16
I passi di Ruth producevano un ticchettio sul marciapiede; era diretta verso la sua macchina. Si era lavata, vestita e truccata. Si era data la crema alle mani, messa gli orecchini. Aveva bevuto un caffè, portato fuori il cane, infilato un assorbente di ricambio nella borsetta.
Era una giornata fredda e luminosa nella settimana prima del Giorno del ringraziamento. Sollevò la testa per sentire il sole sulla pelle. Da tre giorni non aveva notizie della polizia. Niente telefonate né visite.
Poi udì lo sbattere di uno sportello, passi dietro di lei.
Mentre metteva in moto e allungava la mano per chiudere la portiera, un’auto apparve dal nulla per tagliarle la strada. Una mano apparve in cima allo sportello. Ruth alzò lo sguardo, ma il sole aveva trasformato il proprietario di quella mano in un’ombra senza volto. Si concentrò sulle dita. Le unghie corte, il pollice tozzo, una cicatrice bianca sull’indice. Quella mano non le diceva niente. Poteva appartenere a chiunque.
«Cosa vuole?»
«Deve venire con noi» disse Devlin.
«Io non devo fare proprio niente.»
«Deve venire con noi, signora Malone. Il gran giurì ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti. Lei è accusata dell’omicidio volontario di suo figlio e dell’omicidio colposo di sua figlia.»
«Non posso crederci. Non posso crederci.»
«Signora Malone...»
«Io non vado da nessuna parte.»
Le mani sul volante. Ben strette.
«Le suggerisco di non opporre resistenza, signora Malone. Le persone ci guardano.»
Lei sospirò e scese dalla macchina, finse di porgere le chiavi a Quinn che se ne stava impalato al fianco di Devlin come un fantoccio. Le lasciò cadere e lo guardò raccoglierle da terra. Era la sua piccola vendetta.
Ruth prese posto sul sedile posteriore dell’auto di Devlin, fissò dritto davanti a sé il mattino che proseguiva senza di lei.
Devlin si spostò sul sedile facendo ondeggiare il veicolo. Lei alzò lo sguardo allo specchietto e vide che la stava guardando.
«Che c’è?»
«Sa, sarebbe stato molto più facile per lei se ci avesse detto la verità fin dall’inizio.»
Lei alzò il mento. Lo guardò negli occhi e poi lasciò che il suo sguardo passasse oltre. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
Non parlarono finché non raggiunsero la centrale. Ruth scese e, dalla porta a vetri davanti a sé, vide che l’atrio era affollato. Agenti in uniforme, uomini in borghese, segretarie: tutti si voltarono per vederla entrare. La stavano aspettando.
Si fermò. Fece un respiro profondo. Si volse verso Devlin.
«Voglio la mia telefonata.»
Lui si strinse nelle spalle. «Certo. Nessuno può aiutarla, ormai, ma non vedo perché no?»
«Frank, sono io.»
«Eh? Ruth? Che ore sono?»
«Ho... sono alla centrale. Mi hanno arrestato.»
Silenzio. «Cosa? E perché? Che cazzo succede?»
«Sì, lo so. Porca puttana, Frank. Quel bastardo mi aspettava sotto casa stamattina. Mi ha portato dentro mentre tutti guardavano.»
«Cristo... Ruthie. Non... tu stai bene?»
«Senti, non ho molto tempo. Devi chiamare Scott per conto mio. Raccontagli cosa è successo.»
«Certo. Scott. Va bene.»
«Hai il suo numero? Ce l’hai, Frank?»
«Sì, ce l’ho. Okay, lo chiamo subito. Gli do appuntamento davanti alla centrale.»
«Perfetto.»
«Hai bisogno di qualcosa?»
«No. Solo di Scott.»
«Okay. Tieni duro. Ti amo, tesoro. Arrivo subito.»
«Va bene.»
Pete era in fila al Mario’s in attesa di ordinare la colazione prima di entrare al lavoro. La radio trasmise un comunicato dell’ultim’ora. Ruth Malone è stata accusata e arrestata per l’omicidio volontario del figlio e quello colposo della figlia.
Pete abbassò il giornale e rimase a fissare la radio finché l’uomo dietro di lui non gli picchiettò sulla spalla e indicò la ragazza alla cassa che lo guardava con impazienza, la penna posata sul taccuino.
