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Con l’impressione di essere un imputato, Marc riepilogò con dovizia di particolari l’intera storia, a partire da quando re Luigi gli aveva chiesto di scortare la contessa di Sembry e sua figlia fino al confine dove poi avevano incontrato la scorta imperiale comandata da De Hoerde. Riassunse quello che sapeva delle due inglesi e dei loro accompagnatori e si sforzò di ricordare ogni dettaglio dell’agguato, per quanto aveva potuto vedere: la dinamica, il numero degli assalitori, com’erano vestiti e com’erano armati. Si guardò bene dal dire che lui e Alex avevano fatto l’amore nel carro delle armi e grazie al cielo nessuno gli chiese dettagli precisi su dove fossero entrambi a dormire durante l’agguato, ma non poté sfuggire al rimprovero della coscienza, che lo fece sentire una canaglia indegna per aver approfittato della situazione.

Ripensandoci ora, l’enormità del misfatto lo colpì come una sassata: anche se Alex era stata più che consenziente, lui le aveva rubato la verginità quando avrebbe dovuto dimostrarsi saldo come una roccia nei principi che gli erano stati insegnati fin da bambino. Non volle nemmeno pensare a cosa avrebbe detto re Luigi se lo avesse saputo, lui che dopo il matrimonio aveva passato tre notti in preghiera, come prescritto dalla Chiesa, prima di unirsi carnalmente con la sua amata regina Margherita.

E in quanto al confessore di Châtel-Argent… come minimo, fratello Clement l’avrebbe condannato a pane e acqua per un mese per espiare la colpa.

Vergogna che si aggiungeva alla vergogna.

Pregando che quei pensieri agitati non gli si leggessero in faccia, Marc proseguì parlando della fuga disperata con i nemici alle calcagna, dall’accampamento fino a dove poteva ricordare. «Ho colpito un nemico mentre i boscaioli venivano presi a bersaglio insieme a noi» concluse. «Poi mi sono svegliato qui.»

Tacque e tutti gli altri tacquero con lui. Fu bizzarro, perché si sentì indagato come mai prima di allora. Persino sir Daniel lo scrutava con la fronte corrugata, quasi cercasse di carpirgli dalla testa le informazioni taciute; Alex sembrava aver trattenuto il fiato fino ad allora e il Falco manteneva quel silenzio eloquente che usava sempre per indurre i figli a confessargli ciò che pensavano di nascondergli e che lui invece intuiva a colpo sicuro.

«Vorrei poter dire di più, ma questo è il massimo che posso fare per ora» ribadì Marc, ostinato. Si sarebbe fatto mettere sulla graticola come san Lorenzo piuttosto che rivelare ai due padri lì presenti il disonore suo e di Alex o ammettere di sentirsi ancora spaventato dalle visioni assurde provocate dal delirio, che chissà perché non volevano sbiadire e poi svanire dalla sua testa come accadeva comunemente con qualsiasi incubo. «Forse nei prossimi giorni mi torneranno in mente altri dettagli.»

«Non importa, quello che ci hai detto è più che sufficiente» sentenziò il Falco e finalmente quella strana atmosfera da interrogatorio si dissolse. «Ciò che è accaduto dal fienile in poi non ci serve per identificare i colpevoli dell’agguato o le ragioni che li hanno spinti ad agire. È solo su di loro che ci dobbiamo concentrare adesso, per fare giustizia e portare notizie certe al nostro re e alla corte imperiale.»

L’impero. L’ombra gigantesca di Federico II Hohenstaufen aleggiò nella stanza e Marc si chiese quanto fosse grave la crisi diplomatica che senz’altro la strage aveva provocato tra Francia e impero, senza contare le ripercussioni che i fatti potevano aver avuto al di là della Manica, alla corte di re Enrico d’Inghilterra. «Come stanno procedendo le indagini? Chi le guida?» chiese allora Marc, appena prima di ricordarsi di una domanda a cui non aveva ancora avuto risposta: «Che giorno è oggi? Da quanto sono qui?». Cercò Alex con gli occhi e lei disse: «È sabato. Sei svenuto giovedì mattina».

