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Confine Francia-Sacro Romano Impero, Fiandra
19 Ottobre 1235
Ancora minacce. Gridate nel vento come un ultimatum dal suono aspro e incomprensibile.
Nel fienile in cui era barricata, Alex sussultò e il movimento fece tintinnare i minuscoli anelli della cotta di maglia nelle pieghe sulle spalle. Tutto quel ferro addosso l’opprimeva, ma era un niente in confronto al peso di piombo che la paura le spingeva tra i polmoni e le viscere.
Strattonò per l’ultima volta la cintura per assicurarsi che fosse bene allacciata sulla sopravveste di panno scuro, spostò il peso da un piede all’altro e la spada di Marc dentro il fodero di cuoio decorato le batté contro la coscia.
Alex la sguainò, provò a brandirla davanti a sé e vide quanto tremava la punta della lama ancora macchiata, non solo per lo sforzo di bilanciare con una sola mano quell’arma inadatta alla sua forza fisica. Le sembrava un sacrilegio impugnarla al posto del suo legittimo proprietario, quasi gliel’avesse rubata, ma era l’unica che avesse a disposizione, anche se era quasi inutile tra le sue dita. La luce del giorno pieno che entrava insieme al freddo attraverso le fessure delle pareti di legno grezzo provocò riflessi smorzati sull’acciaio ricoperto da una patina di sangue secco.
Fuori da lì, nel pascolo, il nemico continuava a inveire nella sua lingua sconosciuta, mentre la contessa di Sembry non si udiva più. L’aveva zittita lui oppure l’aveva lasciata nelle mani dei suoi sgherri armati fino ai denti? Era ancora viva o l’avevano già uccisa perché tanto avevano capito che con o senza ostaggio avrebbero vinto comunque contro gli ultimi due superstiti braccati fino a quel fienile?
Papà, Ian, dove siete? pensò Alex per la millesima volta, sapendo di non avere più tempo.
Guardò verso il mucchio di paglia su cui Marc era adagiato da un’eternità. Non aveva più emesso un gemito né riaperto gli occhi, respirava piano e sembrava un pupazzo di cera rivestito con abiti insanguinati. Dopo tutto quello che avevano passato, sarebbe morto lì, in quel capannone che odorava di umidità e muffa, ucciso da una spada nemica senza più riprendere conoscenza?
No. No! si disse Alex e con la mano libera aggiustò il camaglio, sotto il quale aveva nascosto la matassa dei capelli ormai aggrovigliati. Di nuovo travestita da uomo, stavolta nei panni di un giovane cavaliere… era davvero pronta a combattere?
Ovvio che no, ma che alternativa aveva, se nessuno veniva ad aiutarla?
Difendere Marc in qualsiasi modo, guadagnare tempo almeno per lui, nella speranza che suo padre arrivasse a salvarlo, anche se Alex non ci sperava quasi più.
Châtel-Argent distava meno di trenta miglia da lì: una distanza ridicola per i tempi moderni, che diventava però un vero viaggio se la dovevi percorrere a cavallo nel medioevo. Erano passate ore più che a sufficienza: suo padre e Ian avrebbero dovuto già essere lì, invece non se ne vedeva traccia. A questo punto, qualcosa doveva averli trattenuti o rallentati. Qualcosa di molto grave. O di fatale.
Alex andò da Marc, s’inginocchiò accanto a lui e gli posò un bacio sulle labbra. Erano tiepide, morbide e meravigliose come sempre. Lui avrebbe potuto sembrare semplicemente addormentato, se solo non fosse stato tanto pallido e il suo corpo non fosse stato abbandonato in modo così greve sulla paglia. Alex non era più stata circondata dalle sue braccia da… quanto tempo? Era già passato più di un giorno intero. O forse due? Non riusciva a calcolarlo con precisione, aveva la testa confusa da tutto quello che era accaduto, le sembrava di essere in fuga e in ansia da una vita, sballottata di qua e di là come una foglia nel temporale.
Fuori non pioveva, maledizione. Se solo avesse continuato a scrosciare ininterrottamente come aveva fatto durante tutta la notte, forse il nemico se ne sarebbe stato al riparo senza farsi sotto così presto, forse non sarebbe mai arrivato fino al fienile. O forse la pioggia torrenziale della notte era proprio il motivo per cui i rinforzi erano in ritardo o erano rimasti bloccati lungo la strada nelle ore precedenti, chissà. Forse aveva ceduto un altro stramaledetto ponte sul torrente che aveva già separato una volta lei e Marc dalla salvezza.
Alex bramò con tutto il cuore che quell’incubo finisse, o meglio, che non ci fosse mai stato. Se solo avesse avuto il potere di cambiare il tempo e non solo di viaggiarci attraverso. Di modificare ciò che era stato. Di tornare a quando la sua vita era dolce e sicura e protetta.
L’ultima volta che si era sentita così insieme a Marc era stata…
Il nemico, fuori, lanciò un nuovo ultimatum. Adesso la sua voce era molto più vicina e se ne aggiunse un’altra, femminile, che strillò di terrore. La contessa di Sembry era ancora viva.
