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Avvistarono il villaggio quando ormai il sole scendeva dietro le cime degli alberi e tingeva di rosa il gregge di nuvole grigie sparso nel cielo freddo.

Marc fece fermare tutti sul limitare della foresta, prima di uscire allo scoperto. Davanti a loro si estendevano prima un breve declivio e poi campi arati e frutteti spogli. Il villaggio comprendeva una decina di case costruite intorno a un pozzo, due stalle con i recinti per il bestiame, un fienile, una chiesetta senza campanile ma col suo cimitero e il mulino ad acqua sul torrente che delimitava l’agglomerato sul lato est. Un paio di contadini si muovevano tra le case, sui tetti delle quali si alzavano già i fili di fumo prodotti dai focolari accesi, però Marc appuntò subito la sua attenzione sui cavalli, una quindicina almeno, riuniti in uno dei recinti dove avrebbero dovuto stare capre o vacche.

«A quanto pare, hai fatto centro» gli disse Laurent, fermo in sella accanto a lui.

Marc annuì, con il sangue già accelerato nelle vene, la brama di correre avanti e ingaggiare battaglia. «Tutto sta a vedere se Martagne è là coi suoi scagnozzi o se si è rifugiato da qualche altra parte.»

Anche Théo e il cavaliere fiammingo si affiancarono a loro e scrutarono il villaggio; i soldati a cavallo si radunarono dietro, in attesa di ordini.

«Come volete procedere?» chiese Théo. «A giudicare dai cavalli, sono più numerosi di noi, anche se di poco, e il tratto da qui al villaggio è tutto scoperto. Ci vedranno non appena metteremo piede fuori dalla foresta.»

Marc avrebbe voluto avere tanti uomini da sciamare giù per il declivio e travolgere il nemico come una frana inarrestabile, ma sapeva fin troppo bene di non poterselo permettere, con le esigue forze a disposizione. Per un istante si chiese se avesse sbagliato a mandare via Richard con tre soldati, poi però si concentrò soltanto su quello che poteva fare con ciò che aveva a disposizione. «Ci serve un diversivo» decise. «Qualcosa che li distragga e li tenga impegnati mentre noi arriviamo.» Si passò la mano sulle bende nascoste sotto gli abiti, nell’inutile tentativo di cancellare quel fomicolio a metà tra il bruciore e il dolore, poi però si vergognò di mostrare una debolezza qualsiasi e allora finse di assicurarsi che la cintura con la spada e il pugnale fosse bene allacciata.

«Un diversivo di che tipo?» chiese Laurent con la fronte corrugata. «Non siamo abbastanza per pensare di dividerci.»

Marc puntò il dito in avanti. «Possiamo dare fuoco al fienile. È abbastanza vicino al recinto perché tutti corrano a preoccuparsi dei cavalli. Nel tempo che impiegheranno a rendersi conto che l’incendio è doloso, noi avremo già raggiunto il villaggio di slancio e potremo attaccarli mentre sono ancora appiedati.»

Gli amici lo guardarono, sbigottiti. «Vuoi appiccare il fuoco a un villaggio in territorio imperiale?» fece Laurent.

Marc lo ricambiò con un’occhiataccia. «Solo al fienile. E ripagherò personalmente quei contadini per la perdita dell’edificio e del suo contenuto. Non credo che mi denunceranno o mi porteranno rancore, se li libererò di una masnada di criminali che si è insediata nelle loro case.»

«Credo di no» ammise l’altro e poi, dopo qualche attimo di silenzio, sogghignò. «Solo tu potevi farti venire un’idea simile in tempo di pace e fuori dalla tua giurisdizione, anzi, addirittura nel territorio di un’altra corona.»

«Se qualcuno di voi vuole tirarsi indietro e non rischiare di compromettere il buon nome della propria famiglia, lo comprenderò» disse Marc, troppo teso per decidere se l’ultima frase di Laurent fosse un complimento oppure no.

