9
Ottobre
Con il funerale alle spalle e i nostri figli sparsi per il Paese, lo strazio della separazione trova pian piano sollievo al pensiero che lontano da qui sono più al sicuro. E man mano che noi mamme ci abituiamo a queste nuove vite, decisamente più tranquille, decidiamo di incontrarci per organizzare dei turni e andare a trovare Jo. Una buona idea, siamo tutte d’accordo. Ma poi, condividere in questo modo il dolore di Jo, in una casa in cui l’assenza di Rosie è così evidente, è un po’ troppo per tutte. Così zoppichiamo per qualche tempo, poi le visite si arrestano del tutto.
«Sei davvero gentile», dice accogliendomi in casa, bellissima ed elegante come al solito. Indossa una maglia stretta, dei pantaloni di lino chiaro e la classica sciarpa avvolta intorno al collo. Prima del funerale di Rosie ha sistemato i capelli, ora la ricrescita è sparita.
«Ma non devi preoccuparti, Kate. Sto bene».
Non è vero. Come potrebbe stare bene? Anzi, starà mai bene?
«Ho portato una torta». So benissimo che Jo non la mangerà, ma è il gesto che conta. «Al cioccolato. Ho pensato che a Delphine potrebbe piacere».
La prende senza dire una parola. Mentre la seguo giù per i gradini che portano in cucina, il suo telefono sul tavolo inizia a vibrare. Lo guarda.
«Ti dispiace? Probabilmente è per un lavoro che sto facendo per Neal».
«Certo, fai pure. Intanto accendo il bollitore». Comincio a trovarmi a mio agio in questa cucina immacolata e stupenda che è così diversa dalla mia. Ho imparato che devo riempire il bollitore di acciaio dal rubinetto con il filtro incorporato. Una volta per sbaglio ho usato l’altro. Una volta sola.
Prendo due tazze da caffè – che sono diverse da quelle per il tè. Jo le tiene in mensole separate. Noto qualche pezzo nuovo lì dentro, bianco e lucente con i manici decorati con un motivo intricato. Lei è ancora immersa nella conversazione e, un po’ distrattamente, afferro una di quelle tazze nuove e la osservo da vicino, ammirandone la forma insolita prima che mi sfugga delle dita e si frantumi sul pavimento. Jo solleva lo sguardo, inorridita.
«Sono davvero mortificata», le dico almeno una decina di volte. Sembra davvero dispiaciuta. «Ti prego, lascia che te la ripaghi».
«Oh, non ti preoccupare», risponde, con un sorriso forzato – lo riconosco subito. «Sul serio, non fa niente, Kate. È solo una tazza! E comunque, è colpa mia. Non sarei dovuta stare al telefono tutto quel tempo».
Davvero si sta prendendo la colpa per la mia goffaggine? Mi ricorda una cosa che dissi a Grace… quando aveva quattro anni. È colpa mia se hai rovesciato i colori: avrei dovuto tenerti d’occhio.
Andiamo avanti, parlando del più e del meno. Chiacchieriamo del tempo, fa un caldo del tutto fuori stagione, le faccio i complimenti per la sua cucina meravigliosa. Si vede che il mio commento le fa piacere, perché mi racconta con una verve piuttosto bizzarra della ditta che l’ha progettata su misura per loro. Dice che non è perfetta. Per la prossima volta hanno già in mente qualcosa di meglio.
E poi passo a parlare del loro giardino, è evidente che dietro ci sia la mano di qualcuno che sa il fatto suo. È raro trovare composizioni così studiate e così attente alle diverse stagioni. Qualcosa è cambiato dall’ultima volta che sono venuta qui. Un piccolo melo è stato piantato di recente. Non certo da Jo, con le sue mani perfette. Lo smalto ne è una prova inconfutabile.
«È davvero un bell’albero, Jo. Sai per caso di che varietà si tratta?».
Fa di no con la testa. «Temo di non essere proprio ferrata in giardinaggio».
«È Neal che se ne occupa?». Indico la finestra. Il prato, ampio e perfettamente falciato, è delimitato da piante eleganti e curate. Il nuovo alberello è proprio all’estremità.
«Oh, no… Viene una persona una volta alla settimana. Ah, piuttosto, devo chiamarlo. Ha saltato già due sessioni». Scuote la testa. «O forse non viene più. Mi confondo così spesso». Mi guarda scossa. «Lui e Neal non andavano granché d’accordo».
