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Il lunedì mattina il convoglio in partenza da Pointeriche era allineato nell’alta corte già all’alba e Marc, che ne sarebbe stato a capo, l’aveva controllato almeno tre volte.

La parte inglese era senz’altro la più corposa, visto che doveva trasportare anche i corredi delle due dame e una notevole scorta di abiti e accessori anche per i cavalieri, che si trasferivano per tutto l’inverno alla corte imperiale e che quindi avevano bisogno di apparire sempre abbigliati in modo adeguato, senza contare gli equipaggiamenti da torneo e le usuali armi da combattimento. La contessa di Sembry e la figlia avevano due carrozze separate, sulle quali viaggiavano insieme a due dame di compagnia. Le serve – tre per la contessa e una per Edwina – seguivano le padrone a bordo dei quattro carri dei bagagli e sei servitori di sesso maschile guidavano i mezzi.

Non c’erano soldati, sia perché la scorta dei tre cavalieri con i rispettivi scudieri era più che adeguata sia perché, dopo la tregua tra Francia e Inghilterra raggiunta con tanta fatica, si voleva evitare qualsiasi ragione di allarme o attrito a causa di un gruppo di soldati inglesi che si spostava nei territori francesi. Perciò le Sembry avevano viaggiato con una scorta approntata da re Enrico solo fino all’imbarco nel porto di Dover, per poi essere accolte e accompagnate da una scorta organizzata da re Luigi dal porto di Calais fino a Pointeriche, in cui la corte aveva momentaneamente la sua sede in attesa di ritornare a Parigi per il Santo Natale. Allo stesso modo, non appena raggiunto il confine fiammingo, gli inglesi sarebbero passati sotto la scorta inviata dall’imperatore Federico II, lasciando i francesi liberi da qualsiasi responsabilità nei loro confronti: un momento che Marc sperava di raggiungere prima possibile.

Aveva trascorso le ultime ore del pomeriggio precedente insieme a re Luigi, studiando il tragitto sulla mappa. Come si aspettava, il luogo designato per il cambio scorta era sulla carovaniera che attraversava la foresta a sud del castello di Béarne e piegava poi verso nord per raggiungere il mare: vi era un punto vicino al confine, in cui una strada secondaria congiungeva la carovaniera francese con una fiamminga che portava appunto a Cambrai e proprio lungo quella strada sarebbe avvenuto l’incontro con chi veniva dalla corte imperiale.

«A capo della scorta ci sarà il cavaliere Laas De Hoerde» aveva detto il re, consegnando a Marc il messaggio arrivato da oltre confine, redatto dalla cancelleria imperiale. «È un veterano di guerra e un esperto conoscitore della zona.»

«L’imperatore non manda uno dei suoi nobili ad accogliere la contessa?» si era stupito Marc.

«Mi dicono che il cavaliere De Hoerde sia un valoroso che ha militato per diversi importanti feudatari tedeschi e si è distinto in modo particolare tra le truppe di Federico II contro la ribellione di suo figlio Enrico» aveva risposto il re. «Inoltre, sir FitzHurt e la contessa di Sembry lo conoscono bene, quindi immagino che sia stato scelto anche per questo.»

«Parla la lingua degli inglesi, suppongo.»

«Sì, mentre invece non sa la nostra, ma per voi non sarà di sicuro un problema intendervi.»

«Come lo riconoscerò?»

«Avrà una lettera analoga a questa che consegno a voi, con il sigillo imperiale al posto del mio.» Luigi IX aveva fatto leggere a Marc il contenuto di una pergamena firmata da lui, nella quale si spiegava appunto che il conte Marc de Montmayeur era incaricato del servizio di scorta fino al confine da parte del re di Francia. Poi l’aveva ripiegata e vi aveva apposto il suo sigillo in ceralacca, mentre continuava: «Ve le scambierete al momento dell’incontro, in presenza di sir FitzHurt e degli altri testimoni che riterrete opportuni e così potrete poi andare ciascuno per la sua strada. Ho già provveduto a mandare alla cancelleria imperiale tutte le informazioni su di voi».

«Molto bene.» Marc aveva preso dalle mani del re la lettera sigillata e aveva riabbassato gli occhi sulla mappa stesa sul tavolo. Il luogo del passaggio di consegne era a sole poche miglia dal ponte sulla Crique: un torrente incostante, che nasceva dalle colline morbide del feudo di Béarne, ne delimitava in parte il confine con il feudo di Montmayeur e poi si piegava in un’ansa verso nord-est, dividendo per un po’ Montmayeur dalla Fiandra, per confluire nella fitta rete di fiumi e corsi d’acqua che da quella regione si gettavano in mare. Passando da lì, la strada per arrivare poi a Châtel-Argent era rapida e particolarmente agevole e comportava un unico pernottamento al castello di Béarne, prima di arrivare alla meta.

