Dieci
Abel Cartagena non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie mentre seguiva alla televisione l’ennesimo notiziario. «Ma questi sbirri italiani sono proprio degli incompetenti» sbottò inferocito per la centesima volta. «Come cazzo fanno a non capire che è opera del Turista?»
Laurie era al limite dell’esasperazione, tuttavia comprendeva la frustrazione del partner. «Forse l’illuminazione arriverà nei prossimi giorni, oppure puoi chiedere ad Abernathy di organizzare una soffiata ai media.»
«È troppo pericoloso.»
«Non per noi.»
L’uomo ebbe uno scatto di rabbia e fracassò un bicchiere contro la parete. «Calmati e pulisci» ordinò la canadese.
Lui la mandò al diavolo ma lei insistette. «Devi controllare la rabbia, lo sai che può sviluppare comportamenti impulsivi.»
Abel adottò una tecnica yoga per tranquillizzarsi attraverso il respiro mentre Laurie si preparava per uscire. Indossò pantaloni neri, una camicetta verde e scarpe da ginnastica. Avvitò il silenziatore alla pistola e la sistemò in una tasca interna dello zaino.
«Dove vai?» chiese Abel. «È ancora presto.»
«A dare il benservito al maritino della tizia che hai ammazzato ieri. Abernathy preferisce saperci dislocati nei punti strategici mentre attendiamo notizie dall’interno.»
«Un venduto?»
«Non è stato difficile trovarlo. Quella faccenda dei trenta denari funziona sempre.»
«Posso venire anch’io?»
«Non sei addestrato.»
«Potrei essere comunque d’aiuto.»
«Non insistere e non uscire» tagliò corto aprendo la porta.
Lui trovò insopportabile il silenzio che avvolgeva la casa. Nel giro di qualche minuto scoprì di non essere in grado di obbedire all’ordine di rimanere chiuso in quel cazzo di appartamento. E senza riflettere si ritrovò abbigliato da Turista. Se ne rese conto quando infilò nelle tasche dei pantaloni i guanti da chirurgo che usava per strangolare le prescelte.
Si disse che quella città meritava una lezione. Avrebbe continuato a mietere vittime fino a quando quei fessi di inquirenti non avrebbero riconosciuto la sua firma.
Era certo che i suoi nuovi amici non avrebbero gradito l’iniziativa non concordata ma quello era uno dei momenti in cui lo stress emotivo lo aveva fatto deragliare. Ne aveva accumulato troppo da quando la marocchina si era introdotta di notte nel suo appartamento, e ora doveva sfogarsi a modo suo. Erano anni che non ripiombava in una crisi così profonda. E pericolosa. I pensieri razionali erano poco più che lampi nella sua mente. Quello che gli serviva era una vittima e l’avrebbe trovata. Non aveva la minima idea di come si chiamasse e quanti anni avesse ma voleva la sua vita. E la sua borsa.
Con il cappello da baseball con il logo dei Boston Braves e gli occhiali da sole, Abel si riteneva sufficientemente camuffato per la caccia in pieno giorno. Non aveva tutti i torti, dato che si confondeva perfettamente tra la massa di turisti che anche quella mattina aveva invaso Venezia.
L’istinto lo portò verso il mercato di via Garibaldi a Castello. Il suo obiettivo era trovare una donna tra i banchi e seguirla fino a casa, sperando che il marito fosse al lavoro e i figli a scuola.
In Fondamenta Sant’Anna incontrò un gruppo di poliziotti di due corpi differenti e un altro, una decina di minuti più tardi, in Riva Sette Martiri. Cartagena non si spaventò, si fece solo più guardingo e divenne meno selettivo nella scelta della possibile vittima.
Fino a quel momento aveva seguito una donna sui trent’anni, alta e magra, con una borsa Bobbi di Guess, ma dopo aver comprato di fretta frutta e verdure, la possibile prescelta era tornata nello studio di architettura dove lavorava.
