5. Vecchi memoriosi ricordano e prevedono anche nel degrado

 

La più bella donna dipinta da Leonardo da Vinci è la Belle Ferronnière. Il ritratto si trova nel corridoio del Louvre attiguo alla sala in cui, da sola, c'è la Gioconda. La Ferronnière è bella, calma, intelligente, risolta. Ha capito il mondo, ha visto la verità, ha trovato la pace, sa tutte le risposte - e Leonardo ha espresso tutte queste cose con un'immagine sola. Era davvero così quella dama? No, falso.

Pare che la Belle Ferronnière fosse l'amante di Francesco I, re di Francia. Il marito, geloso, si era vendicato. In modo premeditato aveva contratto la sifilide da una prostituta e aveva contagiato la moglie, che l'aveva trasmessa al re.

Leonardo non poteva rappresentare con quel ritratto le passioni del re e della dama, la meschinità del marchese, i dolori, la vergogna, le vendette, le disperazioni, l'animo esulcerato della donna. Non è vero che ogni immagine valga più di diecimila parole, come dice il proverbio cinese. Leonardo esprimeva le verità e i princìpi di fisica dimostrati dai suoi esperimenti e ragionamenti con parole molto chiare. Nel Codice Atlantico prova l'impossibilità del moto perpetuo e della produzione di voci da parte di spiriti incorporei, poteva chiamare "gente stolta" chi lo biasimava, aggiungendo che fosse "omo sanza lettere".

Secondo alcuni vivremmo in una civiltà dell'immagine.

Non è proprio così. Giornali e riviste, anche di buon livello, testimoniano in modo implicito quanto poco apprezzino le immagini. Infatti pubblicano molte foto senza didascalia. Chi legge sente che hanno qualche attinenza con il testo, ma vaga.

Evocano impressioni fuggevoli. Non danno informazioni.

Per capire il mondo, dunque, bisogna identificare proposizioni vere - costruite con parole e con numeri. Poi le parole e i numeri vanno usati per comunicare e conservare la memoria di quanto abbiamo capito. È un'arte vitale, meravigliosa e difficile: va definita meglio e insegnata di più. Di memoria di quanto abbiamo scoperto e capito, ovviamente, ce n'è di più nella mente di chi ha vissuto di più.

Non si tratta solo delle scoperte e degli scritti dei grandi saggi (Archimede, Dante, Spinoza, Cartesio, Newton, Kant, Maxwell, Einstein, Godei...). Parlo anche di idee, teorie, progetti, verità che lavoratori, pensatori, manager, scrittori producono ogni giorno. La nostra ricchezza comune di esperienze, nozioni, strumenti è stata creata da loro. Si continua a trasmettere a voce, con l'esempio, con i manuali, con i periodici. Si trasmette male con le immagini e anche con i video e i webinar (seminari via Web), che sono sincroni: devi fruirli adattandoti ai loro tempi, non scegliendo il ritmo tuo, come quando leggi un libro.

L'arte della memoria, da Simonide a Cicerone, a Giulio Camillo Delminio, a Francés Yates, ai neuroscienziati,3 è progredita enormemente, ma pochi la conoscono. Solo chi ricorda può elaborare, ricostruire, generalizzare. Quest'arte si impara facilmente ed è di grande aiuto. Però non si insegna nemmeno nelle scuole. I libri vengono letti tanto poco da ricordarci gli scenari immaginati da Ray Bradbury nel romanzo Fahrenheit 451, con i pompieri che li bruciavano e i meritevoli conservatori che li salvavano imparandone a memoria uno intero per ciascuno.

Non inserisco qui una digressione sull'arte della memoria. Se cerchi su Internet i nomi che ho citato, troverai sull'argomento testi ottimi ed esaurienti.