«Scusi» disse. «Ci ho ripensato.»
Guadagnò l’uscita. Sconcertante. C’erano voluti quattro mesi, ma alla fine Devlin aveva trovato quello che cercava. Aveva parlato di una lettera. Il suo contenuto doveva essere bastato a incriminarla.
Pete si diresse alla centrale di polizia. L’atrio era affollato da giornalisti. Due prostitute stavano appoggiate alla scrivania mentre un agente le schedava. Continuavano a provocare i fotografi: «Come vuoi che mi metta, tesoro?» e «Dieci verdoni per un primo piano!» e si sganasciavano dalle risate.
Pete si guardò intorno disperato in cerca di una faccia familiare, di un’indicazione su cosa fare. L’agente dietro la scrivania sbraitava tentando di ristabilire l’ordine in quel caos, ma Pete lo udiva a stento con quel vocio.
Si aprì una porta e apparve la mole imponente di Devlin. Alzò una mano e impose il silenzio nella stanza. Con quell’unico gesto.
«Signori. So perché siete qui, ma oggi non abbiamo altro per voi. È stata arrestata, probabilmente otterrà la libertà su cauzione, ancora non abbiamo una data per l’udienza. Tutto qua.»
Si voltò e tornò dentro, e il frastuono esplose di nuovo, persino più forte di prima. I giornalisti si accalcarono verso la porta.
Pete vagò verso l’esterno, stordito da quella confusione. Cos’era successo in due giorni? Com’era possibile che nel giro di quarantotto ore la polizia avesse raccolto le prove per arrestarla?
Il parcheggio era deserto: tutti avevano una pista da seguire. Sentiva la voce di Friedmann rimbombargli in testa: Sta’ incollato ai poliziotti, osserva le reazioni del vicinato.
Si fermò per accendersi una sigaretta, notò un uomo che usciva dalla centrale con una ventiquattrore di cuoio. Aveva i capelli brizzolati, un abito di ottima fattura, sprigionava agiatezza. Aveva tutta l’aria di essere un avvocato e, a giudicare dal vestito e dalle scarpe, doveva essere uno dei migliori. E quel giorno in centrale c’era soltanto una persona che aveva bisogno di un bravo avvocato.
Pete gettò la sigaretta e si mise a correre, inchiodando proprio davanti all’uomo con la ventiquattrore. Questi lo guardò incuriosito, come se Pete fosse un dettaglio interessante su un libro illustrato.
«Scusi, signore. Non era mia intenzione spaventarla. Io sono... mi chiamo Pete Wonicke. Lei per caso rappresenta la signora Malone?»
Con una certa gentilezza l’uomo rispose: «Be’, figliolo, purtroppo non sono libero di parlare dei miei clienti».
«No, è chiaro.»
«Allora...»
«È solo che... la conosco. Sono in possesso di informazioni che potrebbero esserle di aiuto.»
L’uomo lo guardò con la stessa curiosità e lo squadrò a lungo.
«Non ho l’abitudine di parlare dei miei clienti in mezzo a una strada. Ma ho quella di giudicare le persone su due piedi. Devo farlo, dopotutto è il mio mestiere.»
Tacque di nuovo e guardò Pete intensamente.
«Oggi sono un po’ impegnato, come può immaginare. Ma perché non ci vediamo domani? In un posto tranquillo. Ci beviamo un caffè insieme così può dirmi... be’, quello che ha da dire. A proposito, io mi chiamo Henry Scott.»
Appuntò l’indirizzo a Pete e si dettero appuntamento per il pomeriggio successivo.
L’indirizzo era quello di una caffetteria in stile rétro, il genere di posto frequentato da signore che si concedevano un caffè a metà mattina o si fermavano per viziare i nipoti.
Scott arrivò prima di lui, si alzò quando lo vide, gli strinse la mano. Ordinarono, e Scott chiese alla cameriera se era rimasta della torta alle noci. Sentendosi rispondere di sì, l’uomo sorrise contento come il bambino del tavolo accanto al quale era stata appena servita una fetta di torta con una montagna di panna montata.
Scott seguì la cameriera con lo sguardo, ancora sorridente.
