Il nascondiglio
Quando Andrea sparì, nessuno se ne accorse. In casa i suoi genitori avevano abbassato il soffitto del corridoio e tra il soffitto nuovo e il vecchio si era formata una galleria aerea, invisibile, sospesa sopra la testa di chi attraversava l’appartamento. Quel pomeriggio Andrea, trovata la scala appoggiata contro la porticina in alto, vi era salito subito. Aveva aperto i due battenti a molla e un cunicolo nero gli si era spalancato davanti. Era tutto ingombro di casse, di rotoli di tappezzeria, di valigie. Andrea vi si era infilato carponi e i battenti si erano chiusi alle sue spalle. Respirava a fatica. Si accovacciò sul cemento ruvido e rimase in attesa. Di che cosa? Che sua madre si accorgesse che lui non c’era. Invece sua madre non se ne accorse. Dopo un po’ staccò la scala e la rimise al suo posto. Andrea stava per aprire i battenti e gridarle: «Sono qui!», ma poi cambiò idea. Sua madre non si sarebbe neanche stupita e magari lo avrebbe rimproverato.
La luce che filtrava alle sue spalle finiva su due barattoli di miele comperato in montagna. Più in là si vedeva un pacco di riviste geografiche inglesi, che suo padre non leggeva mai, ma legava con la corda e conservava per la vecchiaia. Il cunicolo, dopo qualche metro, svoltava sopra l’anticamera. I suoi genitori lo avevano costruito da pochi mesi, dopo che un architetto aveva detto che il loro appartamento era molto bello, tranne il corridoio, troppo alto. Ma dopo che lo avevano abbassato il loro amico Zeno, di ritorno dagli Stati Uniti, aveva detto che il corridoio di prima era forse la parte più bella dell’appartamento. Sua madre però aveva detto: «Basta. Con i soldi che abbiamo speso».
Andrea avanzò carponi tra le casse, i rotoli e le riviste. A un tratto toccò un involucro di plastica che avvolgeva le coperte e nel ritrarre la mano fece cadere una pila di libri. Si fermò per paura che di sotto lo sentissero. Udì il passo di sua madre, che andava dal bagno alla camera da letto, alla fine del corridoio. Stava telefonando.
Allora riprese, adagio, il suo viaggio. E a mano a mano che si inoltrava nel buio, era come se avanzasse verso il centro della terra, tutto solo, dopo avere perduto i compagni di spedizione. Forse, dietro quella immensa scatola di cartone, c’erano gli occhi rossi, scintillanti, del mostro che aveva visto al cinema, due sere prima. Rimase a lungo immobile. Poi palpò lentamente un lato della scatola, fino allo spigolo, finché scoprì il passaggio lungo il muro. No, al di là non c’erano gli occhi del mostro, ma solo puntini gialli nel buio. Forse era il tesoro luccicante di pietre preziose, il forziere spalancato. Intanto i pirati stavano scavando una galleria dall’altra parte, si udivano i colpi soffocati dei picconi, nelle viscere dell’isola. Bisognava arrivare prima di loro e allora proseguì rapido, sempre più rapido, finché batté la fronte contro il cemento. Dolorante si lasciò cadere all’indietro e sollevò le gambe, premendosi la fronte con le mani. Riuscì a non piangere, ma solo a mugolare. Si dondolò così, sul cemento, finché a poco a poco la sofferenza diminuì. Allora si rivoltò e riprese a percorrere il corridoio nella direzione opposta. Quando arrivò di fronte ai battenti, li scostò leggermente senza fare rumore. Sua madre era in cucina, seduta davanti al tavolo, immobile. Era legata a un palo e gli indiani stavano accovacciati in cerchio intorno a lei. A un tratto si alzò e prese dall’armadio il barattolo del caffè, poi aprì lo sportello vicino e prese quello dello zucchero.
L’orologio appeso alla parete segnava le cinque: era passata mezz’ora e non si era accorta di niente. Solo quando ebbe finito di bere il caffè si riscosse e si guardò intorno. E finalmente chiamò a voce alta:
«Andrea!»
