Nove
Fu Vace Jakova, una clandestina albanese che lavorava in nero per un’impresa di pulizie, e che una volta la settimana provvedeva a lavare le scale del palazzo, a trovare spalancata la porta dell’appartamento di quella signora tanto simpatica e a intravvederne il cadavere disteso sul pavimento dell’ingresso.
In realtà non era andata proprio in questo modo. Il Turista e la sua complice avevano lasciato la porta accostata per facilitare il ritrovamento della defunta Alba Gianrusso.
La clandestina aveva notato l’anomalia e dopo una buona mezz’ora aveva suonato il campanello e, non avendo ricevuto risposta, si era illusa che la proprietaria avesse dimenticato di chiudere. Un’occasione da non perdere per rubacchiare qualcosa, dato che era stanca di spezzarsi la schiena a cinquantacinque anni per pochi euro l’ora. Ma quando aveva rischiato di calpestare il corpo, aveva gridato così forte che i vicini temendo il peggio avevano allertato le forze dell’ordine.
Insieme alla squadra della Scientifica era arrivata anche Tiziana Basile, che aveva ripreso la scena con il cellulare per inviare il video a Pietro Sambo, dopo che le era stato riferito che mancava la borsa della donna.
Poi era arrivato un ufficiale del Gruppo di intervento sulla criminalità organizzata, il reparto d’élite della Guardia di Finanza. Aveva preso da parte il vicequestore e le aveva rivelato l’identità della vittima. Le aveva chiesto di poter seguire l’inchiesta da dietro le quinte, perché al momento non voleva rendere ancora pubblica la notizia e per far uscire allo scoperto il collega, il cui arrivo a Venezia peraltro era previsto nelle prossime ore.
Tiziana si era detta d’accordo e aveva promesso ogni aiuto possibile. Scese in strada e chiamò Sambo. «Una donna strangolata in calle dei Trevisan in zona Fondamenta della Misericordia» disse. «Manca la borsa.»
«Il Turista.»
«Già, la vittima è la moglie di un tenente del GICO, condannato a morte dalla mafia montenegrina.»
«Una vendetta.»
«Mi sembra l’ipotesi più probabile. Ma quello che non capisco è perché hanno usato il Turista, dispongono di uomini e mezzi a sufficienza, e comunque il messaggio non è chiaro. A parte noi, nessuno ha ancora capito che il colpevole è il serial killer.»
Sambo era diventato capo della Omicidi di Venezia non solo perché era un bravo investigatore di grande esperienza ma anche perché la natura gli aveva donato un’intuizione fuori dal comune. Riusciva spesso a cogliere il senso delle azioni che avevano prodotto un omicidio come ultima conseguenza.
«È una trappola» dedusse Pietro. «Vogliono portare allo scoperto il marito. Non sanno che noi siamo a conoscenza dei rapporti tra il serial killer e i Liberi Professionisti, e il suo modus operandi è un depistaggio per far credere che la donna sia vittima di un omicidio “comune”.»
Tiziana rifletté in silenzio. «Potresti avere ragione» disse dopo un po’. «Il problema è che non possiamo ancora permetterci di raccontare la verità ma dobbiamo mettere in guardia quell’uomo che, da quanto mi hanno detto, sta arrivando a Venezia.»
«Chi è l’ufficiale del GICO con cui hai parlato?»
«Perché?»
«Tu non puoi scoprirti. Andrò io a parlargli.»
«E quando ti chiederà le credenziali? E quando vorrà verificare la storiella che gli hai raccontato?»
«Mi inventerò qualcosa.»
«Rischi di finire nei guai e non so se potrò aiutarti nell’immediato.»
«Dimmi quel nome.»
«Colonnello Maurizio Morando.»
Pietro si recò al comando regionale della Guardia di Finanza in Campo San Polo e chiese del colonnello. Il sottufficiale responsabile della portineria lo riconobbe e non fece nulla per nascondere la sorpresa.
«Scommetto che sei venuto a vendere qualche ex collega» disse a voce alta per attirare l’attenzione dei presenti.
Sambo non era dell’umore giusto. «Si sbaglia, maresciallo, sono tutti “fiamme gialle”.»
L’uomo si zittì e gli altri tornarono a occuparsi delle loro faccende, perché la corruzione era una piaga anche nel loro corpo e le battute erano fuori luogo.
Qualche minuto più tardi l’ex commissario venne fatto entrare nell’ufficio del colonnello.
«Cosa vuoi?» chiese Morando sgarbato.
«Cambi tono e atteggiamento» intimò Pietro.
