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Goth irruppe nel cortile del monastero con la baldanza di un animale da preda che fiuta il sangue più che con il contegno di un cavallo, nonostante fosse schiumante per il viaggio quasi senza tregua durato tutta la notte. Puntò subito là dove infuriava il combattimento, perché sapeva che il suo padrone mirava a buttarsi nella mischia quando brandiva la spada sguainata e lui non era animale da tirarsi indietro per paura del caos.

Nel tempo che il destriero impiegò a farsi strada fino al refettorio e alla chiesa adiacente, Marc aveva già valutato la situazione e capito che la battaglia non sarebbe durata ancora a lungo. Con l’arrivo dei rinforzi portati da lui, i difensori del monastero erano ormai in numero soverchiante e comunque, a giudicare dai cadaveri sparsi a terra, Michel aveva saputo egregiamente tenere la posizione prima di ricevere aiuto.

Marc individuò il fratello minore che incalzava uno sgherro e lo metteva all’angolo vicino al pozzo. Sanguinava da una spalla, ma non era impacciato più di tanto nei movimenti e anche da lontano gli fece un ampio gesto col braccio, indicando la chiesa. «Alexandra!» gli urlò al di sopra del clamore di grida, nitriti e cozzare di armi.

Marc annuì. Sapeva dove trovare Alex e il cuore gli diceva di correre da lei, ma doveva anche accertarsi che suo fratello e i compagni d’arme fossero in grado di sostenere la difesa senza di lui. Attaccò due nemici trovandoli nel mezzo del cortile, uccise il primo con un colpo bene assestato tra la spalla e il collo, il secondo lo lasciò sanguinante e inerme sul terreno.

Quasi nello stesso momento Richard arrivò al galoppo da dietro l’angolo del refettorio, con la spada imbrattata di sangue fino all’elsa e ben salda nella mano. Abbatté un nemico passando, fece a Marc un cenno incoraggiante e proseguì oltre.

Marc capì che gli altri non avevano alcun bisogno di lui, fece voltare Goth e corse alla chiesa. Il destriero saltò i cadaveri sparsi sulla terra battuta e Marc riconobbe alcuni dei fiamminghi di De Hoerde in mezzo ai morti sconosciuti. Il comandante era steso qualche passo più in là, supino, immobile, con gli occhi chiusi e un quadrello nel petto. Stringeva ancora la spada nel pugno. Accanto a lui, l'azzurro slavato di un abito da donna.

Marc digrignò i denti.

Il cadavere di Edwina Sembry era bocconi, con le braccia aperte, una mano stesa in direzione del suo amato, come se avesse voluto toccarlo un’ultima volta. Il viso era girato dalla stessa parte, gli occhi aperti, sbarrati su di lui. Non mostrava ferite da taglio ma il sangue le era uscito dalla testa, da occhi, naso e bocca e aveva formato un’unica pozza con quello del comandante.

Marc alzò gli occhi verso la croce di ferro in cima al tetto della chiesa, intuendo senza fatica l’accaduto. Un brivido gli accapponò la pelle all’idea che Alex avrebbe potuto fare la stessa fine.

Incitò Goth con più urgenza, raggiunse la porta della chiesa e quando provò ad aprirla, la trovò chiusa dall’interno. Fece saltare il chiavistello a furia di spallate, senza badare al dolore che ormai gli masticava il fianco sinistro da ore, e finalmente fu dentro. Nella navata deserta trovò subito il cadavere di un monaco con un quadrello nel petto. Oltrepassò arredi ribaltati e corse verso l’altare: pareva spazzato da un vento di tempesta che aveva rovesciato le candele e fatto rotolare il turibolo sul pavimento, spargendo cera ormai solidificata e carboni d’incenso per almeno cinque passi tutto intorno.

Marc raggiunse la porta del campanile. Era stata spalancata a viva forza, e appena al di là della soglia giaceva un altro cadavere, stavolta di donna: la contessa Anne Sembry, trafitta alla schiena nel più spregevole dei modi.

