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Spronata dall’istinto, Alex riuscì a rialzarsi e a bloccare col chiavistello la porta, prima che iniziasse a sussultare sotto i colpi violenti degli aggressori.

«Non reggerà per molto» ansimò e si guardò intorno, in quella specie di pozzo angusto in cui si ritrovava. A parte una ramazza, un secchio e un mucchio di stracci non trovò nulla che potesse servire a fare una barricata e così la sua prima idea di restarsene lì al sicuro in attesa degli aiuti poteva essere miseramente scartata, tanto più che il chiavistello appariva assai meno robusto di quanto avesse sperato e anche intaccato qua e là dalla ruggine.

Col cuore in gola Alex provò a individuare le alternative.

Edwina urlava e piangeva sul corpo di sua madre Anne; la sua voce rimbombava su per la costruzione cava del campanile. La luce pioveva dall’alto, dalla cella campanaria aperta sui quattro lati che ospitava un’unica campana centrale, la cui fune robusta scendeva a perpendicolo fino al terreno. Appena sotto la campana era montata una piattaforma di legno a forma di cornice quadrangolare, che costituiva il camminamento necessario alla manutenzione della campana stessa. Vi si accedeva tramite una vertiginosa scala a sbalzo senza corrimano, che si inerpicava su per le pareti della torre e i cui gradini erano costituiti da sezioni di travi piantate appositamente nei muri di pietra grezza.

Non c’erano altre uscite. Solo il cielo e il tetto.

Alex afferrò Edwina per un braccio. «Andiamo!» le urlò tirandola con tutte le forze. «Dobbiamo salire!»

L’altra ragazza sembrava non avere nemmeno la capacità di rimettersi in piedi. Rimase accasciata a peso morto sulla contessa. «No!» singhiozzava. «Madre! Madre!»

La porta gemette sotto un urto più violento dei precedenti e i chiodi che tenevano il chiavistello di ferro attaccato al legno scricchiolarono.

«Muoviti!» gridò Alex. «Se ci prendono, siamo morte anche noi!» Tirò ancora Edwina per il braccio e finalmente riuscì a farla rialzare, con le buone e le cattive maniere. «Su per la scala!» le ordinò. «Sbrigati!»

La spinse su per i gradini senza mai darle tregua, senza guardare giù man mano che salivano, perché a un certo punto si trovarono a metà strada tra il cielo e la terra e la struttura minimale della scala lasciava una panoramica spietata del vuoto sotto i loro piedi. Alex deglutì invano, con la gola riarsa. Il labbro spaccato bruciava e le spandeva sulla lingua un sapore metallico di sangue. Aveva sottovalutato l’altezza della chiesa e del suo campanile e adesso le pareva di stare sospesa su un abisso.

Tremò quando l’orlo della gonna le si impigliò nello spigolo di un gradino e quasi la fece inciampare. Recuperò l’equilibrio appena in tempo e si appiattì con la schiena contro il muro, ansando, lottando contro il panico che voleva paralizzarla lì.

Inspirò più a fondo che poté e guardò su, oltre Edwina che la precedeva. Ormai erano arrivate alla piattaforma e da lì avrebbero potuto scavalcare uno dei parapetti della cella campanaria e scendere sul tetto della chiesa.

Sotto di lei, i colpi contro la porta non conoscevano pause.

Alex riprese a salire, aiutandosi anche con le mani sui gradini. Raggiunse la piattaforma di legno subito dopo Edwina e da lassù poté finalmente guardare fuori.

L’accolse una scena di guerra. Nel cortile diversi uomini armati a piedi o a cavallo si affrontavano all’arma bianca, mentre una colonna di fumo denso saliva dal magazzino e si disperdeva sotto il vento dispettoso. I nemici avevano dato fuoco alla struttura con gli ostaggi dentro?

Alex si liberò la faccia dai capelli per osservare meglio e capire chi fosse impegnato a combattere e contro chi. Le ci vollero alcuni minuti per distinguere aggressori e difensori tra quegli armati in continuo movimento, senza divise o segni distintivi, e quando finalmente individuò il comandante De Hoerde vicino al pozzo, capì anche che lui era tra quelli in netta minoranza. Di Michel non c’era traccia, o almeno, Alex non lo vedeva dal punto in cui si trovava. In compenso, dal magazzino arrivavano grida e rumori spaventosi.