Marc guardò fuori dalla finestra. La luce piena nel cielo gli indicava che doveva essere più o meno l’ora di pranzo, perciò dal momento dell’agguato erano trascorsi due giorni interi. Ormai le tracce nella foresta dovevano essersi irrimediabilmente confuse.

«Lo sceriffo Voos ha dispiegato tutti i suoi uomini nelle ricerche e io sto facendo altrettanto al di là del confine, anche se dubito che quei bastardi abbiano cercato nascondiglio proprio in casa nostra» disse il Falco. «Anche Germain de Béarne setaccia le sue terre. Io ho avvertito re Luigi dell’accaduto e anche la corte imperiale e quella inglese sono state allertate, perciò prevediamo che arrivino rinforzi quanto prima. Per ora, non abbiamo nessuna pista certa, purtroppo.»

Marc strinse i pugni e suo padre si sporse verso di lui. «Nessuno ti ritiene responsabile e non dovresti farlo nemmeno tu» gli disse. «Tu e i tuoi uomini siete le vittime; noi siamo la parte offesa maggiormente, perché il comando della spedizione e la sorveglianza era affidata ai fiamminghi e agli inglesi. Finché tu hai avuto il controllo della situazione, il viaggio non ha conosciuto pericoli. Non hai commesso errori e non è colpa tua se chi ti ha sostituito quando era il momento si è dimostrato incapace.»

«Avrei potuto continuare a vigilare anch’io» obiettò Marc. «Se solo avessi lasciato qualche sentinella…»

«Non avresti potuto farlo, senza offendere il comandante fiammingo. Equivaleva a dirgli che non ti fidavi di lui.»

«Ne sarebbe valsa la pena. Avrei sopportato volentieri il suo rancore, se fosse servito a salvare qualche vita in più.»

«Che credi? Anch’io avrei evitato tante cose che si potevano evitare, se solo avessi saputo in anticipo che sarebbero accadute. Purtroppo, pare che prevedere il futuro non sia nelle possibilità dei comuni mortali.»

Anche Alex e sir Daniel guardarono il Falco dopo quell’affermazione così secca. Marc sospirò, riconoscendo che come al solito suo padre aveva ragione. «Eppure il comandante De Hoerde mi era sembrato un uomo preparato al compito» riprese, piano. «I turni di guardia e la disposizione delle sentinelle che aveva organizzato intorno al campo prima di andare a dormire erano più che adeguati.»

«Forse ha cambiato qualcosa durante la notte» buttò lì Alex, intervenendo per la prima volta dopo tanto tempo.

«E quale motivo avrebbe avuto?»

Lei si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea. Era solo per dire. In effetti non ha senso.»

Il Falco aggrottò ancora di più la fronte, specie quando sir Daniel disse: «Il suo cadavere, però, non è ancora stato trovato».

Marc drizzò la schiena.

«Per il momento non abbiamo notizie di De Hoerde» gli spiegò suo padre. «Non sembra essere tra i cadaveri. Ipotizziamo che sia andato all’inseguimento di chi ha rapito Edwina Sembry.»

«Non avete trovato nemmeno il suo, di corpo?»

«No, quindi riteniamo che sia stata davvero rapita. Anche alcuni uomini di De Hoerde mancano all’appello, tre per la precisione. Gli altri sono stati uccisi nell’agguato.»

«Strano però che non si sia ancora fatto vivo. Avrebbe dovuto dare sue notizie, sia che abbia trovato la ragazza sia che ne abbia perse le tracce» osservò sir Daniel.

«A meno che non sia stato ucciso anche lui proprio durante l’inseguimento. I rapitori erano in numero soverchiante e potrebbero averlo sopraffatto con i suoi pochi compagni senza troppa difficoltà. Se hanno occultato bene i cadaveri, non li ritroveremo mai.»

