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Stephan Bisgaard, ufficiale del Politiets Efterretningstjeneste, il servizio d’intelligence della polizia danese, era stato incaricato dai Liberi Professionisti, che gli allungavano una discreta somma ogni mese, di tenere d’occhio le due donne legate ad Abel Cartagena.
Occupato in un’operazione di pedinamento di un pakistano, sospettato di riciclare denaro per conto di gruppi islamici radicali, aveva fornito la notizia della partenza per Venezia di Kiki Bakker con un ritardo di alcune ore.
In quel momento, mentre ascoltava le lamentele dell’ex agente del Säpo svedese che lo aveva reclutato, stava inviando le immagini delle telecamere che avevano ripreso l’amante di Cartagena all’aeroporto di Copenhagen.
Macheda alias Abernathy, appena ricevuta l’informazione, aveva chiamato Laurie, certo che Kiki Bakker si fosse già messa in contatto con Abel.
«No» aveva risposto la canadese sbirciando l’erezione del killer, disteso al suo fianco. La telefonata aveva interrotto un momento particolarmente intenso. «Non si è fatta viva e non ha nemmeno chiamato.»
«Ne sei certa?»
La donna si alzò e controllò il display del cellulare di Cartagena. «Sì.»
«Forse abbiamo un problema» disse Abernathy, lanciando un segnale di preallarme. «Avvertimi se hai sue notizie.»
La canadese si mise a cavalcioni di Abel e muovendosi con lentezza lo aiutò a penetrarla. «Non abbiamo molto tempo» annunciò.
«Che succede?»
«La tua ragazzona è in città, magari potremmo proporle una cosetta a tre.»
Una ventina di minuti più tardi, Macheda contattò il vicebrigadiere Ermanno Santon, la gola profonda che avevano recentemente corrotto al comando regionale della Guardia di Finanza. «Mi servono informazioni su una passeggera del volo Norwegian arrivato oggi pomeriggio da Copenhagen.»
«Cosa vuole sapere?»
Macheda alzò gli occhi al cielo. «Quello che non so, quello che è utile che io venga a sapere» rispose tagliente.
«Al momento sono di servizio al comando ma cercherò di sganciarmi.»
«Lo gradirei molto» concluse l’ex agente. «Troverà una busta con i dati all’interno della sua auto.»
Il finanziere rabbrividì. Quella gente era in grado di arrivare ovunque e faceva di tutto per sottolinearlo. Argomenti più che convincenti per non perdere tempo. Bussò alla porta del capitano Altobelli e si inventò al volo una storiella su un tizio che lavorava nella cooperativa che gestiva i bagagli, e che forse poteva riferire notizie utili su un traffico di eroina dalla Nigeria.
Il superiore gli fece un vago cenno di assenso, non perché convinto dalle parole del vicebrigadiere ma piuttosto per toglierselo di torno. Santon non gli era mai piaciuto e un ammanco di quasi 2.000 euro da un sequestro di banconote in un magazzino cinese lo aveva candidato al trasferimento. Altobelli aveva mosso le sue amicizie al ministero perché fosse destinato a Lampedusa, dove di contanti ne giravano davvero pochi.
Nell’abitacolo dell’utilitaria ristagnava un forte odore di dopobarba, unica traccia dell’uomo che con grande abilità aveva disinserito l’allarme. Santon trovò la busta sotto il sedile. Conteneva una fotografia di una donna grassa che passeggiava per strada e un foglietto con i dati anagrafici.
Giunto in aeroporto chiese inutilmente notizie ai colleghi e a quelli delle altre forze dell’ordine. Non erano stati eseguiti fermi. Una giornata particolarmente tranquilla. Il vicebrigadiere controllò l’ora di arrivo al terminale e si rassegnò a visionare i filmati delle telecamere dell’area arrivi. A un certo punto riconobbe Kiki Bakker che trainava un piccolo trolley ma non la tizia che le era andata incontro. Cercò la stessa scena ripresa da un’altra angolazione e solo allora si accorse con stupore che si trattava di quel pezzo di gnocca del vicequestore Basile della polizia di Stato.
Verificò la rete del controllo esterno e, quando vide le due donne dirigersi al molo dei taxi, comprese di essere in grado di fornire una notizia di indubbio valore, perché la funzionaria si era comportata in modo anomalo e contrario a tutte le procedure.