Alcuni monaci e servi accorsero dagli edifici adiacenti e si fermarono accanto al pozzo. Un monaco gesticolò, impartì ordini e subito dopo buttò nel pozzo il secchio appeso alla catena. Aveva appena iniziato ad attingere l’acqua quando una freccia lo colpì in pieno e lo fece stramazzare a terra, ma un secondo monaco prese il suo posto, mentre altri accorrevano insieme ai servi portando nuovi secchi da riempire.

Alex ne ammirò il coraggio, ma purtroppo capì anche che i difensori del monastero stavano avendo la peggio contro i nemici. Nel cortile giacevano già diversi cadaveri e lei sapeva che gli armati francesi e fiamminghi a cui Marc aveva lasciato la difesa in sua assenza non erano certo un esercito. In quel momento, nessuno di loro avrebbe potuto disimpegnarsi dal combattimento e correre verso la chiesa per salvare lei ed Edwina.

Intanto l’inglese aveva scorto suo marito tra coloro che combattevano e si sporse dal parapetto verso di lui. «Laas!» urlò più volte, disperata.

«Dobbiamo arrangiarci da sole per adesso. Scendi!» l’incitò Alex e le diede l’esempio scavalcando il parapetto. Rimase aggrappata mentre coi piedi cercava le tegole di legno inchiodato e vi appoggiò con cautela tutto il peso. Reggevano. Raccolse il coraggio e camminò in equilibrio verso il refettorio, nonostante il fumo portato dal vento le riempisse gli occhi di lacrime. Il campanile era sul lato della chiesa opposto al refettorio e quindi lei dovette prima inerpicarsi in salita fino allo spartiacque, poi scendere al di là. Per fortuna non dovette superare dei dislivelli perché la chiesa aveva un tetto semplice, a forma di croce.

Tenendo le braccia aperte per darsi più stabilità in discesa, Alex avanzò un passo dopo l’altro, pregando che la pendenza dello spiovente non la tradisse facendola scivolare giù, ma quando arrivò a metà tragitto si fermò accorgendosi di non poter proseguire.

Il refettorio era vicino alla chiesa, ma non così vicino da essere raggiunto con un balzo, per di più indossando una gonna e senza poter prendere la rincorsa.

Paralizzata dalla visione dello spazio vuoto tra i due tetti, Alex si maledisse. Aveva sbagliato nel valutare le distanze e ora, a un passo dal baratro, capiva che nemmeno quella via di fuga era praticabile.

Adesso che faccio?

Lo strillo di Edwina la fece sobbalzare. Alex si girò e vide che anche l’inglese aveva scavalcato il parapetto della cella campanaria e ora si spostava in equilibrio precario sullo spartiacque. «Arrivano! Sono già sulla scala!» urlò Edwina, quando intercettò il suo sguardo.

Alex raggelò, aiutandosi anche con le mani risalì lungo il tetto e raggiunse l’altra ragazza. Ma dove potevano andare ora? Indietreggiando sarebbero arrivate al massimo fino alla croce di ferro che sormontava la facciata della chiesa, poi non avrebbero più avuto scampo.

Alex andò comunque in quella direzione, guidando Edwina. Forse, se fossero riuscite a farsi notare dai difensori che combattevano giù di sotto…

Anche se ci vedono, non faranno mai in tempo ad arrivare fin qui, pensò Alex con lucido terrore. Forse i nemici avrebbero tentato di ricatturarle vive, invece di ucciderle sul posto, ma la prospettiva appariva anche peggiore della morte.

Alex raggiunse la croce di ferro e vi si aggrappò per mantenere l’equilibrio mentre guardava giù.

Fine della corsa.

Il vento freddo le buttava i capelli sulla faccia e faceva sventolare la gonna lunga. Saltare era fuori discussione, il cortile sembrava a una distanza infinita da lì.

Anche Edwina si aggrappò alla croce di ferro, tremava con il viso rigato di lacrime. «Laas!» chiamò ancora da là, con tutto il fiato che aveva.

