39
Entrando nel refettorio in cui i tavoli non erano ancora stati preparati per il pranzo, Alex trovò già le due Sembry, madre e figlia, impegnate ad affrontarsi a muso duro. Nessuno dei presenti si era seduto, forse non avevano nemmeno fatto in tempo, perché la contessa sembrava partita subito all’attacco e aveva il dito puntato contro Edwina. «Non posso credere che tu abbia fatto questo a me, a te stessa! Hai rovinato il tuo futuro per scappare con costui!» Aveva ancora il mantello di pelliccia pregiata addosso e non si era nemmeno tolta i guanti. Accanto a lei c’era un cavaliere dalla barba bionda e i lineamenti inconfondibilmente germanici, che assisteva in silenzio con le braccia conserte.
«Il mio futuro con lui sarà felice, a differenza di quello che voi avevate progettato per me» ribatté la figlia. «Io lo amo e non m’interessano né i titoli nobiliari né la corte dell’imperatore.» Con lei c’erano Laas De Hoerde e un altro armato fiammingo, senz’altro venuto come scorta.
In mezzo alle due parti, l’abate di Saint Sébastien, minuto e con la barba bianca, cercava di tranquillizzare le donne sollevando le mani aperte verso di loro. Non era granché efficace, visto che non parlava inglese e che il novizio adolescente che aveva con sé come interprete era troppo timido per alzare la voce al di sopra delle altre mentre traduceva le sue parole.
«Mesdames, vi prego! Che cosa succede qui? Vi avevo chiesto di aspettare il mio ritorno prima di iniziare a discutere» esclamò Michel varcando la soglia, e finalmente nel refettorio ci fu una breve tregua. Tutti rivolsero gli sguardi verso di lui e di conseguenza verso Alex che lo seguiva a ruota.
La contessa in particolare fulminò entrambi con un’occhiataccia.
Soprattutto me, pensò Alex, ma si guardò bene dal lasciar trasparire quel pensiero.
«E io vi avevo detto che non c’era bisogno che chiamaste altri testimoni a questo deplorevole spettacolo» ribatté Anne Sembry. «Capisco il vostro eccesso di zelo, dovuto senz’altro alla giovane età, ma come non serviva scomodare il reverendo abate, così non servivano nemmeno ulteriori presenze estranee per dirimere una questione di famiglia.»
La “presenza estranea” ha un nome, brutta strega, pensò Alex, ma preferì lasciare la parola a Michel che aveva già corrugato la fronte.
«Sarò anche giovane, ma vi assicuro che conosco la legge secolare e il diritto canonico in modo più che appropriato per giudicare questa contesa» replicò, lui controllatissimo. «Rappresento qui il conte Jean Marc de Ponthieu, mio padre, e il conte Marc de Montmayeur, mio fratello, e sono gli occhi e le orecchie di re Luigi in loro assenza. Intendo accertarmi che nessuna delle due parti subisca dei torti e se ho chiamato il venerabile abate, è stato solo per quietare i vostri dubbi circa il fatto che la questione verrà valutata innanzitutto secondo i criteri della Chiesa. Stiamo pur sempre parlando di un sacramento.»
«Accomodatevi tutti, vi prego» disse l’abate con la traduzione del suo novizio. «Possiamo parlare senza acrimonia, come fratelli e sorelle in Cristo.»
Mancò poco che la contessa lo ignorasse del tutto. Mentre il comandante De Hoerde sussurrava qualcosa a Edwina e la convinceva a prendere posto su una panca laterale, lady Anne non si spostò da dov’era, al centro della sala e della scena. «Non c’è niente da valutare. Lei non poteva sposarsi senza il mio permesso.»
«Ma lo ha fatto e si è unita a suo marito davanti a un sacerdote e ai testimoni necessari. Ed è stata un’unione voluta di comune accordo, a quanto entrambi sostengono» ribatté Michel e sbirciò Alex.
«È vero» confermò lei. «Ho parlato a lungo con Edwina in privato e non aveva ragione di mentirmi.»
Lo sguardo assassino che ricevette in cambio da Anne Sembry le fece capire che la sua presenza non avrebbe affatto contribuito a placare gli animi, come si augurava Michel, o per lo meno non a placare quello della contessa.
Meglio se sto zitta, si disse, mordendosi la lingua per soffocare ulteriori interventi che avrebbero solo peggiorato le cose.