Alcuni vecchi scivolano in leggère menomazioni cognitive e nell'Alzheimer. Altri hanno memorie prodigiose. La professoressa Emily Rogalski della Northwestern University, che li ha studiati a fondo, li chiama SuperAgers ("SuperAnziani"). Richiamano alla mente informazioni ricevute anni prima o pochi minuti fa, con prontezza ed efficacia maggiori di quelle di un giovane. Pare che facciano uso preminente dell'ippocampo destro e che abbiano la corteccia cerebrale più sviluppata. Ma questi dettagli sono specialistici e irrilevanti ai fini pratici.

Sono poco interessanti anche le prestazioni di quelli che vincono i campionati mondiali di memoria. Riescono a memorizzare in pochissimi minuti centinaia di cifre e di parole o la sequenza delle carte da gioco in un mazzo mischiato.

Non giovano a nessuno queste abilità da baraccone.

Le liste di numeri, misure, sostanze, composti, idee, brevetti sono utili. Le trovi nei manuali, nei prontuari, nelle enciclopedie.

Da anni ormai le trovi anche nei database accessibili su Internet. Ce ne sono tante che è stata creata Datacite una struttura gigantesca che ti permette di accedere a 1200 depositi di dati. Questi contengono libri, articoli pubblicati e inediti, rapporti di ricerca, comunicazioni a congressi, tutti elaborati dagli autori in modo da renderli reperibili.

Datacite è stata creata da università, aziende e centri di ricerca americani, russi, europei, australiani, cinesi. I database che contiene sono aggiornati di continuo. Non entro in dettagli perché è roba da professionisti. Una persona normale dovrebbe seguire un corso di addestramento prima di avvicinarcisi.

Altrimenti si sentirebbe come chi vada a cercare una particolare foglia in una grande foresta.

Molte imprese ed attività vengono immaginate da persone normali che cercano di crearle e gestirle. Prendono decisioni in base a quello che sanno. Si documentano su libri, enciclopedie, riviste, e in Rete. Non ingaggiano esperti che li aiutino. Normalmente sono professionisti, o cercano di diventarlo.

Per risolvere problemi ardui o per valutare innovazioni che immaginano, chiedono aiuto a colleghi o professori.

Questi spesso ne hanno già viste tante. Intuiscono connessioni non ovvie fra eventi antichi e moderni, fra errori, invenzioni, speranze deluse, previsioni non avverate, tentativi temerari, procedure, idee brillanti ancora non realizzate. Non sanno dire come facciano. Quindi è difficile automatizzare queste ricerche.

La rivista "Spectrum" (mensile divulgativo dell'IEEE, Institute of Electrical and Electronics Engineers) pubblica una rubrica intitolata "Whatever happened to... ?" ("Che cosa è successo poi a...?"), in cui esamina innovazioni notevoli annunciate, iniziate e poi abbandonate. Non cito esempi perché interessano soprattutto tecnici e ingegneri.

Ricerche simili si possono fare in ogni campo o settore di attività. Invece di mandarli in pensione, i lavoratori memoriosi vanno arruolati per esplorare queste miniere di dati.

Costituiscono una risorsa importante. Spesso presentano anche il vantaggio di scrivere bene, come si faceva un tempo.

Le loro frasi rispettano grammatica e sintassi. I loro saggi e rapporti sono ben costruiti, concisi e sensati. Dirò più oltre dei difetti che si rilevano nei messaggi scritti da tanti giovani e di come frenino immaginazione e progresso.

I ragazzi di oggi non si rendono conto di quanto siamo stati fortunati in Occidente. Discendiamo da Romani, Greci, Egizi, Semiti, Babilonesi, Ittiti. Questi nostri progenitori culturali ci hanno donato l'alfabeto. Con 26 segni scriviamo in tante lingue. Con le dieci cifre della numerazione decimale esprimiamo quantità, codifichiamo istruzioni, comunichiamo con le macchine. I nostri figli imparano a leggere e scrivere in poche settimane.

Ai cinesi toccò sorte peggiore. Già 3000 anni fa parlavano la loro lingua in tanti dialetti diversi incomprensibili fra loro. Così ricorsero agli ideogrammi standardizzati in tutto l'Impero. I testi scritti in cinese sono comprensibili in ogni loro regione, ma in ciascuna sono letti in modo diverso.

