Tredici

 Pietro, seduto a un tavolino dell’osteria di Checo Vianello, non era certo di aver fatto la mossa giusta con il Turista. Cartagena non aveva creduto che a inviare il messaggio fosse stata la sua amante e aveva voluto farglielo sapere. E questo era un dato interessante su cui riflettere, perché poteva trattarsi di un primo timido segnale dell’apertura di un canale di comunicazione. D’altronde era uno psicopatico criminale e da quello che aveva letto nel fascicolo, i profiler che avevano esaminato i suoi delitti speravano di poter creare un contatto, sfruttando alcuni tratti della personalità come l’egocentrismo, l’eccesso di loquacità, la necessità di manipolare e l’impulsività.

 Il passo successivo sarebbe stato quello di parlargli senza filtri, ma ancora non se la sentiva. Non era uno specialista, temeva di danneggiare l’operazione e, in verità, non aveva idea di cosa dirgli.

 Per l’ennesima volta si domandò perché Abel Cartagena non fosse fuggito insieme alla donna che lui e Caprioglio avevano visto uscire dal palazzo. Il detective ora la stava pedinando nella speranza che li conducesse dai Liberi Professionisti. La scelta era ricaduta su Nello perché aveva maggiore esperienza nel seguire le persone, anni di investigazioni lo avevano abituato a spiare discretamente ladri, truffatori, amanti clandestini, fuggitivi di ogni tipo.

 Sambo bevve un sorso di vino senza averne particolare voglia. Era reduce da una notte agitata. Complice il cibo pesante, anche se ottimo, di quel ristorante dove lo aveva trascinato il suo socio, frequentato da prostitute e travestiti che battevano negli hotel. Ma soprattutto a rovinargli il sonno era stata la necessaria riflessione sul suo atteggiamento. Stava affrontando tutta quella storia nel peggiore dei modi, trascinandosi dietro il fardello del suo fallimento. Doveva riuscire a metterlo da parte e adeguarsi alla realtà, l’unica che aveva sempre conosciuto quando era a capo della squadra Omicidi. Riassunta in una frase che si era ripetuto come un mantra quando superava i limiti: è il criminale che determina il livello dello scontro.

 Adeguarsi a quello del Turista e dei Professionisti implicava coinvolgere e distruggere innocenti come l’albanese e Kiki Bakker.

 Decise di concentrarsi esclusivamente sul suo obiettivo principale – riabilitarsi e tornare a fare il mestiere per cui era nato – e rifletté sul fatto che a volte nella vita occorre accettare compromessi terribili. Siglò il patto con se stesso con un brindisi solitario. Qualche minuto più tardi vide ritornare Nello. Era scuro in volto.

 «L’hai persa» disse Sambo.

 «Peggio. Mi ha seminato» sibilò furioso. «A un certo punto si è fermata in un bar e non l’ho più vista uscire.»

 «Una porta sul retro.»

 «Esatto, di fianco ai bagni» confermò il detective. «Il proprietario è certo che fosse chiusa a chiave. Sai cosa significa?»

 «Che hanno studiato e pianificato vie di fuga in ogni parte di Venezia. Non a caso li chiamano i Liberi Professionisti.»

 «Già. Temo anche che siano al di sopra delle nostre possibilità» commentò prendendo il cellulare. «Guarda che primo piano le ho scattato in vaporetto.»

 «Una bella donna.»

 «Condivido il tuo punto di vista, ma non sarebbe il caso di inviare la foto a qualcuno che possa aiutarci a identificarla?»

 «Ho a disposizione un programma di riconoscimento facciale.»

 «E cosa aspetti a usarlo?»

 «Non sono capace.»

 «Io penso di essere in grado.»

 «Devo chiedere l’autorizzazione a Tiziana per portarti in un certo posto.»

 Nello si offese. «Stai parlando sul serio? Quella mi considera un mercenario del cazzo. Tu hai perso la memoria e non ricordi con chi stai parlando.»

