2.
ANATOMIA DI UN “SEQUESTRO” EMOZIONALE.
“La vita è una commedia per coloro che pensano e una tragedia per coloro che sentono”.
HORACE WALPOLE.
Era un caldo pomeriggio d'agosto del 1963, lo stesso giorno in cui il reverendo Martin Luther King tenne il suo celebre discorso, “I Have a Dream”, in occasione di una marcia su Washington per i diritti civili. Quel giorno, Richard Robles, uno scassinatore incallito che era stato appena rilasciato sulla parola dopo una condanna a tre anni per le oltre cento effrazioni effettuate per procurarsi l'eroina, decise di mettere a segno un altro colpo. In seguito Robles raccontò che si era deciso a rinunciare al crimine, ma che aveva un disperato bisogno di denaro per la sua compagna e la loro bambina di tre anni.
L'appartamento in cui penetrò quel giorno era quello di due giovani donne, la ventunenne Janice Wylie, che lavorava presso la rivista “Newsweek”, e la ventitreenne Emily Hoffert, una maestra elementare. Sebbene Robles avesse scelto per la rapina un appartamento nell'Upper East Side - una zona elegante di New York - perché pensava di non trovarci nessuno, Janice era in casa. Minacciandola con un coltello, Robles la legò; poi, mentre se ne stava andando, Emily rientrò a casa. Per coprirsi la fuga, Robles cominciò a legare anche lei.
A distanza di anni Robles racconta che mentre stava legando Emily, Janice Wylie gli disse che non l'avrebbe fatta franca: affermò che avrebbe ricordato la sua faccia e si sarebbe data da fare per aiutare la polizia ad acciuffarlo. Avendo promesso a se stesso che quello sarebbe stato il suo ultimo colpo, a quelle parole Robles fu assalito dal panico e perse completamente il controllo. Come una furia, afferrò una bottiglia di soda e la usò per colpire le due donne finché non persero i sensi; poi, travolto dalla collera e dalla paura, le massacrò con un coltello da cucina. Ripensando a quei momenti circa venticinque anni dopo, Robles affermava: “Ero completamente fuori di me. La mia testa era come esplosa”.
Finora, Robles ha avuto modo di rimpiangere moltissime volte quei pochi istanti di collera incontrollata. Mentre sto scrivendo egli è ancora in prigione, a distanza di circa trent'anni, per quello che divenne noto come “l'assassinio delle ragazze in carriera”.
Tali esplosioni emozionali sono una sorta di “sequestro” neurale. Sembra che in quei momenti, un centro del sistema limbico dichiari lo stato di emergenza imponendo a tutto il resto del cervello il proprio impellente ordine del giorno (in altre parole, “sequestrandolo”). Il colpo di mano avviene in un attimo, innescando la reazione alcuni istanti prima che la neocorteccia - il cervello pensante - abbia avuto la possibilità di comprendere appieno ciò che sta accadendo - e quindi sicuramente prima che abbia potuto valutare se si tratti o meno di una buona idea. Il carattere distintivo di questo “sequestro” neurale è che, una volta passato il momento cruciale, le persone che ne sono state vittime hanno la sensazione di non sapere che cosa sia capitato loro.
Questi “sequestri” neurali non sono assolutamente incidenti isolati e orribili che portano automaticamente a crimini come quello che abbiamo appena descritto. In forma meno catastrofica - ma non necessariamente meno intensa - essi ci capitano con una discreta frequenza. Provate a pensare all'ultima volta che avete perso le staffe e avete messo le mani addosso a qualcuno - forse a vostra moglie o a vostro figlio, o magari a un altro automobilista - trascendendo a tal punto che in seguito, riflettendo con il senno di poi, la vostra reazione vi è sembrata ingiustificata. Con ogni probabilità si è trattato anche in quel caso di uno di questi “sequestri” neurali che, come vedremo, hanno origine nell'amigdala, un centro del sistema limbico del cervello.
Non tutti i “sequestri” messi a segno dal sistema limbico hanno un carattere sconvolgente. Quando qualcuno trova una barzelletta talmente spassosa da riderne a crepapelle, anche quella è una risposta del sistema limbico. Esso è all'opera anche in momenti di intensa gioia: Dan Jansen aveva tristemente fallito diversi tentativi di cogliere l'oro olimpico per il pattinaggio su ghiaccio in velocità, impresa che aveva fatto voto di realizzare per la sorella morente; quando finalmente vinse l'oro nella specialità dei 1000 metri alle Olimpiadi Invernali del 1994 in Norvegia, sua moglie fu talmente sopraffatta dall'eccitazione e dalla felicità che dovette ricorrere d'urgenza alle cure dei medici che si trovavano ai bordi della pista, pronti a intervenire in caso di emergenza.
La sede di tutte le passioni.
Negli esseri umani l'amigdala (un termine derivante dalla parola greca che significa “mandorla”) è un gruppo di strutture interconnesse, a forma appunto di mandorla, posto sopra il tronco cerebrale vicino alla parte inferiore del sistema limbico. Ci sono due amigdale, una su ciascun lato del cervello. L'amigdala umana è relativamente voluminosa rispetto a quella di tutti gli altri primati (le specie a noi più affini dal punto di vista evolutivo). L'ippocampo e l'amigdala erano due parti fondamentali del rinencefalo che, nel corso della filogenesi, diede origine alla corteccia primitiva e poi alla neocorteccia. Oggi queste strutture limbiche compiono gran parte del lavoro di apprendimento e memorizzazione svolto dal cervello; l'amigdala è specializzata nelle questioni emozionali: se viene resecata dal resto del cervello, il risultato è una evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi - condizione che viene a volte indicata con l'espressione “cecità affettiva”.