«Neal dov’è?»
«È partito».
«E per quanto tempo starà via?». Non posso credere che l’abbia lasciata sola così presto, dopo il funerale di Rosie.
«Non voleva andare», aggiunge, leggendo i miei pensieri. «Ma doveva tornare in Afghanistan, non per lavoro stavolta. Insieme ad altri colleghi hanno fondato un ente di beneficenza. Per gli orfani di guerra».
«Non ne sapevo nulla». Laura mi aveva parlato di un orfanotrofio, ma non mi aveva detto che era stato Neal a fondarlo. Di colpo, Neal Anderson è entrato nella mia lista personale di gente che fa del bene al mondo, che fa la differenza. E magari, è anche un modo per svagarsi e allontanarsi da qui. «Devi esserne orgogliosa».
Annuisce. «È il motivo principale per cui non lavoro. Oh, so che molte madri pensano che io non faccia niente nella vita, ma a volte sta via per intere settimane. E comunque sia, io gli do una mano: compilo le scartoffie, faccio le chiamate, organizzo le riunioni».
Più parla, più mi rendo conto che so davvero poco su di lei. Su di loro.
«Perché non lasci che vi aiuti io con il giardino? Solo per un po’. Potrei incastrare un paio d’ore. Se vuoi, naturalmente».
Ma Jo non risponde. Ha lo sguardo perso oltre gli alberi, persino oltre il cielo. In un punto lontanissimo in cui non posso raggiungerla.
Mi chino per sfiorarle il braccio. «Jo? Deve essere davvero dura…».
Sento il suo dolore con ogni fibra del mio corpo.
Non distoglie lo sguardo. «A volte mi chiedo», parla con una voce lontana mille miglia, «che cosa abbia mai fatto per meritarmi tutto questo, Kate. Quello che ho sempre voluto, sempre, da quando riesco a ricordare, è una famiglia felice. E pensavo che fosse una cosa facile, che avrei potuto farcela…».
Mi viene un groppo in gola. La capisco, condivido ogni parola, ogni sentimento. Per una madre, solo una cosa conta nella vita: la famiglia.
«Non riesco a parlarne», bisbiglia, distogliendo finalmente lo sguardo. Incrocia i miei occhi, mostrandomi tutto il profondo abisso del suo dolore. «Mi dispiace…».
Mentre la osservo, capisco quanto sia vicina a cadere in mille pezzi, proprio come la tazza. Ha un aspetto orribile, anche considerando tutto il suo dolore. Si alza in piedi, scostando la sedia, fa fatica a restare in piedi.
«Perché non ti sdrai un attimo, Jo? Prova a riposare un po’».
Vorrei essere in grado di alleviare il peso che le grava sulle spalle. Con tutto il cuore.
«Era tutto così tremendo», racconto ad Angus più tardi. Dopo il tepore della giornata, la sera ha portato con sé una leggera frescura, tanto che abbiamo acceso il fuoco per la prima volta nella stagione. Siedo sul divano insieme a mio marito, con la testa appoggiata sulla sua spalla e i piedi in su. Beviamo un bicchiere di vino e osserviamo le fiamme che scoppiettano stagliandosi contro il muro del camino.
«Ogni volta che vado là è la stessa storia. È lei che porta avanti tutto da sola. Non ho idea di come faccia. Dopo la prima volta, non ha più pianto».
«Probabilmente questo è il suo modo di superare le cose. Le persone reagiscono in modi differenti, no?», dice Angus. «E Dio solo sa cosa ti passa per la testa quando scopri che qualcuno ha ucciso tua figlia».
«Vero». Me lo sono chiesto anch’io. E continuo a farlo, forse anche troppo. Mi sforzo di immaginare un dolore che può soltanto essere una pallida eco di quello che prova Jo.
Restiamo in silenzio. Ora penso a Grace. Ha chiamato un paio di volte, qualche breve telefonata che mi ha lasciato con gli occhi lucidi e il cuore pieno d’orgoglio. Si sta ambientando, staccandosi quasi del tutto da noi. Spiegando le sue meravigliose e iridescenti ali.
«Com’è bello, tutto questo, no?». Angus si appoggia allegramente allo schienale, con i piedi sul tavolino. «La casa tutta per noi… Il frigo ancora pieno e nessun adolescente che entra ed esce dalla porta. E Grace sta facendo esattamente quello che abbiamo sempre sognato per lei».
