7. Attenti al burnout: colpisce vecchi e giovani

 

Erano stati inutili nel 2009 i dieci mesi di psicoterapia e le pillole di Cipralex. Andreas sentiva che ansia e depressione stavano tornando. Quando era stato male, non aveva presentato veri sintomi psicotici. Ora, però, stava anche peggio.

Si sentiva criticato ingiustamente, perseguitato. Cominciava ad odiare se stesso, il lavoro, gli aeroplani, gli esseri umani.

I medici avevano certificato la completa remissione dei suoi disturbi oltre cinque anni prima. La Medical Certification Division della Federal Aviation Administration lo aveva ammesso ai corsi per diventare pilota in Arizona. Dopo circa 200 ore di addestramento aveva ottenuto il brevetto di pilota commerciale. Nel 2013 aveva lavorato come steward per la Lufthansa. Dal 2014 Andreas Lubitz era secondo pilota con Germanwings e aveva all'attivo 630 ore di volo.

Il 24 marzo 2015, sul volo da Barcellona a Düsseldorf, il comandante era andato in bagno e lui restò solo nella cabina di pilotaggio. Azionò il pulsante con cui si blocca la porta per tenere fuori eventuali dirottatori. Fissò il pilota automatico per una quota di 30 metri. Non aprì al comandante che gii urlava di lasciarlo entrare e mandò l'Airbus a sfracellarsi contro un monte in Francia. Morì con le altre 149 persone a bordo - passeggeri ed equipaggio.

Su Internet troviamo centinaia di documenti, testimonianze, articoli, pareri su questa tragedia e sulle sue cause.

In maggioranza attribuiscono al burnout lo squilibrio del pilota suicida e omicida. Dissento: Andreas era certo un caso psichiatrico, però il lavoro non lo aveva assoggettato a uno stress estremo. Aveva volato per circa i due terzi del tempo (900 ore all'anno) ammesso dai regolamenti e che la maggior parte dei piloti affronta senza risentirne. La storia medica di Andreas e la scarsa attenzione che sembra aver ricevuto fanno propendere, nei numerosi dibattiti in corso, per una responsabilità primaria della linea aerea.

Una definizione comunemente accettata del burnout è "depressione ed apatia causate da stress e da superlavoro". Le professioni più vulnerabili a questo tipo di disagio sono: dirigenti, avvocati, piloti, medici, infermieri, fisioterapisti, direttori di ospizi, e molte altre professioni socio-assistenziali.

Chi le esercita ha grosse responsabilità e continui rapporti con persone stressate - e spesso stressanti. Non ha un manuale che gli insegni a risolvere ogni problema. Non fa un lavoro deterministico. Incontra imprevisti. Sono tutti ingredienti che possono generare ansia, la quale costituisce un potenziale primo passo verso la depressione.

La psicologa californiana Christina Maslach studiò il burnout a partire dagli anni Ottanta. Concluse che questa sindrome può colpire più facilmente chi intraprende con entusiasmo una professione impegnativa. Ti ci dedichi con successo per anni. Poi accade che incontri difficoltà gravi.

Ad esempio, il datore di lavoro od i tuoi capi frenano le tue iniziative e minimizzano il valore di risultati brillanti che hai conseguito. Ti senti frustrato. Non proponi nemmeno più le idee che sorgono ancora nella tua mente. La tua attività ristagna. Non reagisci più ad attacchi che prima avrebbero scatenato la tua aggressività. Non accendi il tuo interesse verso le novità che ti vengono portate dai colleghi, dalla stampa, dal mondo. Diventi apatico e provochi nelle persone che hai intorno reazioni negative contro questo tuo nuovo modo di essere. Se ti portano una buona notizia, fai un mezzo sorriso. Se ti danno un'informazione utile, fai un cenno di testa per indicare che hai sentito. Fai poche cose costruttive. Lavori il minimo indispensabile. Ogni volta che puoi, affidi ad altri mansioni che ti paiono troppo pesanti, mentre prima le svolgevi senza pensarci.

Non si tratta, dunque, di una malattia vera e propria. Non hai febbre e la pressione del sangue è normale. Non ci sono microbi, né parassiti. Se ti fai un check-up, ti dicono che stai bene. Però il disagio non è immaginario. Stai male davvero.