Private del loro significato emozionale, le interazioni umane perdono di interesse. Un giovane al quale era stata rimossa chirurgicamente l'amigdala per controllare i gravi attacchi epilettici cui era soggetto perse completamente ogni interesse per le persone, e preferiva starsene seduto da solo senza aver alcun contatto umano. Sebbene fosse perfettamente capace di conversare, non riconosceva più i suoi amici, i parenti e nemmeno sua madre, e rimaneva impassibile di fronte all'angoscia che il suo comportamento indifferente suscitava in loro. Privato di un'amigdala, egli sembrava non solo aver perduto tutta la sua capacità di riconoscere i sentimenti, ma anche quella di provare sentimenti sui sentimenti (1). L'amigdala funziona come un archivio della memoria emozionale ed è quindi depositaria del significato stesso degli eventi; la vita senza l'amigdala è un'esistenza spogliata di significato personale.
All'amigdala è legato qualcosa di più dell'affetto: tutte le passioni dipendono da essa. Gli animali ai quali essa sia stata rimossa o resecata non provano più rabbia o paura, perdono l'impulso a cooperare o a competere e non hanno più percezione alcuna della propria posizione nell'ordine sociale della specie cui appartengono; l'emozione è smorzata o assente. Le lacrime, un segnale emozionale esclusivo degli esseri umani, sono stimolate dall'amigdala e dal giro del cingolo, una struttura ad essa vicina; l'attività di tali regioni del cervello viene smorzata quando siamo sorretti, accarezzati o confortati in qualche altro modo, e questo placa i singhiozzi del pianto. Ma senza l'amigdala, non ci sarebbe alcun pianto da confortare.
Joseph LeDoux, un neuroscienziato che lavora al Center for Neural Science della New York University, fu il primo a scoprire il ruolo fondamentale dell'amigdala nel cervello emozionale (2). LeDoux fa parte di una nuova scuola di neuroscienziati i quali, ricorrendo a metodi e tecnologie innovative che consentono di mappare il cervello del vivente con un livello di precisione precedentemente impensabile, hanno potuto mettere a nudo misteri della mente che in passato erano rimasti inaccessibili a intere generazioni di scienziati. Le scoperte di LeDoux sui circuiti del cervello emozionale hanno rovesciato idee sul sistema limbico che avevano resistito a lungo, ponendo l'amigdala al centro dell'azione e attribuendo alle altre strutture limbiche ruoli molto diversi (3).
La ricerca di LeDoux spiega in che modo l'amigdala riesca a mantenere il controllo sulle nostre azioni anche quando il cervello pensante - la neocorteccia - deve ancora arrivare a una decisione. Come vedremo, l'attività dell'amigdala e la sua interazione con la neocorteccia sono al centro dell'intelligenza emotiva.
Un “grilletto” molto sensibile.
Estremamente interessanti per comprendere il potere delle emozioni nella vita mentale sono i momenti in cui agiamo spinti dalla passione - momenti dei quali più tardi, una volta placatasi la tempesta, ci pentiamo; il punto sta nel cercare di capire come mai sia tanto facile diventare così irrazionali. Prendiamo, ad esempio, il caso di quella giovane donna che si sobbarcò due ore di macchina fino a Boston per far colazione con il fidanzato e passare la giornata con lui. Durante la colazione, egli le diede un regalo che la giovane desiderava da mesi, una stampa artistica molto difficile da trovare, fatta venire dalla Spagna. Ma la gioia della donna svanì quando propose al fidanzato di recarsi, subito dopo colazione, a vedere un film che le interessava: l'uomo la lasciò di sasso spiegandole che aveva un allenamento di softball e che quindi non potevano passare la giornata insieme. Ferita e incredula, la giovane scoppiò in lacrime, lasciò il locale e, d'impulso, gettò la stampa in un cestino dei rifiuti. Mesi dopo, raccontando l'incidente, non si rammaricava di aver piantato in asso il fidanzato seduto al tavolo del locale, ma rimpiangeva ancora la perdita della stampa.
E' in momenti come questi - quando il sentimento impulsivo travolge la nostra componente razionale - che il ruolo appena scoperto dell'amigdala è fondamentale. I segnali in entrata provenienti dagli organi di senso consentono all'amigdala di analizzare ogni esperienza andando, per così dire, a caccia di guai. Questo suo ruolo mette l'amigdala in una posizione di grande influenza nella vita mentale, facendone una sorta di sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e ogni percezione, sempre guidata da un unico interrogativo, il più primitivo: “E' qualcosa che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo?”. Se la risposta è affermativa - se in qualche modo la situazione profila un “Sì” - l'amigdala scatta immediatamente, come una sorta di “grilletto” neurale e reagisce telegrafando un messaggio di crisi a tutte le parti del cervello.
Nell'architettura cerebrale, l'amigdala è come una di quelle centraline programmate per inviare chiamate di emergenza ai vigili del fuoco, alla polizia e a un vicino di casa ogniqualvolta il sistema di allarme istallato all'interno di un'abitazione segnali un problema.
Quando scatta l'allarme della paura, ad esempio, l'amigdala invia messaggi di emergenza a tutte le parti principali del cervello: stimola la secrezione degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga, mobilita i centri del movimento e attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l'intestino (4). Altri circuiti che si dipartono dall'amigdala segnalano l'ordine di secernere piccole quantità di noradrenalina, un ormone che aumenta la reattività delle aree chiave del cervello, comprese quelle che rendono più vigili i sensi, mettendolo così in uno stato di allerta. Altri segnali emessi dall'amigdala ordinano al tronco cerebrale di far assumere al volto un'espressione spaventata, di bloccare i movimenti eventualmente già intrapresi dai muscoli, di accelerare la frequenza cardiaca e innalzare la pressione sanguigna, rallentando nel contempo il respiro. Altri segnali ancora attirano l'attenzione su ciò che ha scatenato la paura e preparano la muscolatura a reagire in modo appropriato. Simultaneamente, i sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati con precedenza assoluta per richiamare ogni informazione utile nella situazione di emergenza contingente.