Ha ragione. Mi stringo a lui e mi immergo nel suo calore, con i piedi stretti sotto di me. Provo a godermi questo momento. Ma non ci riesco del tutto.
Quando la morte di Rosie si mescola e si perde nel turbine di cose che fanno da sfondo alle nostre vite, anche gli ultimi fiori che per settimane sono stati consegnati quotidianamente a casa di Jo cominciano a perdere i petali. Ma a parte i fiori, è proprio la stanza che sembra diversa quando torno a trovarla.
«Divano nuovo?». Sicuramente dalla mia voce traspare tutta la mia sorpresa, perché Jo mi fissa con uno sguardo tagliente.
«Avevamo pensato di cambiare i mobili… prima… Ma l’avevo dimenticato, finché ieri non mi sono ritrovata il divano in salotto».
«Che seccatura dev’essere stata. Voglio dire, forse non era proprio il momento giusto».
«Oh, non fa niente», taglia corto. «È solo un divano. Ti va un tè?»
«Sì, grazie. Sei riuscita a rintracciare il giardiniere?», le chiedo seguendola in cucina, mentre penso che questa conversazione così normale e insulsa, su cose assolutamente prive di importanza, è in un certo senso un po’ bizzarra.
«Non verrà più», risponde mantenendosi sul vago. «Neal ha trovato un ragazzo della zona che verrà a togliere le foglie secche quest’inverno. E a essere sinceri, il giardino è proprio l’ultima cosa a cui voglio pensare ora. Troveremo qualcuno la prossima primavera».
Ha ragione. Ci sono cose molto più importanti di cui preoccuparsi. «Dimmi, Jo… Come sta Delphine? È sempre a scuola quando vengo a trovarti. Non la vedo mai».
Riflette a lungo prima di rispondere. «Be’… è sorprendente. È completamente diversa da Rosanna. La polizia ha mandato una persona con cui farla parlare – un agente incaricato dei rapporti con la famiglia, lo chiamano. Ma lei sta bene. Per essere così giovane, è davvero forte».
Mi pare un giudizio piuttosto distaccato, senza la minima ombra d’affetto. Osservo Jo e mi chiedo se ci sia qualcosa sotto. Ha la voce piatta, le sue parole sono troppo misurate, nella sua voce percepisco con chiarezza la stessa alienazione che avevo notato subito dopo il ritrovamento del corpo di Rosie. Lo stesso vuoto negli occhi. A meno che, come sostiene Angus, questo suo ritrarsi non sia l’unico modo che è riuscita a elaborare per tirare avanti.
Distoglie lo sguardo. «La polizia me l’ha detto. Che Rosanna veniva spesso a vedere i tuoi cavalli».
C’è una minuscola punta di risentimento nella sua voce.
«Ogni tanto, se passava dalle mie parti. Si avvicinava al campo soltanto per salutarli. Non si tratteneva mai tanto», la rassicuro, un po’ imbarazzata che l’abbia saputo da qualcun altro. «Adorava i cavalli. Te l’avrei detto subito, ma ho sempre pensato che ne fossi già al corrente».
È più facile mentire che dirle la verità. Persino ora, mi sembrerebbe di tradire la fiducia di Rosie.
Jo scuote lentamente la testa. «Non lo sapevo», risponde. E con la voce rotta, aggiunge: «Non sapevo neanche che fosse amica di Poppy, in fin dei conti, no? Chissà quante altre cose non conosco».
Mi sento profondamente in colpa per aver aggiunto un altro peso sulla sua schiena. «Avrei dovuto dirtelo, ma davvero, in fondo non c’era poi niente da dire, Jo. I nostri incontri non erano mai pianificati. Hai presente quando incroci qualcuno che conosci per strada e ti metti a chiacchierare? Ecco, era una cosa così».
Si asciuga il viso con un fazzolettino.
«Scusami, Kate. Esagero sempre… Sono felice che venisse a trovare i tuoi cavalli. E te».
Lentamente ritorna al tè che stava preparando. Mi sento uno schifo, cerco di spostare l’attenzione sulla figlia che ancora le rimane. Sono sicura che la piccola starà soffrendo moltissimo.
«Delphine ha molti amici?»
«Un paio. Per un periodo si vedeva con una ragazza terribile, ma abbiamo scoraggiato con forza quell’amicizia. Non andava bene».
