Sei

 Abel stava facendo colazione quando sentì il rumore della porta che si apriva e pensò che i suoi nuovi amici non avevano l’abitudine di annunciare il loro arrivo, tantomeno di bussare.

 Il dolore delle torture era passato ma non si sentiva meglio. Era arrabbiato, anzi furibondo, per il modo in cui l’avevano trattato ma soprattutto viveva da giorni in uno stato di incertezza a cui non era abituato.

 Non gli era ancora chiaro con chi avesse a che fare e quella frase sibillina pronunciata dall’elegantone che lo aveva interrogato – «… resista alla tentazione di uccidere, le forniremo noi la vittima» – continuava a ronzargli nella mente.

 Lui non agiva a comando. Ed era un solitario. Comunque, il caso, grande sovrano dell’universo, lo aveva messo in quella situazione e doveva trovare il modo di uscirne o sfruttarla a suo vantaggio.

 Quella mattina si era masturbato passando in rassegna le sue vittime, e un pensierino lo aveva dedicato anche alla donna che lo aveva seviziato. Aveva dei progetti su di lei ma era anche convinto che ritrovarla sarebbe stato piuttosto difficile.

 Sulla porta apparvero i soliti due tizi. Quello con la barba e i capelli bianchi portava una coppola di cotone bianco e al collo un foulard di Tommy Hilfiger. Con il completo blu sembrava appena uscito da un hotel di lusso. L’altro invece era sempre vestito allo stesso modo, forse non si era mai cambiato.

 «Buongiorno, signor Cartagena» lo salutò il primo. Il suo socio rimase in silenzio, come d’abitudine.

 «Ce l’ha un nome?» chiese il Turista.

 «Mi può chiamare Abernathy.»

 «E il suo amico?»

 «Lui è Norman.»

 «Se li è inventati in questo momento?»

 «Ieri sera. Appartengono a personaggi di una serie televisiva che amo particolarmente. I nomi sono utili per comunicare e noi dobbiamo iniziare a relazionarci in modo organico.»

 Abel alzò le spalle e continuò a mangiare pane, burro e marmellata.

 Per tutto il tempo l’elegantone non smise di osservarlo. Il serial killer lo lasciò fare. Era certo che prima o poi avrebbe iniziato a parlare.

 «Oggi le affiancheremo un’agente» lo informò Abernathy. «Anche lei è una psicopatica criminale e riteniamo che vi troverete bene a lavorare assieme.»

 Il Turista si ribellò. «Non mi piace essere definito in questo modo.»

 Norman ghignò di gusto mentre l’altro fingeva sconcerto. «Non si deve offendere. Nel nostro ambiente gli psicopatici sono tenuti in grande considerazione, sono gli assassini perfetti, negli interrogatori raggiungono risultati per altri insperati e sono i migliori nel gestire le carceri segrete di massima sicurezza.»

 Abel voleva a tutti i costi cambiare discorso. «D’accordo, lavorerò per voi, ma può gentilmente spiegarmi almeno per quale governo?»

 «Noi non abbiamo padroni, per questo ci facciamo chiamare i Liberi Professionisti» si decise infine a chiarire. «Abbiamo servito Stati e regni, abbiamo contribuito a impedire che questo pianeta potesse progredire per conto di uomini corrotti e malvagi che fingevano di rappresentare democrazie. Spesso psicopatici come lei, signor Cartagena. Ma poi ci siamo stancati di essere sacrificati in nome di ideali inesistenti o, peggio, per un’enorme ipocrisia chiamata ragion di Stato, e ci siamo messi in proprio.»

 Il Turista era certo che l’uomo lo stesse burlando con quel discorso pomposo, ma decise di stare al gioco. «E di cosa vi occupate?»

 «Forniamo consulenze, servizi, personale» rispose con un sorriso. «So che lei ora non è in grado di capire ma in questo momento storico la criminalità organizzata sta assumendo un peso sociale, politico ed economico sempre più importante. Paga meglio e i rapporti di lavoro sono più onesti.»

 «Mi stai prendendo per il culo» sbottò Abel.

 «No. Voglio solo essere estremamente chiaro per evitare fraintendimenti.»

 «Io non sono un agente addestrato, che ve ne fate di uno come me?»

 «Non si sottovaluti. La sua storia personale dimostra che lei è in grado di mimetizzarsi perfettamente nella società. Nessuno sospetterebbe mai che lei è il Turista.»

 «Appunto. Io sono il Turista» replicò esasperato Abel. «Non posso essere altro.»

 «Si sorprenderà delle doti che ancora non ha sviluppato» disse Abernathy. «Lei è insensibile, non prova empatia né rimorso e sensi di colpa. È il re della menzogna e della manipolazione. Se non avesse imboccato la strada dell’omicidio avrebbe potuto ambire alla carriera di dirigente in una grande azienda. Dove crede che le multinazionali vadano a pescare i tagliatori di teste? Noi le offriamo un futuro nel ramo di cui è già un discreto professionista. La proteggeremo e la pagheremo.»

 «Altrimenti mi distruggerete.»