«Qui facevano una torta alle noci che era la fine del mondo. Mia madre mi ci portava sempre quando venivamo in città a comprare le scarpe nuove per la scuola. Purtroppo la frequenza delle nostre visite, e di quel rito, calò di pari passo con la crescita dei miei piedi. Una strana associazione, non trova, signor Wonicke?»
L’uomo sorrise ancora di più, e Pete lo imitò con poca convinzione.
«A ogni modo non siamo qui per parlare della torta alle noci o, ahimè, dei miei piedi. C’è qualcosa che vorrebbe dirmi? Qualcosa riguardo alla signora Malone?»
«Sì, signore. Non è... non so proprio da dove cominciare.»
«Perché non inizia dicendomi da quanto tempo conosce la signora?»
«L’ho conosciuta dopo la morte dei figli.»
«E come definirebbe il suo rapporto con lei?»
«La conosco piuttosto bene. Intimamente... direi.»
«D’accordo. Come l’ha conosciuta?»
«Be’, facevo il giornalista.»
A quel punto Scott fece una smorfia e assunse un atteggiamento scostante.
«Capisco. In tal caso, signor Wonicke, devo chiederle...»
«No! No, la prego. Non lavoro più come giornalista. E non sono qui per quel motivo. Le sto solo spiegando come l’ho conosciuta.»
Scott annuì, ma non abbassò la guardia.
«Quindi è così che l’ha conosciuta. L’ha intervistata?»
«Sì. Ho intervistato lei e alcuni dei suoi vicini di casa. E sua madre.»
I caffè arrivarono, insieme a una fetta di torta alle noci che avrebbe messo in difficoltà anche uno scolaro affamato. Scott alzò la tazza e adocchiò Pete da dietro il bordo.
«Finora, signor Wonicke, non mi ha detto niente che la distingua dal resto dei suoi colleghi.»
«Insomma... be’, io le credo. Credo alla sua innocenza.»
Scott posò la tazza, intrecciò le mani sul tavolo.
«Perché?»
«Perché non la credo capace di uccidere. Men che meno i suoi figli.»
«E su quali basi?»
«Prego?»
«Ha incontrato molti assassini? Alcuni anni fa ho conosciuto una donna che aveva annegato il nipote perché credeva fosse posseduto dal demonio. Le garantisco che era molto più gradevole e affascinante di qualsiasi altra persona in questa sala.»
Il sorriso di Scott non ebbe cedimenti e i suoi occhi scintillanti continuavano a scrutare Pete da dietro la tazza.
«Allora cosa la spinge a credere che la signora Malone sia innocente?»
Pete arrossì, si rese conto di avere la mascella serrata. Forse l’avvocato intendeva punzecchiarlo, fargli sputare il rospo. In tal caso, stava funzionando. Cercò di mantenere la calma. Di concentrarsi su Ruth.
«E va bene, signor Scott, comprendo il suo punto di vista. Forse sarebbe più corretto dire che non credo sia colpevole a giudicare dagli elementi che la polizia sostiene di avere.»
Scott posò la tazza e annuì.
«Adesso, signor Wonicke, ha tutta la mia attenzione. Perché potrebbe offrirmi qualcosa di cui ancora non dispongo. Suppongo che abbia ottenuto questa informazione in maniera legale e onesta?»
«In parte ne sono venuto in possesso grazie alle interviste. In parte ne sono venuto a conoscenza per puro caso.»
«Pettegolezzi, purtroppo. Ma potenzialmente utili, a seconda di quello che è stato detto.»
Pete gli fece un sunto delle conversazioni con Quinn e Devlin, della loro opinione su Ruth. Scott mangiò una forchettata di torta e ascoltò in silenzio.
«Signor Scott, credo che vogliano fare il processo ai suoi principi morali. Farla apparire come una... il genere di donna che sarebbe capace di uccidere i figli.»
Scott annuì. «È quello che credo anch’io.»
Pete avvampò e abbassò lo sguardo. Passò il dito intorno al bordo del piattino e si chiese cosa ci faceva lì. Perché perdeva tempo con un uomo che si divertiva a guardarlo dall’alto in basso.