Tra i denti, Marc maledisse Martagne. L'aveva ucciso troppo in fretta, avrebbe dovuto fargliela pagare molto di più per i suoi crimini orrendi. «Alex!» gridò poi, rivolto verso la scala a sbalzo, che si arrampicava su per le pareti, intorno alla corda che serviva per suonare la campana dal basso. «Alex, sto arrivando. È tutto finito!»

Non ricevette risposta e comunque non restò ad attenderla, ma salì subito i rudimentali gradini in legno, senza mai abbassare la guardia.

Trovò Alex sulla piattaforma che consentiva la manutenzione della campana e l’uscita sul tetto della chiesa. Era rannicchiata in un angolo, con la faccia nascosta sulle ginocchia strette al petto.

Marc ripose subito la spada e si accosciò accanto a lei, la tirò verso di sé e la strinse forte. Grazie a Dio, non aveva sangue né sulle mani né sui vestiti, era illesa. Era salva. «È tutto finito» le ripeté col cuore in gola. «Sono qui con te.»

Alex singhiozzava piano, ormai esausta. Tenne il viso premuto contro il suo petto. «Edwina…» gemette.

«Lo so. L’ho vista» disse Marc, mentre le accarezzava la nuca, le strofinava le spalle. «Ho visto anche lady Anne. Mi dispiace. Posso solo assicurarti che Martagne e i suoi sgherri non faranno più del male a nessuno. Mai più.»

Alex si aggrappò a lui come a un’ancora di salvezza in mezzo al mare in tempesta. «Portami via da qui.»

Marc annuì e la baciò sui capelli, poi sulle labbra. Sentì il sapore del sangue e allora inorridì. Si separò da Alex quel tanto che bastava per guardarla in faccia e scoprire che aveva una guancia arrossata, il labbro inferiore spaccato e gonfio. «Ti hanno picchiata» constatò, furioso.

Lei si tastò il viso con cautela. «Ma io mi sono difesa.»

Marc l’abbracciò di nuovo e se la cullò sul petto, mentre giù nel campo di battaglia il clamore si estingueva rapidamente. «Ti porto a casa.»

Quando ridiscesero la scala, ad Alex tremavano ancora le gambe e Marc la sorresse attraverso tutta la navata fino al cortile. Lì non le consentì a nessun patto di vedere i corpi stesi nel sangue, anzi le mise una mano vicino agli occhi e la costrinse a camminare con lui fino a quando non fu sicuro che nemmeno voltandosi avrebbe potuto riconoscere Edwina Sembry e Laas De Hoerde in mezzo agli altri cadaveri. Alex aprì la bocca per protestare, poi però non lo fece e si lasciò condurre via da lì senza resistenze.

Marc guardò indietro solo per modulare un fischio tra le labbra e chiamare Goth, che li seguì passo passo, stronfiando, stanco.

Anche Marc era sfinito. Il peso della lunga notte senza tregua gli era ricaduto tutto sulle spalle all’improvviso, rendendogli faticoso persino pensare.

Insieme ad Alex oltrepassò il pozzo e si ricongiunse con Michel e Richard. Quest’ultimo li accolse con un silenzioso cenno del capo a distanza ravvicinata, Michel alzando la mano libera per salutarli già da lontano quando li vide arrivare a piedi. Entrambi brandivano ancora le spade insanguinate, ma ormai non c’era più alcun bisogno di combattere. Una decina di armati francesi era con loro e insieme tenevano sotto controllo sei nemici, sconfitti e feriti. Li avevano costretti a sedersi a terra dopo averli disarmati e aver ammucchiato spade, pugnali, archi e balestre ben lontani da loro.

Marc lanciò un’occhiata verso il magazzino. Notò che la porta era stata sfondata e che all’interno non si vedevano fiamme, solo buio e fumo. L’incendio era stato domato. Monaci e servi sporchi di fuliggine prestavano i primi soccorsi agli ostaggi liberati.

«State bene?» s’informò subito Michel, quando fu a portata di voce.