Nonostante il clamore del combattimento, il comandante De Hoerde la udì e alzò lo sguardo verso il tetto della chiesa. Rimase paralizzato per un lungo momento, poi dovette difendersi dal nemico che lo incalzava e duellò con lui con furia. Di tanto in tanto indicava la chiesa ai suoi uomini, ma nessuno di loro riusciva ad avanzare per più di qualche passo alla volta in quella direzione.

«Eccole lì!» sbraitò invece una voce ostile, molto più vicina.

Alex si girò verso il campanile e vide che gli assassini della chiesa avevano ormai raggiunto la cella campanaria. Tutti e tre: evidentemente quello che lei aveva abbattuto con il turibolo non era morto ma solo svenuto.

Il primo a mettere i piedi sulle tegole fu quello con la balestra: l’aveva tolta da tracolla e l’aveva pure già caricata. «Venite qui, voi due. Adesso avete finito di correre» minacciò, puntando l’arma.

«Non ammazzarle subito, devo prima fargliela pagare per quello che mi hanno fatto» esclamò dietro di lui quello con la faccia insanguinata.

«Sta’ tranquillo, ne avrai tutto il tempo» gli rispose l’altro e avanzò. Uno alla volta, tutti e tre scesero sul tetto e quelli che non avevano la balestra tenevano le spade sguainate ben salde nel pugno.

Edwina ricominciò a urlare, chiamando il marito. Anche Alex guardò a più riprese verso il basso e le parve che la situazione stesse cambiando: c’erano più uomini impegnati in combattimento laggiù, il comandante De Hoerde era meno isolato. Con un tuffo al cuore, Alex riconobbe tra gli altri un cavaliere alto, dai capelli castani, che iniziò a farsi strada con maestria in mezzo ai nemici.

Michel!

E quello che comparve a cavallo dall’altra parte del cortile era… Richard?

Con un rumore improvviso e vibrato, la balestra scoccò il suo quadrello.

Il comandante De Hoerde stramazzò a terra come fulminato, con il quadrello piantato nel petto. I suoi uomini si sparpagliarono sgomenti intorno a lui. Edwina lanciò un grido animale, lacerante.

L’assassino stava già ricaricando la balestra. «Bastardi, da dove sono sbucati quelli?» bofonchiò. Prese la mira e tirò di nuovo abbattendo un altro difensore, e poi un altro e un altro ancora.

Nel cortile si erano ormai accorti del tiratore sul tetto e cominciarono ad abbandonare il combattimento per trovare riparo ovunque fosse possibile. Michel si acquattò dietro il pozzo, Richard galoppò via ma falciò almeno due nemici passando loro accanto.

«Basta!» strillò Alex e lanciò contro il balestriere una delle sue scarpe. Lo mancò perché lui spostò la testa prima di essere colpito, ma gli fece quasi perdere l’equilibrio per via del movimento brusco. L’uomo scivolò con un piede sulle tegole, dovette frenare la caduta con le mani, ma così mollò la balestra che rimbalzò giù e scomparve oltre lo spiovente. Imprecò, e appena poté rimettersi dritto sguainò anche lui la spada. «Ne ho abbastanza di te!» ringhiò in direzione di Alex.

Lei abbandonò la croce di ferro e provò a spostarsi di lato, bilanciandosi in modo precario lungo lo spiovente, cercando una via di fuga che non c’era.

Si accorse troppo tardi che anche Edwina aveva lasciato la presa sulla croce.

Non fece in tempo a fermarla.

Non fece nemmeno in tempo a gridare quando la vide buttarsi.

La scena parve rallentare sotto i suoi occhi in tutto il suo orrore e per un attimo infinito Edwina si librò tra cielo e terra, in volo verso il suo amato come un angelo dalla veste azzurro cenere.

Un attimo dopo era giù, immobile, scomposta sulla terra nuda, accanto al cadavere di De Hoerde. Il sangue si allargò sotto di lei e andò a congiungersi in un’unica pozza con quello di lui.

Ad Alex vennero meno le gambe. Finì in ginocchio, aggrappandosi come meglio poteva alle tegole di legno per non cadere. «Edwina!» chiamò con tutte le forze, pur sapendo che era inutile. Allora urlò e le parve di non riuscire più a smettere.

Qualcuno tra gli inseguitori bestemmiò e Alex sussultò ricordandosi di loro. Li vide avanzare verso di lei per intrappolarla e cercò di gattonare via nell’unica direzione possibile, scendendo lungo lo spiovente più defilato rispetto al cortile, ma a un certo punto le tegole finirono e davanti a lei non rimase che il vuoto.