E poi un’altra di una quindicina d’anni più vecchia, che portava al braccio senza la minima grazia la shopping bag di Even&Odd. L’avrebbe uccisa molto volentieri ma la stronza aveva appuntamento al bar con due amiche.
Abel tornò sui suoi passi. Il mercato continuava a essere il punto con la maggior concentrazione di candidate.
Prese dallo zaino la macchina fotografica e iniziò a frugare tra la folla con il teleobiettivo. A un tratto la vide. E ringraziò il caso, il sovrano dell’universo. In quel momento si sarebbe accontentato di molto meno e lei era al di sopra di ogni aspettativa. Capelli lunghi biondi, volto pallido dai lineamenti delicatissimi, collo magro, lungo e liscio. Mani affusolate da pianista. Corpo da modella. Dalla spalla destra pendeva una seducente creazione di Gucci in pelle rossa. Il Turista pensò alle tasche della fodera interna in cotone e lino, all’affascinante mistero del loro contenuto.
Mai il destino gli aveva concesso di incrociare una tale perfezione. Iniziò a pedinarla con estrema cautela.
La donna lo portò a spasso per tutto il sestiere. Si fermò a bere un cappuccino, poi in un negozio di scarpe da cui uscì con un paio di décolleté nuove ai piedi e infine in una tabaccheria. Sull’uscio scartò con gesti naturalmente eleganti un pacchetto di sigarette e ne fumò una mentre sculettava sui tacchi da dieci centimetri.
La prescelta si fermò davanti a un palazzo a pochi passi dalla basilica di San Pietro di Castello. Abel regolò lo zoom sui campanelli e ne contò sei. Non era la situazione ideale ma faceva ben sperare il fatto che lei non avesse suonato e avesse preso un mazzo di chiavi dalla borsa.
Il Turista perse il controllo nel momento in cui lei spinse il battente. In pochi passi l’avrebbe raggiunta, per poi costringerla a salire in casa. Era certo che avrebbe obbedito, perché la immaginava fragile e indifesa.
La donna era già scomparsa all’interno. Entro una manciata di secondi il portone si sarebbe richiuso. Il serial killer si mosse veloce ma qualcuno gli artigliò il braccio.
Era Norman. E dietro di lui apparvero Abernathy e un altro paio di brutti ceffi.
Il gorilla finse di stringergli la mano ma con il pollice gli schiacciò un nervo. Il dolore era insopportabile e Cartagena si immobilizzò.
«Non deve disobbedire ai nostri ordini» lo rimproverò l’elegantone. «L’omicidio che stava per commettere aveva uno standard di sicurezza non accettabile.»
“Cazzate” pensò Abel. «Come mi avete trovato?»
«Laurie ha posizionato un segnalatore nello zainetto» spiegò con un sorriso che non riusciva a mascherare la collera.
Circondato dai gorilla, Cartagena fu costretto a percorrere a passo sostenuto una serie di calli che conducevano a un canale dove li attendeva un motoscafo con il motore acceso.
Fu spinto sottocoperta con una certa rudezza. «Lei è un uomo fortunato. La sua abitazione è stata visitata meno di un’ora fa da alcuni agenti che la volevano identificare» lo informò Abernathy. «Erano guidati dalla sua padrona di casa che stamattina si è svegliata con la pessima notizia che non potrà più affittare i suoi appartamenti evadendo il fisco.»
«Sono in pericolo?» chiese Abel frastornato dalla notizia.
«Riteniamo di no» rispose l’altro. «La proprietaria è stata sottoposta a un controllo ancora in corso in tutta la città, su diverse decine di immobili. L’importante è che più tardi lei vada a parlare con la signora insieme a Laurie, che presenterà come la sua nuova fidanzata. Le fornirete le fotocopie dei passaporti che lei poi provvederà a consegnare alla polizia. Burocrazia priva di conseguenze.»
Il Turista annuì cercando di essere convincente, ma non era affatto lucido. Non riusciva a liberare la mente dall’immagine della prescelta. In realtà non voleva. Era dominato dall’impulso di uccidere.
Abernathy gli parlò ancora ma lui non lo ascoltò. L’uomo fece un cenno a Norman, che schiaffeggiò Cartagena con violenza.