E poi Scott aggiunse: «Ma lei ha confermato quello che volevo sapere. Ha incontrato Devlin in un contesto confidenziale. E ne sa più di me, riguardo alla mia cliente. Il che è utilissimo.»
Pete lo guardò e l’uomo stava sorridendo, ma stavolta il suo era un sorriso autentico, caloroso. D’un tratto Pete ebbe voglia di aiutarlo, e non solo per il bene di Ruth.
«Signor Scott, io credo... La signora Malone non è l’unica persona su cui la polizia dovrebbe indagare.»
Gli parlò di Lou Gallagher. Di quello che aveva appreso da Bette. Dei suoi sospetti.
«L’ha già fatto... ha costretto una donna con cui aveva una relazione a sbarazzarsi della figlia. Ha un passato di violenza. La polizia dovrebbe quantomeno parlargli.»
Scott aggrottò la fronte. Si lisciò il mento come per riflettere. Rimase a lungo in silenzio, poi annunciò: «Interessante, signor Wonicke, ma il processo è a carico della signora Malone e lei soltanto. La polizia la crede colpevole. Perciò è sulla signora Malone che devo concentrarmi».
Si alzò e si assentò per il tempo di una telefonata. Pete intanto si rilassò sulla sedia, si guardò intorno distrattamente e notò una copia dell’ «Herald» abbandonata su un tavolo vicino.
CASO MALONE: LA MADRE FA SHOPPING
MENTRE I FIGLI MARCISCONO SOTTO TERRA
di Tom O’Connor
Queens, 17 novembre. Abbiamo appreso oggi che la signora Ruth Malone, arrestata ieri con l’accusa di aver strangolato il figlio Frank Junior e la figlia Cindy, stava facendo shopping a poche ore dalla scomparsa dei bambini.
Il giorno dopo la sparizione dei figli, meno di 24 ore dopo la traslazione della salma della piccola Cindy dal lotto abbandonato dove era stata ritrovata, la madre è stata vista da alcuni testimoni in un negozio di abbigliamento del quartiere.
Una fonte della polizia ha affermato: «Pensavamo che la signora Malone fosse andata a fare la spesa o ad acquistare prodotti per la cura personale, anche se la presenza stretta dei famigliari e dei vicini non lo rendeva necessario. Ma siamo rimasti di stucco quando l’abbiamo vista entrare in un negozio di abbigliamento».
La fonte ha aggiunto che la seducente cameriera ha fatto acquisti da Debonair Doll, una piccola boutique in Main Street che ha aperto tre anni fa.
La proprietaria del negozio ha detto che la signora Malone ha comprato due abiti, un paio di collant e un cappellino.
«Sembrava normalissima. Ricordo che era molto truccata, e aveva un bel rossetto. I capelli appena fatti. Non sembrava che avesse pianto.»
Un testimone, che ha scelto l’anonimato, ha visto la bella rossa attraversare la strada verso un’auto che pare appartenesse all’ex marito. Mentre si avvicinava, l’uomo si è affacciato dal finestrino e le ha fatto cenno di sbrigarsi. Il testimone sostiene di averla sentita rispondere chiaramente: «Se siamo in ritardo, pazienza. È troppo importante. Devo fare bella impressione».
La signora Malone era più preoccupata dal proprio aspetto che dal pensiero della figlia che giaceva fredda e sola in una cella dell’obitorio. E si concentrava più sui vestiti che sulla scomparsa del figlio, di soli cinque anni.
Nella speranza di ritrovare il bambino, la polizia e i volontari hanno setacciato il quartiere per ore nel corso di una settimana lunga e difficile. Gran parte delle persone coinvolte erano genitori a loro volta e il ritrovamento del cadavere del bambino è stato «un colpo terribile» per tutti, ha affermato un agente.
La polizia ha sospettato sin dall’inizio della signora Malone che probabilmente sarà rilasciata su cauzione nei prossimi giorni.
L’articolo era corredato da una fotografia di Ruth in abito corto e tacchi alti. Aveva la testa china, ma gli occhi truccati risaltavano sulla pagina nitidi e scuri come l’inchiostro.
Scott fece ritorno, si mise a sedere e prese la tazza. Pete gettò il giornale sul tavolo, con aria disgustata.
«L’ha visto?»
Scott annuì, l’espressione indecifrabile.