Lo puoi raccontare, e gli esperti lo descrivono come ho fatto io poco sopra.

Questa combustione delle tue energie e della tua immaginazione è graduale. Già elencarne le manifestazioni iniziali può aiutare a dare l'allarme ed a individuare fattori anche modesti che stanno contribuendo a scatenare atteggiamenti negativi. C'è speranza. Quegli atteggiamenti possono essere modificati. Se riesci a eliminarli, eviti di diventare il "carnefice di te stesso".

Nel Capitolo 4 passavo in rassegna gli svantaggi subiti da chi tende a procrastinare qualunque cosa debba fare.

Qui metto in guardia contro l'insorgere dell'abitudine a ritardare tutto, che per te è un fatto nuovo e potrebbe essere uno dei sintomi di un inizio di burnout. Ti accorgi che porti ritardo perché trovi noiose le cose da fare. Prima non era così. Ora ti irriti perfino perché sei in buona salute e non ti serve a niente.

Ti accorgi di essere indulgente verso te stesso e inesorabile nei confronti dei difetti altrui. Sei diventato suscettibile: ogni critica ti sembra un attentato. Ti senti vittima di ingiustizie. Qui, purtroppo, è probabile che in parte tu abbia ragione. Il mondo non è tanto giusto, ma le vessazioni sono, in realtà, meno continue di quanto ti paia. Tutti noi dobbiamo fare qualche sforzo per raggiungere obiettivi anche modesti. Tu, invece, tendi a non sforzarti perché senti che sarebbe inutile. Non ti viene spontaneo fare autocritica.

Non rifletti sul modo in cui consideri te stesso. Non hai più speranza. Chi si trova nei guai, in genere si dà da fare. Se non vede una soluzione ai suoi problemi, prova tante strade diverse. Si sentirà stanco, ma a causa dell'iperattività tu, invece, la rifiuti: non ci provi nemmeno più.

Trovi facili scuse. Se sei anziano, dici a te stesso che alla tua età è normale che le forze ti manchino. Se sei giovane, ti ripeti che devi essere proprio sfortunato. Avrai anche ragione: in media fortune e sfortune sono ripartite equamente, ma la sfiga ogni tanto è ripetitiva.

Prima ho scritto: "C'è speranza".

È vero, ma non ci possono essere rimedi semplici e rapidi per una situazione complicata. Il primo rimedio è: bisognava aver fatto qualche cosa prima. Lo dicevano gli antichi Romani, a chi era bocciato agli esami: Oportet studuisse, "Bisogna avere studiato". È irritante, ma vero. Ne darò un esempio alla fine del capitolo, raccontando una mia esperienza personale. Dunque: se non hai nessuno dei sintomi che descrivevo sopra, non ti fidare. Comincia a prepararti.

Coltiva una serie di interessi diversi. Se hai già un mestiere, imparane anche un altro. Se sai fare alcune cose, comincia a fare qualche cosa che non sai fare.

Il mondo brulica di rimedi inefficaci. Guardatene. Non ascoltare gli psicologi improvvisati che usano termini astratti.

Dicono: "Impara ad essere resiliente. Esercita la pazienza e la persistenza. Abbi fiducia in te stesso. Guarda il lato positivo di ogni situazione".

Sono suggerimenti ragionevoli, ma così astratti che servono a poco. Ricordano il concorso per la migliore parodia degli articoli ottimistici della Selezione del Reader 's Digest.

Vinse il titolo: "Guardiamo insieme i lati positivi della peste bubbonica!".

Taluno suggerisce che il burnout si possa evitare grazie alla meditazione. Non è un consiglio che abbia validità generale.

Dipende da come mediti e su che cosa mediti. Se ti metti a guardare un muro bianco e aspetti che ti vengano belle idee in testa, senza che tu ricordi concetti validi, parole, immagini o sentimenti che in passato abbiano significato per te qualche cosa, hai poche speranze.

Non credo affatto che si possa avere aiuto dall'omeopatia o dall'agopuntura. Sono rimedi che non tratto. Sono sicuro che il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Attività Paranormali) li ha analizzati con metodo logico-sperimentale e che ha pubblicato le sue conclusioni - negative.

