Ventinove

Ultimo giorno delle vacanze

All’alba m’infilo nel letto di Kitty, confortata dal tenero grumo di carne che è mia sorella addormentata. Barney si unisce a noi, bollente e irrequieto, e usa il mio petto come cuscino. Il letto è affollato e puzza ma è sempre meglio che stare da sola nella mia stanza senza riuscire a dormire, a farmi torturare dalle parole di Toby. Eppure quando il sole comincia a filtrare dalle tende a fiori della nursery sono convinta che Lucian mi dimenticherà a Oxford e sposerà Belinda Bracewell. Certo non si darà la pena di tornare oggi a Black Rabbit Hall per salutare me. Ne sono sicura fino a dopo il pranzo, quando sento il motore che tossicchia lungo il viale. Corro alla finestra della mia stanza.

Col cuore sulle labbra, guardo Peggy – un disco, vista da sopra – scendere di fretta i gradini e aprire la porta del passeggero. Scende Caroline, una sciarpa turchese svolazzante al collo. Aspetto e aspetto. Poi…

La scarpa di Lucian atterra sulla ghiaia. È più eccitante del piede dell’uomo sulla Luna.

Non riesco a respirare. L’ho immaginato un milione di volte nelle ultime ore – di corrergli incontro, il piccolo sorriso segreto che dice «Ti amo», le nostre dita che si sfiorano nell’ingresso – ma adesso che il momento è qui non riesco a muovermi, sono bloccata perché so che dal suo sguardo capirò quello che è successo tra lui e Belinda. Se è successo qualcosa, sarà come vedere un cadavere in fondo a un lago. Così mi siedo sul bordo del letto, nervosa fino alla nausea, e mi pizzico le guance, mi spazzolo furiosamente i capelli e desidero disperatamente di avere un vestito carino. Dopo quelle che sembrano settimane ho i capelli tutti elettrici quando sento il suo passo sulle scale, il tonfo di una borsa lasciata cadere a terra.

Tre colpi, piano: il nostro segnale.

Quando la porta dell’armadio si chiude, cadiamo tra le pellicce, stringendoci disperatamente. È così vero, caldo, così mio che piango di sollievo e felicità. La sua coscia preme forte tra le mie gambe, il respiro si strappa nelle mie orecchie. Continua a spingere, un pulsare crescente, più solido. Una cucitura si strappa nel calore crepitante. Getto indietro la testa e gemo. Niente più confini.

Ci coccoliamo e sussurriamo tornando sulla terra quando sento uno sbuffo, qualcosa che si muove fuori dalla porta dell’armadio. Boris?

«Sst…» Mi ritraggo, aspetto di sentirlo di nuovo.

«Non è niente» dice lui, e si china a baciarmi.

Succede così in fretta. Il sole bianco. Boris che abbaia. Caroline che urla. Afferro una pelliccia per coprirmi e arretro contro le cappelliere.

«Piccola sgualdrina!» strilla Caroline, gli occhi gonfi, rossi.

«Cristo.» Lucian cerca di allacciarsi i pantaloni.

«Vieni qui!» Prima che possa fare altro, il braccio di Caroline scatta e mi trascina fuori dall’armadio, i suoi anelli affondano nella mia carne. Con mio orrore mi strappa di dosso la pelliccia. E sono nuda davanti a lei, senza pelle, cruda, e tremo tanto che cominciano a battermi i denti. «Ma guardati! Stupida, stupida ragazza.» Comincia a strattonarmi, tanto che il seno mi fa male, come se fosse posseduta. Io mi metto a piangere, lacrime bollenti, spaventate.

«Basta!» grida Lucian, pallido dentro l’armadio, le mani sul legno, spingendosi fuori. «Per l’amor di Dio, smettila. Mamma, noi ci amiamo.»

«Vi amate?» Smette di scuotermi, ma la tregua è fragile, come se potesse ricominciare con più forza. «Due fratellastri» sussurra, il labbro arricciato. «Voi non potete amarvi. Non così.»

Chino il capo, incrocio le braccia per coprirmi i seni. Lo spogliatoio rosa comincia a vorticare, come una giostra da incubo. Sento il sale in fondo alla gola, lacrime, sangue, paura. E sorpresa. Caroline si protende e mi dà uno schiaffo, forte, sulla guancia. È un tale shock che non fa nemmeno male.

Lucian le afferra il braccio. La stanza vibra sull’orlo della violenza. «Non azzardarti a picchiarla.»

Caroline guarda la mano del figlio, poi lui, qualcosa cambia nei suoi occhi, la rabbia si raggela in qualcosa di più calcolato, più mortale. «Mi hai tradito in un modo orribile, Lucian.»

«Mi sono innamorato, tutto qui.»

Lei sfila il braccio dalla sua presa, chiude gli occhi, le palpebre tremanti come se piccoli insetti le corressero sotto la pelle. Quando li riapre il suo sguardo è deciso, una determinazione rafforzata. «Ora non ho altra scelta, dovrò dirtelo.»

«Dirmi cosa?» chiede Lucian, all’erta. Ha il torace rosso, è livido.

Prendo la pelliccia da terra, tremando mi copro di nuovo, sento la sua voce nel pulsare della mia testa, non registro il senso di quello che dice.

«Alfred non era tuo padre, Lucian.»

«Cosa? Cosa diavolo stai dicendo?» Lucian fa un passo indietro. Una tristezza terribile comincia ad avanzare come un’ombra sul suo bel viso, abbassandogli gli angoli della bocca, oscurando gli occhi.

«Non ti sei mai chiesto da chi hai preso quei capelli scuri? L’altezza? La bellezza?»

«C’è sangue indiano nella famiglia di papà.»

Caroline scuote lentamente il capo, tenendoci – e con noi la stanza, il tempo – alla sua malata mercé. «Hugo è il tuo vero padre. Hugo Alton.»

Sento il mio singhiozzo come se venisse da qualcun altro. Vedo il nome insanguinato di mio padre appeso in quel silenzio tagliente. Lucian, bianco, gelato, le labbra separate da un urlo muto.

«Stai mentendo» riesce a dire, la voce un sussurro. «Stai mentendo, mamma.»

«Non sapevo di essere incinta quando Hugo mi ha lasciato per Nancy tanti anni fa, mio caro.»

«No.» Lucian scuote forte il capo, cerca di cacciare le parole dalle orecchie.

«Ho sposato Alfred, e quel gentiluomo ti ha allevato come suo figlio. Non ha mai saputo. Nessuno ha mai saputo, Lucian.» Abbassa lo sguardo e la voce, umile, una donna in chiesa. «Ma ora tu sai.»

Uno strano verso sfugge dalla gola di Lucian. Mi protendo a prendergli il braccio, ma lui non reagisce, il suo sguardo mi trapassa. E sento il suo spirito indomito rimpicciolire, il suo cuore ripiegarsi, farsi sempre più piccolo, finché non incontra più il mio.

«Non è vero, Lucian!» grido. «Non crederle.»

Caroline si avvicina al figlio, versandogli il suo veleno nell’orecchio. «Lucian, tu sei il vero erede di Pencraw. E questa sgualdrina è tua sorella.»

Un tonfo fuori dalla porta. Un rumore di passi, un respiro affannoso. Boris. Fa’ che sia Boris.

«Chi è?» Caroline si raddrizza, la vena che pulsa sulla fronte. «Insomma, chi è?»