Se lascio gli inglesi e i fiamminghi a metà pomeriggio, potrò essere a casa il giorno dopo prima di cena, aveva pensato Marc allora e se lo ripeté anche in quel momento, mentre osservava gli uomini, i cavalli e i mezzi pronti a partire.

In confronto al ricco e lento convoglio inglese, quello che lui aveva approntato per sé e i suoi era spartano e snello, anche se non ancora agile quanto avrebbe dovuto essere per ridurre al minimo la durata del viaggio verso Châtel-Argent.

Le convenzioni andavano rispettate e perciò, nonostante Alex non amasse spostarsi a quel modo, la futura sposa del primo cavaliere del re non poteva viaggiare in sella a un cavallo, ma comoda e ben riparata dentro una carrozza. Però, oltre a quel veicolo, vi era un solo carro coperto, nel quale erano accatastati archi e frecce, gli utensili necessari per il viaggio, due bauli leggeri e una decina di fagotti con gli abiti di tutti.

Marc portava con sé poco più di una bisaccia, perché trascorreva il suo tempo dividendosi tra il suo feudo e la corte, quindi aveva guardaroba ed equipaggiamenti più che sufficienti in entrambi i luoghi. Alex non era attrezzata allo stesso modo, ma possedeva ancora solo una mezza dozzina di abiti, facili da riporre e trasportare. Comunque, a partire dalla primavera e cioè dal momento in cui sarebbero rientrati a corte da marito e moglie, Marc avrebbe fatto in modo che anche lei avesse sempre tutto il necessario a portata di mano senza dover traslocare bauli.

Quanto al resto della scorta, non aveva voluto con sé servi, che avrebbero solo fatto da zavorra, quindi aveva messo alla guida del carro e della carrozza due soldati e altri tre li aveva fatti equipaggiare per il viaggio a cavallo. Uno di loro avrebbe anche assunto momentaneamente le funzioni di suo scudiero al posto di Théo, e si sarebbe occupato soprattutto di Goth, mentre Marc avrebbe viaggiato su un palafreno per non affaticare inutilmente il prezioso destriero da battaglia.

Per il resto, niente stendardi, niente insegne ingombranti o sgargianti, a parte le fibbie sulle divise dei soldati o i colori sugli scudi dei cavalieri, niente pesi inutili.

Dal torrione arrivò Eilbert de Roucy, seguito da Jacques. «Allora? Siamo pronti a partire?» esordì, aggiustandosi i guanti, e nel mentre si guardò intorno. «Mancano le dame, non avevo dubbi. Suppongo che dovremo aspettarle almeno fino all’ora terza. Le donne non sono mai pronte al momento giusto.»

Tra tutti i compagni di mesnie, Marc non avrebbe mai voluto portare con sé Roucy, se non altro per evitare di sentirlo lamentarsi della noia ogni volta che poteva abbandonare la maschera del cortigiano perfetto e parlare in assoluta libertà. Però re Luigi aveva voluto così e quindi entrambi avevano dovuto fare buon viso a cattivo gioco, nonostante non provassero esattamente della simpatia l’uno nei confronti dell’altro.

Certo, non si poteva negare che Roucy fosse un uomo perfetto per intrattenere dame e cavalieri: le sue conversazioni sagaci avevano divertito molto la contessa Anne nell’ultimo periodo e anche con i cavalieri del suo seguito l’intesa era stata buona, nonostante l’opinione per nulla lusinghiera che il francese si era fatto di loro. Questo aveva determinato la scelta del re. Oltre a ciò, Roucy era un ottimo combattente, che non rischiava più del necessario e usava la testa prima di agire. Non mostrava mai in guerra gli eccessi che tanto lo facevano divertire nei momenti di pace e Marc doveva ammettere di non aver mai avuto motivo di lamentarsi di lui quando avevano combattuto fianco a fianco.

Perciò gli sorrise, pronto a controbattere alla sua frase misogina, quando sul portone principale del castello apparve Alex, con il mantello drappeggiato intorno alla figura, il cappello piumato calcato in testa e un’elegante bisaccia di cuoio decorato in cui teneva sempre un libriccino, qualcosa da mangiare, e tutti quei ninnoli e oggettini misteriosi di cui le dame non possono fare a meno durante i viaggi.