Un aiuto efficace può essere dato dai contatti umani. Le persone sono strutture complesse, che non capiamo ancora del tutto. Sappiamo bene che ci influenziamo gli uni con gli altri, in modo sia negativo, sia positivo. Impariamo dagli altri: non solo dai maestri, ma anche dai parenti, dagli amici, dagli allievi, dagli estranei. Impariamo da persone note che magari sentiamo alla radio od alla televisione o di cui leggiamo le opere dopo che sono morte. Va bene. Però i messaggi su misura, mandati al momento giusto e attagliati alle nostre necessità contingenti li riceviamo dagli amici.

Questi vanno scelti in tempo e con cura. Devono essere disponibili e avere esperienza di mondo. Non devono avere idee fisse, né ideologie ingombranti. Non c'è bisogno che siano grandi intellettuali. Ho ascoltato parole vivificanti da persone di studi modesti, che pronunciavano anche una sola frase - incisiva e risolutiva. Le amicizie buone non si improvvisano.

Possono essere discontinue, ma basta che servano almeno una volta.

Conviene avere parecchi amici, e non solo per crearsi una rete, una sorta di guanxi. Passano gli anni e ti succede che gli amici muoiono prima di te. Il mondo, per quasi tutti noi, è un cimitero. Se sei una persona decente, ti occupi dei tuoi amici - anche di quelli che restano vivi a lungo e si staccano dal mondo, fanno pena e non ti sono di aiuto.

Ascoltarli è un'opera buona, ma è uno stress. Attento a non eccedere nelle opere buone.

Alcuni miei amici fragili e stressati non sopportarono il loro burnout e si suicidarono. Con tutto l'affetto che avevo per loro (in qualche caso mi ispiravano anche un'ammirazione profonda), li considero dei maleducati. Lasciarono nel dolore e negli impicci i loro familiari, alcuni dei quali ho frequentato poi per anni cercando di confortarli. Come dicevo, è stressante aiutare gli stressati.

Quando stai male e non ci sono rimedi semplici, ti viene in mente che dovresti cambiare tutto, ma non sai in che modo. Ti piacerebbe avere qualche bella sorpresa, ma non arriva. Un aiuto importante può venire dall'ironia. Se riesci a scherzare sui tuoi guai, li ridimensioni anche se non li risolvi. Ho fatto sorridere varie persone invitandole a confrontare i loro mali con il crollo dell'Impero babilonese: "Pensa a questa grande, ricca capitale dell'impero, attorniata da mura candide con porte dorate, giardini pensili, bassorilievi perfetti, la culla della scienza e della legge. È tutto sparito: e non fa differenza. Al confronto, le tue sfortune scompaiono". Sorridevano, ma non bastava. Avevano bisogno di emergere dai loro abissi, non di ironizzare.

Viene in mente a chiunque l'idea di affrontare le difficoltà una per una. La salvezza può arrivare da una serie di pezze messe sui buchi? Le elenchi: chiarire il malinteso col tuo capo; riorganizzare le mansioni di tre persone chiave; recuperare la fiducia di due clienti importanti mediante proposte vantaggiose; eliminare regole sorpassate che generano conflitti continui... Il successo è improbabile: ai rimedi ovvi ci si è già pensato, e non sono stati di grande aiuto.

Ci vuole un cambio radicale di attività. Cambiare lavoro, però, è difficile quando già la disoccupazione è alta ed è scarsa l'offerta di posti ben retribuiti per svolgere mansioni attraenti e moderne. Sul mercato c'è domanda per gente che sia capace di usare strumenti sofisticati e che padroneggi tecnologie di informatica e comunicazione. Sono competenze che non acquisisci in breve tempo. Come dicevo, bisogna avere studiato.

Un cartello all'interno dei tram di Roma, parecchi anni fa, diceva: SI SCENDE DAVANTI, PREPARATEVI IN TEMPO.

Molti di noi sbagliano e non si preparano in tempo nemmeno a eventi ben prevedibili come il raggiungimento dell'età della pensione. L'over 65 che va in pensione ancora energico somiglia al manager attivo che a 57 anni perde il lavoro. L'azienda può avere chiuso, essersi trasferita all'estero od essere stata comprata da qualcuno che ha deciso di sostituire molti dirigenti. Allora il nostro over 65 potrebbe lasciare il management e fare il consulente. Per trovare lavoro, oltre alla competenza, deve avere una buona fama. Oltre ad avere competenza professionale, deve aver pubblicato articoli sui giornali o su riviste professionali, o anche libri, anche se quelli vengono letti meno.