 Pietro alzò una mano. «Stai alzando la voce. Poi Checo avrà parecchie cose interessanti da raccontare ai suoi amici carabinieri.»

 «E allora?»

 «D’accordo. Così abbandoniamo l’appostamento» rispose indicando il portone del palazzo dove viveva il Turista.

 «Può occuparsene Ferrari.»

 Sambo pensò che poteva essere un’ottima soluzione e chiamò il vicequestore.

 «La donna ci ha seminato e abbiamo la certezza di essere stati individuati. È il caso che ci sostituisca Simone.»

 «Lo chiamo subito» disse. Poi aggiunse con voce stanca: «Non te la prendere, Pietro. Per questo genere di operazioni un paio di uomini non bastano. Non vedo l’ora che arrivi la squadra di appoggio, così potremo evitare di combinare casini».

 «Mi sembri strana. Non sei la solita Tiziana Basile vicequestore d’acciaio» scherzò Sambo.

 «Il comandante della Polaria, che avevo preventivamente informato del mio interesse nei confronti di Kiki Bakker, mi ha fatto sapere che ieri un vicebrigadiere della Guardia di Finanza, tale Ermanno Santon, ha chiesto notizie della donna in aeroporto e ha visionato i filmati delle telecamere» spiegò la poliziotta. «Ho parlato con il colonnello Morando, con cui mi sono dovuta esporre sulla mia doppia veste, che mi ha confidato che il sottufficiale ha agito di sua iniziativa ed è sospettato di furto.»

 «Ora è anche al soldo dei Liberi Professionisti.»

 «Non esiste altra spiegazione plausibile. Questo significa che mi hanno individuato e che sanno che abbiamo scoperto l’identità del Turista.»

 La schiena di Pietro venne squassata da un brivido di paura. Non per se stesso ma per Tiziana. «Devi nasconderti.»

 «Non posso.»

 «Dormirai a casa mia.»

 «Solo se scopiamo.»

 «Non scherzare.»

 «Non sto scherzando. Ho bisogno di te.»

 Lui si arrese. «Ne possiamo parlare ma devi usare Simone come guardia del corpo.»

 «E il Turista? E la donna misteriosa?»

 «Che si fottano. Se ne occuperà la squadra d’appoggio» sbottò. «Nel frattempo noi facciamo la festa a quel pezzo di merda corrotto.»

 «Pensi sia una buona idea?»

 «Dobbiamo reagire colpo su colpo.»

 Tiziana Basile rifletté per qualche istante. Lui la sentiva respirare e in quel momento pensò che gli sarebbe piaciuto baciarla.

 «Avverto il colonnello» disse la donna prima di interrompere la comunicazione.

 Pietro guardò Nello Caprioglio. «Abbiamo un’altra faccenda più urgente da sbrigare.»

 Morando strinse la mano del detective alberghiero senza dissimulare la sorpresa. «Non avrei mai pensato che anche tu lavorassi per i “cugini”» disse. «E avrei messo una mano sul fuoco che Sambo fosse stato posto al bando da tutti i servitori dello Stato. Anche quelli che per la segretezza delle operazioni non vanno tanto per il sottile. Sempre che la faccenda del processo non sia stata una messa in scena.»

 Il colonnello del GICO cianciava cercando di ottenere risposte, che invece non arrivavano perché i due uomini seduti di fronte alla sua scrivania ascoltavano senza battere ciglio.

 Alla fine si stancò. «Cosa volete?»

 «Parlare con il vicebrigadiere Santon» rispose Pietro. «Alla sua presenza, ovviamente.»

 «Per la faccenda dell’aeroporto, immagino» disse il colonnello.

 «Non solo.»

 «Resta inteso che di qualsiasi informazione venga a conoscenza in questa stanza, farò l’uso che il mio grado impone.»

 «Le sono grato di aver ribadito l’ufficialità della conversazione» ribatté Pietro che, nel frattempo, aveva preparato una versione farcita di intuizioni e mezze verità a cui l’ufficiale potesse credere.