«Lei ha perso il controllo» constatò l’elegantone deluso. «Pensavo, con il suo passato, che fosse in grado di gestire meglio i suoi “brutti” momenti.»
Abel si massaggiò la guancia. «Stavo bene prima di incontrare voi.»
«Le ricordo che è stato lei a mettersi sulla nostra strada il giorno che ha commesso l’errore di pedinare una nostra agente.»
Norman gli porse una bottiglietta d’acqua e due pillole bianche e rosse.
«Non le voglio» si oppose Cartagena.
«Collabori, altrimenti sarà costretto a subire l’umiliazione di essere forzato a ingoiarle. Sono farmaci che dovrebbero diminuire il suo desiderio di strangolare il prossimo.»
Cartagena, dopo un lungo scambio di occhiate con gli energumeni che gli stavano attorno, capì di non avere alternative e obbedì.
«Dovrà assumerle tre volte al giorno e ci assicureremo che segua alla lettera la terapia.»
«Non avete di meglio da fare?» bofonchiò Abel. «Non dovevate prendere a pistolettate il marito della tizia che ho ucciso per voi?»
«Non si è fatto vedere» ripose Abernathy. «Abbiamo saputo che hanno fiutato la trappola ma non riusciamo a capire come. Del delitto è stata accusata quell’albanese…»
«Noi dobbiamo parlare proprio di questo» lo interruppe il Turista con foga. «Nessuno mi attribuisce ancora la paternità del delitto e questo non va affatto bene.»
«Laurie mi ha informato del suo disappunto e siamo ben disponibili a darle una mano con i media ma dovrà attendere un po’. Abbiamo trovato una traccia interessante nel cellulare della sua vittima e non vogliamo smuovere le acque fino a quando non troveremo ed elimineremo quell’uomo.»
Abel si alzò di scatto ma Norman con un altro potente ceffone lo rimise a sedere.
«Così si farà male» ironizzò Abernathy.
«Lei non si rende conto che non posso accettarlo. È il secondo delitto che non mi viene riconosciuto.»
L’elegantone indicò se stesso e i suoi uomini. «Ognuno di noi ha ucciso più di tre persone e potremmo essere considerati serial killer. La differenza è che noi cerchiamo di evitare ogni pubblicità perché non vogliamo diventare celebri assassini. L’omicidio per noi è un mezzo e non un fantastico piacere. In questo momento deve fare lo sforzo di stare alle nostre regole. Poi le prometto che diventerà il peggior incubo di Venezia.»
«Mi permetterete di stringere le mie mani attorno al collo di quella donna?»
«Gliela serviremo su un piatto d’argento. Le ripeto che sappiamo di cosa ha bisogno, solo che decidiamo noi chi, dove e quando.»
L’imbarcazione attraccò vicino alla chiesa di San Simeon Piccolo, non distante dall’abitazione della signora Cowley Biondani. Quando Abel venne fatto sbarcare, apparve Laurie che lo prese in consegna.
«Ho l’ordine di spararti se combini cazzate» avvertì la canadese.
«Cercherò di evitarlo.»
Lei lo costrinse a fermarsi e a guardarla. «Dovevi parlarmene, io non ti conosco ancora bene ma ti avrei aiutato. Abernathy è un buon diavolo ma ha la mania del controllo e la prossima volta ti eliminerà.»
«Sono stato travolto all’improvviso» raccontò Abel. «Mi sono ritrovato in strada in cerca di una preda e un flacone di pastiglie non basterà a fermarmi.»
«Lo so.»
«Tu come fai?»
Laurie gli diede un buffetto. «Ehi, siamo già arrivati alle confidenze tra psicopatici assassini?»
«Sono certo che non hai mai smesso.»
«E non ci penso proprio» ammise lei in tono discorsivo. «Ma io non finisco sui giornali, non cerco la celebrità. Io pesco nella massa che vive ai margini. Migranti clandestini, adolescenti in fuga, tossici. Nessuno spreca tempo a cercarli, a chiedersi che fine hanno fatto. Anche se trovano i corpi, finiscono dimenticati all’obitorio.»