Santon sostituì la sim card del cellulare con quella che lo metteva direttamente in contatto con l’uomo che lui conosceva come Signor Mario, ma che all’anagrafe risultava chiamarsi Andrea Macheda.
Fu prolisso nella descrizione degli eventi perché perse tempo a mettere in evidenza la difficoltà dell’indagine e la sua bravura nel risolvere i singoli problemi. Macheda ascoltò con pazienza, poi gli chiese di ripetere il racconto in modo più sintetico.
Appena chiusa la comunicazione, il Professionista estrasse e distrusse la scheda dell’utenza telefonica. Non si sarebbero più serviti di quella mezza calzetta del vicebrigadiere Santon. Anche se era riuscito a scoprire una verità importante non poteva godere di nessuna fiducia. Tradiva solo perché era un uomo mediocre, mentre l’inganno è un’arte che presuppone intelligenza, fantasia, abnegazione.
Il tempo di gettare i minuscoli pezzetti nel cestino e Macheda era già concentrato su Kiki Bakker e Tiziana Basile.
Non si trattava più di risolvere un problema ma di affrontare una vera e propria crisi.
A tarda notte si collegò via FaceTime con la donna che da sempre era l’anima e la mente dei Liberi Professionisti: Martha Duque Estrada. Aveva diretto le operazioni in Europa dell’Agência Brasileira de Inteligência per diversi anni. Ai quei tempi era benvoluta e godeva del rispetto delle agenzie inglesi e americane. Ma poi si era rifiutata di partecipare a un complotto ordito contro il proprio governo dai soliti potentati che continuavano ad arricchirsi, sfruttando le enormi risorse del Paese e privandolo del progresso a cui aveva diritto. Per punirla, i suoi nemici si erano rivolti a quei servizi di intelligence con cui aveva sempre collaborato. Una trappola in cui lei era caduta senza sospettare nulla, e che era costata la vita a sei dei suoi agenti migliori. Dopo le dimissioni, aveva trovato conforto nella bottiglia e nel sesso. Un finto gigolò aveva progettato di tagliarle la gola ma lei si era insospettita per le sue pessime doti amatorie e si era fatta guardinga. Quando il giovane aveva infilato la mano sotto il materasso dove aveva nascosto il coltello, lei lo aveva colpito alla testa con una bottiglia di Armagnac. Prima di ucciderlo lo aveva interrogato, scoprendo che il mandante era l’uomo che l’aveva sostituita al comando dell’Agência.
Quella notte Martha Duque Estrada era scomparsa e dopo qualche mese i Liberi Professionisti avevano iniziato a esistere. E a colpire.
Andrea Macheda era stato tra i primi ad aderire al suo progetto. Come la donna, era stanco di quell’ambiente retto da menti contorte e perverse che continuavano a tramare per impedire che il mondo diventasse migliore, mietendo vittime innocenti.
Erano convinti che sostenere il crimine da un punto di vista “tecnico” potesse mettere in crisi il sistema dell’intelligence, che aveva sempre sfruttato le organizzazioni mafiose e gangsteristiche come alleati momentanei o mere esecutrici.
In realtà erano entrambi consapevoli di essere dei sopravvissuti affetti da una forma virale di romanticismo che poteva svilupparsi solo nella coltura deviata dell’intrigo, del sospetto, del tradimento.
Lui trovava meravigliosi i suoi tratti meticci, in cui antenati europei avevano incrociato la bellezza afrobrasiliana. Aveva provato a corteggiarla e Martha, con tatto, gli aveva fatto capire che le piacevano giovani e con quel pizzico di aggressività che hanno certi maschi che pensano di avere un eterno conto da regolare con le donne.
«Ti trovo bene» disse lei. «Con la barba e i capelli bianchi sembri un matematico o un letterato.»
«Purtroppo credo che sarò costretto a cambiare look con una certa urgenza.»
«La nostra impresa veneziana non procede come dovrebbe?»
Macheda elencò velocemente i fatti incontrovertibili: l’amante di Abel Cartagena era in mano ai loro nemici ed era scontato che avesse raccontato quello che sapeva. Non molto ma sufficiente a incastrare il Turista, che non poteva più essere considerato una risorsa.
L’appartamento in cui abitava con Laurie non era più sicuro.
Avevano identificato una donna, con il grado di vicequestore, tale Tiziana Basile, come appartenente alla struttura segreta che li combatteva da tempo.