 «Sono le regole del gioco, ma se lei le rispetta potrà continuare a pubblicare le sue ricerche e a vivere con Hilse, che dovrà accontentare permettendole di realizzare il sogno della maternità. Deve riuscire a tenerla buona. Per il bene di entrambi.»

 «E Kiki?»

 «Non è di nessuna utilità. Con tatto ma dovrà troncare.»

 Abel pensò che aveva sempre evitato che la sua vita venisse messa sotto controllo e invece ora c’era un mercenario che gli diceva come doveva campare.

 Frugò nella mente alla ricerca di soluzioni. Non ne trovò. Anche se avesse venduto l’intera organizzazione a un governo, lo avrebbero quantomeno rinchiuso o eliminato. Poteva però tentare con qualche struttura di intelligence avversaria, anche se il rischio, in quel caso, era di finire al servizio di un altro Abernathy.

 L’elegantone accese un tablet e gli mostrò una fotografia. Ritraeva una donna sui trentacinque-quarant’anni che attraversava un piccolo ponte a Venezia. «Osservi la borsa, è di suo gradimento?»

 Quel tipo era odioso. Il Turista non rispose ma non riuscì a staccare gli occhi dal modello di Anya Hindmarch in pelle martellata nera, impreziosita da uno smile traforato. Una volta, a Malmö, aveva seguito una tizia che ne possedeva una identica per più di un’ora e alla fine aveva dovuto rinunciare perché si era fermata a ritirare il suo grosso cane dalla toelettatura.

 «Chi è?»

 «La sua prossima vittima.»

 «Questo l’avevo capito.»

 «È la moglie di un uomo che dobbiamo eliminare ma che non riusciamo a trovare, e pensiamo che se venisse uccisa dal Turista, lui non sospetterebbe una trappola e striscerebbe fuori dal buco dove si è nascosto per venire a piangere la consorte.»

 «E poi?»

 «Dopo qualche giorno ritornerà a Copenhagen in attesa di essere ricontattato.»

 Norman il muto si alzò dalla sedia e uscì dall’appartamento. Abernathy fece vedere a Cartagena molte altre immagini della donna. Quello stronzo non riusciva a capire che lui non sceglieva le vittime in quel modo, ma dovette ammettere che il soggetto non era affatto male. Non particolarmente alta e formosa. Capelli neri a caschetto e volto regolare, quasi anonimo ma abbellito da grandi occhi azzurri.

 «Le piace, vero?»

 Abel sbuffò spazientito. «Che importa, se non ho scelta?»

 L’altro sorrise soddisfatto. «Ha ragione, però la devo avvertire che non sempre saremo in grado di offrirle obiettivi di questa qualità estetica.»

 Rumore di chiavi e di porta aperta e richiusa. Il gorilla era tornato ma non era solo. Con lui c’era una donna che trascinava un trolley. Era giovane e decisamente carina, con una chioma ribelle color rosso tiziano. Indossava un vestito corto e stivali texani.

 Mostrò un bel sorriso di denti bianchi e perfetti. «Ciao» disse rivolta al Turista. «Io sono Laurie.»

 Si avvicinò per stringergli la mano. «Sono onorata di fare la tua conoscenza, sei un mito.»

 “Ha già iniziato la gara a chi manipola l’altro più velocemente” pensò il serial killer scoccando un’occhiata ad Abernathy, che intervenne per smorzare l’entusiasmo dell’agente. «Metterai al corrente il signor Cartagena dei dettagli dell’operazione, che vorremmo fosse conclusa in pochi giorni.»

 «Certamente» rispose lei senza distogliere lo sguardo da Abel.

 Abernathy e Norman tolsero il disturbo. La nuova arrivata fece un giro dell’appartamento e disfece la valigia, infilando i vestiti nell’armadio in modo disordinato. Poi entrò nella doccia e Abel la vide girare nuda per casa. Aveva un corpo snello e muscoloso.

 Non sapeva cosa pensare della sua nuova inquilina. «C’è un solo letto» disse per sondare le reazioni.

 «Vedrai che non ci daremo fastidio» ribatté lei con la massima tranquillità.

 Abel notò che parlava inglese con un forte accento francese. «Tu sai tutto di me mentre io di te conosco solo un nome falso.»

 Lei alzò le spalle. «Cosa vuoi sapere? Non ti posso raccontare granché.»

 «Allora dimmi quello che puoi.»

 «Quello che potresti trovare facilmente su Internet: arrivo dal Québec e un tempo ero una poliziotta.»

 «Abernathy dice che sei una psicopatica criminale.»

 «È vero.»

 «Non ti dà fastidio?»

 «No. E perché dovrebbe? Sono fatta così, l’importante è esserne consapevole e adeguarsi. D’altronde possiamo essere utili, a volte fondamentali.»

 «Come sei finita in questo giro di spie?»

 «C’è stata una serie di decessi nel mio ambito professionale che hanno convinto i miei superiori a sbattermi fuori dal corpo» rispose con un sorriso ambiguo stampato sulle labbra. «Sono andata a lavorare in un carcere e al secondo cadavere volevano incriminarmi, ma per fortuna è arrivato uno di loro che mi ha proposto un’alternativa all’ergastolo.»