E questi sono solo una parte di tutti i cambiamenti, meticolosamente coordinati, che l'amigdala armonizza arruolando le aree di tutto il cervello (per una descrizione più dettagliata, si veda l'Appendice C). L'estesa rete di connessioni neurali dell'amigdala le consente, durante un'emergenza emozionale, di “sequestrare” gran parte del resto del cervello - ivi compresa la mente razionale - e di imporle i propri comandi.
La sentinella delle emozioni.
Un amico mi raccontava che un giorno, mentre era in vacanza in Inghilterra, stava facendo colazione in un caffè sulla riva di un canale. Finito di mangiare, mentre faceva quattro passi verso la riva, vide improvvisamente una ragazzina che fissava l'acqua con il volto paralizzato in una smorfia di terrore. Senza sapere perché, si gettò nel canale con cappotto, cravatta e tutto il resto. Solo dopo essersi tuffato si rese conto che la ragazzina stava fissando scioccata un bimbetto di un paio d'anni caduto in acqua, che egli riuscì poi a portare in salvo.
Che cosa lo spinse a saltare in acqua prima ancora di sapere perché? Molto probabilmente la risposta è: l'amigdala.
In una delle ricerche sulle emozioni più significative fra quelle degli ultimi dieci anni, LeDoux scoprì che l'architettura del cervello conferisce all'amigdala una posizione privilegiata in qualità di sentinella delle emozioni capace, all'occorrenza, di “sequestrare” il cervello (5). La sua ricerca ha dimostrato che nel cervello gli input sensoriali provenienti dall'occhio o dall'orecchio viaggiano dapprima diretti al talamo e poi - servendosi di un circuito monosinaptico - all'amigdala; un secondo segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia - il cervello pensante. Questa ramificazione permette all'amigdala di cominciare a rispondere PRIMA della neocorteccia; quest'ultima, infatti, elabora le informazioni attraverso vari livelli di circuiti cerebrali prima di poterle percepire in modo davvero completo e di iniziare infine la sua risposta, che risulta quindi molto più raffinata rispetto a quella dell'amigdala.
La ricerca di LeDoux ha rivoluzionato la nostra comprensione della vita emotiva perché è la prima ad aver scoperto l'esistenza di vie neurali emozionali che aggirano la neocorteccia. I segnali che prendono la via diretta passante per l'amigdala corrispondono ai sentimenti più primitivi e potenti; la conoscenza di questo circuito è di grande aiuto per spiegare la capacità dell'emozione di soffocare la razionalità.
I neuroscienziati avevano sempre creduto che l'occhio, l'orecchio e gli altri organi di senso trasmettessero i loro segnali al talamo, e che questo li inviasse poi alle aree della neocorteccia deputate all'elaborazione sensoriale, dove essi erano integrati a formare le nostre percezioni degli oggetti. I segnali vengono classificati a seconda del loro significato in modo che il cervello riconosca ciascun oggetto e il significato della sua presenza. Secondo la vecchia teoria, dalla neocorteccia i segnali erano poi inviati al sistema limbico, dal quale si sarebbe poi irradiata la risposta appropriata attraverso il cervello e il resto del corpo. Effettivamente, questo è proprio ciò che accade nella maggior parte dei casi; LeDoux tuttavia ha scoperto che, oltre alla via che dal talamo va alla corteccia, esiste un fascio più sottile di fibre nervose che vanno direttamente all'amigdala. Questa via, più sottile e più breve - una sorta di “vicolo” neurale - permette all'amigdala di ricevere alcuni input direttamente dagli organi di senso; essa può così cominciare a rispondere PRIMA che quegli stessi input siano stati completamente registrati dalla neocorteccia.
Questa scoperta capovolge l'idea secondo la quale, per formulare le sue reazioni emozionali, l'amigdala dipenderebbe totalmente dai segnali provenienti dalla neocorteccia. Essa può invece innescare una risposta emozionale attraverso questa via di emergenza proprio mentre viene attivato un circuito riverberante parallelo con la neocorteccia. L'amigdala può spingerci all'azione mentre la neocorteccia, leggermente più lenta - ma in possesso di informazioni più complete prepara il suo piano di reazione più raffinato.
Con la sua ricerca sulla paura negli animali, LeDoux rivoluzionò la nostra conoscenza sulle vie percorse nel cervello dai segnali emozionali. In un esperimento fondamentale, condotto nel ratto, egli distrusse la corteccia uditiva e poi espose gli animali a un suono, associandolo alla somministrazione di uno shock elettrico. Ben presto, i ratti impararono a temere il suono, anche se esso non poteva essere registrato dalla loro neocorteccia, ma prendeva la via diretta dall'orecchio al talamo all'amigdala, evitando i circuiti superiori. In breve, i ratti avevano appreso una reazione emotiva senza alcun coinvolgimento da parte dei centri corticali superiori: l'amigdala percepiva, ricordava e modulava la loro paura in modo del tutto autonomo.
“Dal punto di vista anatomico, il sistema emozionale può agire indipendentemente dalla neocorteccia” mi disse LeDoux. “Alcuni ricordi e reazioni emotive possono formarsi senza alcuna partecipazione cognitiva cosciente.” Nell'amigdala possono esserci ricordi e repertori di risposte che vengono messi in atto senza che ci si renda assolutamente conto del perché si agisca in quel modo, e questo perché la scorciatoia dal talamo all'amigdala esclude completamente la neocorteccia. Questo aggiramento sembra consentire all'amigdala di assumere il ruolo di archivio di impressioni e ricordi emozionali dei quali non abbiamo mai una conoscenza pienamente consapevole. LeDoux ipotizza che sia proprio questo ruolo mnemonico dell'amigdala, per così dire sotterraneo, a spiegare i risultati sbalorditivi di un esperimento nel corso del quale i soggetti manifestavano preferenze per strane figure geometriche, pur non avendo alcuna consapevolezza di averle mai viste, in quanto erano state mostrate loro molto velocemente! (6)
Altre ricerche hanno dimostrato che nei primi millisecondi della percezione non solo comprendiamo in modo inconscio quale sia l'oggetto percepito, ma decidiamo anche se esso ci piace o no; l'“inconscio cognitivo” presenta poi alla nostra consapevolezza non solo l'identità di ciò che vediamo, ma anche un vero e proprio giudizio su di esso (7). Le nostre emozioni hanno una mente che si occupa di loro e che può avere opinioni del tutto indipendenti da quelle della mente razionale.