E la morte.

Alex si girò verso i nemici. Le loro spade balenarono alla luce diretta del sole. Nessuno poteva aiutarla, anzi, nel punto in cui si trovava nessuno poteva nemmeno vederla dal cortile. Era rimasta sola con gli assassini.

Alzò la mano destra d’istinto e la tese in avanti. Non aveva niente di razionale nella testa, solo paura, odio e disperazione. «Uscita di emergenza!» gridò.

L’icona rossa di Hyperversum comparve a meno di una spanna dalle sue dita, scintillante come una mela di fuoco. Alex la spinse verso gli armigeri rimasti folgorati dal prodigio. «Dovete bruciare tutti all’inferno!»

L’assassino con la faccia insanguinata urlò, fece un balzo indietro e solo rannicchiandosi su un ginocchio riuscì a non cadere davvero di sotto. Gli altri due si ripararono dietro le spade, poi però reagirono com’era prevedibile. «Stregoneria!» accusò il tizio che aveva perso la balestra, ma nessuno di loro osò farsi avanti verso la mela che ai loro occhi appariva come uscita dall’inferno.

Il muggito improvviso e feroce di un corno coprì ogni altro rumore e costrinse tutti a guardare almeno per un istante lo spiazzo delle stalle, spostato a nord-est rispetto al cortile e ben visibile da quell’altezza. Uno sparuto gruppo di armati a cavallo faceva irruzione nel monastero dall’ingresso nel muro di cinta rivolto verso la foresta da quel lato: sciamavano velocissimi tra gli edifici e puntavano al combattimento seguendo quello che suonava il corno. Tutti i cavalieri tranne uno, che aveva rallentato al centro dello spiazzo, trattenuto da alcuni monaci gesticolanti e in cerca di aiuto.

«Marc…» gemette Alex, con un brivido violento. «Annulla!» strillò, d’istinto. La mela incandescente scomparve al suo comando, appena prima che Marc alzasse gli occhi nella sua direzione, o almeno così si augurò Alex con tutta l’anima. Era impossibile scorgere la sua espressione per via della distanza: forse lui aveva visto qualcosa, forse no, ma di sicuro avrebbe visto tutto da quel momento in poi poiché l’aveva individuata sul tetto della chiesa e ora non le staccava più gli occhi di dosso.

Nella frazione di un istante, Alex valutò le possibilità e le conseguenze. Avrebbe potuto scomparire e salvarsi con certezza grazie a Hyperversum, ma solo al prezzo di rendere Marc testimone della “stregoneria” di cui lei era capace.

Eppure…

Non poteva sopportare di vedergli di nuovo dipinta in faccia quell’espressione di orrore che le aveva rivolto sulla terrazza del Saint John’s.

Non voleva farsi odiare da lui.

A costo di morire.

«Che aspetti?! Uccidi la strega prima che ci riprovi!» urlò l’assassino dalla faccia insanguinata al compagno che stava più avanti di lui lungo lo spiovente.

«Aspetta, idiota!» protestò invece quello che aveva perso la balestra. «È l’ultimo ostaggio che ci rimane e laggiù c’è le Fauconneau, non vedi?!»

Alex sobbalzò, vide il terzo assassino andarle incontro un passo dopo l’altro, cauto come se dovesse affrontare una belva feroce ma con la spada ben salda nella mano, mentre gli altri due battibeccavano sulla sorte da riservare alla “strega”. Alex si tirò indietro, ma avvertì subito l’ultimo bordo delle tegole sotto le mani che aveva portato dietro il bacino e la sensazione di vuoto le fece rizzare i capelli sulla nuca.

L’assassino alzò la spada sopra di lei.

Alex guardò Marc per un’ultima volta.

Agli ordini di Laurent metà gruppo era già sparito in mezzo agli edifici del monastero. I monaci sporchi di fuliggine accorsi intorno a Goth gridavano in modo frenetico e cercavano di spiegarsi: Marc non capiva una parola, ma i gesti con cui indicavano il fumo sopra il magazzino e il clamore proveniente dal cortile erano più che sufficienti.