Per leggere il giornale ed operare a livelli culturali medi, un cinese deve saper leggere e scrivere almeno 5000 caratteri.

Ci mette anni a impararli. Se vuol fare il letterato o il linguista, impara 50000 caratteri, ma per farlo impiega parecchi anni. Più avanti, racconto di quali altri guai affliggono i cinesi quando usano i computer.

Noi occidentali usiamo con successo da migliaia di anni i simboli alfanumerici. Trent'anni fa arrivò la Apple con le sue icone "amichevoli verso gli utenti". Poi anche Microsoft, con Windows, ha inondato i nostri computer di icone.

Ma ora siamo in crisi e corriamo rischi.

Un primo rischio è la delega ad eseguire elaborazioni, che ora possiamo affidare a strutture anonime in Rete: così perdiamo il controllo del processo di elaborazione e della qualità dei risultati. Stiamo attenti.

Rischi gravi sono implicati dall'abbandono di codici alfanumerici per passare alle icone. Queste sono analoghe agli ideogrammi cinesi. Sono difficili da riconoscere e reperire in liste esplicative. Possono portare a eseguire elaborazioni diverse da quelle desiderate. Il significato delle icone riportate sullo schermo del computer che ho ora davanti non è ovvio, né lo è quello delle brevi scritte che appaiono accanto a esse quando ci clicco sopra con il mouse. Inoltre i risultati che si ottengono cliccando sono spesso diversi da quelli forniti da sistemi operativi precedenti. La tecnologia dell'informazione e della comunicazione è utilissima, ma è piena di trabocchetti. Gli anziani trovano disagevole questo modo di comunicare. Loro stessi, per fare un esempio forse banale ma significativo, nei loro messaggi non usano gli emoticon - le faccette gialle sorridenti, aggrondate o dubbiose che tentano rozzamente di trasmettere i sentimenti dell'autore.

Se usiamo le icone incontriamo, quindi, inconvenienti simili a quelli sopportati dai cinesi. Impieghiamo tempi lunghi per imparare i loro significati (e per impararli di nuovo, ogni volta che cambiano). Non è realizzabile un dizionario delle icone. Anche i dizionari cinesi sono disagevoli da consultare. Per cercare un carattere mai visto prima, devi contare il numero di tratti che convergono nei suoi quattro angoli: costruisci così un codice a quattro cifre che permette di ritrovare il carattere nel dizionario e di conoscerne il significato (se hai contato correttamente i tratti).

E le icone hanno invaso anche i pulsanti che comandano elettrodomestici, televisori, registratori, automobili, senza dimenticare la segnaletica stradale. Le immagini stilizzate non sono accompagnate da scritte. Anticamente, sotto il cartello con una grossa S nera, si leggeva CURVA PERICOLOSA.

Sotto il cerchio rosso con striscia bianca orizzontale si leggeva DIREZIONE VIETATA. Oggi no. Un cartello con alcuni segmenti verticali e orizzontali (che non si toccano) ci avvisa che siamo prossimi a un incrocio. A destra o a sinistra?

A che distanza? La figura non lo dice.

Le icone offrono il vantaggio di trasmettere concetti senza usare una lingua particolare, incomprensibile agli stranieri.

In tutti gli aeroporti una sagoma umana in calzoni e una in gonna indicano i gabinetti. La rappresentazione grafica è compatta. Altri simboli hanno spesso dimensioni minime e non abbiamo idea del messaggio trasmesso da certi sgorbietti. Così con macchine ed elettrodomestici andiamo per tentativi. Spingiamo tanti pulsanti e guardiamo che cosa succede. Qualche volta non succede niente perché si ottiene un effetto solo premendo più di un pulsante in sequenza appropriata (e non ovvia). Se muovi il cursore del computer sulle varie icone, vedi comparire almeno una scritta esplicativa (anche se mal concepita).