Alex scattò in piedi, non poteva più indugiare se voleva evitare ancora per qualche tempo che il fienile venisse preso d’assalto e conquistato con la forza o che la nobildonna inglese subisse chissà quali spaventose angherie. Avrebbe guadagnato una mezz’ora con il suo tentativo disperato? Un quarto d’ora? Qualche minuto?
«Sto arrivando, bastardo!» urlò attraverso lo spiraglio del portone con quanto fiato aveva, e il nemico smise momentaneamente di insistere. Marc non ebbe la minima reazione.
Alex si fece il segno della croce. Non le era mai venuto spontaneo un gesto simile fintanto che aveva vissuto nella modernità, però adesso era consapevole di essere di fronte alla morte. Le stava andando incontro con le sue stesse gambe, ma ciò che la straziava era l’idea di non rivedere Marc mai più. Il loro sogno di vivere insieme per il resto della vita era andato in pezzi e finiva lì, nel più orrendo dei modi.
Ringuainò momentaneamente la spada per infilare l’elmo. Non ipotizzò nemmeno di imbracciare lo scudo con il Falco d’argento, il lambello rosso e il Giglio d’oro, perché pesava come un’incudine e comunque non avrebbe saputo come usarlo. Lo lasciò appeso alla sella di Goth quando gli salì in groppa. Incitò il destriero a spingere il portone e furono entrambi fuori.
Nel pascolo le ombre erano corte e sbiadite perché il sole si nascondeva dietro le nuvole; il vento umido agitava le foglie superstiti sulle cime degli alberi nella foresta tutto intorno.
L’elmo sembrava una prigione di ferro in cui il respiro affannoso risuonava amplificato e ristagnava. Come accidenti si faceva a vedere qualcosa attraverso quelle feritoie così strette? La vista laterale era quasi completamente impedita, a meno di ruotare a destra e sinistra la testa che pesava il doppio di prima.
Sentendosi sempre più schiacciata all’interno di quella trappola, Alex appuntò la sua totale attenzione sugli assedianti fermi davanti al fienile. Il loro capo era rimasto in sella al suo cavallo, mentre gli altri erano sparpagliati chi a piedi e chi sulle cavalcature, in un arco ampio davanti al fienile. In tutto erano sette. Si misero sul chi vive quando videro che qualcuno usciva finalmente allo scoperto e quello che teneva Anne Sembry per i capelli serrò la presa e le estorse un singulto spaventato. La donna era in ginocchio nell’erba infangata e rabbrividiva al contatto con la spada messa di traverso sotto la sua gola.
Alex evitò di scambiare uno sguardo con lei per non farsi contagiare dal suo terrore. Faceva già abbastanza fatica a mostrarsi risoluta e a nascondere il tremito della mano con cui estrasse la spada dal fodero, anche se la finzione non doveva essere granché convincente, visto che qualcuno tra gli sgherri sogghignò con commiserazione.
Alex avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere chi fossero quegli schifosi assassini, da dove venissero e perché volessero morti tutti quanti, compresi lei e Marc. Due di loro erano vestiti uguali sotto i mantelli scuri, con sopravvesti grigie e corpetti di cuoio identici sopra la cotta di maglia, ma tutti gli altri no. Non avevano colori araldici o stemmi particolari addosso e il loro capo sembrava più equipaggiato per la caccia che per la guerra.
Per la caccia all’uomo, pensò Alex con odio.
Il tizio barbuto al comando le puntò contro la spada e le abbaiò l’ennesima frase incomprensibile nella sua lingua dura. Sembrava un uomo temprato da mille guerre, con le spalle poderose e lo sguardo grifagno sotto le folte sopracciglia grigie. Non era più giovane, ma Alex non s’illuse nemmeno per un secondo di poterlo impensierire in un duello, nemmeno se era alta quanto lui e aveva forse trent’anni in meno nei muscoli. «Se aspetti che io mi arrenda, puoi blaterare per l’eternità!» gli gridò contro comunque e glielo ripeté anche in inglese, oltre che in francese. Gliel’avrebbe sbattuto in faccia pure in latino, se fosse stata abbastanza esperta in materia da poterlo fare. «Adesso lascia andare la contessa e vieni a discuterne con me, se hai le palle!» Puntò la spada in avanti e uno degli scherani rise senza più ritegno, mentre lei si ritrovò assurdamente a riflettere che forse aveva usato espressioni troppo moderne per il medioevo, ma tanto nessuno le aveva capite.
Chissenenfrega, decise subito dopo. Nelle condizioni in cui era, non aveva più senso continuare a chiedersi cosa fosse o non fosse adeguato dire, fare o anche solo pensare. Al diavolo il medioevo, la coerenza storica, i segreti e tutto il resto.
Al diavolo anche Hyperversum che l’aveva catapultata in quella trappola senza via d’uscita, o meglio, con una via d’uscita che non era praticabile senza causare ulteriori morti e una catastrofe che avrebbe rovinato molte altre vite.
Ferma dov’era, aspettò che fosse il nemico a rompere gli indugi. Il capo degli sgherri incitò il cavallo, aggiustò la presa sulla spada e avanzò verso di lei.