Però lui era stato attirato da qualcos’altro.

Conscio del fatto che l’altra metà del gruppo era in arrivo alle sue spalle e contava su di lui per essere guidato verso la battaglia, Marc costrinse Goth a restare dov’era, nonostante il destriero protestasse con sonori nitriti per la brama di continuare a correre. Puntò tutta la sua attenzione in alto, là dove spade sguainate emettevano ancora lampi alla luce del sole, e individuò le quattro figure sul tetto della chiesa.

Alex!

Gli si fermò il cuore quando la vide in trappola, ormai alla mercé degli assassini che l’avevano seguita fin lassù. Non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerla in tempo per salvarla.

Gli ultimi dei suoi soldati gli si radunarono accanto, vedendolo fermo. Marc si sporse subito verso quello più vicino. «Il tuo arco!» urlò.

Il soldato fu abbastanza veloce da obbedire prima che lui per la fretta gli strappasse l’arma da tracolla. Marc gettò via la spada, s’impadronì anche di una freccia e l’incoccò. Prese la mira trattenendo il fiato e allora anche gli altri, soldati e monaci, si accorsero delle presenze sul tetto della chiesa.

I religiosi urlarono ancora più forte e uno di loro si fece il segno della croce.

Marc li ignorò tutti e restò concentrato solo sul bersaglio. Non era un arciere della bravura di Michel, aveva trascorso una notte sempre in sella e la distanza era quasi proibitiva, ma pregò con tutta l’anima che la Provvidenza guidasse la sua mano e non lo facesse sbagliare. Non avrebbe avuto una seconda occasione.

Alex stava guardando nella sua direzione. Immobile. Inerme.

Uno degli assassini aveva già alzato la spada sopra di lei.

Marc scoccò.

Un sibilo sottile. Il rumore raccapricciante di un proiettile che sfonda la carne.

Alex vide l’assassino piegarsi su di lei, poi pendere di lato fino a sbilanciarsi sulla sinistra e infine cadere nel vuoto con la spada ancora stretta nel pugno e una freccia piantata nel costato.

Giù, nello spiazzo delle stalle, Marc prendeva di nuovo la mira.

Ancora un sibilo. La freccia si spaccò sulle tegole.

I due assassini superstiti abbandonarono subito l’idea di colpire “la strega” e cercarono di mettersi al riparo, ma non c’erano nascondigli su un tetto. Quello dalla faccia insanguinata cadde carponi mentre si affrettava verso la cella campanaria e perse la spada, che scivolò giù con uno stridio metallico. L’uomo si arrampicò, imprecando, ritrovò l’equilibrio e corse verso il campanile. La freccia lo raggiunse alla schiena nel momento stesso in cui allungava la mano verso il parapetto e lo buttò giù.

Marc si era spostato più avanti per accorciare la distanza e non fallì più un tiro.

Anche l’ultimo degli sgherri stramazzò sulle tegole come un piccione preso a bersaglio e finì di sotto.

Alex rimase sola, con il fiato grosso, tremando, paralizzata dalla tensione.

Quando guardò di nuovo giù, Marc aveva riconsegnato l’arco al soldato al suo fianco, prese la spada che un altro dei suoi gli aveva raccolto da terra e incitò Goth a inoltrarsi tra gli edifici verso la chiesa. Sparì dal campo visivo e allora Alex ritrovò quel minimo di forza per risalire fino al campanile. Le pareva di essere anestetizzata, a malapena sentiva la superficie ruvida delle tegole sotto le mani intorpidite, e il tremito che le percorreva ancora tutto il corpo le fece temere di rotolare anche lei di sotto come gli assassini, specie quando la gonna si impigliava nelle congiunzioni tra una tegola e l’altra.

Grazie al cielo, dopo un tempo che le sembrò infinito, il tetto finì e lei poté aggrapparsi al parapetto della cella campanaria. Si issò dentro e si ritrovò seduta sulla piattaforma di legno perché le gambe non la reggevano abbastanza per affrontare di nuovo la vertiginosa scala a sbalzo in discesa.

Sopraffatta dall’orrore, dalla paura e dal sollievo, si coprì la faccia con le mani e così rimase, con le ginocchia vicine al petto e nient’altro in testa, se non la brama di scomparire dal mondo e avere tregua.