Lo specialista della memoria emozionale.
Queste opinioni inconsce sono memorie emozionali archiviate nell'amigdala. La ricerca di LeDoux e di altri neuroscienziati sembra ora indicare che l'ippocampo - per lungo tempo considerato la struttura chiave del sistema limbico - è coinvolto nella registrazione e nella comprensione degli schemi percettivi più che non nelle reazioni emotive. La principale funzione dell'ippocampo sta nel fornire un ricordo particolareggiato del contesto, vitale per il significato emozionale; è l'ippocampo che riconosce il diverso significato, tanto per fare un esempio, di un orso visto allo zoo o nel cortile di casa.
Mentre l'ippocampo ricorda i fatti nudi e crudi, l'amigdala ne trattiene, per così dire, il sapore emozionale. Se cercate di sorpassare una macchina su una strada a doppio senso di marcia ed evitate per poco una collisione frontale, l'ippocampo ricorderà le specifiche dell'incidente, ad esempio su quale tratto di strada vi trovavate, chi era con voi e l'aspetto dell'altra auto. Ma sarà l'amigdala che da quel momento in poi vi farà sentire ansiosi ogni volta che cercherete di sorpassare in circostanze simili. Come mi spiegò LeDoux: “L'ippocampo è fondamentale per riconoscere in un volto quello di tua cugina. Ma è l'amigdala ad aggiungere che ti è proprio antipatica”.
Il cervello usa un metodo semplice ma ingegnoso per fare in modo che i sistemi mnemonici emozionali siano particolarmente potenti: i sistemi neurochimici di allarme che inducono l'organismo a reagire (combattendo o fuggendo) alle emergenze che minacciano la sopravvivenza sono esattamente gli stessi che imprimono il momento nella memoria con grande incisività (8). Sotto stress (oppure in condizioni di ansia, o presumibilmente anche di intensa eccitazione o di gioia) un nervo che va dal cervello alle ghiandole surrenali innesca la secrezione di ormoni quali l'adrenalina e la noradrenalina, che si diffondono in tutto il corpo preparandolo all'emergenza. Questi ormoni attivano recettori localizzati sul nervo vago, che oltre a portare messaggi inviati dal cervello per regolare la funzione cardiaca, trasporta anche segnali nella direzione opposta, mediati, appunto, dall'adrenalina e dalla noradrenalina. L'amigdala è il principale sito cerebrale verso il quale questi segnali sono diretti; essi attivano i suoi neuroni, in modo che quelli, a loro volta, segnalino ad altre regioni del cervello di rafforzare la memoria di ciò che sta accadendo.
L'attivazione dell'amigdala sembra imprimere più fortemente nella memoria la maggior parte dei momenti caratterizzati dal risveglio emozionale: ecco perché è più probabile ricordare, ad esempio, il luogo del nostro primo appuntamento o ciò che stavamo facendo quando sentimmo al telegiornale che il “Challenger” era esploso. Quanto più intenso è il risveglio dell'amigdala, tanto più forte è l'impressione del ricordo; le esperienze della vita che più ci feriscono o ci spaventano sono destinate a diventare i nostri ricordi più indelebili. Ciò significa che il cervello ha effettivamente due sistemi mnemonici, uno per i fatti ordinari e l'altro per quelli che hanno una valenza emozionale. Naturalmente, l'esistenza di un sistema speciale per i ricordi emozionali è un fatto assolutamente logico nell'evoluzione: essa infatti garantisce agli animali la conservazione di un ricordo particolarmente vivido di ciò che li ha minacciati o che ha dato loro piacere. Nel presente, però, i ricordi emozionali possono rivelarsi guide fuorvianti.
Meccanismi di allarme neurale ormai obsoleti.
Uno svantaggio di questi allarmi neurali è costituito dal fatto che il messaggio urgente inviato dall'amigdala è a volte, per non dire spesso, obsoleto, soprattutto in un universo sociale in perenne movimento come quello dell'uomo. In quanto archivio della memoria emozionale, l'amigdala analizza l'esperienza corrente, confrontando ciò che sta accadendo nel presente con quanto già accaduto in passato. Il suo metodo di confronto è associativo: quando la situazione presente e quella passata hanno un elemento chiave simile, l'amigdala lo identifica come un'“associazione”. Ecco perché questo circuito è, per così dire, sciatto: agisce prima di avere una piena conferma. Ci comanda precipitosamente di reagire a una situazione presente secondo modalità fissate moltissimo tempo fa, con pensieri, emozioni e reazioni apprese in risposta ad eventi forse solo vagamente analoghi - e tuttavia abbastanza simili da mettere in allarme l'amigdala.