 «Sei una serial killer!» sbottò Cartagena sorpreso.

 «Sì, ma non famosa come te. E ora basta con le domande, dobbiamo iniziare a controllare l’obiettivo.»

 Intercettarono la vittima al mercato di Rialto. Si faceva chiamare Maria Rita Tenderini, ma il suo nome era Alba Gianrusso e fino a un paio d’anni prima insegnava matematica in un liceo di Brindisi. Il marito, Ivan Porro, era un ufficiale della Guardia di Finanza e si era infiltrato come corriere nella mafia montenegrina che esportava armi in Italia via mare. Grazie alle sue informazioni era stato possibile mettere in ginocchio il traffico e arrestare una trentina di affiliati tra la Puglia e Podgora. Durante la retata, in un conflitto a fuoco nel porto di Antivari, era morto Mladen, figlio di Blazo Kecojevic, capo indiscusso della mala locale.

 Poco dopo era scomparso un funzionario di medio livello dell’anticrimine, incaricato dei rapporti con le forze dell’ordine italiane. Il suo cadavere orrendamente torturato era stato ritrovato qualche giorno più tardi. Porro aveva dato per scontato che il collega avesse fatto il suo nome e si era volatilizzato. In realtà, non aveva abbandonato l’indagine: la sua conoscenza dell’organizzazione continuava a essere fondamentale ed era rimasto per addestrare altri candidati all’infiltrazione.

 Per precauzione, sua moglie era stata trasferita a Venezia, dove le era stata fornita una nuova identità e una casa tranquilla dalle parti di Fondamenta della Misericordia.

 Il padre del giovane mafioso aveva giurato vendetta e si era rivolto ai Liberi Professionisti che, per una cifra davvero notevole, avevano iniziato a cercare il traditore. Un finanziere corrotto li aveva messi sulle tracce della moglie. Per alcuni mesi l’avevano tenuta sotto controllo nella speranza di avvistare il coniuge. Ora avevano deciso di forzare la situazione. Il Turista con il suo esclusivo modus operandi forse lo avrebbe tratto in inganno. E, comunque, il cliente aveva pagato l’anticipo anche per la morte violenta della donna.

 Alba Gianrusso chiacchierò a lungo con una pescivendola prima di farsi convincere a comprare un’ombrina. Si fermò anche dal verduraio e in un panificio, poi si avviò verso casa. Lungo la strada si sedette a un tavolino di un bar all’aperto e sorseggiò un prosecco, godendosi il sole.

 «Sone le 11 del mattino» disse Laurie.

 «E allora?»

 «Se beve a quest’ora, vuol dire che soffre la solitudine. Le sue giornate devono essere difficili ma le notti un inferno: la metà del letto vuoto e la natura che reclama. Vedrai che ti ringrazierà mentre la strangolerai.»

 Il Turista si girò a guardarla. Lei sorrideva, gli occhi neri erano vuoti e gelidi.

 «Un bel bocconcino, non trovi?» chiese la partner.

 «Ti piace?»

 «Diciamo che ho gusti sessuali di larghe vedute.»

 «Non ti stavo chiedendo questo ma se ti piacerebbe occupartene tu.»

 «Oh, sì» rispose lei cambiando tono. «Ma a modo mio. Io sono meno frettolosa, i miei giocattolini me li godo in tutti i sensi, capisci?»

 Abel in quel momento la trovò decisamente affascinante. Provava però sentimenti contrastanti. Da un lato era incuriosito dalla prospettiva di condividere esperienze con una “collega”, dall’altro gli sarebbe piaciuto ucciderla. Abbassò lo sguardo sulla borsa: una copia piuttosto dozzinale del secchiello di Alexander Wang. Però dentro doveva contenere molti oggetti interessanti, forse anche qualche feticcio dei suoi delitti.

 Quando tornò a guardarla, si rese conto che Laurie lo stava osservando con un’espressione indecifrabile. Si sentì nudo, come se lei avesse un accesso diretto ai suoi pensieri.

 L’obiettivo pagò il conto e si avviò con passo indolente verso casa. Aprì il pesante portone in legno di una palazzina in Campiello dei Trevisani.

 «Abita al secondo piano» disse Laurie.

 «Allora devo riuscire a entrare prima di lei» commentò Cartagena. «Costringerla a salire due rampe di scale potrebbe rappresentare un problema.»

 «Scegli tu dove e quando, non c’è problema» ribatté lei passandogli due chiavi.

 «L’aspetterò in casa, al buio» sussurrò lui, pensando che aveva sempre sognato una tale possibilità e che in fondo quel delitto imposto iniziava a piacergli.

 «Ci sarò anch’io» chiarì la donna.

 Una smorfia di sorpresa e disappunto apparve sul volto del Turista.

 «Ordini» aggiunse seria.

 «E mi guarderai mentre la ucciderò?»

 «Non vedo l’ora.»