Un’altra Poppy. Mi fa tornare in mente un’amica di Grace di qualche anno fa. Cleo. Chiassosa, sempre con quelle minigonne invisibili e la puzza di fumo addosso. Mi ha fatto sputare sangue quella lì, volevo a tutti costi allontanare Grace da lei. È stato Angus a farmi desistere, a convincermi che sarebbe andato tutto bene anche se fossimo rimasti solo a guardare: una presenza sullo sfondo, non soffocante, ma comunque vicina. E aveva ragione.
«Ce ne sono sempre di ragazze così, eh?», dico, comprensiva. «Bisogna solo lasciare che facciano i loro sbagli, no?»
«Neal non è molto indulgente», risponde. «Ha degli standard parecchio alti. Vuole solo il meglio per loro, per… lei».
Fa confusione con l’uso del singolare, ancora non ci ha fatto l’abitudine. Tutti i genitori vogliono il meglio per i propri figli. E Jo può dire quello che vuole, ma Delphine non sarà poi tanto forte se sono i suoi genitori a decidere con chi può fare amicizia.
«Rosanna le manca terribilmente». Jo versa il tè e si siede di fronte a me. «E i giornali non ci aiutano di certo».
Scuoto la testa. «Deve essere tremendo, per tutti voi. Soprattutto…», mi interrompo a metà frase. Non posso parlare dei pettegolezzi che girano tra i vicini.
«Che stavi per dire?», Jo alza lo sguardo dalla sua tazza.
Mi sento di nuovo in imbarazzo, mi arrampico sugli specchi. «Niente, davvero».
Ma poi cambio idea, perché penso che Jo debba sapere.
«No, in realtà non è vero che non è niente. Ripensavo ai pettegolezzi che i giornali stanno diffondendo. Su Rosie e la sua fantomatica vita segreta. È una vergogna».
Jo raggela. «Non aveva nessuna vita segreta, davvero. Era una brava ragazza che si dedicava anima e corpo allo studio. Sono tutti pettegolezzi, Kate. I giornali ci sguazzano in certa roba». Gira il tè e poi alza di nuovo lo sguardo. «Sai come vanno queste cose. La metà delle volte stampano solo quello che fa notizia. La cosa migliore è cercare di non farsi condizionare».
Non so se ce la posso fare. Non come ce la fa lei – almeno all’apparenza. «E Neal? Come se la sta cavando?».
È una domanda cortese, non voglio impicciarmi. Spesso la perdita di un figlio può distruggere anche le famiglie più unite. Vedo il dolore che pian piano riempie gli occhi di Jo.
«È devastato. Si sta buttando sul lavoro. È così che fa lui, sai, per non pensare. Cerchiamo di essere forti l’uno per l’altra, ma sotto sotto sta come me. Solo che lui lo nasconde meglio. È un uomo meraviglioso, Kate».
«Tutti e due lo siete, Jo. Forti. Meravigliosi».
Lei scuote la testa, ha gli occhi lucidi. «Grazie. Ma io non lo sono affatto».
Due giorni dopo, appena finisco di fare colazione, sento bussare alla porta.
Vado ad aprire, scocciata di essere stata interrotta mentre mi preparavo per il lavoro, e trovo Laura in piedi sull’uscio.
«Kate! Spero non ti dispiaccia se mi sono presentata qui, è solo che non ho più il tuo numero. E Beth Van Sutton mi ha detto dove trovarti».
«Ciao! Scusami, ti farei entrare, ma mi sto precipitando al lavoro».
Sembra tanto una scusa, e Laura ha uno sguardo dubbioso: non sa bene se la stia liquidando o no.
Esito un secondo. Rachael ha ragione: dovrei quanto meno parlarle per bene. «Perché non torni dopo… Verso l’una? Facciamo pranzo assieme?».
Adesso mi sembra decisamente sollevata. «Certo, grazie. Sarebbe magnifico».
Le ore trascorse a potare e sistemare il giardino di un cliente mi permettono di riordinare i pensieri e allontanarmi dai preconcetti e dai pregiudizi che nutro nei confronti dei giornalisti. L’unica cosa che voglio, esattamente come ogni altro genitore della zona, è sapere cosa è successo. E forse, in qualche modo, Laura potrebbe svolgere un ruolo importante. Per l’ora di pranzo, la decisione è presa.
«Vieni, entra. E scusa il disordine, sono tornata da poco».
«Figurati. Dovresti vedere casa mia. E poi sono soltanto io, non ti devi preoccupare». Mi segue dentro.