«Tutte balle. Non so come siano andate davvero le cose, ma questa è solo...»
Mentre l’uomo parlava, Pete fu colto dall’improvvisa consapevolezza di aver fatto parte di quella storia anche lui, almeno fino all’ultimo periodo. Di aver scritto quello che gli era stato ordinato di scrivere, di aver dipinto in bianco e nero le sfumature grigie.
Avvampò per la vergogna e subito dopo, sotto sotto, provò un dolce refrigerio al pensiero che la sua vita adesso fosse diversa.
Scott aveva preso il quotidiano e stava scorrendo l’articolo.
«È quello che mi auguro, signor Wonicke. Perché è il genere di spazzatura che la giuria leggerà fino al giorno del processo. È con questa roba che dovrò avere a che fare.»
«Ma lei... è innocente. Questa gente non la conosce. Non la conosce affatto.»
Scott lo guardò e Pete ebbe la strana impressione che l’uomo lo vedesse per la prima volta.
«Sarà un caso difficile, signor Wonicke. La situazione è brutta. Non intendo sottovalutare il compito che mi attende. Il mio primo avversario è la stessa signora Malone.»
Vide Pete accigliarsi e annuì. «Già. I primi ostacoli che dovrò superare sono l’aspetto e l’atteggiamento della signora Malone. Il suo modo di vestire e l’immagine che sceglie di proiettare non sono certo quelli di una madre in lutto. È il ritratto vivente della donna scandalosa.»
«Oddio. Lei parla come...»
L’avvocato alzò la mano. «La prego. Io sono dalla sua parte. Il mio lavoro consiste nel pensare come farebbe una giuria normale. Dodici uomini e donne comuni che non hanno mai conosciuto nessuno come Ruth Malone. Che non riusciranno a concepire il sangue freddo che ci vuole per uccidere due bambini. Che la condanneranno a cuor leggero soltanto per il suo atteggiamento.
«Ho depositato una mozione affinché la signora Malone non venga interrogata sulle sue relazioni extraconiugali. Ma è probabile che venga respinta, e questo significa che la signora Malone non avrà il diritto di replica.»
«Perché dovrebbero respingere la mozione?»
«Perché credono che sia rilevante, signor Wonicke. Perché credono che la sua vita sessuale sia in stretto rapporto con il crimine.»
Sospirò. «E la stampa è a sostegno di questa tesi. Tuttavia, per quanto i suoi ex colleghi le stiano dando del filo da torcere, i discorsi che girano per strada sono assai peggiori.»
«Cosa intende per “peggiori”?»
Scott inspirò profondamente. «Ieri sera sono andato a cena con un vecchio amico in un ristorante non lontano da qui. Un bel posto. Frequentato da bella gente. Ho sentito due donne dietro di me che parlavano del caso e della signora Malone. Una di loro ha detto... perdoni la volgarità... “Io ci vado, al processo. Voglio vedere quella puttana fare la fine che merita.” E l’altra ha risposto: “La penso proprio come te. Non mi piace cadere nel pregiudizio, ma in questo caso è impossibile non farlo. Una zoccola del genere è capace di tutto”.»
Mise giù la forchetta e arricciò il naso.
«Questa torta è stantia.»
Scott informò Ruth che la costituzione in giudizio era una formalità e che sarebbe stata rilasciata su cauzione quel pomeriggio. Le chiese chi avrebbe depositato il denaro e lei rispose: «Mia madre».
Pensò alla faccia rugosa e rubizza di sua madre, alle sue mani rosse e ruvide. Alle preghiere di sua madre al capezzale del marito. Alla sua rabbia. Alla sua vergogna.
«Mia madre depositerà la cauzione.»
Poi parlarono del processo in generale: chi ci sarebbe stato, chi avrebbe avuto il permesso di parlare. L’avvocato le disse che lei non sarebbe stata chiamata a testimoniare, che non avrebbe dovuto comparire alla sbarra. Che non avrebbe avuto voce in capitolo.
E quando lei gli chiese il perché, lui si limitò a rispondere: «È meglio così, si fidi».