 Un paio di minuti più tardi fece il suo ingresso Santon. Era un uomo di media statura, con un filo di pancetta e i capelli molto più corti della misura che imponeva il regolamento.

 Morando gli fece cenno di sedersi. «Rispondi alle loro domande.»

 «E perché? Questi due li conosco bene e non hanno l’autorità nemmeno per chiedermi che ore sono.»

 «Sei un corrotto e un traditore» disse Sambo tranquillo. «Abbiamo le prove.»

 «Senti chi parla! E poi di che prove parli, che non sei più nessuno?» si difese il vicebrigadiere in modo troppo fiacco per essere credibile.

 L’ex commissario si rivolse al colonnello. «È stato lui a passare le informazioni su Alba Gianrusso ai killer ingaggiati dalla mafia montenegrina. Lui avrebbe dovuto informarli sui movimenti del marito a Venezia e ieri, per lo stesso gruppo criminale, ha effettuato un controllo sui movimenti di una donna straniera sentimentalmente legata a uno degli assassini.»

 Morando schizzò in piedi, pallido in volto. «Ne sei certo?» chiese a Pietro.

 «Non abbiamo il minimo dubbio.»

 «Finirai all’ergastolo» ringhiò rivolto al sottufficiale.

 «Magari esce un po’ prima se collabora» intervenne Nello, mostrando a Santon la foto che aveva scattato quella mattina alla donna che viveva con il Turista.

 Il vicebrigadiere scosse la testa. «Non l’ho mai vista. Ho avuto contatti solo con un uomo con la barba e i capelli bianchi. Una volta di persona e poi sempre al telefono» si affrettò a confessare.

 Questa volta fu Pietro a sottoporgli un’immagine.

 «Sì, è lui. È il signor Mario.»

 «Mario chi?» chiese Morando.

 «Non è il suo vero nome» spiegò l’ex commissario, che non poteva svelare l’identità di Andrea Macheda. «Ma è il capo del gruppo che voleva eliminare il vostro tenente.»

 Santon aveva capito che era il momento di parlare. Consegnò la sim card che usava per comunicare con i Liberi Professionisti e raccontò quel poco che sapeva nei minimi dettagli.

 Il colonnello del GICO era disgustato, profondamente amareggiato che proprio un finanziere avesse causato la morte della moglie di un ufficiale sotto copertura. Chiamò alcuni agenti e fece scortare Santon in una camera di sicurezza.

 «Adesso devo chiamare in procura e coinvolgere un pubblico ministero.»

 Pietro si alzò, imitato da Caprioglio. «Noi siamo i confidenti che l’hanno messa sulla pista giusta» disse per suggerire una linea di condotta. «E non potete contare sulla foto del “signor Mario”.»

 Morando annuì. Aveva capito fino a dove poteva spingersi con il magistrato. «L’indagine sul numero telefonico è di nostra competenza» mise in chiaro. «Lo sappiamo che non porterà da nessuna parte ma qualcosa dobbiamo esibire.»

 «Rimane il problema dei media» aggiunse l’ex commissario. «Non possiamo permetterci di apparire.»

 «Nemmeno noi» ribatté Morando. «Non possiamo svelare i retroscena dell’omicidio di Alba Gianrusso. L’indagine rimarrà segreta e Santon lo incriminiamo per altri reati. Conviene anche a lui stare zitto. Per fortuna che c’è quella tizia albanese in galera e i giornalisti sono convinti che il caso sia chiuso.»

 Pietro non era di buonumore. «Quel Santon era una mezza figura, non sa un cazzo» sibilò mentre fendevano la massa compatta di un gruppo di fedeli polacchi diretti alla basilica di San Marco.

 «Però lo abbiamo tolto di mezzo» gli fece notare Nello.

 «Speriamo di avere più fortuna con la donna che ti è sfuggita. Dobbiamo andare in un appartamento a Sacca Fisola.»

 «A chi appartiene?»

 «A “noi”, è una vera e propria base» rispose Sambo. «Lo gestivano due tizi simpatici, un francese e uno spagnolo, che sono scomparsi all’improvviso, lasciando solo un paio di tracce di sangue in una stanza della pensione Ada.»