«E l’ufficiale che dovevamo eliminare per conto della mafia montenegrina ci è sfuggito» concluse Martha delusa. «Il tuo piano di attirarlo a Venezia uccidendo la moglie si è rivelato profondamente ingenuo.»
«Non sono d’accordo. Comunque ho trovato una pista che conduce a un suo collega con cui tiene contatti in modo abbastanza stabile.»
«Trasmetti il dossier a Berlino. Se ne occuperanno loro, tu devi gestire la crisi. Come pensi di agire?»
«Stiamo reagendo in ritardo a causa di una pessima trasmissione di informazioni.»
«E quindi?»
«Ora è necessario eliminare il Turista per troncare un collegamento pericoloso, evacuare Laurie, cancellando ogni traccia del suo passaggio in quella casa, e lasciare la città.»
«Non ce ne andremo da Venezia, è una piazza strategica per i nostri affari.»
«Possiamo tornarci con più calma. Al momento non abbiamo obiettivi immediati.»
«Ti sbagli» ribatté la brasiliana. «Possiamo catturare e interrogare quella poliziotta. Non dobbiamo farci sfuggire l’opportunità di raccogliere dati cruciali per la nostra sopravvivenza.»
«Non sarà facile» commentò l’uomo. «Ma possiamo contare sul fatto che ignora di essere stata individuata.»
«E proprio per questo userai il Turista e Laurie come esche. Se non sono ancora stati arrestati o uccisi, significa che vogliono arrivare a noi pedinandoli.»
«Dovremo comunque liberarci di lui.»
«Meglio di entrambi. Anche la canadese è sacrificabile.»
«Sarebbe un peccato. Lei è molto disciplinata e capace.»
«L’esperienza insegna che quando uno psicopatico diventa troppo affidabile, significa che ha trovato il modo di fregarti. Da quanto tempo non si dedica ai suoi passatempi da serial killer?»
«Almeno un anno.»
«Non è credibile, si è fatta furba» lo rimproverò aspramente. «Ti sei lasciato abbindolare e non l’hai controllata.»
«Non posso occuparmi di tutto, comunque non c’è problema: me ne libererò.»
La donna cambiò tono e discorso. Macheda era un uomo intelligente, non serviva insistere con le critiche. «Hai uomini a sufficienza? O ti serve sostegno?»
«Posso contare sulla mia squadra al completo.»
«Allora spremi come un limone succoso quella tizia e fai ritrovare il suo cadavere squartato in piazza San Marco.»
«Un segnale forte e chiaro?»
«Quei maledetti burocrati devono capire che siamo stanchi di subire perdite.»
Martha interruppe il collegamento senza salutare. Lo considerava uno spreco di tempo. Macheda non si offese, era abituato ai modi bruschi e poco educati delle persone che esercitavano il potere. Quello vero, in grado di decidere la vita e la morte degli altri.
Ma era anche consapevole che la donna aveva tagliato corto perché non era contenta del suo lavoro a Venezia. In realtà lui aveva fatto di tutto perché i Liberi Professionisti abbandonassero la città dopo che il tenente del GICO, Ivan Porro, non era caduto nella loro trappola. E la ragione era il lussuoso attico in cui risiedeva in calle dello Zuccaro. Mentre Martha voleva radicare l’organizzazione logistica, lui, al contrario, voleva tenere lontana l’organizzazione dalla laguna. Quell’appartamento era stato acquistato dai servizi italiani una ventina d’anni prima. Lotte interne mascherate da riforme avevano smembrato più volte l’intelligence tricolore e qualcuno ne aveva sempre approfittato per portarsi via qualche ricordo come liquidazione. Lui era riuscito a nascondere a tutti, anche alla sua organizzazione, l’esistenza di quell’immobile che faceva parte di una piccola rete di rifugi a gestione privata, in cui contava di nascondersi quando le cose si sarebbero messe male. Perché non aveva dubbi che sarebbe accaduto, come del resto era certo che anche Martha Duque Estrada e gli altri ex agenti con maggiore esperienza si fossero attrezzati di conseguenza.
Per questo motivo non era affatto contento di quel prolungarsi dell’operazione veneziana.
Ora però non poteva permettersi errori o sottovalutazioni. I Liberi Professionisti erano un’impresa multinazionale e come tale doveva calcolare perdite e profitti. La differenza stava nei metodi di licenziamento.