«Oppure lo hanno preso prigioniero con Edwina» ipotizzò Alex.

«E a che pro? Non ci risulta che De Hoerde abbia un valore strategico o politico e nemmeno che da lui si possa pretendere chissà quale riscatto» disse il Falco. «Anzi, averlo tra i prigionieri raddoppia la fatica e i rischi per i rapitori, che per giunta si sono dati un gran daffare per eliminare tutti i testimoni dell’agguato. Considerate con che accanimento vi hanno inseguito fino a quando l’arrivo nella zona controllata da Voos non li ha costretti a desistere.»

«Questo esclude qualsiasi ipotesi di un banale agguato a opera di banditi di strada» dedusse Marc, che finalmente poteva ragionare con lucidità e mettere in fila tutti i dettagli. «Ma l’avevo già capito: erano troppi, troppo bene organizzati e troppo determinati. È stato un attacco premeditato e pianificato con cura.»

«Volevano Edwina? Ma perché?» si stupì Alex.

«Non lo so. In effetti anche questo non ha molto senso» ragionò Marc. «Sua madre ha un peso politico molto superiore, avrebbero dovuto catturare lei. Invece sembrava che volessero ucciderla come tutti gli altri.»

Sir Daniel si rivolse alla figlia. «Tu hai parlato con la ragazza inglese più di tutti, ricordi niente che possa farci capire perché fosse un bersaglio?»

«Macché» sospirò Alex. «So solo che deve sposarsi a breve con un uomo importante della corte imperiale. Il conte Alberet o Albrecht von Stiere, della tesoreria. Ne parlava di una cosa ormai fatta, sulla quale erano tutti d’accordo.»

«Non lo conosco, ma non mi ci vorrà molto per avere notizie di lui» disse il Falco. «Dubito però che la pista del matrimonio sia utile. Chiunque sia questo conte, se è incaricato della tesoreria imperiale ha ben pochi rivali nell’impero e nessuno di loro sarebbe costretto a usare mezzi così biechi come un agguato in piena notte per fargli uno sgarro. A quei livelli di potere nuotano squali che smuovono interi eserciti regolari e non un branco di anonimi banditi.»

«Mi dicevi che l’imperatore ha avuto problemi proprio di quel tipo, giusto mesi fa» disse sir Daniel.

«Sì, la ribellione di suo figlio Enrico, e per l’appunto si è tradotta in una vera e propria guerra interna. Enrico si è sottomesso a suo padre a luglio ed è stato condotto prigioniero nel regno di Sicilia. Poco dopo Federico II si è sposato con Isabella d’Inghilterra, ha consolidato l’alleanza con la casa reale inglese e io credo che l’abbia fatto anche per garantirsi un appoggio in più in caso di nuovi disordini nel nord dei suoi territori. Da allora sta facendo di tutto per ricomporre vecchie faide e pretese dinastiche feudali, ad esempio con la dieta di Magonza di due mesi fa.»

«Forse qualche ribelle ha rialzato la testa? Magari fa scorrerie prendendosela con chiunque capiti a tiro.»

«Mi risulta che l’imperatore abbia pacificato la regione col pugno di ferro. E comunque, perché dei ribelli avrebbero dovuto prendere solo Edwina e lasciare lì i gioielli, le pellicce e le altre cose di valore? Se cerchi di portare avanti una ribellione e sei rimasto senza appoggi dopo che il capo a cui facevi riferimento è stato messo in galera, hai bisogno più che mai di denaro per procurarti cibo ed equipaggiamenti.»

«Forse è solo qualcuno che vuole seminare zizzania o il terrore proprio là dove l’imperatore cerca di stabilire la pace. Gli basterebbe un unico gesto eclatante.»

«Ci sarà senz’altro qualcuno che non è d’accordo con i progetti di Federico II o che cova rancori e vendette, per esempio tra gli alleati sconfitti di suo figlio, ma non vedo alcun aggancio plausibile con quanto è accaduto qui. Non basta il rapimento di una ragazzina inglese, ancorché contessa, per mettere i bastoni tra le ruote a un imperatore.»