«Siediti. Finisco di mettere insieme un paio di cose e poi potremmo mangiare fuori».
«Perfetto». Laura si accomoda su una delle mie sedie di legno malconce e la gonna si alza appena sopra il ginocchio mostrando le gambe abbronzate e perfette.
«Allora, come va? Hai trovato quello che cercavi?»
«Piano piano… Ci sono sempre persone che hanno voglia di parlare, e pure tanto, ma non dicono niente che sia rilevante per il caso di Rosie. E poi invece c’è chi non vuole neanche incontrarmi».
Tipo me, penso.
«So che non è niente di personale», continua. «Pensano che sia una specie di diavolo solo perché faccio la reporter».
Il cucchiaio che ho in mano mi sfugge dalle dita, cadendo rumorosamente a terra.
Ma quando andiamo a sederci fuori, con il pranzo pronto sul tavolo all’ombra di una vecchia quercia, inizio a rilassarmi vedendo il vecchio fuoco della nostra amicizia che ritorna a scoppiettare. E divento anche curiosa, voglio saperne di più della sua vita.
«Allora, dimmi. Come mai ti sei trasferita?»
«Mi avevano offerto un lavoro. Dieci anni fa». Si versa nel piatto un po’ di insalata e qualche fetta di prosciutto. «Non potevo rifiutare. Vedi, sono tornata all’università e mi sono laureata in psicologia. E Lifetime aveva bisogno di qualcuno che scrivesse dei problemi di chi soffre di disagi mentali. All’epoca, volevo solo andarmene da qui… Era proprio l’occasione giusta, al momento giusto. Fortuna».
«Niente figli?». Già ho notato che non porta la fede.
Fa di no con la testa. «Avevo un ragazzo. Una storia lunga. Comunque sia, a quanto pare sto meglio senza di lui. Ho degli amici fantastici e amo il mio lavoro».
Ma mentre mangiamo, sento di doverglielo chiedere.
«Allora…». Prendo tempo, non sapendo bene come porle la domanda. «In che modo sei diversa dagli altri giornalisti?»
«Be’», assume un tono molto più professionale, «dimentica tutto quello che sai sulla stampa scandalistica. A me non interessa finire in prima pagina. La storia si trova sempre, ma io voglio di più. Con Rosie, credo che il punto sia vedere la questione dalla parte dei genitori. Capire non solo cosa è successo, ma perché. Rosie era già una vittima, in un certo senso, ancora prima della morte? Immagino che si possa dire che è ciò che si nasconde dietro alla storia che davvero mi interessa».
Mentre parla, mi viene la pelle d’oca: mi rendo conto che non voglio solo vedere il suo assassino in prigione, anche io voglio sapere perché.
«Ok», rispondo a mezza voce. «Chiedimi tutto quello che vuoi».
Sembra sorpresa. «Sei sicura, Kate? Ti capirei se preferissi di no».
«No, va bene così. Ci ho pensato a lungo. E mi fido di te. Non farà del male a Jo, anzi, potrebbe pure essere d’aiuto».
Laura mi guarda con riconoscenza. «Grazie. Hai tempo? Vogliamo iniziare subito?».
Annuisco e lei afferra la borsa, tirando fuori un taccuino rivestito di pelle.
«Ok. Perché non mi dici come hai conosciuto gli Anderson?».
Racconto a Laura le stesse cose che ho detto alla polizia, inclusa la collana. Lei prende nota di tutto, e solo alla fine si ferma per farmi una domanda.
«Tua figlia non ha la sua stessa età?».
Annuisco. Ha fatto i compiti, vedo. Ma, in fin dei conti, dovevo aspettarmelo, no?
«E non erano amiche?»
«Non particolarmente. Non che non andassero d’accordo. Erano semplicemente molto diverse».
«E non stavano insieme quando veniva a vedere i cavalli?»
«No».
«E non ti è sembrato strano?»
«Non ci ho mai riflettuto troppo. Era estate, faceva caldo, Grace cavalcava la mattina presto e la sera stava sempre con i suoi amici. L’ho sempre vista in questo modo».
L’eco della voce di Grace mi risuona in testa. Sai quando Rosie viene a vedere i cavalli? Non lo fa mai quando ci sono anch’io, l’hai notato? È come se non volesse stare soltanto con i cavalli… ma con te.
Corrugo la fronte.