L’altro si alzò di scatto. «Un pezzo di merda come te non si può permettere di parlarmi così.»
Sambo, ostentando una tranquillità che non aveva, si sedette sulla poltroncina di fronte alla scrivania. «Devo metterla al corrente di alcuni particolari relativi all’omicidio della moglie del vostro ufficiale, per cui si metta comodo e mi ascolti.»
«E tu che ne sai? Cos’hai a che fare con questa faccenda?»
L’ex capo della Omicidi ignorò le domande. «Siamo certi che in città si trovi un gruppo di killer assoldati dalla mafia montenegrina. Hanno ucciso la donna e le hanno rubato la borsa per far credere che si sia trattato del delitto di un balordo» raccontò mescolando verità e menzogne. «Il vero obiettivo è far uscire allo scoperto il vostro tenente.»
Morando non era stupido e fece la domanda giusta. «Per chi lavori?»
«Non le posso rispondere.»
«E come posso fidarmi?»
«Conosco troppi dettagli per essermi inventato tutto.»
«Ma sei l’ex capo della Omicidi, potresti aver conservato l’amicizia giusta in grado di passarti informazioni di prima mano.»
Sambo sospirò. «Per quanto dobbiamo continuare questo stupido giochetto? Sono venuto qui per avvertirla di tenere lontano il suo uomo da Venezia.»
Morando sbirciò l’orologio. «In questo momento è in volo. Arriverà tra un paio d’ore.»
«Lo fermi appena sbarca e lo rimetta su un altro aereo.»
«Lo farò ma voglio tutte le informazioni sul gruppo di killer.»
«Presumiamo che si nascondano in uno o più alloggi della rete di affitti abusivi. L’unico modo per trovarli è il blitz che state preparando da tempo.»
Il colonnello allargò le braccia. «Non siamo ancora pronti e dobbiamo coordinarci con la polizia municipale.»
«Allora salverete il tenente ma non riusciremo a individuare l’assassino della moglie.»
Il colonnello evitò di ribattere. Tolse un foglio dalla stampante e glielo passò. «Scrivi il tuo numero di cellulare, indirizzo, mail… credo che ci rivedremo ancora nei prossimi giorni.»
Mentre Pietro forniva i suoi recapiti, Morando non rinunciò al classico e scontato avvertimento. «Se mi stai pigliando per il culo, te la faccio pagare.»
«Che caduta di stile, colonnello» commentò tranquillo Sambo mentre si avviava alla porta.
L’altro non perse tempo a telefonare al vicequestore Basile. «Ho appena ricevuto la visita di Pietro Sambo.»
«A quale proposito?» chiese Tiziana fingendo stupore.
«È al corrente di informazioni sul caso di Alba Gianrusso. E non solo su quello.»
«Come è possibile?»
«È proprio quello che volevo appurare con lei. Magari può contare su amicizie in questura che lo tengono al corrente di certi sviluppi.»
La donna replicò piccata. «Lo escludo nella maniera più categorica.»
«Allora lavora per i “cugini”.»
Il vicequestore era pronta a rispondere. «Avevo sentito questa voce ma, sinceramente, non ci avevo dato peso perché, come ben sappiamo, Sambo è stato espulso con disonore dalla polizia.»
«“Quelli” non badano a certi dettagli» mormorò il colonnello prima di riattaccare.
Morando si fece portare un caffè. Avrebbe voluto fumare una sigaretta ma aveva promesso alla moglie di smettere. Poi telefonò al comandante dei vigili urbani. «Dobbiamo accelerare i tempi dell’inchiesta sulle locazioni in nero.»
A Venezia non c’erano morti ammazzati da tempo e la Questura era stata presa d’assedio da giornalisti di ogni testata. Tiziana Basile si riunì con la responsabile dell’ufficio stampa, che le consigliò di evitare la stesura di comunicati ma di affrontare direttamente i media. Il clamore del delitto era tale che non si sarebbero accontentati di qualche laconica riga.
Il vicequestore era consapevole però che sarebbe stata costretta a mentire, assumendosi tutte le responsabilità del caso. Se i fatti l’avessero smentita, non sarebbe stata in grado di svelare i retroscena e la sua carriera ne avrebbe fatalmente risentito.
L’unica possibilità era tentare di non stuzzicare ancora di più la curiosità, presentando un caso in via di soluzione e privo di quei dettagli morbosi che tanto scatenavano l’immaginazione dell’opinione pubblica. Per ottenere il risultato avrebbe dovuto giocare sporco, ma come le aveva detto il dirigente dei servizi che l’aveva reclutata: «Gli interessi dello Stato sono superiori a quelli dei singoli. Se accetta di servire il Paese lavorando con noi, deve mettere da parte gli scrupoli».
