Rosie
L’ultima scena del film porta con sé un alone di paura – un oceano di paura che mi scorre nelle vene; una presenza sulfurea che invade tutta l’aria.
È sera e sto uscendo da casa di Alex, un luogo senza specchi, senza occhi inquisitori. Un luogo in cui le sue braccia possono stringermi forte e l’aria profuma d’amore. Poppy mi sta coprendo. Sotto gli spessi strati di make up, la lingua lunga, i vestiti troppo corti che mia madre detesta e i capelli biondi, solo poche persone sanno che nasconde un gran cuore e tanta generosità – caratteristiche uniche, che mostra nei brevi momenti che intercorrono tra le pose insolenti e gli attimi di solitudine.
C’è un motivo per cui mi sto allontanando da lui da sola. Mentre cammino a passo svelto nella notte, sento il peso della consapevolezza, sento che so dove sto andando. E ho paura.
È una sera calda, le stelle brillano sopra lo spesso manto di oscurità che mi avvolge. Penso ad Alex, mi riempio la testa con le sue immagini, accarezzo con una mano la collana che mi ha regalato e mi godo la sensazione di essere amata. Persino ora che non siamo insieme, persino quando litighiamo lo sento lo stesso. Sento il suo amore.
Non stavo aspettando la macchina che si avvicina e si ferma davanti a me. La riconosco. Mi coglie di sorpresa. Una novità imprevista. Non ho voglia di salire, ma con le sue parole scaltre e persuasive mi convince. Vuole solo parlare, mi dice. Facciamo una passeggiata. La serata è stupenda e la luna brilla sopra le chiome degli alberi.
Sento l’incertezza che vibra intorno a me come l’acqua sulla superficie di un lago. Camminiamo e io ascolto soltanto, parole che ricordano il passato.
È la serata perfetta per una passeggiata nel bosco…
Imbocchiamo un sentiero che si insinua tra gli alberi, mi racconta la sua disperazione. Ormai siamo nel fitto degli alberi, il terreno è cosparso di foglie cadute. Intorno a noi i tronchi ci circondano disposti in cerchio. Come una vecchia chiesa flebilmente illuminata dalla luna piena, che si erge alta nel cielo terso e tranquillo.
A un certo punto una forza inaspettata mi spinge indietro. Mi colpisce alla testa, spezzandomi il fiato. Sento la corteccia dura a contatto con la pelle.
Lotto. Sbatto le palpebre per mettere a fuoco la vista annebbiata. Mi sento strattonare, vengo buttata di nuovo a terra. Un urlo. Cerco di sottrarmi, ma tutto gira all’impazzata.
Mille pensieri mi invadono il cervello alla velocità della luce. E pian piano realizzo che è proprio la persona di cui mi fidavo, che ho scelto liberamente di seguire fin qui.
Non può essere. Non sta accadendo davvero. È sbagliato. Deve esserci un errore. No. Gli alberi indietreggiano inorriditi dalle mie grida soffocate. Non posso lasciare che succeda. Devo fare qualcosa.
Ma non ci riesco.
Sotto shock, a rallentatore, sento che le gambe mi cedono. Capisco che sono ferita, che sto cadendo. Urlo – un suono strano, mai emesso prima.
Provo un dolore lancinante, mentre ho l’impressione che la testa esploda in un milione di frammenti di luce. Mentre il tempo si allunga fino all’eternità. E poi torna indietro. Mentre il mio stesso sangue, caldo e denso, mi avvolge le mani. Una macchia invisibile nell’oscurità.
E poi il dolore scompare e io sono leggera.
Ed è così che finisce. Osservo le ultime selvagge e crudeli coltellate: gesti frenetici che mi squartano e spezzano le interiora, sciogliendo i fili sottili che mi tenevano legata al mio stesso corpo, rendendomi libera di correre verso la luce che prima non avevo notato, e che adesso si fa sempre più vicina. Sento il suo calore che mi avvolge, la sua luce che mi conforta e so che l’oscurità non mi raggiungerà più.
Ma prima di avvolgermi del tutto, si ferma. È immobile a un passo da me. E poi la luce riprende a muoversi, si allontana con una crudeltà disumana. Allungo le mani, la chiamo, la supplico di tornare. Ti prego…
Non lasciarmi qui…