Se non sei stato un manager di alto livello e se non hai una grande cultura, non disperare. Parecchi lavori che occupavano tanta gente non esistono più. Come ho detto varie volte, i lavori in agricoltura e in industria continuano a sparire. Crescono quelli nei servizi, e sono famosi i successi di chi ne ha inventati di nuovi. Vengono subito in mente Apple, Microsoft, Google e Facebook. Solo i due inventori di Google, Sergey Brin e Larry Page (dei quali ho già parlato), sono veramente scienziati di grande valore. Gli altri avevano buone formazioni tecniche, ma la loro eccellenza si è manifestata nell'intuire possibili aperture del mercato, insieme a usi e forme nuovi di prodotti esistenti. Poi hanno ingaggiato e cointeressato tecnici e scienziati che, da soli, non avevano avuto visioni così geniali.

Dunque, se ragioni sulle cose che hai visto e imparato - anche in termini qualitativi e verbali, cioè se ne chiacchieri puoi individuare strade nuove. Puoi immaginare un servizio che farebbe comodo e che nessuno presta, e realizzarlo unendoti a giovanotti che possiedono strumenti intellettuali e operativi che non sanno come mettere a frutto.

A questo proposito, mi viene in mente un aneddoto esemplificativo. Menelao, un grosso gatto maschio, si accoppiava ogni notte in soffitta con molte gatte. I miagolii orgasmici davano noia ai vicini. Dissero al padrone di castrarlo.

Provvide. Per due settimane tutto tacque, poi ripresero i miagolii, più frequenti di prima. Il padrone trovò Menelao in soffitta che riceveva un gatto dopo l'altro. Si scambiavano lunghe miagolate. Menelao spiegò: "Se hai il know-how, ma non le macchine, ti metti a fare il consulente".

Insieme potete creare cose nuove. Provateci. Il rischio non è alto. Anche se non avete successo, vi divertirete a immaginare come potrebbe essere. È quasi come farlo davvero, e forse ci riuscirete pure. È un po' un gioco d'azzardo, ma la posta non è alta.

Qual è l'alternativa? Non quella di leggere i giornali seduto su una panchina del parco, commentandoli con qualche altro pensionato o disoccupato anzianotto. Non te la proporrei mai. L'alternativa può essere quella - appena appena più positiva - di una lenta ripresa a livelli bassi di attività mirata a soddisfare una domanda di servizi modesti.

A seconda della tua esperienza: contabilità, scrittura di rapporti, tenuta di schedari - tutte cose che non entusiasmano, danno pochi soldi e intristiscono.

No. Rischia di avere successo: è un principio che vale per gli anziani e anche a ogni altra età.

Ho avuto esperienza diretta di burnout in vari lavori che ho fatto. La prima volta avevo 25 anni. Avevo progettato e costruito grandi linee elettriche ad alta tensione per due anni e non mi piaceva più. Diedi le dimissioni dalla Società Terni. Non avevo nemmeno cercato un altro lavoro, ma ne trovai uno in poche settimane. Negli anni seguenti lasciai un altro paio di lavori - ma dopo aver trovato un altro impiego.

Continuai a studiare: elettronica, informatica, economia.

Nel 1955 andai a lavorare al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Avevano comprato un grosso computer scientifico, un Ferranti Mark1* come quello su cui lavorava Alan Turing. Conteneva migliaia di tubi elettronici e si guastava quasi ogni giorno. Io lo riparavo: lo modificai aggiungendo istruzioni e lo usavo per controllare mie congetture matematiche che poi diventarono teoremi. Dapprima era un lavoro affascinante, ma dopo qualche anno diventò ripetitivo. I matematici che usavano la macchina erano bravi, ma non si costituì un nucleo di ricerche ingegneristiche.

Ero insoddisfatto, anche se non depresso.

Nel 1961 entrai in contatto con un'azienda americana che costruiva controlli elettronici per il traffico veicolare. Erano sensibili al passaggio e alla presenza di veicoli e commisuravano la durata del verde dei semafori al numero di veicoli in transito sulle diverse corsie. Sincronizzavano anche i segnali lungo le arterie principali realizzando onde verdi. L'idea era ottima: evitava a milioni di utenti attese col rosso mentre dall'altra parte non c'era nessuno. Pensavo che in Italia avrebbe avuto un grande successo, ma non andò proprio così.