 «Vuoi spaventarmi?» chiese il detective.

 L’altro alzò le spalle. «Ti sto solo raccontando alcuni fatti che ritengo tu debba conoscere.»

 «Sì, ma è l’ora in cui i cristiani si siedono per pranzare e gli unici argomenti ammessi oggi sono le donne e la Reyer.»

 «Non seguo il basket.»

 «E allora parleremo solo di femmine. Anzi lo farò io perché tu vuoi continuare a punirti negandoti il piacere.»

 «Non sempre.»

 «Immagino che con questa frase sibillina tu ti riferisca a Tiziana Basile, ma si vede lontano un miglio che è troppo bacchettona per concedersi scopate travolgenti.»

 Pietro era a disagio anche perché condivideva ampiamente il parere. «Non pretenderai che ti segua su questo discorso, vero?»

 «No, ma ti ho visto ieri sera “Dalle tettone”, tenevi la testa china sul piatto, per non essere travolto dalla concentrazione di figa che avevamo intorno.»

 «Tu invece non ti sei perso un solo dettaglio.»

 «Hai ragione: nemmeno uno, infatti alla fine mi sono unito carnalmente, non so se afferri il significato delle mie parole, con la più bella del locale.»

 «E chi sarebbe?»

 «Non dovrei dirlo perché sono un signore ma, dato che rischiamo la vita assieme, posso indicare la fortunata nella signorina Betta.»

 «Ma chi, Bettona la tettona? La più giovane delle due padrone del ristorante?»

 «Lei.»

 «E da quanto tempo va avanti?»

 «Poco, purtroppo. Ho dovuto attendere pazientemente che si liberasse un posto nel suo cuore e nel suo letto.»

 «Se non ricordo male, tua moglie è una tipetta gelosa.»

 «Una santa donna che mi tradisce regolarmente da anni. Io però non la lascerò mai. Stiamo bene assieme.»

 Sambo pensò con dolore alla sua Isabella e gli passò la voglia di scherzare. Nello comprese e si zittì. Camminarono in silenzio fino all’osteria da Checo, dove trovarono Simone Ferrari intento a divorare un piatto di trippa in umido.

 «Ma non dovevi proteggere Tiziana?» domandò Pietro preoccupato.

 «Sì, siamo d’accordo che mi chiamerà prima di uscire dalla Questura» rispose l’ex ispettore invitandoli a sedersi.

 «Novità del nostro amico?» chiese invece Caprioglio alludendo al Turista.

 «Nessuna.»

 «E la tizia è tornata?»

 «Quella che ti ha seminato? Non lo so. Sono arrivato un paio d’ore fa e non ho visto nessuno» disse Ferrari con un sorriso strafottente.

 L’ex commissario approfittò del pranzo per osservare Simone. Non l’aveva mai conosciuto bene e non aveva idea di che tipo fosse. Si dimostrò affabile e simpatico ma in modo piuttosto formale. Provò a porgli domande personali ma l’agente dei servizi eresse un muro invalicabile.

 Un atteggiamento professionale che doveva essere apprezzato, commentò poi Nello mentre attraversavano in vaporetto il Canal Grande.

 Aveva ragione ma Pietro era abituato al cameratismo della polizia che continuava a rimpiangere.

 Controllò il cellulare di Kiki Bakker. Aveva ricevuto molti messaggi e telefonate ma il Turista non si era più fatto vivo. Fu tentato di mettere Caprioglio al corrente dello scambio di SMS con Abel Cartagena, ma non era dell’umore adatto per sopportare critiche o incazzature. Continuava a essere preoccupato per Tiziana. Sperò con tutto il cuore che Simone Ferrari fosse all’altezza del compito che gli era stato assegnato.

 L’appartamento di Sacca Fisola puzzava di chiuso e di muffa. E il caldo era soffocante. Pietro aprì le finestre per far circolare l’aria mentre Nello cercava di accedere al programma di identificazione facciale.