Sir Daniel stirò le labbra in una piega amara. «Un bel rompicapo. Tanto per cambiare, Faucon d’Argent

Il Falco tacque e annuì.

Il silenzio lungo e pensoso che seguì fu interrotto dai rintocchi lenti di una campana al di là della finestra spalancata.

«È ora di mangiare qualcosa» annunciò il Falco, alzandosi dal suo sgabello. Gettò un’occhiata al vassoio del cibo portato poco prima dal servo: una scodella di brodo ormai freddo, pane con erbe aromatiche, bocconi di selvaggina arrostita, acqua e vino. «Faccio portare della roba calda» decise, prendendo il vassoio, e guardò Alex. «Per tutti e due, suppongo.»

«Sì. Mangio qui con lui» disse Alex.

«D’accordo. Ci rivediamo più tardi allora.»

Quando i due uomini uscirono, Marc sospirò di sollievo, poi si tirò su dal cuscino. «Dammi i miei vestiti.»

Alex obiettò: «Hai sentito cos’ha detto tuo padre».

Marc spostò i piedi giù dal letto, nonostante la nuova fitta d’avvertimento che la ferita gli lanciò sotto le bende. «Con o senza vestiti mi alzo, ti avviso.»

Alex non si mosse di un’unghia. «Fai pure. Se credi che m’imbarazzi o mi dispiaccia vederti nudo…»

Marc sbuffò, ma non si tolse di dosso la coperta. «Ti prego

Finalmente lei si alzò dallo scranno e andò ad aprire la cassapanca. «Hanno lavato i tuoi vestiti, ma non c’è stato tempo per rammendarli perché non sono ancora asciutti. Quindi te ne abbiamo recuperati degli altri.» Tornò al letto portando biancheria pulita, brache scure e una casacca di panno color tortora.

«Andranno benissimo» disse Marc e si aspettò che lei si congedasse o almeno si appartasse per lasciargli il modo di coprirsi adeguatamente in privato, invece Alex rimase lì dov’era con gli abiti in braccio e l’intenzione palese di dargli una mano.

«Immagino che dovrei essere io quello che si vergogna, per questa e molte altre cose» borbottò Marc, decidendosi infine a scendere dal letto. Per lo meno le gambe lo ressero e gli risparmiarono l’umiliazione di cadere lungo disteso sul pavimento di pietra fredda, ma avvertì comunque una leggera vertigine e perciò non osò spostarsi più di tanto da dov'era.

«Non devi vergognarti di niente davanti a me, con tutto quello che abbiamo vissuto insieme» disse lei e gli tese i capi uno a uno. «Aspetta» aggiunse quando lui era sul punto di indossare la camicia sopra le brache. «Fammi vedere se la ferita sanguina o no.»

Marc le mostrò il fianco, fasciato nelle bende pulite.

«Niente sangue nemmeno qui» confermò Alex dopo aver controllato la zona delle reni. «Meglio così. Tu come ti senti?»

«Stanco, ma sto bene» minimizzò Marc, anche se non era del tutto sincero. A dir la verità si sentiva svuotato, ma si augurò che mangiare qualcosa l’avrebbe aiutato a riprendere un po’ di forza prima che Alex o chiunque altro si preoccupasse. «I punti bruciano, tutto qui.»

Alex abbandonò subito la sua flemma simulata e diventò ansiosa. «Tienili sempre ben coperti. Devono stare protetti finché non li toglieremo. Non li toccare, non li guardare nemmeno: lascia che ci pensiamo noi, qui c’è un buon medico, davvero. Non capisce una parola di quello che gli diciamo, ma sa cucire bene e curare ancora meglio.»

Lui le prese le mani e interruppe le sue raccomandazioni agitate. «Starò molto attento, giuro. Non preoccuparti più per me.»