Quando vide i due cavalieri, accelerò il passo e puntò dritta verso di loro. «Allora? Siamo pronti a partire?» chiese, neanche si fosse messa d’accordo con Roucy per fare le stesse domande. Gli rivolse un saluto con la testa nel passargli accanto e il cavaliere ricambiò con un inchino, scambiando poi un’occhiata con Marc con la quale ammetteva la sconfitta o perlomeno rinunciava a malignare su quella dama in particolare, così puntuale.

Alex non se ne accorse, perché era andata subito da Marc. «Ormai c’è luce a sufficienza per viaggiare. Che aspettiamo ancora?»

«Aspettiamo delle dame che non hanno nemmeno la metà della vostra prontezza ed energia» rispose Roucy al posto di Marc, con un sorriso navigato. «È evidente che non hanno la vostra stessa voglia di arrivare alla loro meta.»

Alex controllò in giro con un’occhiata. «Be’, pare che ci siano anche dei cavalieri che non hanno la vostra prontezza ed energia. Gli inglesi mancano tutti. Non ci faranno ritardare la partenza, vero?»

«Mi auguro di no» disse Marc. «Sono stato molto chiaro ieri con sir FitzHurt. Non possiamo perdere tempo prima di partire né durante il viaggio, o non arriveremo entro il tramonto al monastero che ci deve ospitare per questa notte.»

«Avreste dovuto essere ben chiaro con la contessa. Dubito che sia FitzHurt a decidere quando partire» commentò Roucy.

«Tu non hai visto nessuno nell’atrio?» chiese Marc ad Alex e lei scosse la testa. «Solo i servi che preparavano la sala grande per la colazione o andavano e venivano dalla cucina.»

Roucy sbuffò. «Sarà cosa lunga, ho già capito. Tanto vale che vada a cercarmi qualcosa da bere.» Fece cenno al suo scudiero e s’incamminarono entrambi verso il posto di guardia in cui i soldati tenevano sempre una scorta di vino, sidro o birra per scaldarsi tra una ronda notturna e l’altra.

Marc ne approfittò per godersi il momento di relativa solitudine con Alex. Non potendo abbracciarla in pubblico, le prese le mani tra le sue. «Tu hai mangiato? C’è qualcosa che posso fare per te prima di partire?»

«A parte baciarmi come se non ci fosse un domani?» Lei gli rivolse un tale sguardo da scaldargli il sangue, poi però si limitò a rubargli un bacio dalle labbra, velocissima per non farsi vedere da nessun altro. «Scherzi a parte, sì, ho mangiato e ho fatto preparare la colazione anche per la povera Yvette, che ha il naso ancora più rosso di ieri. Le ho ordinato di stare a riposo. Ci rivedremo a Châtel-Argent quando arriveranno anche tutti gli altri.»

«Bene.» Marc lanciò un ultimo sguardo al castello che non avrebbe più rivisto almeno fino a primavera inoltrata e indugiò in particolare sugli stendardi azzurri coi gigli d’oro che ondeggiavano pigri come la brezza di quel mattino umido. «Tu sei pronta ad affrontare il viaggio?»

«E a diventare l’agente segreto di Sua Maestà? Come no!» Lei ridacchiò e Marc rinunciò a chiederle il significato esatto di quella che era una delle tante strane espressioni che lei usava quando parlava di getto. Aveva intuito il necessario e tanto bastava. Avrebbe avuto tutto il tempo negli anni futuri per capire anche le sfumature del suo gergo straniero. «Mi raccomando, se fai domande cerca di non insospettire nessuno» disse soltanto.

Lei inarcò un sopracciglio. «Vuoi davvero insegnare a una ragazza come si ottengono informazioni chiacchierando del più e del meno?»

Marc alzò le mani. «Me ne guardo bene.»

Le fosche previsioni di Roucy riguardo la partenza si avverarono solo in parte e gli inglesi si presentarono sì in ritardo, ma ben prima che le campane della chiesa suonassero l’ora terza.

«Finalmente» sbuffò comunque il cavaliere francese, ritornato già da un po’ dal posto di guardia dove si era dissetato, e si assunse l’incarico di andare incontro ai suoi pari inglesi per spiegare loro com’era stato organizzato il convoglio, mentre Marc e Alex accoglievano le dame al loro ingresso nell’alta corte.

«Mia figlia non ha voluto partire se non dopo essersi confessata e aver assistito alla messa» spiegò dopo i saluti lady Sembry, avvolta in un caldo mantello di volpe argentata. Anche lei sembrava stizzita per il ritardo, però Marc sospettò che fosse più contrariata dal fatto di aver dovuto cedere alle richieste della figlia. D’altra parte, nemmeno la più autoritaria e influente delle madri avrebbe potuto avere la meglio sulle necessità dell’anima difese da Santa Madre Chiesa.