Ad esempio, un'ex infermiera dell'esercito, traumatizzata dall'inesorabile sequenza di ferite orrende che aveva curato in tempo di guerra, venne improvvisamente travolta da un misto di terrore, ripugnanza e panico, a distanza di anni, scatenati dal fetore uscito da un armadio nel quale il suo bambino aveva nascosto un pannolino sporco - una sorta di replica della reazione suscitata in lei dagli orrori del campo di battaglia. Perché l'amigdala dichiari lo stato di emergenza basta che solo pochissimi elementi della situazione presente ricordino quelli di una passata circostanza pericolosa. Il guaio è che oltre ai ricordi, carichi di valenze emozionali, che hanno il potere di scatenare questa risposta di crisi, possono essere altrettanto superate anche le modalità di reazione. In tali momenti, l'imprecisione del cervello è aumentata anche dal fatto che molti vividi ricordi emozionali risalgono ai primi anni di vita e riguardano il rapporto fra il bambino e chi si prendeva cura di lui. Questo è vero soprattutto per gli eventi traumatici, ad esempio nel caso in cui il piccolo venisse percosso o apertamente trascurato. In questo primo periodo della vita, altre strutture cerebrali - in particolare l'ippocampo, che è fondamentale per la memoria narrativa, e la neocorteccia, sede del pensiero razionale - devono ancora svilupparsi completamente. Nel sistema mnemonico, l'amigdala e l'ippocampo lavorano in stretta collaborazione; ciascuno di essi archivia e richiama le proprie informazioni indipendentemente. Mentre l'ippocampo richiama dunque le proprie, l'amigdala decide se esse hanno o meno una valenza emozionale. L'amigdala, tuttavia, matura molto velocemente nel cervello del bambino, e alla nascita è molto più vicina di altre strutture allo sviluppo completo.
LeDoux fa ricorso al ruolo dell'amigdala nell'infanzia per confermare quello che è un principio fondamentale del pensiero psicoanalitico, e cioè il fatto che le interazioni sperimentate nei primissimi anni di vita impartirebbero una serie di insegnamenti emozionali basati sull'armonia e i contrasti fra il bambino e chi si prende cura di lui (9). LeDoux ritiene che queste lezioni siano tanto potenti, e al tempo stesso così difficili da comprendere dalla prospettiva dell'adulto, perché sono state archiviate nell'amigdala come programmi della vita emotiva ancora grossolani e senza parole. Poiché questi primissimi ricordi emozionali si fissano nella memoria in un momento in cui i bambini non hanno ancora parole per descrivere le loro esperienze, quando poi, in tempi successivi, essi vengono richiamati, non è possibile associare alcun insieme di pensieri articolati alla risposta che prende il sopravvento. Uno dei motivi, quindi, che spiegano come mai siamo così sconcertati dalle nostre esplosioni emozionali, è che esse spesso hanno radici in un periodo molto precoce della nostra vita, quando le cose ci sbalordivano ma non avevamo ancora le parole per descriverle. I ricordi che scatenano tali esplosioni possono dunque suscitare sentimenti caotici, ma non possono evocare parole.
Risposte emotive rapide e approssimative.
Erano circa le tre del mattino quando qualcosa di enorme precipitò fragorosamente in un angolo della mia camera da letto sfondando il soffitto e seminando nella stanza gli oggetti riposti nel sottotetto. In un secondo saltai giù dal letto e corsi fuori dalla stanza, terrorizzato al pensiero che tutto il soffitto potesse crollare. Poi, rendendomi conto che ero in salvo, con prudenza tornai nella stanza per vedere che cosa avesse causato tutto quel danno; scoprii allora che il suono che avevo interpretato come il crollo del soffitto era stato causato in realtà dalla caduta di una pila di scatole che mia moglie aveva eretto in quell'angolo il giorno prima, mettendo in ordine nel suo armadio. Non era caduto proprio niente dal sottotetto - anche perché non c'era nessun sottotetto. Il soffitto era intatto, e altrettanto poteva dirsi di me.
Il mio salto fuori dal letto mentre ero ancora mezzo addormentato - un gesto che avrebbe potuto salvarmi se il soffitto fosse davvero franato nella stanza - ci dà una dimostrazione della capacità dell'amigdala di spingerci all'azione in situazioni d'emergenza, proprio pochi attimi prima - attimi vitali! - che la neocorteccia abbia il tempo di registrare in modo completo quel che sta davvero accadendo. La sottile via d'emergenza che dall'orecchio o dall'occhio va al talamo e poi all'amigdala è di fondamentale importanza in questi casi: risparmia tempo in situazioni di emergenza, proprio quando più è necessaria una risposta istantanea. D'altra parte, questo circuito che dal talamo va all'amigdala porta solo una piccola parte dei messaggi sensoriali, mentre la maggior parte di essi prende la via principale diretta alla neocorteccia. Pertanto, ciò che viene registrato nell'amigdala attraverso questa via ultrarapida è, nei casi migliori, un segnale solo approssimativo, appena sufficiente per lanciare un avvertimento Come dice LeDoux: “Non c'è bisogno di conoscere esattamente di che cosa si tratti per sapere che può essere pericoloso” (10).
La via diretta presenta un grande vantaggio in termini di tempo - che nel cervello si misura nell'ordine dei millisecondi. Nel ratto, l'amigdala può cominciare a rispondere a uno stimolo percettivo in soli dodici millisecondi - ossia in dodici millesimi di secondo. La via che dal talamo va alla neocorteccia e poi all'amigdala impiega invece circa il doppio di questo tempo. Misurazioni analoghe devono ancora essere compiute nel cervello umano, ma probabilmente anche nella nostra specie valgono all'incirca gli stessi rapporti.
In termini evolutivi, il valore per la sopravvivenza di questa via diretta dev'essere stato considerevole, consentendo una risposta rapida che abbreviava di alcuni millisecondi critici il tempo di reazione ai pericoli. Quei millisecondi possono aver salvato la vita dei nostri antenati protomammaliani in così tanti casi che adesso questo meccanismo si trova impresso nel cervello di tutti i mammiferi, compreso il vostro e il mio. In verità, sebbene questo circuito abbia probabilmente un ruolo relativamente limitato nella vita mentale umana, essendo in larga misura confinato alle crisi emotive, gran parte della vita mentale degli uccelli, dei pesci e dei rettili ruota intorno ad esso, in quanto la loro sopravvivenza dipende dall'analisi costante dell'ambiente per la localizzazione di predatori o prede potenziali. “Questo sistema, che nei mammiferi è primitivo e di minore importanza, costituisce il principale sistema cerebrale nei non mammiferi” spiega LeDoux. “Esso offre una via molto rapida per scatenare le emozioni. Si tratta però di un processo veloce ma poco preciso.”