«Sì» rispose Marc, ma non poté aggiungere altro perché Alex si lanciò in avanti contro gli uomini che i francesi tenevano sotto la minaccia delle spade. «Schifosi bastardi assassini!» urlò. «Siete voi che l’avete uccisa!»

I prigionieri sobbalzarono per l’attacco inaspettato e i più vicini si tirarono indietro, anche se non riuscirono ad alzarsi in piedi perché minacciati dalle spade dei soldati di Châtel-Argent.

Marc riacchiappò Alex al volo prima che raggiungesse davvero quegli uomini e probabilmente li prendesse a calci o a schiaffi, oltre che a insulti. «Ferma! Basta così! Avranno ciò che si meritano, te l’assicuro.» Dovette impegnarsi per trattenerla, perché lei era davvero inferocita e continuava a inveire contro i prigionieri. «Ti prego, smettila!» insisté.

Anche Richard si mise in mezzo, balzando giù da cavallo. Michel si rivolse invece ai francesi di guardia. «Portateli via da qui. Là in fondo, finché non li abbiamo radunati tutti.» Indicò con la spada un angolo del cortile bene in vista ma dal lato opposto rispetto alla chiesa.

I soldati obbedirono subito, fecero alzare i prigionieri e a spintoni e male parole li condussero via.

«Calmati» disse Marc ad Alex, che era ancora tesa come un arco puntato verso gli uomini che si allontanavano. «Non c’è bisogno di cavargli gli occhi con le unghie.»

«È colpa loro» sibilò Alex, furiosa. «Volevano divertirsi, i maiali schifosi! Poi ci avrebbero uccise tutte. Hanno ammazzato loro Edwina! E anche sua madre.»

«Lo so. Ci pensiamo noi adesso» insisté Marc e la sua fermezza riuscì infine a imporsi su Alex, che smise di lottare e si passò le mani sul viso. Distolse gli occhi e non parlò più.

Marc la strinse in un abbraccio protettivo finché non la sentì allentare almeno un po’ la tensione. Continuò ad accarezzarla come gesto di conforto.

Michel e Richard non osarono spezzare per primi il silenzio.

Marc cercò di riprendere forza con un gran respiro. «Allora, voi due state bene?» riprese, accennando soprattutto allo squarcio che il fratello aveva all’altezza della clavicola.

Michel minimizzò, scrollando le spalle. «Solo un graffio. Mi hanno rovinato la cotta di maglia, ma non sono arrivati in profondità. Dubito persino che servano dei punti.»

Marc spostò lo sguardo su Richard.

«Sto bene» disse questi e col dorso della sinistra si ripulì il viso dal sudore e dagli schizzi di sangue non suo. «Qualche livido, ma nulla di più. Lei invece è ferita» osservò e anche Michel aggrottò la fronte, accorgendosi dei segni sul viso di Alex.

«Sto bene anch’io, non vi preoccupate per me» fece lei e provò a drizzare la postura. «Alle altre è andata peggio» aggiunse col tono di voce che di nuovo si rabbuiava.

«Lo so. L’ho visto da lontano» rispose Michel a denti stretti. «Però non ho visto la contessa su quel tetto. Davvero è morta?» Cercò con gli occhi una conferma da Marc e lui dovette dire: «È stata uccisa nella chiesa».

Michel mugugnò, frustrato, furioso. «Non ho saputo impedirlo, accidenti a me.»

«Non avresti potuto, considerata la situazione al mio arrivo» lo rincuorò Richard.

«Raccontatemi com’è andata» ordinò Marc.

«Sono stati furbi. Almeno per la metà sono entrati alla spicciolata, in gruppi e in momenti diversi, fingendosi mercanti o pellegrini» spiegò Michel. «Hanno atteso la messa e poi hanno preso gli ostaggi e fatto entrare i complici appostati fuori dal monastero, mentre io ero di perlustrazione dall’altro lato con i nostri. Volevano costringere De Hoerde alla resa prima del mio ritorno e dimezzare così le nostre forze fin da subito, ma lui ha opposto resistenza. Quando noi siamo arrivati, ci hanno bloccato per un po’ fuori dal muro poi, visto che non riuscivano a trattenerci, le carogne hanno dato fuoco al magazzino con gli ostaggi dentro. Grazie al cielo, è arrivato Richard a dare manforte.»