Mi assunsero come direttore tecnico della loro filiale italiana.

Il management era stato inadeguato e l'azienda aveva perso tutto il capitale. Dopo circa un anno mi dissero: "In banca l'azienda ha credito per 200000 lire e fra 22 giorni devi pagare gli stipendi. Se ti nominiamo direttore generale, accetti? E che intendi fare?".

Accettai. Per prima cosa mandai tutti i dipendenti a incassare fatture ancora non pagate. Poi imparai la contabilità industriale e misi a posto i conti. Organizzai una squadra di ottimi ingegneri sistemisti. Progettammo nuove apparecchiature elettroniche. Installammo controlli moderni in migliaia di incroci urbani e reti coordinate in aree urbane a Milano, Torino, Roma, Napoli, Saint-Etienne in Francia. Il fatturato crebbe.

Intanto crescevano anche le autostrade italiane. Ideammo un sistema computerizzato per controllarne il traffico.

Avrebbe dosato i flussi in entrata per evitare la congestione.

Avrebbe rivelato incidenti e rallentamenti. Avrebbe informato gli utenti con cartelli a messaggio variabile e, se necessario, li avrebbe dirottati in uscita. Avrebbe monitorato la situazione in tempo reale. Il nostro progetto fu approvato per la Tangenziale di Napoli e lo realizzammo con successo e con profitto.

Un nostro ingegnere andò a progettare un sistema simile in New Jersey, ma non fu mai realizzato. Il top management americano mi spingeva a proporre tanti impianti piccoli, non grandi reti di controllo. Spiegai che i grandi impianti computerizzati davano prestigio e utili più alti.

Non mi ascoltarono.

Continuai a lavorare, malgrado fossi frustrato. Manifestavo numerosi sintomi di burnout. Non mi entusiasmavo a idee nuove (le avevano gli altri, non io). Rimandavo decisioni e incombenze anche semplici. Funzionavo a mezza forza e continuavo sfruttando l'abbrivio preso anni prima.

Era ora di cambiare. Il mio vice era un ottimo ingegnere e poteva prendere il mio posto senza problemi.

Però studiavo sempre i grandi sistemi tecnologici. Avevo pubblicato Il Medioevo prossimo venturo sui rischi relativi e su come evitarli. Il libro ebbe successo.

La mia decisione di lasciare il management e di lavorare come indipendente fu scatenata da un'occasione modesta nel 1975. Un quotidiano del Nord mi propose di pubblicare un mio articolo ogni settimana. Lo avrebbero pagato 150000 lire. Non mi bastavano per vivere. Però avevo altre risorse. Diedi le dimissioni e lasciai il posto al mio vice, uomo solido e intelligente.

Mi misi a fare il consulente. Sviluppavo procedure ed algoritmi per fare previsioni tecnologiche. Cominciava a diffondersi l'idea che ragionare sui sistemi e calcolare l'andamento di tanti parametri fosse utile per gestire energia, trasporti, comunicazioni. Così cominciai a elaborare modi per trattare questi problemi. Collaborai alla redazione dei piani industriali di parecchie aziende. Lo faccio ancora.

Su questi argomenti, e su altri, da allora ho scritto e pubblicato più di una trentina di libri. Anche con questi ho guadagnato qualche soldo. Mi è andata bene. Come dicevo, è dipeso dal fatto che mi ero preparato parecchie alternative.

A seconda delle occasioni e del gradimento che incontro, ora passo da un'attività all'altra. La varietà aiuta l'igiene mentale: credo bene che continuerò a evitare il burnout.

Questo lieto fine può apparire irritante a qualche vecchio che abbia omesso di predisporre sbocchi stimolanti alle proprie energie e covi da anni un burnout strisciante ed inespresso. Può irritare anche qualche sessantenne (che a me sembra un giovinetto) che non abbia coltivato interessi costruttivi e altre possibilità.

Il vero lieto fine di questo discorso è: "Anche se porti ritardo, hai ancora tempo. Il mondo è grande e pieno di cose interessanti. Ci sono mille modi per capirle e poi per vendere quello che hai capito. C'è mercato: la gente che osserva, studia e ha immaginazione non è tanta".