In uno scoiattolo, tanto per fare un esempio, questa imprecisione non disturba; essa porta infatti l'animale a peccare di eccessiva prudenza, facendolo fuggire al primo possibile segno di un nemico in agguato, o inducendolo a dirigersi verso gli oggetti commestibili. Ma nella vita emotiva umana, quell'imprecisione può avere conseguenze disastrose in quanto, metaforicamente parlando, può portarci a fuggire o ad andare incontro alla cosa - o alla persona - sbagliata. (Pensate a quella cameriera che lasciò cadere un vassoio con sei coperti avendo visto una cliente con un'enorme criniera di capelli rossi ricci - proprio come quella donna per la quale il suo ex marito l'aveva lasciata!)
Queste confusioni emozionali sono basate sul sentimento prima che sul pensiero. LeDoux chiama “emozione precognitiva” una reazione fondata su frammenti di informazione sensoriale non completamente classificati e integrati in un oggetto riconoscibile. Si tratta di una forma di informazione sensoriale molto grezza, qualcosa di simile a un'assonanza neurale dove, invece di riconoscere una melodia istantaneamente in base a pochissime note, un'intera percezione viene afferrata sulla base di una ricostruzione provvisoria. Se l'amigdala percepisce la comparsa di uno schema sensoriale importante salta, per così dire, immediatamente alle conclusioni, scatenando le sue reazioni prima di aver avuto prove convincenti - o anche solo una conferma.
Non deve dunque meravigliarci se riusciamo a comprendere tanto poco nelle tenebre delle nostre emozioni più violente, soprattutto quando esse ci tengono ancora in scacco. L'amigdala può reagire con un delirio di collera o di paura prima che la corteccia sappia che cosa sta accadendo, e questo perché l'emozione grezza viene scatenata in modo indipendente dal pensiero razionale, e prima di esso.
Il centro che controlla le emozioni.
Jessica, una bambina di sei anni, si accingeva per la prima volta a passare la notte fuori casa, da una compagna di giochi, e non era ben chiaro se la cosa rendesse più agitata lei o sua madre. Sebbene quest'ultima cercasse di non lasciar capire a Jessica la propria ansia, la sua tensione raggiunse l'apice verso la mezzanotte, quando si stava preparando per andare a letto e sentì squillare il telefono. Lasciato cadere lo spazzolino da denti la donna si precipitò all'apparecchio col cuore in gola mentre nella mente le balenavano immagini di Jessica in preda a una terribile angoscia. La donna afferrò il ricevitore e gridò impulsivamente nel microfono “Jessica!”, ma si sentì rispondere da una voce femminile: “Oh, mi scusi, temo di aver sbagliato numero...”.
A quel punto la madre di Jessica recuperò il proprio sangue freddo e chiese con un tono educato e misurato: “Che numero desiderava?”.
Mentre l'amigdala lavora per scatenare una reazione ansiosa e impulsiva, altre aree del cervello emozionale si adoperano per produrre una risposta correttiva, più consona alla situazione. L'interruttore cerebrale che smorza gli impulsi dell'amigdala sembra trovarsi all'altro estremo di un importante circuito diretto alla neocorteccia - precisamente ai lobi prefrontali. La corteccia prefrontale sembra attiva quando l'individuo è spaventato o adirato, ma soffoca o comunque controlla il sentimento in modo da gestire più efficacemente la situazione (anche quando una rivalutazione degli eventi richieda una risposta completamente diversa, come abbiamo appena visto nel caso della madre preoccupata al telefono). Quest'area cerebrale neocorticale consente di dare ai nostri impulsi emotivi una risposta più analitica o appropriata, modulando l'amigdala e le altre aree limbiche.
Di solito le aree prefrontali regolano le nostre reazioni emotive fin dal principio. Ricorderete che la maggiore proiezione delle informazioni sensoriali provenienti dal talamo non è diretta all'amigdala ma alla neocorteccia e ai suoi molti centri deputati alla ricezione e alla comprensione di quanto viene percepito; quell'informazione, e la nostra risposta ad essa, sono coordinate dai lobi prefrontali, dove le azioni vengono programmate e organizzate in vista di un obiettivo, ivi compresi quelli emozionali. Nella neocorteccia una serie di circuiti a cascata registra e analizza quell'informazione, la comprende e attraverso i lobi prefrontali organizza una reazione coordinata. Se è necessaria una risposta emozionale, i lobi prefrontali la dettano lavorando in stretta collaborazione con l'amigdala e gli altri circuiti.
Questa sequenza, che consente un certo discernimento nella risposta emozionale, rappresenta una situazione normale, che conosce significative eccezioni nel caso delle emergenze. Quando si scatena un'emozione, nel giro di qualche istante i lobi prefrontali eseguono la reazione che ritengono migliore fra una miriade di possibilità, in base al criterio del rapporto rischio/beneficio (11). Per gli animali, ciò significa decidere quando attaccare e quando darsi alla fuga. E per noi esseri umani... quando attaccare, quando darsi alla fuga - e anche quando calmarsi, persuadere, cercare comprensione, tergiversare, provocare sensi di colpa, piagnucolare, indossare una maschera di spavalderia, essere sprezzanti - e così via, attraverso l'intero repertorio degli artifici emozionali.
La risposta neocorticale è più lenta - sempre in termini di tempi cerebrali - rispetto al meccanismo del “sequestro neurale”, perché comporta il passaggio del segnale attraverso un maggior numero di circuiti. Inoltre, essa è probabilmente più giudiziosa e ponderata in quanto, nel suo caso, i sentimenti sono preceduti da una maggiore riflessione. La neocorteccia è al lavoro tutte le volte che registriamo una perdita e ci rattristiamo, o ci sentiamo felici dopo un trionfo, o ci maceriamo rimuginando su qualcosa che qualcuno ha detto o fatto, facendoci sentire feriti o in collera.