Per questo motivo, un attimo prima di incontrare i giornalisti, chiamò il suo collaboratore più fidato, il brigadiere Curtò, dandogli un ordine che gli suscitò non poche perplessità.
«La vittima si chiamava Maria Rita Tenderini, casalinga. Viveva di una piccola rendita lasciata dai genitori. Una vita solitaria, priva di relazioni significative» iniziò a raccontare al microfono, leggendo i primi segni di delusione sui volti degli intervenuti. «Il delitto ha un movente certamente economico, perché abbiamo accertato il furto della borsa, del cellulare, del computer e di altri oggetti di valore. Posso annunciare che abbiamo già un sospetto e si tratta della cittadina albanese Vace Jakova, cinquantacinque anni, la donna delle pulizie. Riteniamo difficilmente credibile la sua versione e cioè che abbia trovato la porta dell’abitazione della signorina Tenderini aperta, rinvenendo così il suo cadavere. Crediamo piuttosto che sia entrata con una scusa, che abbia rubato qualche oggetto e che la vittima l’abbia scoperta. A quel punto forse è nata una colluttazione e la proprietaria dell’appartamento ha avuto la peggio. Vorrei sottolineare che la Jakova si trova in Italia senza permesso di soggiorno, ha una corporatura robusta ed è perfettamente in grado di sopraffare e strangolare una donna minuta. Inoltre altri inquilini hanno già subìto in passato furti analoghi, purtroppo non denunciati, per cui hanno sempre sospettato dell’albanese che, spesso, suonava il suo campanello accampando scuse poco credibili.
Infine vorrei aggiungere che, una decina di minuti fa, personale della Questura ha provveduto al fermo della cittadina albanese. Più tardi saremo in grado di distribuire le foto della povera vittima e della sua presunta assassina.»
Il vicequestore Basile si allontanò distribuendo sorrisi e strette di mano, fingendo di non udire le domande che le piovevano addosso come grandine.
Nessuna però era insidiosa. Trattandosi di un caso praticamente già risolto i cronisti dovevano imbottire la notizia di “colore”. Tiziana aveva servito loro su un piatto d’argento la straniera clandestina da spolpare, mentre il vero problema era la scarsità di informazioni sulla sfortunata Maria Rita Tenderini, ma dubitava che qualche direttore ordinasse a un collaboratore di indagare a fondo. Le due donne coinvolte non erano così interessanti.
Tiziana fu molto occupata e suonò al campanello di Pietro poco prima delle 23.
«Giornataccia?» chiese Sambo.
«Una di quelle che vorresti dimenticare in fretta» rispose lei, togliendosi le scarpe.
«Lo immagino. Non capita spesso di sbattere in galera una persona innocente per accontentare la stampa.»
«Non avevo altra scelta.»
«Stai scherzando, vero? Quella malcapitata rischia di passare i prossimi vent’anni in una cella del carcere della Giudecca.»
«Non accadrà.»
«Ti sei dimenticata come funziona? Una volta che finisci dentro l’ingranaggio, non è affatto detto che non ti stritoli. Non verrai a raccontarmi la favoletta che alla fine la giustizia trionfa sempre.»
Lei si stancò di tentare di farlo ragionare. «Voglio essere sincera: della signora Vace Jakova non me ne frega nulla e mi occuperò di lei quando ne avrò il tempo e la possibilità. Ti ricordo che le nostre priorità sono altre: dobbiamo fermare il Turista, che ha già colpito due volte, e attaccare la banda dei Liberi Professionisti senza poter contare sulle risorse delle forze dell’ordine.»
L’ex commissario le si avvicinò. «Ci è capitato di barare per mettere al sicuro per un po’ di anni criminali di cui avevamo la certezza che fossero colpevoli, ma che non riuscivamo a incastrare rispettando le regole. Ma questo caso è diverso. Quell’albanese non si è macchiata di nessun reato.»
«Ti stai ripetendo, Pietro, e io al momento ho solo fame.»
Lui puntò l’indice verso la cucina. «In frigo c’è un piatto di bigoli in salsa.»
Tiziana gli rivolse un sorriso conciliante. «Hai cucinato anche per me. Allora mi aspettavi per cena come un fidanzato innamorato.»
«Non avevo ancora visto i servizi sulla conferenza stampa.»
