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Nonostante l’ora, Oleg non osò mettersi a correre per arrivare in tempo all’appuntamento.
Temeva di essere arrestato, se non addirittura raggiunto da uno sparo, se lo avesse fatto. Cercò comunque di camminare il più svelto possibile senza destare sospetti. Ma mentre procedeva si domandava se trovarsi lì in quel momento fosse una buona idea. Sicuramente l’incontro era stato cancellato. Non si vedeva nessun civile. Forse era davvero meglio tornare a casa dei genitori e riprogrammare l’incontro. Ma continuò ad avanzare.
Nel momento in cui iniziò a scorgere l’enorme muraglia di mattoni rossi del Cremlino, diretto al centro visitatori della Torre Kutaf’ja, era chiaro per Oleg che non ci sarebbe stato modo di entrare. Poliziotti con armi automatiche sorvegliavano ogni ingresso della sede del governo russo. Tutte le visite guidate erano state cancellate, così come tutti gli incontri, a eccezione di quelli più importanti. Oleg mostrò il suo tesserino a un poliziotto dietro l’altro, spiegando il motivo della sua presenza e con chi avrebbe dovuto incontrarsi. Ogni volta – con sua sorpresa – gli fu permesso di passare. Quando arrivò al banco di accettazione fece scivolare i suoi documenti sotto il vetro antiproiettile e aspettò che la guardia dall’altra parte li controllasse.
«Attenda qui», disse la guardia dal volto impassibile. «Qualcuno verrà a prenderla».
«L’incontro è confermato?», chiese Oleg, ancora confuso.
«Attenda qui», grugnì la guardia, senza tradire emozioni.
Oleg si voltò e vide un divanetto. Ma non si sedette. Si mise a camminare avanti e indietro, controllando di tanto in tanto l’orologio e, infilando una mano in una tasca, si accorse di aver lasciato in macchina le sigarette. L’incontro sarebbe iniziato fra otto minuti. Era arrivato in tempo. Non era stato cancellato. E non riusciva a capirne il motivo. Ma adesso si pentiva di non aver mangiato niente. Rabbia e incertezza sono un cocktail micidiale. Aveva disperatamente bisogno di fumare. Per il momento si sarebbe accontentato di un bicchiere d’acqua. Ma non fece in tempo. Un attimo dopo un colonello in alta uniforme sbucò fuori da una porta laterale, consegnò a Oleg un tesserino di plastica, che finì appuntato sulla giacca del suo completo, e gli ordinò di seguirlo.
Oleg fu condotto verso una postazione di controllo con ben quattro guardie armate di fucili mitragliatori. Il colonello gli ordinò di riporre ogni oggetto metallico che portava con sé in un recipiente di legno che venne fatto passare sotto una macchina a raggi x insieme alla sua valigetta, poi esaminata attentamente da una delle guardie e anche dal colonello. Quindi Oleg passò sotto al metal detector senza che nessun allarme suonasse. Ma non era abbastanza, e una delle guardie gli ordinò di togliersi le scarpe, che vennero esaminate con cura. Solo quando il colonnello e le quattro guardie si lanciarono un segnale di intesa reciproco, Oleg fu finalmente libero di proseguire, dopo che ciascuno degli uomini ebbe firmato una sorta di registro. Quindi, il colonello aprì una porta che sembrava l’ingresso di una cripta, con una tessera elettronica.
Oleg lo seguì in un lungo corridoio che portava alla magnifica Torre Troickaja, alta ottanta metri, costruita più di cinque secoli prima. Una guardia impettita tenne aperta una porta, attraverso la quale Oleg e il colonnello uscirono all’aria aperta. Nuvole scure si stavano addensando. Bandiere della Federazione Russa sbattevano nella brezza che cresceva di intensità. Ancora non pioveva, ma sicuramente si stava avvicinando una tempesta.
Oleg non era mai stato al Cremlino prima di allora, nemmeno come turista. Non ne aveva mai avuto il tempo e neanche gli interessavano più di tanto i musei e le visite. Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe trovato in quel luogo, per nessuna circostanza immaginabile. Ma ora era lì. Alla sua sinistra si ergeva l’Arsenale, un palazzo di un giallo pallido, a due piani, commissionato da Pietro il Grande e che attualmente ospitava i servizi di sicurezza della capitale e dei suoi leader. Alla sua destra il massiccio complesso di marmo e vetro conosciuto come Palazzo di Stato del Cremlino. Ma nessuno di quei due edifici era la loro destinazione. Il colonnello lo condusse verso un ulteriore edificio giallo pallido a forma di gigantesco triangolo isoscele, la sede del Senato, passando accanto a un’altra dozzina di guardie armate fino ai denti.
La sorveglianza lì era ancora più stretta, tuttavia i due uomini poterono entrare senza ostacoli. Una volta dentro, il colonnello condusse Oleg attraverso un vestibolo che sembrava una caverna fino a una postazione di controllo, dove vennero nuovamente controllati e passati ai raggi X sia loro che gli oggetti che portavano. Un’inserviente vestita in modo semplice, che dimostrava poco più di trent’anni, li stava attendendo. Non sorrise, non strinse loro la mano, non salutò il colonnello come avevano fatto tutte le altre guardie in precedenza. Condusse semplicemente i due uomini in ascensore fino al terzo piano e poi attraverso ulteriori controlli di sicurezza e un labirinto di corridoi decorati con ritratti a olio di tutti i leader russi del passato – da Alessandro il Grande e Pietro il Grande fino a Ivan il Terribile e allo zar Nicola ii –, finché non raggiunsero un’anticamera che pullulava di uomini della sicurezza in abito scuro e con cravatte orribili e giacche rigonfie per le armi.
Un’anziana signora dall’aria cupa, che indossava un trasandato vestito grigio e con un’acconciatura che colpì Oleg come una reliquia dei giorni del Politburo sovietico, sedeva a una scrivania, dietro al grande schermo di un computer e a un vasto assortimento di telefoni. La donna alzò lo sguardo su Oleg e sul colonnello, ma non disse niente. Premette soltanto un bottone su uno dei telefoni e poi fece un cenno ai due agenti di guardia alla grande porta di quercia.
Alla sinistra della porta, Oleg notò una sala d’attesa elegante con poltrone imbottite, sedie e un tavolino da caffè in mogano. Ma non ci sarebbe stato bisogno di attendere, né di intrattenere una conversazione o di presentarsi a qualcuno. Non oggi. Perché non appena furono davanti alla porta di quercia, le guardie la aprirono e il colonnello gli fece cenno di entrare. Da solo.
Oleg fece esattamente come gli era stato ordinato e, con sua enorme sorpresa, si trovò di fronte all’uomo che presto sarebbe diventato presidente della Federazione Russa.