Si guardarono negli occhi e un attimo dopo erano nelle braccia l’una dell’altro, stringendosi forte. Si baciarono con lo stesso impeto, uniti nel respiro e nel battito prepotente del cuore, poi rimasero di nuovo abbracciati, in silenzio, riprendendo fiato.

Marc appoggiò la guancia sui capelli di lei. Perché quella tensione inspiegabile non voleva abbandonarlo? Perché gli sembrava di avere la testa stipata di pensieri e di emozioni senza nome, che si aggrovigliavano tra loro premendo per esplodere fuori?

Alex era lì, era salva, eppure il suo abbraccio non lo confortava del tutto. Restava qualcosa di irrisolto tra loro due, inafferrabile eppure spiacevole. Forse era solo un effetto del malessere fisico… Oppure era il senso di colpa?

«Alex» mormorò Marc, «quello che è successo nel carro…»

«Lo rifarei» l’interruppe lei. «Lo rifarei anche adesso, qui, se solo potessimo.»

Marc la guardò negli occhi. Lei non ebbe nemmeno un’ombra di indecisione. «È stato bellissimo» gli disse, piano.

L’abbracciò di nuovo, stringendola più di prima, baciandola più di prima. Anche lui sentiva bruciare lo stesso desiderio, avrebbe voluto chiudere il resto del mondo fuori dalla porta e restare solo con lei, assaporare la sua dolcezza e il suo calore e cancellare così quell’ombra che gli gravava sui pensieri e sul cuore.

La stilettata che il fianco bendato gli inferse lo fece mugugnare e lo riportò alla ragione. Alex se ne accorse e sciolse subito l’abbraccio. «Quando starai bene. Avremo tempo. Adesso riposati» si preoccupò.

Marc ignorò il letto e zoppicò fino alla finestra, andò ad appoggiarsi al minuscolo davanzale e guardò fuori. L’aria fredda sulla faccia gli fece bene e lo aiutò a incatenare i pensieri più irrazionali e quelli più foschi. Per riuscirci meglio si concentrò sulla rocca e le sue strutture architettoniche e difensive.

Vide subito che si trattava di una costruzione più piccola di Châtel-Argent ma con una sua simmetria, gradevole all’occhio ed efficace dal punto di vista militare. A di là delle mura si vedevano pascoli assediati dalla foresta, molto più in basso rispetto al cortile sottostante la finestra, segno che la rocca era costruita su un’altura, forse una collina o uno sperone di roccia. Al di là della cinta di mura più interna si vedeva la punta di un piccolo campanile.

«Appena possibile voglio andare in chiesa» disse Marc.

«Perché?» chiese Alex alle sue spalle.

«Devo rendere grazie per un miracolo, quello che mi ha salvato la vita. La ferita era mortale, ne sono più che sicuro. Solo un intervento della Provvidenza può avermi salvato dopo aver perso così tanto sangue.» Si voltò con un mezzo sorriso. «La Provvidenza che ha agito anche attraverso le tue mani, ovviamente. Davvero non so come hai fatto a tenere a bada l’emorragia e in realtà non mi interessano i dettagli pratici. Mi importa solo ringraziarti con tutto il cuore per avermi curato e difeso. Hai compiuto un’impresa eccezionale.»

Alex non replicò subito. Si avvicinò e Marc credette che venisse ad abbracciarlo di nuovo, invece lei si sedette sulla cassapanca, lì sotto la finestra. Teneva gli occhi bassi sulle mani riunite in grembo. «Ti accompagnerò in chiesa» annunciò. «Io pregherò perché non ti serva mai più un simile miracolo. Non voglio più vederti in quelle condizioni né essere tanto terrorizzata e stare così male.»

Lui si chinò, le posò un nuovo bacio sulle labbra. «Non succederà. Basta angosce, te lo prometto. Appena chiuderò questa faccenda, tutto tornerà come prima.»

Alex annuì, ma per qualche misterioso motivo non gli sembrò davvero convinta.

Proprio come lui.