad Apollonia.
Comincio bruscamente, mia cara nipote, per disarmarti subito. Così tutta la resistenza che potrai oppormi sarà troppo fragile e inconsistente per vincere la forza della mia persuasione.
Tuo figlio ha lasciato l’accampamento a Cartagine in buona salute. Lo vedrai a Roma entro questa settimana. Ho dato ai miei uomini l’ordine di farlo viaggiare con comodo, perciò potresti ricevere questa lettera prima del suo arrivo.
Sono sicuro: avrai già cominciato a formulare delle obiezioni che ti sembrano importanti. Sei madre e sei una Iulia: due volte ostinata. Penso di sapere quali saranno le tue obiezioni. Ne abbiamo già parlato. Solleveresti, per esempio, la questione della salute incerta del ragazzo. Ma tra poco ti renderai conto che Gaio Ottaviano torna dalla campagna che ha fatto con me in Iberia più sano di quando la iniziò. Metteresti in dubbio le cure che potrebbe ricevere fuori d’Italia. Ma se rifletti un attimo ti convincerai che i medici di Apollonia sono più capaci di curare i suoi mali rispetto ai profumati ciarlatani di Roma. Ho sei legioni di soldati nella Macedonia e lungo i suoi confini. E i soldati devono godere di buona salute, mentre i senatori possono morire senza che il mondo perda molto. Inoltre il clima della costa macedone è mite per lo meno quanto quello romano.
Tu sei una buona madre, Attia, ma ti affliggono la moralità crudele e la severità che a volte hanno turbato la nostra stirpe. Devi allentare un poco le redini e consentire a tuo figlio di diventare l’uomo che giuridicamente è già. Ha quasi diciotto anni: di certo ricordi i portenti che si manifestarono alla sua nascita. Portenti che io, come ben sai, mi sono dato la pena di incoraggiare.
Devi capire l’importanza dell’imperativo con cui ho iniziato questa lettera. Gaio parla il greco in modo atroce ed è debole in retorica. Conosce bene la filosofia, ma il suo sapere in fatto di letteratura è a dir poco eccentrico. I tutori di Roma sono forse pigri e noncuranti quanto i cittadini? Ad Apollonia leggerà la filosofia e perfezionerà il greco con Atenodoro, amplierà le sue conoscenze letterarie e diventerà più abile nella retorica con Apollodoro. Ho già dato le disposizioni necessarie.
Inoltre, alla sua età ha bisogno di star lontano da Roma. È un giovane sano, di alto rango e di grande bellezza. Se anche l’ammirazione dei giovani e delle fanciulle non lo corrompessero, lo farebbero le ambizioni degli adulatori (di certo ti stai rendendo conto con quanta furbizia tocco la tua moralità campagnola). In un’atmosfera spartana e disciplinata, Gaio trascorrerà le mattinate con gli studiosi più eruditi dei nostri giorni, perfezionandosi nell’arte umana della mente, e passerà i pomeriggi con gli ufficiali delle mie legioni, esercitandosi in quell’arte senza la quale nessun uomo è completo.
In parte, tu conosci i miei sentimenti per il ragazzo e i progetti che ho in serbo per lui. Sarebbe mio figlio anche ai fini della legge, come lo è nel cuore, se non me l’avesse impedito Marco Antonio, che sogna di succedermi e manovra tra i miei nemici con la stessa astuzia furtiva con cui un elefante potrebbe attraversare il tempio delle Vestali. Il tuo Gaio è sotto la mia ala ma, se deve restarci al sicuro ed ereditare i miei poteri, deve anche aver modo di acquisire le forze che io posseggo. A Roma questo non è possibile, dato che ho lasciato in Macedonia le risorse più importanti: le mie legioni, che la prossima estate Gaio e io guideremo contro i Parti e i Germani, e di cui, inoltre, potremo aver bisogno contro i tradimenti che vengono da Roma. A proposito, come sta Marzio Filippo, che ti compiaci di chiamare tuo marito? È talmente stupido che quasi gli sono affezionato. Senza dubbio gli sono grato perché, se non fosse così indaffarato a comportarsi da bellimbusto a Roma e se non complottasse in modo così dilettantesco contro di me col suo amico Cicerone, potrebbe recitare la parte del patrigno di Gaio. Il tuo defunto marito, per lo meno, nonostante appartenesse a una famiglia tutt’altro che illustre, ebbe il buon senso di generare un figlio e di affermarsi nel nome della gente Iulia. Il tuo attuale marito, invece, complotta contro di me e vorrebbe distruggere quel nome che è il solo vantaggio che possiede. Ciononostante mi auguro che tutti i miei nemici siano così inetti. Li ammirerei meno, ma mi sentirei più sicuro.
Ho pregato Gaio di portare con sé ad Apollonia due amici che hanno combattuto con noi in Iberia e che ora lo accompagnano a Roma, Marco Vipsanio Agrippa e Quinto Salvidieno Rufo, che conosci, e un altro che non conosci, un certo Gaio Cilnio Mecenate. Tuo marito capirà immediatamente che Mecenate è di antico lignaggio etrusco, con qualche traccia di regalità. Almeno questo dovrebbe fargli piacere.
Mi dirai, mia cara Attia, che all’inizio di questa lettera ho finto che tu potessi decidere dell’avvenire di tuo figlio. Ora Cesare deve chiarire che non è così. Tornerò a Roma entro il mese. Come forse avrai sentito vociferare, ci tornerò dittatore a vita, in forza di un decreto senatoriale che non è ancora stato emanato. Di conseguenza ho il potere di nominare un comandante della cavalleria, secondo solo a me. L’ho già fatto. Come avrai certo capito, è tuo figlio. È un fatto compiuto, che non sarà mutato.
Così, se tu o tuo marito doveste intromettervi cadrebbe sulla vostra famiglia un’ira pubblica tanto schiacciante che, in confronto, i miei scandali privati non sembrerebbero più grossi di un topolino.
Spero che tu abbia trascorso a Puteoli un’estate piacevole, e che sia tornata in città per l’inverno. Irrequieto come sono, ora desidero l’Italia. Forse quando sarò tornato e avrò sbrigato ciò che mi aspetta a Roma, potremo trascorrere alcuni giorni tranquilli a Tivoli. Potrai far venire anche tuo marito, e Cicerone, se vuole. Nonostante quanto dico, voglio davvero un gran bene a entrambi. Come, naturalmente, a te.