Come nel caso della resezione dell'amigdala, in assenza dell'elaborazione dei lobi prefrontali, gran parte della vita emotiva vien meno; se non ci si rende conto di essere in presenza di qualcosa che merita una risposta emozionale, non ci sarà risposta alcuna. I neurologi hanno sospettato che i lobi prefrontali avessero questo ruolo nelle emozioni fin dall'avvento, negli anni Quaranta, della lobotomia prefrontale, una “cura” chirurgica disperata e tragicamente impiegata per le malattie mentali: questa operazione rimuoveva, spesso molto grossolanamente, parte dei lobi prefrontali o comunque interrompeva le connessioni fra corteccia prefrontale e centri inferiori del cervello. In tempi nei quali ancora non si disponeva di alcuna cura efficace per le malattie mentali, la lobotomia venne accolta come una soluzione per i casi di grave sofferenza psicologica: bastava resecare i collegamenti fra i lobi prefrontali e il resto del cervello e il malessere del paziente veniva “alleviato”: purtroppo, il prezzo di tutto ciò era il soffocamento di gran parte della sua vita emotiva, in quanto i fondamentali circuiti deputati alla sua regolazione andavano così distrutti.
I “sequestri” neurali comportano presumibilmente due dinamiche: da un lato, lo scatenamento dell'amigdala e dall'altro la mancata attivazione dei processi neocorticali che solitamente mantengono l'equilibrio delle risposte emozionali (oppure la mobilitazione della neocorteccia nell'emergenza) (12). In questi momenti la mente razionale viene sopraffatta da quella emozionale. Fra i modi con i quali la corteccia prefrontale riesce a dominare efficacemente le emozioni soppesando le reazioni prima di passare all'azione - c'è quello di smorzare i segnali di attivazione inviati dall'amigdala e da altri centri limbici - un meccanismo che possiamo paragonare a un genitore che fermi il proprio bambino impulsivo impedendogli di afferrare ciò che vuole e insegnandogli a chiederlo educatamente (o ad aspettare) (13).
Sembra che l'interruttore neurale fondamentale che “spegne” le emozioni negative sia il lobo prefrontale sinistro. I neuropsicologi che studiano gli stati d'animo dei pazienti con lesioni frontali hanno determinato che una delle funzioni del lobo frontale sinistro è quella di regolare le emozioni spiacevoli come una sorta di termostato neurale. Il lobo prefrontale destro è sede di sentimenti negativi come la paura e l'aggressività, mentre quello sinistro tiene sotto controllo tali emozioni grossolane, probabilmente inibendo il lobo destro (14). In un gruppo di pazienti reduci da un ictus, ad esempio, i soggetti la cui lesione era localizzata nella corteccia prefrontale sinistra andavano incontro a catastrofici attacchi di angoscia e di terrore; quelli con lesioni alla parte destra erano invece “indebitamente allegri”; era chiaro che costoro non si curavano dell'esito degli esami neurologici cui venivano sottoposti, durante i quali erano completamente rilassati e continuavano a raccontare barzellette (15). E poi ci fu il caso del “marito felice”, un uomo che aveva subito la parziale rimozione chirurgica del lobo prefrontale destro per correggere una malformazione al cervello. La moglie di quest'uomo disse al suo medico che dopo l'operazione il marito era andato incontro a un impressionante cambiamento di personalità, diventando meno irascibile e, con grande soddisfazione della donna, più affettuoso (16).
Il lobo prefrontale sinistro, in breve, sembra far parte di un circuito neurale in grado di disattivare - o quanto meno di smorzare - tutti gli impulsi emotivi negativi con la sola eccezione dei più violenti. Mentre l'amigdala spesso funziona come un sistema di emergenza, il lobo prefrontale sinistro sembra far parte del meccanismo cerebrale per “spegnere” le emozioni che disturbano - l'amigdala propone, il lobo prefrontale dispone. Nella vita mentale, queste connessioni fra corteccia prefrontale e sistema limbico hanno un'importanza fondamentale che va ben oltre la regolazione fine delle emozioni; esse sono essenziali per guidarci nelle più importanti decisioni della vita.
Armonizzare emozione e pensiero.
Le connessioni fra l'amigdala (e le strutture limbiche affini) e la neocorteccia sono al centro di quelle che possiamo definire come le battaglie o gli accordi di cooperazione fra mente e cuore - fra pensiero e sentimento. Questi circuiti spiegano come mai l'emozione è tanto importante ai fini del pensiero, sia quando si debbano prendere sagge decisioni, sia quando si tratti di pensare lucidamente.
Prendiamo, a titolo di esempio, la capacità delle emozioni di rendere disorganizzato il pensiero. I neuroscienziati usano l'espressione “memoria di lavoro” per indicare la capacità di attenzione che fissa nella mente i dati essenziali per completare un certo compito o per risolvere un particolare problema; tali dati possono essere di natura molto varia: può trattarsi dei requisiti ideali che cerchiamo in una casa da acquistare quando vagliamo diverse possibilità, oppure degli elementi di un problema razionale durante un esame. La corteccia prefrontale è la regione del cervello in cui ha sede la memoria di lavoro (17). Ma i circuiti che connettono il sistema limbico ai lobi prefrontali comportano la possibilità che i segnali di forti emozioni - ansia, collera e simili - creino dei rumori di fondo, per così dire un'elettricità statica neurale, sabotando così la capacità del lobo prefrontale di conservare la memoria di lavoro. Ecco perché quando siamo sconvolti diciamo che “non riusciamo a pensare”; ecco perché una continua sofferenza psicologica può causare delle carenze nelle capacità intellettuali dei bambini, compromettendone l'apprendimento.