«Mi ha mandato lui. È il Falco del Re che ha fatto la differenza col suo istinto» disse l’inglese, indicando Marc, e poi si rivolse direttamente a lui. «Devi aver corso tutta la notte per arrivare qui poco dopo di me.»

Michel diede una pacca riconoscente sulla spalla del fratello maggiore. «Agisci a istinto, ma agisci bene, perché col tuo arrivo la nostra situazione si è ribaltata. Hai evitato una catastrofe.»

«E fatto giustizia, suppongo» osservò Richard. «Immagino che Martagne sia morto.»

«L’ho ucciso con le mie mani in duello» confermò Marc eppure, visto il tragico epilogo nel monastero, sentiva una ben misera soddisfazione. «Avrei dovuto fargliela pagare di più.»

Stavolta toccò ad Alex riscuoterlo dai pensieri assassini stringendosi a lui, mentre Michel commentava: «Ha avuto comunque quello che si meritava».

Marc non si pronunciò oltre sulla questione. Si tenne Alex sottobraccio e nel frattempo si guardò intorno. «Laurent e Théo?»

«Eccoli.» Michel indicò a destra con la spada.

Marc vide arrivare l’amico e il suo ex scudiero, entrambi a cavallo. Erano sudati e provati, ma incolumi. Precedevano altri due prigionieri sorvegliati a vista da tre fiamminghi.

«Sono gli ultimi» annunciò Théo, dall’alto della sella, dopo i saluti. «Il monastero è libero e al sicuro. I loro complici sono morti, nessuno è riuscito a fuggire.»

«Bene» disse Marc. «Questa volta chiuderemo la faccenda una volta per tutte. Porta via queste carogne e assicurati che non fuggano. Appena avrò sistemato tutto il resto, deciderò cosa fare di loro e di quelli che abbiamo lasciato ai fiamminghi nel villaggio.»

«Con vero piacere» ribatté Théo e rivolgendosi ai soldati che lo accompagnavano impartì gli ordini necessari a prendere in custodia anche i sei nemici che poco prima erano sotto la sorveglianza diretta di Richard e Michel. Li riunirono in un unico gruppo, legarono a tutti le mani dietro la schiena e pungolandoli con le spade li condussero in fila per uno verso la zona delle stalle, in cui sarebbe stato più facile trovare un edificio dove rinchiuderli e sorvegliarli in modo da impedire qualsiasi tentativo di fuga.

Richard li guardò allontanarsi fino a quando non scomparvero dalla vista. «Intendi portarli a Châtel-Argent?»

«No» mugugnò Marc, dopo averci riflettuto su per qualche istante ancora. «Non voglio rischiare che si ribellino durante il viaggio e nemmeno restare qui ad aspettare che arrivino i rinforzi che sarebbero necessari a sorvegliarli senza rischi per tutto il tragitto. E poi non so ancora prevedere chi li giudicherà per i loro crimini.»

«Sono francesi e anche Reynart de Martagne lo era. Credo che spetti a re Luigi fare giustizia» osservò Richard.

«Ma a causa loro sono morte due nobildonne inglesi, una delle quali era la confidente dell’imperatrice, e non voglio trovarmi in mezzo a una disputa giuridica. In mancanza di indicazioni certe da parte del mio re, non sposterò quei criminali da qui. Chiamerò lo sceriffo Voos a tenerli d’occhio con l’aiuto dei fiamminghi superstiti di De Hoerde e di tutti gli uomini di cui potrò fare a meno come scorta per il ritorno a casa.»

Michel approvò la scelta. «Qui sono in territorio neutro, è sicuramente il posto migliore dove lasciarli in attesa di capire dove sarà istruito il processo.»