Sui cartelli, no.

Ma torniamo per un momento in Cina. Come accennavo, in quel paese l'adozione dei PC crea parecchi guai. Per scrivere ideogrammi al computer i cinesi devono prima traslitterarli in caratteri latini secondo la pronuncia pechinese.

Poi devono scegliere l'ideogramma desiderato fra gli omofoni (spesso varie decine). Le sequenze di ideogrammi così codificate, trasmesse, mostrate su video o stampate sono leggibili da chi parli una delle decine di lingue e dialetti cinesi. Ma chi non scriva a mano ogni giorno gli ideogrammi che usa, li dimentica. Li riconosce se li vede scritti, ma sbaglia quando cerca di tracciarli. Se si toglie il PC a un cinese che per anni lo ha usato traslitterando, questi diventa analfabeta. Questa difficoltà riguarda un miliardo di persone. Si aggiunge a quelle di chi usa lingue indoeuropee, ed è un sintomo ulteriore che nel mondo dell'informatica c'è molto da rivedere.

Come ha scritto Valerio Franchina:

È singolare che venga celebrato in chiave evolutiva il cammino simmetrico a quello che ci ha condotto dalle icone agli alfabeti fonetici, il percorso di ritorno, insomma.

Dovrebbe essere invece visto in una luce negativa, come sintomo di involuzione oscurantistica. ... Non ci stiamo avviando verso una civiltà iconica ... Chiamiamola invece barbarie iconica. E combattiamola.

 

In questa battaglia le reclute sono più numerose fra gli anziani. Uniamoci e facciamoci sentire, se vogliamo evitare che la qualità della comunicazione continui a degradare.

 

Digressione su immagini e pubblicità.

 

Le nostre facoltà di attenzione e di memoria sono menomate dai flussi enormi di messaggi di ogni tipo generati dai mezzi di comunicazione di massa. Distraggono di più chi non ha l'abitudine di concentrarsi su argomenti e attività lavorative che lo appassionano.

Fra i messaggi non mirati a destinatari ben definiti - individui o categorie - ma aperti a tutti, sono particolarmente dannosi e ripetitivi quelli pubblicitari. Hanno i loro bersagli (target) preferenziali, ma colpiscono chiunque. Quelli ritrasmessi dalla televisione in modo ossessivo a pochi minuti di distanza ti si impiantano nella mente. Tutti richiamano la tua attenzione in certa misura. Rompono il filo dei tuoi pensieri, che sono una tua valida arma, se hai imparato a guardare il mondo e a ragionarci sopra. Questo è il primo danno che ti viene inferto, ma non è il solo.

Ti accade di sfogliare un giornale o rivista, di ascoltare la radio in macchina, di guardare la televisione. Allora vieni invitato molte volte al giorno a: provare o comprare un'auto - anche se poi ne compri una ogni 6 anni (io ogni 12); bere vini, liquori, bibite; mangiare dolci, paste, carni, pesci, frutta; fumare; curare malattie e indisposizioni (di cui in genere non soffri) con preparati le cui azioni benefiche sono rappresentate drammaticamente con buffi cartoni animati; fare viaggi in luoghi gradevoli, mostrati come i prediletti di giovanotti belli e forti e di ragazze affascinanti.

Alcuni messaggi pubblicitari sono eccezionali. Ti divertono.

Li memorizzi. Li racconti agli amici. Sono i più dannosi, perché sono quelli che ti fanno perdere più tempo. Incidentalmente, credo che siano anche i meno efficaci: lo spot andato in onda qualche anno fa del condannato a morte che fa ritardare la fucilazione perché riceve una telefonata e parla di ricette di cucina era spiritosa. Esortava a cambiare gestore telefonico, ma dopo averla vista, non avrei saputo dire quale fosse il gestore pubblicizzato.

Quando dal TG o da un film la televisione passa alla pubblicità, io premo il tasto in alto a destra sul telecomando ed elimino l'audio. Poi mi occupo di altro. Ritengo di essere ragionevole.