«Inoltre entrambi confermano di aver consumato il matrimonio» proseguì Michel. «Ciò è sufficiente a renderlo valido per la legge di Dio e quella degli uomini e non mi sembra che in questo caso esistano altre condizioni che possano inficiarne la validità.» Andò verso il tavolo più grande e si accomodò al centro, invitando con un gesto l’abate e Alex a fare altrettanto. «Contessa» riprese da là, ammorbidendo il tono, «vi assicuro che abbiamo già esaminato con la massima attenzione i documenti che gli sposi ci hanno prodotto e anche le loro deposizioni, fatte singolarmente o insieme. Questa unione è stata consensuale, gli sposi non sono consanguinei e vostra figlia è abbastanza grande, consapevole ed esperta di vita matrimoniale, visto che è già stata sposata, da sapere cosa fosse il sacramento a cui si sottoponeva. Non è stata circuita né costretta, perché non potete semplicemente accettare la sua scelta?»
Alex non poté fare a meno di pensare che in quel frangente Michel, con il suo contegno diplomatico, era davvero più simile a suo padre di quanto non lo fosse Marc con la sua irruenza sbrigativa.
Peccato che la contessa non accettasse inviti alla diplomazia da parte di un cavaliere con la metà dei suoi anni. «Edwina è sotto la mia tutela e non le permetterò di gettare via la sua vita con quell’uomo. Contesto il matrimonio perché è stato contratto illegittimamente.»
«Milady, vi assicuro che sono più che in grado di mantenere vostra figlia e di darle una vita come le si conviene» intervenne il comandante De Hoerde e si vedeva che era punto sul vivo, nonostante si sforzasse di mantenere un tono formale. «E il nostro matrimonio è legittimo e valido, dal momento che…»
«Tu più di tutti devi tacere, criminale» sibilò la Sembry. «Hai sulla coscienza i nostri morti, hai rapito mia figlia, non sei minimamente all’altezza del suo rango e nemmeno degno di portare il titolo di cavaliere. Farò in modo che la giustizia dell’imperatore si occupi di te, te lo giuro.»
Il fiammingo sbiancò, anche se dalla sua espressione indignata Alex capì che a colpirlo erano stati molto più gli insulti che la minaccia della giustizia imperiale.
«Contessa, devo chiedervi di moderare le parole» intervenne subito Michel. «Siete una nobildonna. Se foste un uomo, il comandante De Hoerde potrebbe pretendere di sfidarvi per rispondere all’offesa gravissima che gli avete appena rivolto.»
«Può farlo, se vuole» ribatté la Sembry e allargò la mano verso il cavaliere silenzioso che l’accompagnava. «Herr Von Albes può rappresentarmi come campione, anche in un giudizio di Dio, e allora vedremo da che parte sta la vera giustizia.»
De Hoerde drizzò la schiena e avvicinò la mano alla spada, il cavaliere imperiale fece lo stesso. Edwina si portò entrambe le mani alla bocca con un gemito.
Possibile che questa donna abbia sempre qualcuno disposto a farle da cagnolino senza fiatare? protestò Alex col pensiero, ma l’accenno al giudizio di Dio le provocò un brivido, riportandole alla mente ricordi orribili.
L’abate cercò di calmare gli animi, come sempre inascoltato. Michel si alzò in piedi e piantò entrambe le mani aperte sul tavolo. «Ascoltatemi, tutti quanti. Non scomoderò la giustizia di Dio per una questione che gli uomini possono dirimere con le loro forze e sono convinto che il reverendo abate sia d’accordo con me.»
«Assolutamente» convenne il religioso. «Signora, signori, vi prego. Siamo nella casa del Signore. Questo monastero è un luogo di pace, non turbiamolo con la violenza, né fisica né verbale.»
«Questo monastero è un luogo neutro» replicò la Sembry, sottolineando le parole. «Con tutto il rispetto che posso avere per il titolo nobiliare che porta, non sarà un ragazzo francese a decidere riguardo l’offesa che è stata fatta al mio casato e a tutta la corte imperiale.»
Alex vide Michel socchiudere gli occhi, in quell’espressione ammonitrice tipica dei maschi della sua famiglia. Indicava che la collera aveva raggiunto il livello di guardia: se si fosse trattato di Marc, l’interlocutore sarebbe stato caldamente invitato a mettersi in disparte e tacere, a meno che non volesse proseguire il discorso con una spada sguainata.
Invece Michel si risedette al tavolo, anzi si accomodò e intrecciò le mani sul pianale. «E con tutto il rispetto che io porto per il vostro titolo e la vostra anzianità, milady, vorrei farvi notare che vostra figlia è volontariamente complice dell’uomo che ha quasi fatto assassinare mio fratello e la mia futura cognata» ribatté. «Perciò, se proprio volete puntualizzare con me chi sia la parte offesa, potrei pretendere soddisfazione da tutti quanti voi messi insieme a nome della mia famiglia, di dama Alexandra qui presente, del casato dei Roucy e di tutte le famiglie dei nostri morti. Vogliamo davvero procedere su questa strada o ci limitiamo a discutere del matrimonio di vostra figlia?»