Nessuno dei compagni abbandonò il suo posto.

Soddisfatto, Marc aggiustò la presa sulle redini di Goth. «Allora, mandiamo un uomo di nascosto a quel fienile. Poi darò io il segnale per l’attacco.»

Fu come lanciare un sasso in uno stagno pieno di uccelli selvatici.

Il sole era ormai sceso del tutto dietro gli alberi quando Marc vide levarsi i primi sbuffi di fumo dalle aperture del fienile. Ben presto divennero nuvole e i cavalli nel recinto poco distante iniziarono a scalpitare e a nitrire. Quando oltre al fumo apparvero anche alcune lingue di fuoco lungo le travi di legno, gli animali terrorizzati fecero un tale baccano da attirare tutti gli abitanti del villaggio fuori dagli edifici. Allora cominciò il vero caos.

I contadini più svelti corsero al pozzo o al torrente ad attingere l’acqua per spegnere le fiamme, gli altri si adoperarono con ramazze e palate di terra; una decina di tizi robusti si affollò intorno al recinto per salvare i cavalli. Erano uomini armati, inequivocabilmente guerrieri, così come i cavalli erano senza ombra di dubbio da guerra e non da soma. Almeno sei o sette sfuggirono a qualsiasi tentativo di controllo non appena il recinto venne aperto e galopparono in ogni direzione seminando i padroni che imprecavano e urlavano invano i loro richiami.

Marc aspettò che uomini e bestie fossero sparpagliati per bene in mezzo ai campi, allora infilò l’elmo sopra il camaglio e aggiustò la presa della mano sinistra sull’imbracciatura dello scudo. Brandì in avanti la spada sguainata. «Ora!» urlò e spronò Goth.

Il destriero nero aveva morso il freno per tutto il tempo e non si fece pregare, anzi si lanciò giù per il declivio, trionfante. In un lampo bruciò lo spazio che lo separava dal villaggio e puntò verso il nemico.

Un cavallo galoppava in direzione opposta, ma deviò con uno scarto nel vedersi piombare addosso quello stallone nero ben più grosso e robusto di lui. L’uomo armato che cercava invano di riprendersi la cavalcatura correndole dietro si bloccò in mezzo al campo quando vide Marc, il suo elmo da guerra, la spada già pronta e lo scudo bianco e azzurro, inconfondibile per qualsiasi francese. «Le Fauconneau!» esclamò, a metà tra la sorpresa e il terrore.

Marc ebbe così la certezza che si trattasse di un suo conterraneo e lo caricò senza più alcuna esitazione. L’uomo riuscì a sguainare la spada, ma l’aveva appena alzata a sua difesa che Marc gliela strappò via di mano con un rovescio violento menato dall’alto della sella.

Una fitta, stavolta perentoria, al fianco ferito. Marc strinse i denti, oltrepassò il nemico di slancio, tirò le redini e fece girare Goth per il secondo assalto. Gli sarebbe bastato un altro colpo per mozzare la testa all’avversario, invece si limitò a bucargli una spalla, arrivando a una profondità sufficiente a impedirgli di raccogliere e usare di nuovo la spada. L’uomo cadde in ginocchio con un urlo.

«Dov’è Martagne?» ringhiò Marc. «Dimmelo e vivrai abbastanza da vedere un processo.»

L’uomo si stringeva la spalla grondante sangue, non rispose subito, ma sussultò quando Marc fece inalberare Goth davanti a lui. Il destriero gli mancò la testa di un soffio e pestò sull’erba i micidiali zoccoli anteriori. L’uomo si tirò indietro precipitosamente e col mento indicò in direzione della chiesetta. «La casa di pietra scura» sillabò.

Marc non badò più a lui e ripartì al galoppo in direzione del villaggio.