«Anche Grace ha detto qualcosa a riguardo. Solo una volta. Pensava che Rosie venisse apposta quando lei non c’era».
Laura scrive e poi alza lo sguardo, pensierosa. Inclina la testa.
«Ho parlato con diverse persone», dice lentamente, «che, in tutta onestà, probabilmente non la conoscevano bene come te. Sto provando a costruirmi un quadro della gente che le era intorno – tutte le sue relazioni, insomma. Cosa faceva, dove andava, chi avrebbe potuto incontrare… Qualcuno mi ha parlato di un ragazzo e nessuno ha mai detto qualcosa di negativo su di lei – né sugli Anderson. Qualche stronza ha fatto un commento su Jo, forse, ma è una donna bellissima. E la gente è invidiosa».
«Grace mi ha detto che c’era un gruppetto di ragazzi che gironzolava qua intorno. Sbandati, diceva lei. Una sua amica comprava l’erba da loro».
Laura mi osserva, piena di domande.
«Continuo a chiedermi…», esito.
«Kate, al mondo ci sarà sempre gente che vende droga».
«No, non è questo. È solo che, be’, mi chiedo se Rosie non li conoscesse. O se magari si è trovata immischiata con loro per colpa di qualcun altro. Tipo Poppy, la sua amica».
«Questa è l’altra questione… Girano un mucchio di voci, Kate, su un presunto fidanzato. Ma a quanto pare nessuno ha idea di chi fosse».
«Jo mi ha detto che non è mai esistito nessun ragazzo».
Laura aggrotta la fronte. «Forse lei non lo sapeva. Potrei provare a parlare con Poppy. Tu sai dove abita?»
«Posso chiederlo a Grace. Ma non ci spererei troppo. E comunque sta’ attenta: la sua famiglia è… parecchio intimidatoria, diciamo».
«Oh. Va bene».
Laura infila una mano in borsa e tira fuori un biglietto da visita. «Se ti viene in mente qualcos’altro, chiamami. Ok?».
Laura se n’è andata da poco quando qualcuno bussa alla porta cogliendomi di sorpresa.
«Signora McKay?». È l’agente Beauman, e c’è un altro poliziotto nella macchina parcheggiata fuori. «Scusi se la disturbo di nuovo, le dispiacerebbe farmi dare uno sguardo alle stalle?»
«No, certo che no. Adesso?».
Annuisce.
«D’accordo. Prendo solo gli stivali».
Vado a cercarli, chiedendomi cosa sperano di trovare. Sono profondamente scossa al solo pensiero.
Come se non bastasse, quella stessa sera, prima del rientro di Angus, sento un’altra macchina che entra nel vialetto, poi passi concitati e infine colpi violenti alla porta. Dalla finestra della cucina, scopro che è Jo.
Corro alla porta, apro, aspettandomi il peggio. Sembra devastata. Ha gli occhi gonfi e rossi e i capelli in totale disordine. Piange a dirotto e tutto il suo corpo è scosso dai singulti.
«Jo… che è successo? Che c’è?».
Apro le braccia e lei seppellisce il volto nella mia spalla. Con un verso terribile e bestiale, dà sfogo a tutto il suo enorme dolore.
Molto più tardi, quando finalmente è riuscita a calmarsi, la faccio mettere a sedere, senza lasciarla un secondo.
«Mi dispiace», singhiozza. «Non sapevo dove altro andare».
«Va tutto bene, Jo. Davvero, è tutto a posto».
Alzando il viso distrutto dalle lacrime, risponde: «No, Kate. Non è tutto a posto, e non lo sarà mai più».
«Che succede? Hanno trovato l’assassino di Rosie?».
Scuote la testa, e poi sussurra: «Neal».
Sentendo il suo nome, mi pietrifico dalla paura. Questa famiglia ha già sofferto tanto, troppo. «Gli è successo qualcosa, Jo?».
Ha il volto affranto, le parole si confondono. «… abbiamo litigato. Neal ha detto… che sono una madre orribile…».
Resto di sasso. Soffrono entrambi, sono entrambi distrutti dal dolore. Come può essere così crudele?
«Oh, Jo. È una cosa terribile, ma lo sai che non è vero. Tu le volevi bene, era tua figlia».
Ma mi strattona via.
«Non capisci». Ha gli occhi invasati, si muovono da una parte all’altra come se stesse freneticamente cercando qualcosa. «Avrei dovuto proteggerla…».