Lei cercava di fidarsi di lui, ma percepiva la riluttanza dell’uomo a fare altrettanto con lei. Scott non confidava nella sua capacità di mantenere la calma. Non era convinto che non si sarebbe arrabbiata, che non si sarebbe lasciata trasportare dalle emozioni, che non avrebbe sfidato la giuria. Non era convinto che non sarebbe caduta in trappola e avrebbe rivelato la veridicità delle storie che circolavano sul suo conto: gli uomini, il bere, il sesso.
Pertanto l’uomo credeva più saggio che sedesse in silenzio con gli occhi bassi e le labbra sigillate sotto un fazzoletto di pizzo bianco.
Quando l’incontro fu terminato, lui iniziò a riporre le carte nella ventiquattrore. Ma ci mise così tanto tempo a riordinarle e allineare i bordi che Ruth capì che aveva qualcosa da aggiungere, perciò posò le mani in grembo e attese. E alla fine Scott alzò la testa e la guardò dritta negli occhi, chiuse la valigetta e si schiarì la voce.
«Signora Malone. Dobbiamo parlare del suo aspetto.»
Parlava con tono pacato. Cercava di essere gentile.
Ruth osservò l’abito costoso, la camicia inamidata dell’uomo. Annusò la colonia dalle note legnose e si domandò se la moglie gliene regalasse una boccetta ogni Natale. Immaginò la donna che gli stirava le camicie, che spugnava le cravatte, che apprettava i colletti. Immaginò una chioma argentea e impeccabile, un velo di cipria, una camicetta pulita di colore rosa, un sobrio filo di perle. L’odore di biancheria pulita, di crema idratante alla lavanda.
«Mi scuso per l’indiscrezione. Ma è una questione di fondamentale importanza. Se adotterà uno stile più classico, avrà maggiori opportunità di piacere alla giuria. L’accusa farà di tutto per selezionare una giuria più convenzionale possibile.»
Ruth pensò: quest’uomo sta solo facendo il suo mestiere.
Ma ogni singola parola che pronunciava era un giudizio sul suo aspetto. Su ogni macchia, ogni poro, ogni ruga.
«Forse, se scurisse un po’ i capelli? Se scegliesse una pettinatura meno vistosa? E magari vestisse in modo più castigato?»
Le sue parole erano come rampini che le artigliavano la carne per portare alla luce la sua essenza più tenera e vulnerabile. La parte debole, brutta, sbagliata di lei.
Ruth annusò l’aria in cerca del profumo di lavanda, ma sentì solo sudore, candeggina e cibo andato a male. Il puzzo della paura e della disperazione.
Un mese dopo Scott organizzò un incontro nel suo studio tra Ruth e Salcito. Lei scelse i vestiti con cura – un tailleur rosa, scarpe basse, i capelli appena lavati e acconciati – e raggiunse il centro in macchina, il viso pallido per l’insonnia.
Non sapeva ancora se quella fosse la cosa giusta da fare. Scott le aveva parlato, le aveva detto che doveva farsi vedere in giro con Frank, che il loro matrimonio doveva apparire solido; ma lei non poteva fare a meno di provare compassione per quello che stava per fare. Le sembrava una crudeltà.
Anche se era in anticipo, Johnny era già arrivato e stava discorrendo con Scott nell’ingresso. Stava addossato al muro in modo precario e si mangiava le parole. Sembrava avesse passato la notte in bianco.
Scott offrì loro un caffè e, siccome declinarono, indicò il suo ufficio e annunciò che li avrebbe lasciati soli.
Ruth entrò e si accomodò su una delle poltrone dallo schienale alto che si trovavano davanti alla scrivania. Accavallò le gambe, posò le mani in grembo, riprese fiato. Ma fu inutile: non appena Scott chiuse la porta, Johnny si gettò ai suoi piedi, le strinse le gambe e, piangendo, le disse che l’amava, che aveva sentito la sua mancanza. Lei trattenne il fastidio, la frustrazione, la pietà, lo aiutò a rialzarsi e ad accomodarsi sulla poltrona permettendogli di tenerle la mano. Cercò di parlare in modo spigliato ma serio.
«Mi dispiace, Johnny, ma non potremo vederci per un po’. Il signor Scott ha detto che non starebbe bene prima del processo.»
«E dopo?»
«Be’, vedremo.»