Laurent l’aveva superato in corsa durante la sua momentanea sosta e ora sosteneva una battaglia serrata contro un avversario che era riuscito a montare a cavallo dopo aver visto il drappello armato balzare fuori dalla foresta. Théo aveva già ucciso il suo primo nemico e ora incrociava la spada con due avversari appiedati, non lontano dal recinto.

Mentre i fiamminghi irrompevano in mezzo alle case e urlavano ordini ai vecchi contadini per disperderli dal luogo della mischia, i francesi attaccarono senza preamboli e approfittarono sia dell’effetto sorpresa sia del fatto che almeno metà dei nemici fosse senza cavallo. Soltanto nei primi istanti di combattimento i morti sul terreno furono una mezza dozzina, tutti scagnozzi di Martagne, poi però da alcune finestre e da dietro gli angoli delle case spuntarono gli archi e le balestre e l’invasione del villaggio subì un brusco arresto.

«Al riparo!» urlò Marc ai suoi, ma lui non rallentò, superò tutti e proseguì verso il centro dell’agglomerato. A meno di dieci passi dalla chiesa individuò una casa fatta di muri di pietra color fuliggine, alta un solo piano e coperta da un tetto di tegole in legno. La porta era già spalancata e così l’imposta dell’unica finestra su quel lato; non si riusciva a vedere alcunché dentro l’edificio, per via della differenza di luce tra l’esterno e l’interno.

All'angolo della casa, però, Marc trovò ad attenderlo un nemico a cavallo, già armato di cotta di maglia, elmo, scudo e spada. Capì subito che non era l’avversario che cercava: troppo alto e con le spalle troppo strette. «Togliti di mezzo!» gli urlò, caricandolo.

Si scontrarono proprio davanti alla chiesa e lì si incalzarono e si rincorsero per un bel pezzo, colpendosi a vicenda pur senza arrivare a penetrare l’uno la difesa dell’altro. Piovvero altre frecce da traiettorie indiscriminate ed entrambi dovettero ripararsi dietro gli scudi. Marc imprecò tra i denti, quando avvertì gli impatti sul suo scudo, poi però dovette difendersi di nuovo dal nemico che tentò di sorprenderlo mirando all’elmo. Si abbassò d’istinto, lasciò che la spada nemica gli passasse sopra la testa, poi si raddrizzò e spinse Goth contro l’altro cavallo in passo laterale, quasi fianco contro fianco. Pressò il nemico e al contempo vibrò un colpo dall’alto che venne parato sul piatto della spada. Per una manciata di istanti, le due spade si contrapposero, immobili, incrociate, mentre ciascun contendente cercava di prevalere con la forza sull’altro. Poi Marc ruotò il braccio in un arco verso il basso, impegnò la lama del nemico, lo costrinse prima ad abbassarla e poi ad allargarla verso il fianco e con la rotazione violenta gliela strappò via. Lo colpì al costato rimasto scoperto e sentì chiaramente l’acciaio della sua lama spezzare la cotta di maglia e le costole dell’avversario. L’uomo perse anche lo scudo e si accasciò sul collo della sua cavalcatura. Goth nitrì sonoramente, l’altro cavallo fuggì portandosi via il suo cavaliere.

Marc si voltò verso la casa di pietra scura. «Reynart de Martagne!» chiamò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. «È arrivato il momento di affrontarmi faccia a faccia. Hai finito di nasconderti nell’ombra come un topo!»

Seguì un momento di stasi che sembrò quasi eterno, mentre la brezza spargeva tra le case l’odore acre del fumo e tutto intorno risuonavano grida e clangore di armi.

Infine, dalla fitta penombra interna alla casa emerse un cavaliere armato da capo a piedi. Imbracciava uno scudo solido ma anonimo, al posto di quello col suo blasone a losanghe bianche e blu, eppure era impossibile non riconoscerlo subito dalla corporatura e dal portamento.

Marc aggiustò la presa sulla spada. «Finalmente» disse, più a se stesso che al suo nemico. «Stavolta la facciamo finita sul serio.»