«Non preoccupatevi, madame» disse Marc. «Spero solo che mi perdonerete quando farò accelerare il passo a tutti il più possibile. Voglio evitare a qualsiasi costo che il buio ci sorprenda prima che arriviamo alla meta di stasera.»

«Farete ciò che ritenete opportuno e io vi ringrazio» ribatté la contessa, regalandogli un bel sorriso. «So bene che Sua Maestà re Luigi ci ha messo nelle mani del suo cavaliere migliore e, nonostante la vostra giovane età, so di potermi fidare totalmente di voi.»

Anne Sembry avrebbe potuto essere sua madre e perciò Marc finse di non sentirsi punzecchiato dall’accenno relativo alla sua età. «Vi prometto che farò di tutto perché il viaggio fino al confine sia comodo e non troppo noioso, per voi, vostra figlia e le vostre dame.»

«E per la vostra, anche» aggiunse lady Sembry e si rivolse ad Alex che finora aveva assistito al dialogo in silenzio. «Mia cara, dovrete essere al meglio delle vostre energie e della vostra bellezza quando arriverete a destinazione. Siete in procinto di sposarvi e una sposa dev’essere il fiore tra i fiori nel giorno delle sue nozze.»

«Lo sarò senz’altro, potete esserne certa» replicò Alex ricambiando il sorriso della nobildonna inglese. «I viaggi non mi spaventano, anzi. Anche se dovrò arrangiarmi da sola fino a Châtel-Argent, sarò più che in forze per godermi i giorni che mi aspettano.»

Marc fu orgogliosissimo di lei, per come aveva saputo buttare nel discorso un dettaglio in apparenza casuale ma che invece fece aggrottare la fronte alla contessa.

«Da sola?» ripeté infatti Anne Sembry. «Non viaggiate con una serva o una dama di compagnia?»

«Purtroppo la mia damigella non si è ripresa abbastanza dalla sua indisposizione per potermi accompagnare adesso. Quindi mi raggiungerà nei prossimi giorni» spiegò Alex. «A casa di Marc avrò senz’altro tutto l’aiuto che mi servirà, perciò l’ho convinto a non cercare altre serve per un viaggio così breve. Lui non è molto contento, ma io gli farò vedere che non succederà niente, se per due o tre giorni resterò senza Yvette.»

«Ma certo che non è contento» esclamò la contessa. «Anche se ovviamente siete più che in grado di fare da sola, morirete di noia in quella carrozza!»

Alex fece spallucce. «Ho con me qualcosa da leggere: il padre di Marc mi ha aiutato a procurarmi una copia di Le chevalier au lion di Chrétien de Troyes in formato comodo da tenere nella bisaccia. E approfitterò delle soste per chiacchierare.»

«Penseremo noi a fare da antidoto alla noia e non solo durante le soste» dichiarò la contessa. «Vi daremo ospitalità sulle nostre carrozze ogni volta che ne sentirete il bisogno. Vi promettiamo che il viaggio passerà in un lampo, vero, Edwina?»

«Sì, madre» rispose la ragazza, senza aggiungere altro.

Arrivò sir FitzHurt, accompagnato a breve distanza da Roucy. «Milady, quando volete, siamo pronti a partire» annunciò l’inglese. «Non possiamo davvero indugiare più a lungo.»

«E siamo pronte anche noi» replicò Anne Sembry e con la mano ordinò alla figlia e alle dame di compagnia di precederla verso le carrozze. «Ricordatevi della nostra promessa» disse come ultima cosa ad Alex, prima di allontanarsi con FitzHurt.

Lei le accennò un inchino. «Senz’altro. Grazie.»

Marc la scortò verso la sua carrozza e indugiò, desideroso di trascorrere qualche altro istante insieme a lei prima di lasciarla salire.

«Visto? È stato anche più facile del previsto» commentò Alex.

«Sì, ma sta’ bene attenta durante le vostre future conversazioni» l’ammonì Marc. «Se la Sembry ha accettato tanto in fretta di farti compagnia durante il viaggio è perché anche lei spera di pescare qualche informazione interessante in mezzo alle vostre chiacchiere.»

«Oh, lo so bene. Sai, è difficile dimenticare quanto tu sia sempre al centro della curiosità di tutti, messer-primo-cavaliere.»

Approfittando del fatto che lo sportello aperto li riparava dagli sguardi, Marc le diede un bacio sulle labbra. «Abbi pazienza ancora per un po’. Presto ce ne staremo in pace e lontano da tutti i curiosi. Per un bel pezzo.»

Lei gli accarezzò anche la guancia prima di salire in carrozza. «Non vedo l’ora.»