Quando questi deficit sono meno pronunciati non vengono sempre evidenziati dai test per la misura del Q.I., sebbene essi siano rivelati da misure neuropsicologiche più mirate e affiorino anche nel caso in cui il bambino mostri un comportamento costantemente agitato e impulsivo. In uno studio condotto su bambini della scuola elementare, ad esempio, questi test neuropsicologici dimostrarono che i soggetti con Q.I. al di sopra della media, ma le cui prestazioni scolastiche erano insoddisfacenti, presentavano una compromissione del funzionamento della corteccia frontale (18). Questi bambini erano anche impulsivi e ansiosi, spesso confusi e agitati - una serie di riscontri che indicavano un controllo difettoso dei lobi prefrontali sugli impulsi del sistema limbico. Nonostante le loro potenzialità intellettuali, questi bambini erano soggetti ad altissimo rischio di fallimento scolastico, alcolismo e criminalità (non perché fossero carenti sul piano intellettuale, ma per le loro scarse capacità di controllo sulla vita emotiva). Il cervello emozionale, del tutto separato dalle aree corticali la cui funzione viene vagliata dal test Q.I., controlla la collera e la compassione. Questi circuiti vengono scolpiti dall'esperienza durante l'infanzia - e noi, a nostro rischio, permettiamo che quelle esperienze siano completamente affidate al caso.
Consideriamo ora il ruolo delle emozioni quando dobbiamo prendere una decisione, anche la più “razionale”. Antonio Damasio, neurologo al College of Medicine della Iowa University, ha compiuto ricerche ricche di importanti implicazioni per la nostra comprensione della vita mentale; in particolare, egli desiderava scoprire quali funzioni fossero compromesse nei pazienti con lesioni del circuito che collega i lobi prefrontali all'amigdala (19). La capacità di questi soggetti di prendere decisioni è spaventosamente compromessa - e tuttavia essi non presentano alcun deterioramento del loro Q.I. o di qualunque abilità cognitiva. Nonostante la loro intelligenza sia intatta, essi compiono scelte disastrose negli affari e nella vita privata, e possono anche tormentarsi all'infinito per prendere decisioni semplici come quella di fissare un appuntamento.
Damasio sostiene che le scelte di questi pazienti sono tanto sbagliate perché essi hanno perso la possibilità di accedere alla propria memoria emozionale. Essendo il punto di incontro fra pensiero razionale ed emozione, il circuito che collega lobi prefrontali e amigdala è una via di accesso fondamentale all'archivio contenente tutte quelle preferenze e quelle avversioni che andiamo accumulando nel corso della nostra vita. Se si esclude la memoria emozionale custodita nell'amigdala, qualunque cosa venga elaborata dalla neocorteccia non è più in grado di innescare le reazioni emotive in passato associate allo stesso evento, e tutto assume i toni di una grigia neutralità. Uno stimolo esterno, indipendentemente che si tratti del loro amato cagnolino o di una maledetta seccatura, non suscita più in questi pazienti attrazione o avversione: essi hanno “dimenticato” tutti gli insegnamenti emozionali precedentemente appresi perché non hanno più accesso al luogo dove li avevano archiviati - in altre parole, all'amigdala.
Dati come questi hanno portato Damasio su una posizione opposta a quanto suggerirebbe l'intuito; lo hanno indotto cioè a ritenere che i sentimenti siano solitamente indispensabili nei processi decisori della mente razionale; essi ci orientano nella giusta direzione, dove poi la pura logica si dimostrerà utilissima. Spesso la realtà ci mette di fronte a una gamma di scelte molto difficili (come investire la liquidazione?, chi sposare?); in questi casi, gli insegnamenti emozionali impartitici dalla vita (ad esempio il ricordo di un investimento rivelatosi disastroso o di una dolorosa rottura sentimentale) inviano segnali che restringono il campo della decisione, eliminando alcune opzioni e mettendone in evidenza altre fin dall'inizio. In questo modo, secondo Damasio, il cervello emozionale è coinvolto nel ragionamento proprio come il cervello pensante.
Le emozioni, allora, hanno un ruolo importante ai fini della razionalità. Nel complesso rapporto fra sentimenti e pensiero, la facoltà emozionale guida le nostre decisioni momento per momento, in stretta collaborazione con la mente razionale, consentendo il pensiero logico o rendendolo impossibile. Allo stesso modo, il cervello razionale ha un ruolo dominante nelle nostre emozioni - con la sola eccezione di quei momenti in cui le emozioni eludono il controllo e prendono, per così dire, il sopravvento di prepotenza.
In un certo senso, abbiamo due cervelli, due menti - e due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva. Il nostro modo di comportarci nella vita è determinato da entrambe: non dipende solo dal Q.I., ma anche dall'intelligenza emotiva, in assenza della quale, l'intelletto non può funzionare al meglio. La complementarietà del sistema limbico e della neocorteccia, dell'amigdala e dei lobi prefrontali, significa che ciascuno di essi è solitamente una componente essenziale a pieno diritto della vita mentale. Quando questi partner interagiscono bene, l'intelligenza emotiva si sviluppa, e altrettanto fanno le capacità intellettuali.
Quanto abbiamo detto capovolge le antiche opinioni sulla tensione fra ragione e sentimento: noi non vogliamo fare a meno dell'emozione e mettere al suo posto la ragione, come avrebbe desiderato Erasmo; vorremmo invece trovare il giusto equilibrio fra le due componenti. Il vecchio paradigma sosteneva un ideale in cui la ragione poteva liberarsi dalla spinta delle emozioni. Il nuovo modello ci spinge piuttosto a trovare un'armonia fra mente e cuore. Per farlo, però, dobbiamo per prima cosa comprendere più esattamente che cosa significhi fare un uso intelligente dell'emozione.