«Il matrimonio di mia figlia non esiste» sentenziò la contessa a denti stretti. «Questa unione indecente è stata fatta senza il mio permesso, violando degli accordi prematrimoniali già firmati e resi pubblici, perciò non può avere valore. Mi appellerò all’imperatore per cancellare questa farsa e mia figlia verrà via con me oggi stesso.»
«Io non torno con voi!» Edwina scattò in piedi e si aggrappò a De Hoerde. «Non potete più comandarmi. Sono una donna sposata davanti a Dio.»
Lui la circondò con un braccio, per difenderla. «Siamo uniti da un sacramento e nessun uomo può dividere ciò che il Signore ha unito» annunciò, duro.
«Non temere, farò in modo che tu incontri il boia molto presto» ribatté la contessa. «Hai sulla coscienza anche dei morti inglesi e non solo francesi. Non so come sei riuscito ad ammansire loro» indicò Michel in rappresentanza dei francesi, «ma visto che non ti hanno ancora ucciso, mi assicurerò io che tu paghi per i tuoi crimini. Tutti, nessuno escluso.»
De Hoerde non replicò. Edwina si aggrappò ancora di più al marito.
«Contessa, prima di minacciare condanne, è necessario che vengano giudicati i fatti e attribuite le responsabilità a chi deve davvero farsene carico» ammonì Michel. «Se solo mi aveste dato il tempo di informarvi di quanto è emerso…»
«Le responsabilità verranno vagliate da giudici competenti in materia, alla corte di Aquisgrana» l’interruppe la Sembry. «Quest’uomo deve essere messo agli arresti in attesa di essere trasferito al giudizio. Mi meraviglio anzi che l’abbiate lasciato a piede libero. Un uomo con più polso non l’avrebbe tollerato, qui, in mezzo a cavalieri d’onore.»
«Questo monastero è un luogo neutro, l’avete detto anche voi. Non potete ordinare di arrestare nessuno, qui. Non posso farlo io e nemmeno l’imperatore, perché siamo sotto la giurisdizione del papa» osservò Michel, granitico.
Ha la pazienza di un santo, pensò Alex.
«Siete voi che volete rovinarmi la vita!» esclamò Edwina, rivolta alla madre. «Non vi interessa la mia felicità, l’unica cosa che volete è imparentarvi con un casato nobile e mantenere il vostro patrimonio e la vostra posizione a corte. Non vi importa se a farne le spese sono io!»
«E chi ti dice che non sia lui a mirare soltanto a un casato nobile con un patrimonio più che notevole?» la rimbeccò la contessa. «Lui non è nessuno, un plebeo fatto cavaliere, tu sei la sua grande occasione.»
«Laas non è quel tipo di uomo!»
De Hoerde si fece avanti di un passo, cinereo per l’indignazione. «Signora, io da vostra figlia non voglio né denaro né titoli né possedimenti. Sono pronto a fare formale rinuncia a tutto, qui e ora.»
«Ma certo, perché tanto sai che lei è la mia unica erede, l’ultima dei Sembry» disse la contessa. «I vostri figli erediterebbero tutto comunque.»
«Come osate…?!»
«Madre! Come potete…?!»
«Basta, vi prego.» Michel alzò la voce sopra le altre e la sua richiesta fu un colpo d’ascia sul diverbio. «Speravo poteste riappacificarvi con vostra figlia discutendone in modo pacato, ma a quanto pare non è possibile. Lascio la valutazione del matrimonio a un futuro tribunale ecclesiastico, ma fino ad allora, badate bene, contessa, non permetterò che qualcuno venga arrestato o portato via da qui contro la sua volontà, violando la neutralità di questo luogo.»
«State dalla parte di un criminale» accusò la Sembry, furente.
Michel si rialzò in piedi. Era il più alto di tutti nella sala e in quel momento incuteva soggezione proprio come suo padre. «Non sto dalla parte di nessuno, solo da quella della legge, divina o umana che sia. Arresterò un uomo quando la legge dirà che posso farlo e dividerò due sposi quando la Chiesa confermerà che stanno insieme illegittimamente. Fino ad allora, impedirò che vengano compiuti ulteriori soprusi e potete stare certa che denuncerò al mio re o al vostro o persino all’imperatore qualsiasi violazione che dovesse verificarsi durante la mia permanenza qui.»