«Quando sarai libera, possiamo riprendere da dove abbiamo interrotto, eh, amore? Che ne dici di un viaggetto, tu e io?»
«Non lo so, Johnny. Ora non riesco proprio a pensare a niente.»
Lei gli tenne la mano, la strinse mentre parlava, ma sentiva la disperazione nella voce dell’uomo. I suoi occhi erano pieni di lacrime.
«Ruth. Ruthie. Ti prego. Io ti amo. Lo sai che ti amo. Voglio sposarti, amore mio. Potremmo avere altri bambini. Insieme. Potrei darti altri bambini. Ti amo, Ruth. Ti prego.»
Lei gli tenne stretta la mano, lo guardò in faccia mentre piangeva, si stupì del disgusto che le saliva dentro: un tempo aveva ammirato quell’uomo. Cercò di tranquillizzarlo, di fargli capire che tutto sarebbe andato bene, ma lui continuava a scuotere la testa.
«Non senza di te, amore. Niente andrà bene se tu non ci sei. Ho bisogno di te, amore... ti prego. Dimmi che anche tu hai bisogno di me. Come facevi prima. Mi dicevi che avevi bisogno di me per stare bene... che nessuno ti faceva stare come me. Dimmi che tutto tornerà com’era prima, amore...»
Mentre parlava crollò di nuovo sul pavimento e cominciò ad accarezzarle le ginocchia, le cosce. Lei lo respinse, abbassò la gonna, cercò di afferrargli le mani, ma lui continuava a insistere e a salire sempre più su.
«Non è... questa non sei tu, Ruthie. Io ti conosco. È stato Frank, o quell’avvocato, Scott, a costringerti a farlo. Ma tu mi vuoi, mi vuoi quanto ti voglio io...»
«Johnny, stai facendo del male a entrambi. Devi capire. Lo sai che è la scelta migliore. Il processo è tra poco e...»
«Fanculo al processo. Si tratta di me e di te. E quando il processo sarà finito? Che ne sarà di noi?»
Lei alzò le mani, fece per parlare, vide Scott sulla soglia e trasse un sospiro di sollievo. Riabbassò la gonna, drizzò la schiena.
Scott chiuse la porta senza fretta e raggiunse il proprio lato della scrivania, concedendo a Johnny qualche secondo per ricomporsi e rimettersi seduto. Lui continuò a singhiozzare, la testa affondata fra le mani. Ruth rivolse a Scott un’occhiata carica di rassegnazione.
«Signor Salcito? Dobbiamo assolutamente parlare del processo. Chiedo a Louise di servirci del caffè forte, d’accordo?»
Scott girò intorno alla scrivania, estrasse un fazzoletto bianco inamidato dal taschino e glielo porse. Alla fine Johnny lo prese. Smise di singhiozzare; si soffiò il naso.
L’avvocato tornò alla sua poltrona, alzò la cornetta.
«Tre caffè, Louise. E porti anche qualche fetta della torta al limone fatta da mia moglie. Grazie, cara.»
Aspettò che Johnny avesse finito di asciugarsi gli occhi e soffiarsi il naso, poi affermò con autorevolezza: «Signor Salcito, l’accusa la chiamerà a testimoniare. Ho bisogno di sapere cosa dirà. Dobbiamo organizzarci per tempo».
Johnny staccò i suoi occhi velati da Ruth.
«Cosa dirà quando la interrogheranno sugli eventi di quella notte? La notte in cui i bambini sono scomparsi.»
L’uomo tirò su con il naso. «Be’, quello che ho sempre detto.»
«Bene. Ricapitoliamo: la notte in cui i bambini sono spariti lei ha telefonato a Ruth e non ha notato niente di insolito, giusto?»
«Sì. Giusto.»
Johnny guardò Ruth e lei gli strinse la mano. Lui la baciò, se l’accostò alla guancia. Un brivido di nausea attraversò il petto di Ruth. Richiuse l’altra mano con forza tale da affondare le unghie nel palmo. Gli sorrise.
«E da quella notte in poi, Ruth le ha mai detto niente riguardo ai bambini?»
«Solo che le mancavano tanto. Che la polizia non stava muovendo un dito per trovare il colpevole.»
«Bene. Molto bene, signor Salcito.»