 A metà pomeriggio il sole venne oscurato da una massa compatta e minacciosa di nuvole nere e grigie che annunciavano un violento temporale. Il cielo però sembrava non decidersi a scaricare tuoni e fulmini.

 Le prime gocce grandi e pesanti cominciarono a cadere proprio quando il programma riconobbe e identificò il volto dell’inquilina del Turista.

 Caprioglio raggiunse Sambo, che stava pulendo un paio di pistole in un’altra stanza per ingannare l’attesa. «L’ho trovata.»

 Nella foto che occupava un quarto dello schermo era più giovane di diversi anni ma non c’erano dubbi che fosse lei.

 Si chiamava Zoé Thibault, nata a Sherbrooke, città canadese all’estremo sud del Québec, nel giugno del 1979.

 Dalla scheda risultava una storia familiare complicata e una scolastica all’insegna delle bocciature e dei cambi di istituto. Poi si era arruolata nella Sureté ed era stata assegnata ai dintorni di Maniwaki, in una zona abitata da nativi dove da tempo erano denunciati abusi da parte delle forze di polizia. Reportage non smentiti raccontavano dell’usanza di caricare nelle auto di pattuglia una o due persone e portarle a fare uno “Starlights Tour”, ovvero abbandonarle in mezzo al nulla in pieno inverno.

 Alcuni ci avevano rimesso la pelle e i media avevano rumoreggiato. Poi erano stati ritrovati dei cadaveri torturati e percossi a morte con segni evidenti di violenze sessuali.

 Zoé era stata indagata insieme al suo partner di pattuglia, Ignace Gervais, in seguito a una serie di testimonianze incrociate, ma gli inquirenti, impegnati a soffocare uno scandalo che poteva distruggere parecchie carriere, li avevano prosciolti obbligandoli a dare le dimissioni.

 L’errore era stato raccomandarli al servizio nel penitenziario di Montreal. Dopo un paio di mesi era stato ucciso un detenuto, le modalità erano identiche a quelle dei delitti di Maniwaki, ma il defunto, membro degli Hells Angels, era così odiato dalle guardie e dalla direzione che il crimine venne liquidato come una resa di conti tra gang rivali.

 Poi fu la volta di un nativo chipewyan che, però, attirò l’attenzione dei giornalisti e quindi le indagini furono più rigorose. Mentre il cerchio si stringeva intorno ai due ex poliziotti della Sureté, gli Hells Angels si vendicarono facendoli accoltellare nello stesso momento in due sezioni diverse del carcere. Zoé ebbe fortuna e se la cavò senza un graffio grazie alla sua prontezza di riflessi e alla forza con cui colpì con il manganello il polso dell’uomo pagato per assassinarla. Ignace Gervais, invece, fu trafitto ventisei volte e morì prima dell’arrivo dei soccorsi.

 La donna venne immediatamente allontanata. Tutti i detenuti la consideravano un’assassina e non sarebbe sopravvissuta a un altro attacco.

 La polizia alla fine decise di incriminarla per l’omicidio del nativo, ma qualcuno la avvertì e quando andarono ad arrestarla, trovarono solo un irriverente biglietto di saluti.

 Da allora risultava ricercata tra i serial killer più pericolosi. Secondo la Royal Canadian Mounted Police, la donna, con tutta probabilità, si era rifugiata nella zona subartica dove era più semplice trovare vittime tra i nativi, le sue prede preferite.

 «E così continuano a cercarla nella tundra» sospirò Pietro.

 «Questi pazzi dei Liberi Professionisti reclutano la peggiore feccia» commentò Nello impressionato.

 «Che però si rivela maledettamente utile ed efficiente» aggiunse Sambo. «Questa Zoé preferisce agire in coppia, ecco perché l’hanno aggregata al Turista.»

 «Immagino che dovrà essere abbattuta insieme al suo nuovo amichetto.»

 «Per il bene dell’umanità. Non esiste cura al mondo per togliere a questi soggetti la voglia di eliminare il prossimo.»