Mi difendo. Quando decido di comprare qualcosa, preferisco andare al negozio più vicino. Ci vado a piedi: camminare fa bene. Descrivo l'oggetto o il servizio che desidero.

Guardo le alternative. Scelgo la migliore. Pago. Esco.

Se l'offerta non mi piace, cambio negozio oppure cerco su Internet. Spesso per acquisti ben definiti, compro on line e pago con carta di credito. Risparmio tempo.

Tutto bene? Ho eliminato tutti i danni possibili? No: pago troppo la roba che compro proprio perché chi la produce o la vende ha fatto pubblicità. Ha dovuto pagarla e recupera quello che ha speso alzando il prezzo di ciò che vende.

Quindi il prezzo che pago è più alto, anche se la pubblicità non l'ho guardata mai. Non so di quanto sia più alto, ma - come dicono quelli che reclamano ad alta voce a un fornitore che gli ha fatto pagare due euro in più: "Non è per i due euro. È per il principio!".

Allora mi ricordo che nelle mie vene scorre anche un po' di sangue scozzese. Mormoro il motto della Scozia "Nemo me impune lacessit", "Nessuno mi ha mai sfidato impunemente".

E immagino di fondare un movimento contro la pubblicità inutile, invadente, ingiusta.

Credo succeda a tutti di considerare spiacevoli e offensivi certi spot televisivi che presentano attori antipatici e usano frasi stonate e di pessimo gusto. Quando ne vedo uno più di una volta, decido di vendicarmi. Non comprerò mai quell'oggetto, e comincio a forzarmi di ricordarne il nome.

Su Internet esistono software che bloccano lo "spam", cioè i messaggi indesiderati. Sono pubblicità: li inviano aziende che sperano di aumentare le vendite e non si preoccupano del disturbo che arrecano alla maggioranza dei destinatari.

Meritano rappresaglie, ma non faccio promozione e non scrivo qui i loro nomi. Sarebbe più civile che i potenziali clienti mandassero messaggi a un sito centrale e che soltanto a loro le aziende commerciali inviassero le loro offerte.

Potremmo ideare un movimento non motivato da antipatie, ma da senso della giustizia e da sete di vendetta. Gli aderenti redigono liste di aziende, prodotti e servizi che fanno pubblicità, e le caricano in un blog su Internet. Il blog è aperto. Chiunque può registrare il voto di spiacevolezza che dà a ciascun prodotto e a ciascuna azienda. La classifica è pubblicata sul sito del movimento insieme alla proposta di evitare le aziende ed i prodotti che sono stati bollati con un indice di spiacevolezza superiore a un valore di soglia che viene stabilito dalla Rete. Alcuni aderenti raccolgono dati sul volume d'affari di ogni azienda coinvolta e, quindi, mettono in Rete rapporti sull'andamento dell'iniziativa.

Se il movimento avesse successo, molte aziende smetterebbero di fare pubblicità e abbasserebbero i prezzi. In generale, domanda e fatturato dovrebbero aumentare un po'.

Il Prodotto interno lordo del paese resterebbe costante, perché i volumi prodotti e venduti crescerebbero, ma diminuirebbero i prezzi unitari. Ci sarebbe, però, uno spostamento dai servizi (aziende pubblicitarie) all'industria (produzione manifatturiera).

I programmi televisivi subirebbero minori interruzioni pubblicitarie e sarebbero più gradevoli per i telespettatori.

Diminuirebbero le entrate delle stazioni televisive, che si farebbero pagare un canone come fanno RAI e SKY. I talenti dei pubblicitari sarebbero reimpiegati nella produzione di programmi di qualità. Auspicabilmente, verrebbero prodotti programmi culturali più interessanti e istruttivi.

Si presenterebbero più invenzioni e innovazioni, con creazione di posti di lavoro di alto livello e un relativo aumento delle esportazioni. Saremmo più ricchi, più colti e più felici.

Ma no: sto sognando a occhi aperti.