Dodici

Cambiava umore con facilità estrema, i giudizi e i commenti degli altri lo trovavano più indifeso e contribuivano ad aumentare il suo smarrimento.

Tutto era forse accaduto troppo in fretta e bisognava ricominciare da capo. Ma ora che erano cadute tante premesse, non aveva più una meta e niente che ne colmasse l’assenza; adattarsi gli sembrava una resa, la sua crisi non poteva finire così.

Trovava assurda la sua vita, ritornava su certe constatazioni con una fissità che lo stancava e gli faceva talvolta desiderare di evadere, di tornare a muoversi, di distrarsi.

L’estate era caldissima, dai tram semivuoti si vedeva l’asfalto che luccicava.

Incontrava a volte l’amico bancario e, facendolo parlare, ritrovava in lui la propria crisi, le stesse speranze deluse. Eppure non poteva accettare le conclusioni dell’altro. Certo, questo era strano: si irritava ancora, ad ascoltarle. Non poteva accettare che proprio la crisi, che gli aveva aperto gli occhi, gli imponesse una nuova finzione, impedendogli di vedere oltre. Che il fallimento fosse mentale. Ne provò una stretta d’angoscia. Ecco, era quella la morte: la morte in banca. Che era poi una delle infinite morti nella vita.

Così cominciò a sentire, proprio allora, i segni di una ripresa. Come di una reazione istintiva. Come per liberarsi da un peso, che doveva essere eliminato.

Avvertiva una insofferenza indefinita. La sua medesima crisi, nei suoi vizi di origine, cominciò a volerla ignorare. Ciò che contava, infine, era la nuova visione, più circoscritta, certo, ma più vera. Un nuovo equilibrio, che si creava la sua difesa entro limiti, naturalmente, più ridotti...

Ritornavano i suoi amici dalla villeggiatura e parecchi, con cui ebbe occasione di parlare, non si sorpresero che avesse interrotto gli studi per qualche tempo, del resto lavorava e non lo assillava il bisogno.

Quanto alla crisi, lo guardavano, sorridevano e uno più evoluto commentò che sarebbe stato anormale non averne, per passare alla maturità.

Lui ebbe una reazione curiosa, non rimase né incerto né confuso, come aveva temuto, a volte, durante i mesi del suo temporaneo isolamento: non mutò umore, anzi si sentiva stranamente tranquillo, più deciso.

Gli sembrava di rinascere, di ricuperare una libertà di movimento, che aveva perso durante mesi di stanchezza: e che ora si rinnovava, sia pure su un piano diverso. Forse dipendeva anche dalla sua situazione in ufficio, migliorata, alleggerita.

Del resto non gli importava di saperlo e questo medesimo fatto era significativo.

La città si riempiva; in quelle sere di settembre i grattacieli, oltre il parco, parevano scacchiere illuminate.

Le sue ferie, per fortuna, cadevano in una buona combinazione.

1952-53