Lui si ritrasse, gli occhi luccicanti nel buio, il cuore che gli batteva in gola. Poi riaccostò il viso ai battenti. Lei chiamò, con voce più alta:
«Andrea!»
Aggiunse, con lo stesso tono arrabbiato:
«Rispondi quando ti si chiama!»
Lui tratteneva il fiato, finché non resistette più e respirò forte. Sua madre stava passando sotto di lui.
«Andrea!» chiamò ancora. «Andrea, dove ti sei nascosto?»
La sua voce arrivava lontana, dalla sala. Sentì di nuovo i suoi passi in corridoio, poi la sua voce dura, secca:
«Andrea, basta! Vieni fuori!»
Lui stava per spalancare gli sportelli, quando sua madre aggiunse:
«Un bel gioco dura poco!»
Allora si fermò, strinse le labbra e si appoggiò con le mani sul pavimento.
No, non scendeva. Si allontanò carponi dagli sportelli. Poteva continuare l’esplorazione della grotta, aveva viveri a sufficienza. Gli altri non sarebbero riusciti a raggiungerlo. Il passaggio in fondo al cunicolo era strettissimo e solo un bambino come lui poteva calarsi a toccare il suolo della caverna. La temperatura era gelida. L’acqua irrompeva da un buco della volta e precipitava in una voragine. La si vedeva spumeggiare in basso, ma così lontana che il rumore non arrivava fino lassù.
Tastando il pavimento trovò una pila. La accese e la luce cominciò a correre sulle pareti dell’abisso, in fondo alla cascata. Non lo avrebbero più trovato, era nel ventre della terra. Sospirò, si premette una mano sugli occhi. Vedeva come guizzi di luce, macchie gialle. La grotta a poco a poco si trasformò in una galleria aerea, vegetale, fatta di rami e di liane, sulla cima degli alberi: dall’alto poteva vedere sua madre che lo cercava e interrogava lo stregone, all’estremità del villaggio. Ecco lo stregone tracciare un cerchio sulla sabbia e poi alzare lo sguardo verso i rami. Lui si nascose dietro il tronco. Udì sua madre aprire la porta dell’appartamento, chiamare un’altra volta «Andrea!», poi chiuderla alle proprie spalle e scendere di corsa le scale. Chissà se, dopo quello spavento, lo avrebbe ancora tormentato con l’aritmetica e con i confronti con gli altri. E anche suo padre, che quando si arrabbiava rovesciava sedie e gettava a terra piatti e vasi, avrebbe dovuto finalmente occuparsi di lui e andare al commissariato. Il commissario era lo stesso delle Avventure di Laramie e gli chiedeva:
«Lei sa perché suo figlio è scappato di casa?»
E suo padre rispondeva:
«No.»
«Eppure lei e sua moglie dovreste saperlo.»
E mentre suo padre non sapeva che cosa rispondere, il commissario continuava:
«Adesso è tardi. Adesso chi ritrova suo figlio?»
Nessuno. I giornali uscivano con titoli sempre più grandi e la televisione ne parlava ogni sera. Aveva viveri a sufficienza almeno per sei giorni, solo che gli mancava una cosa indispensabile: il suo fucile.
Doveva per un momento lasciare la sua casa sugli alberi e scendere lungo il tronco. Aprì i battenti e sporse la testa sul vuoto. Poi si voltò, si aggrappò al bordo del pavimento e, lasciandosi penzolare per un attimo, cadde con un tonfo sulle piastrelle. Corse nella sua stanza a prendere il fucile, ma al ritorno si accorse che non poteva risalire. Non c’era la scala. Sua madre stava ritornando con un’altra persona, udiva le loro voci avvicinarsi. Era finita. Guardò in alto verso il suo nascondiglio e si sentì in trappola. Non poteva che arrendersi. Però ora sapeva dove era libero.
1980