Dormì qualche ora prima di chiamare la canadese. «Ti offro un caffè» disse semplicemente. Il significato era più complesso: tra trenta minuti al bar dell’hotel Negresco. Da sola. Altrimenti avrebbe usato il plurale.
«Chi era?» chiese Abel.
«Abernathy» rispose Laurie. «Lo devo incontrare.»
Da quando aveva saputo che la sua balenottera era arrivata a Venezia era diventato curioso. Non riusciva a capire che fine avesse fatto. La donna aveva tentato di fornirgli una serie di ipotesi sensate: era scesa in un hotel, le avevano smarrito i bagagli, non trovava il coraggio di affrontarlo…
Cartagena aveva chiamato la padrona di casa ma Carol Cowley Biondani non aveva notizie di “quella povera ragazza” e si guardò bene dal raccontare di averla chiamata, mettendola al corrente del tradimento.
“Che se la vedano tra loro” aveva pensato la megera riattaccando la cornetta.
Il Turista osservò la canadese mentre si vestiva e si truccava.
Gli piaceva. E molto, nonostante ogni tanto tornasse il pensiero di ucciderla ad affacciarsi nella sua mente. Il sesso con lei era divertente e appagante. Si capivano al volo e quando uno dei due aveva bisogno di confidarsi o sfogarsi, poteva aprirsi con la massima tranquillità.
Durante i primi giorni di convivenza avevano tentato di manipolarsi a vicenda ma poi avevano rinunciato. Tra loro funzionava la spontaneità. Nella loro natura non rientrava la sincerità e, nonostante fossero due bugiardi cronici, erano riusciti a trovare un equilibrio, una sorta di terreno comune dove riuscivano a incontrarsi.
«Ti ha detto perché vuole vederti?» chiese lui.
Laurie ridacchiò divertita. «Nel mondo delle spie il telefono serve solo per fissare appuntamenti, non lo hai ancora capito?»
«Forse ti vuole parlare di Kiki.»
«Può darsi.»
«Lo sai cosa mi risulta veramente strano?»
«Che non ti abbia ancora chiamato» indovinò la donna, calzando un paio di sandali con una spessa suola di gomma «Il problema non è dove si trova ma come gestirai la faccenda quando si presenterà qui e scoprirà che pratichi sesso estremo con una bellissima donna.»
«Ci ho pensato» ribatté Abel. «Kiki è sensata e farà quello che le dico, non rappresenterà un problema.»
«Nel caso potrei “occuparmene” io» lo provocò.
«Ti piacerebbe, vero?»
«In linea di massima, sì. Il problema è il dopo, smaltire un cadavere di quelle dimensioni può rivelarsi una rogna» rispose seria.
Abel capì che lei aveva già accarezzato l’idea e fantasticato sull’omicidio della sua amante. Lo trovò eccitante.
«Se chiama, avvertimi subito» si raccomandò la canadese mentre controllava che Abel assumesse i farmaci. «E soprattutto non cercarla per nessun motivo. Attieniti agli ordini.»
Abel spiò dalla finestra e guardò il culo di Laurie fino a quando non scomparve dalla sua vista. Poi chiamò Kiki. Il cellulare squillò a lungo ma lei non rispose.
Lui la conosceva bene. Benissimo. Era certo che fosse accaduto qualcosa di anomalo ed era altrettanto sicuro che Abernathy fosse a conoscenza dei particolari.
L’elegantone aveva ordinato a Laurie di incontrarlo all’esterno perché non voleva che lui scoprisse la verità. Ma Abel si ripeté che non era fatto per subire il volere degli altri. In gioventù aveva scelto di affidarsi o sottomettersi, e la sua vita era diventata un inferno.
Per questo digitò quel messaggio diretto al numero di Kiki: “Rispondi o chiama. Chiunque tu sia”.
Attese una manciata di minuti, poi chiamò per la seconda volta.
Nessuno rispose. Ma quasi subito arrivò un SMS: “Parleremo quando sarà il momento. Kiki”.
Abel Cartagena sorrise e rispose, scandendo le parole a voce alta: «Quando vuoi, “Kiki”».
Andò in camera da letto a guardarsi allo specchio. In quel momento avvertiva il bisogno di conferme. Venne distratto dalla suoneria del cellulare.
Era il suo editore. Rispose volentieri, gli avrebbe fatto bene distrarsi.