«E voi potete stare certo che non me ne andrò da qui senza mia figlia» ribatté la contessa, con uguale durezza. «Mi appellerò all’imperatore, farò arrestare questo rapitore. Se non posso farlo in questo monastero e nel suo contado, lo aspetterò fuori. Non potrà restare qui dentro per sempre.» Si girò e marciò verso l’uscita senza più rivolgere la parola a nessuno. Il cavaliere che l’aveva accompagnata salutò con un inchino formale e la seguì nel cortile esterno.
Edwina scoppiò in singhiozzi. Alex ebbe l’istinto di andare a consolarla, ma desistette subito quando la ragazza si rifugiò nelle braccia del marito. Allora li lasciò tranquilli e rimase a guardare a distanza mentre De Hoerde sussurrava qualcosa alla moglie per tranquillizzarla e scambiava anche qualche parola con l’altro cavaliere fiammingo nella loro lingua sconosciuta. L’abate si aggiunse dopo poco e prese le mani di Edwina con fare paterno. Senz’altro la stava rassicurando sulla validità del suo matrimonio come sacramento, ma la traduzione del novizio dall’idioma fiammingo era pronunciata come sempre a voce troppo bassa per essere compresa anche solo a qualche passo di distanza.
Alex andò da Michel, che aveva aggirato il tavolo ed era rimasto a guardare la porta del refettorio con le mani sui fianchi. «Avrei davvero faticato di meno a seguire Marc nella sua caccia a Martagne» borbottò quando lei gli fu vicina. Aveva abbandonato l’inglese per tornare alla lingua madre che gli riusciva più naturale.
«Mi spiace, non ti sono stata d’aiuto» disse Alex. «Avrei voluto intervenire tante volte, ma ho avuto l’impressione che avrei solo peggiorato le cose.»
«Sì, temo anch’io che la contessa non ti veda di buon occhio. Sei stata saggia a restare in disparte, ma ti ringrazio per avermi comunque fatto da testimone. Avere con me qualcuno che comprende e parla fin dalla nascita la stessa lingua della contessa mi ha dato più sicurezza. Almeno so di non aver frainteso i dettagli del discorso e quindi risposto a sproposito.»
Alex fece spallucce. «Non avevi alcun bisogno di me. Sei molto bravo nella mia lingua, come Marc e vostro padre.»
«Nostro padre è infinitamente più bravo di entrambi. Alle volte parla con il tuo con tale scioltezza e velocità da sembrare un vostro conterraneo.» Michel sospirò. «Vorrei riuscire a essere altrettanto bravo, prima o poi.»
Alex ebbe un brivido segreto a quell’accenno. Decise di cambiare subito argomento. «Tu dici che la contessa manterrà davvero le sue minacce? Può farlo sul serio?»
Michel si rannuvolò ancora di più. «Temo di sì, poiché fuori dal contado di questo monastero è tutto territorio imperiale e il cavaliere che ha con sé appartiene alla corte di Federico II, quindi può applicare la giustizia.»
«Questa non è giustizia, è persecuzione» obiettò Alex, furente.
«Chiamala come vuoi, ma è un diritto che la contessa può reclamare legittimamente.»
«E noi non possiamo proprio fare nulla?»
«Come dicevo prima alla contessa, noi siamo una delle parti offese, ma il comandante De Hoerde è un fiammingo e la strage è avvenuta sul suolo fiammingo che appartiene all’impero, quindi tutta la faccenda sarà giudicata dalla giustizia imperiale.»
«Quindi dagli amici della Sembry, visto che lei è la confidente dell’imperatrice.»
«È molto probabile. D’altra parte, De Hoerde doveva aspettarsi una ritorsione di qualche genere dopo ciò che ha fatto. Lui e sua moglie devono solo augurarsi che Marc raccolga abbastanza prove su Martagne da dimostrare senza ombra di dubbio che è stato lui a progettare e poi eseguire la strage all’insaputa di chi l’aveva ingaggiato. A quel punto, i due sposi fuggitivi saranno scagionati dalle accuse peggiori.»
«E il comandante eviterà la condanna?»
«Be’, non ho mai sentito nessuno che sia finito davanti al boia per una fuga d’amore, a maggior ragione se poi ha già sposato la ragazza per riparare al misfatto.»
Alex sentì rinascere la speranza. Marc avrebbe senz’altro portato tutte le prove necessarie, perché non si sarebbe dato pace finché non fosse riuscito a inchiodare Reynart de Martagne alle sue responsabilità.
Dove sei? si chiese, rivolgendosi a lui col pensiero. Torna presto, qui c’è bisogno di te.