«Maschi?»
«Non solo.»
«Dimmi di più.»
La canadese agitò l’indice. «Non siamo ancora così intimi.»
«Ma tu mi hai visto, sai ogni cosa di me.»
«So anche che sei in grado di mandare tutto a puttane» replicò gelida. «E adesso portami a fare la conoscenza della padrona di casa.»
Carol Cowley Biondani era furiosa, e quando le capitava diventava intrattabile. Aveva considerato l’invasione di quella pattuglia di agenti scortesi come un vero e proprio atto di guerra. Si era sentita offesa, umiliata e soprattutto derubata quando aveva scoperto l’entità della multa che le era stata comminata.
L’avevano anche costretta a condurli negli appartamenti che dava in locazione. E quei barbari in divisa avevano avuto l’ardire di maltrattare i suoi ospiti, identificandoli con modi bruschi e contrari alle più elementari norme di educazione.
Da oltre un quarto d’ora la donna stava spiegando nei minimi particolari quanto era accaduto al mattino ad Abel e a Laurie, che fingevano di ascoltare con interesse.
«Comunque» disse a un tratto alzando il tono della voce, «quando sono entrata in camera mi sono accorta subito, dalle taglie degli abiti, che non era Kiki a dormire nel suo letto, caro signor Cartagena, e lei sa quanto le sono affezionata.»
«Non ho intenzione di rubarlo a nessuno» intervenne pacata la canadese. «Stiamo insieme solo per un paio di settimane, poi io tornerò da mio marito e lui dalla sua bella ragazzona.»
«Ci siamo presi un periodo di riflessione» aggiunse lui. «Kiki, poi, sta passando un brutto momento per via di una dieta particolarmente severa.»
La signora rimase senza parole. Abel ne approfittò per consegnarle le fotocopie dei passaporti e per firmare i moduli di locazione.
«Partirò tra una settimana esatta» annunciò Cartagena, tirando fuori il portafoglio.
Le banconote fruscianti migliorarono sensibilmente l’umore della donna, anche se dovette suo malgrado annunciare un improvviso aumento a causa dell’esosità dello Stato italiano.
Appena la coppia tolse il disturbo, Carol Cowley Biondani stracciò le carte e le gettò nella pattumiera. Non aveva la minima intenzione di avere ancora a che fare con quei poliziotti. L’avvocato le aveva garantito che c’erano buone possibilità di presentare ricorso, l’importante era dare l’impressione che fino ad allora si era trattato di locazioni saltuarie. Insomma, come diceva sempre la buonanima del marito: «Meno carte girano per gli uffici, meno tasse si pagano».
Aveva già fornito i dati della sfortunata Kiki Bakker, tradita dal suo fidanzato in modo così sfacciato.
«Le avrei tagliato la gola solo per farla stare zitta» disse Laurie una volta tornati a casa. «Quella megera è insopportabile.»
Il Turista invece stava svuotando lo zaino alla ricerca del segnalatore. «Dove lo hai nascosto?»
«Nello spallaccio destro. Ma lascialo dov’è. Tutti ne siamo provvisti, serve per la nostra sicurezza.»
«Lo tieni anche quando vai a “pesca”?»
Lei piegò la testa di lato mostrando una smorfia sbarazzina. Un’espressione deliziosa, se non fosse stata guastata dagli occhi privi di espressione. «No. Rimane sotto il cuscino a fare la nanna.»
«Sei una ragazza cattiva che agisce di notte.»
«Mi piace il buio» disse avvicinandosi. Lo abbracciò e gli leccò il collo. «Mi sembra il momento meno adatto per fare sesso» reagì Abel. «Sono piuttosto carico.»
Laurie incollò la bocca al suo orecchio e sussurrò un paio di desideri che lui trovò irresistibili.
«Non so se riuscirò a fermarmi.»
«Ci penso io» fece lei, prendendolo per mano e guidandolo verso il bagno.