«Se vuoi, posso restare io a fare da referente per tutti gli armati» propose Laurent, che nel frattempo era sceso da cavallo. «Troverò qualcuno che mastichi un po’ della nostra lingua e manterrò la disciplina, in attesa che arrivi lo sceriffo a rilevare il comando.»

«Davvero lo faresti?» domandò Marc, colpito dalla proposta.

L’amico gli fece un cenno d’incoraggiamento con la testa. «È ora che tu pensi a sposarti. A me basterà arrivare in tempo per la cerimonia. Tu invece devi finire i preparativi e pensare anche e soprattutto alla tua futura sposa: ha bisogno di tornare al più presto in un luogo familiare, protetto e tranquillo.»

Marc era sicuro che in un altro momento la futura sposa avrebbe obiettato all’ultima affermazione di Laurent, cercando di dimostrarsi tutt’altro che bisognosa di cure particolari, invece Alex non disse nulla, anzi, si appoggiò ancora di più al suo braccio e questo gli diede la misura di quanto lei fosse provata da quell’avventura orribile.

E non solo lei. Anche lui doveva ammettere in coscienza di bramare più di ogni altra cosa un po’ di tranquillità. Scaricare le incombenze su qualcun altro, andarsene da lì e mettere una pietra tombale sulla faccenda.

Ne aveva avuto abbastanza. Gli sembrava di avere la testa e l’anima oppresse da pensieri pesanti come macigni, specie dopo aver visto…

Si passò una mano sugli occhi, cacciò via il pensiero. Non era il momento, non ce la faceva. Era troppo stanco e il fianco pulsava dolorosamente. Forse, tornando a casa sarebbe riuscito ad alleggerirsi almeno un po’.

«Allora, approfitto volentieri della tua cortesia e ti ringrazio» disse a Laurent. «Confesso di aver davvero bisogno di riposare.»

«E questa è una novità inaudita» commentò Michel. «Mio fratello che ammette in pubblico di essere esausto.»

«Anche il primo cavaliere esaurisce le forze» aggiunse Richard, ma nessuno aveva davvero voglia di fare dello spirito, dopo una giornata tanto sanguinosa.

«Piantatela» li rimbrottò Marc, con una convinzione altrettanto scarsa. «Finiamo di sistemare le cose, piuttosto. Abbiamo poche ore di luce.»

«L’incendio del magazzino è stato domato» disse Michel indicando il fumo ormai rado che proveniva dall’edificio.

«Accertati della situazione. Trova l’abate e fatti aiutare per la conta dei feriti e delle altre possibili vittime in tutto il complesso del monastero. Voglio preparare un resoconto dettagliato per il re e per nostro padre.»

«Contaci.»

Marc controllò il cortile con uno sguardo pensoso. «Dovremo approntare anche le sepolture» mugugnò. «Assicuriamoci di dividere i bastardi dai valorosi e dagli innocenti, ma concediamo a ognuno un posto al cimitero, anche se gli sgherri di Martagne non meriterebbero altro che una fossa comune.»

Alex gli strinse di nuovo il braccio. «Che ne sarà di Edwina, di sua madre e del comandante De Hoerde?»

Marc represse a fatica un sospiro. «Ne parlerò con l’abate. La ragazza è una suicida, ma io credo che possa essere trattata con misericordia e accolta in terra consacrata accanto a suo marito.»

«Ha visto assassinare sua madre e il suo amato. Non ragionava più» la giustificò Alex, in tono supplichevole.

Marc annuì. «Chiederò che i due sposi siano sepolti insieme e la contessa accanto a loro. Mi sembra giusto che Edwina e De Hoerde rimangano uniti come non hanno potuto essere in vita e spero che lady Anne possa alla fine accettare il loro amore restando vicina a sua figlia.»

«È morta per salvarla, quindi l’amava» disse Alex con un filo di voce. «Che possano riposare in pace.»

Marc si fece il segno della croce e tutti lo imitarono. «Andiamo» decise poi, rivolgendosi soprattutto ad Alex. «Ti porto al coperto, a riposare lontano da tutto questo.»