«Smettila, Pietro. Piuttosto pensa al risultato che hai ottenuto con il colonnello Morando. Ora ti guarda in modo diverso, può nascere una collaborazione che ti aiuterà a convincere il nostro ambiente a offrirti una seconda possibilità.»
«Il prezzo è troppo alto.»
«Non recitare la parte dell’anima candida proprio con me» sibilò inferocita. «E poi lo sapevi a che cosa andavi incontro quando hai accettato di unirti a noi.»
«Hai ragione» ammise Sambo. «La verità è che vederti alla televisione mentre piantavi i chiodi sulla bara di quella donna, con la stessa spietatezza con cui mi hai fatto a pezzi, mi ha gelato il sangue.»
«Sono solo brava. Anche quando mento.»
«E a me cosa stai nascondendo?»
«Io ti amo» sussurrò. «Sei l’unica persona con cui voglio condividere ogni cosa, ogni pensiero.»
«Non stanotte» ribatté lui afferrando la giacca.
«Dove vai?»
«Ho bisogno di aria.»
«Io invece ho bisogno di te. Qui e adesso.»
Tiziana si pentì del tono imperioso ma era troppo tardi per convincerlo a rimanere. Pietro se ne andò nel peggiore dei modi, sbattendo la porta.
Lei riscaldò la pasta e stappò una bottiglia di rosso. Attese per un paio d’ore davanti alla televisione e poi decise di tornare a casa e di dormire nel suo letto.
Pietro si svegliò poco dopo l’alba nella base di Sacca Fisola. Era ancora di cattivo umore e si sentiva a disagio per non aver avuto la forza di rimanere e affrontare la situazione.
Anche perché un pensiero lo tormentava da quando erano stati insieme: una donna in carriera come Tiziana cosa se ne faceva di un fallito come lui? Se mai fossero diventati una coppia, si sarebbe fatta vedere con lui alle cene, alle feste con i colleghi e i notabili della città?
Ne dubitava. Ma era necessario chiarire questo aspetto per capire cosa pensasse davvero del loro rapporto e poi usarlo come argomento per chiudere. Pietro non voleva condividere la vita con una donna così cinica. Isabella era diversa. Lui l’aveva tradita e ferita, aveva fatto di tutto per allontanarla e ora non c’era giorno che non rimpiangesse il suo amore.
Squillò il cellulare e lui pensò che fosse Tiziana che voleva riprendere il discorso interrotto bruscamente la sera prima. Si sbagliava. Era il colonnello Morando.
«Alle 8 in punto, pattuglie miste di finanzieri e polizia urbana controlleranno novantasei appartamenti» annunciò in tono sbrigativo. «Tutte le persone trovate all’interno verranno identificate e fotografate. Non abbiamo personale sufficiente per un’azione in vasta scala, perciò riusciremo a raccogliere i dati solo verso sera.»
«Abbiamo bisogno di consultarli e analizzarli urgentemente.»
«Ti farò inviare i file appena saranno pronti.»
«D’accordo.»
«Un’altra cosa, Sambo: voglio che sia chiaro che non stiamo andando a caccia di un gruppo di criminali. I finanzieri e i vigili impegnati in questa operazione stanno verificando eventuali evasioni fiscali.»
«A noi ora interessa individuare i loro covi e poco importa se li troveremo vuoti» ribatté l’ex commissario. «Ci forniranno comunque informazioni utili.»
«Abbiamo messo al sicuro il tenente» aggiunse Morando. «Dopo l’autopsia, il corpo della signora verrà conservato all’obitorio fino a quando la situazione non permetterà di rivelarne l’identità e celebrare il funerale.»
«Una situazione dolorosa e complicata anche per il coinvolgimento di un’altra donna innocente.»
«Ti riferisci all’albanese?»
«Sì.»
«Quella è una cazzata che ha combinato il vicequestore Basile, noi non c’entriamo nulla. Che si arrangi.»
Insomma, di Vace Jakova non fregava niente a nessuno.
Anche se era distante, Sambo decise di andare a fare colazione dalla vedova Gianesin. Durante il tragitto non notò nulla di particolare. Mancava meno di un’ora all’inizio del blitz ma non vi erano segnali dell’intensificarsi del traffico di imbarcazioni delle forze dell’ordine. Sarebbero uscite all’ultimo minuto dalle caserme.
Pietro chiamò Nello Caprioglio. Sapeva che a quell’ora era già sbarbato e vestito di tutto punto. «Stasera ho bisogno di te e non so per quanto.»
«Che succede?»
«Lo scoprirai tra pochissimo.»