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Quando Ghislaine si svegliò la camera era semibuia, con un’ombra verdognola e azzurra che danzava sul soffitto. Lei giaceva nel letto, si crogiolava nel calore e nella morbidezza delle coltri, pervasa da una meravigliosa sensazione di benessere. Era sola, purtroppo, ma ciò non le toglieva quel piacere fisico.

Si girò sulla schiena e trasalì all’inaspettata sensazione di disagio tra le gambe. Rimase ferma a fissare il soffitto. Il riflesso del canale mischiato al chiarore dell’alba dava alla camera in penombra un’atmosfera surreale.

Avvolta nel lenzuolo andò alla finestra e scoprì che il chiarore non era quello dell’alba, ma del tramonto. Aveva dormito per tutto il giorno.

Solo più tardi, mentre si immergeva nella vasca da bagno, si accorse di un’impronta rossastra su un seno. Si disse che era il marchio del possesso e sentì una vampata di calore dalla testa ai piedi. Si domandò dove fosse Nicholas.

I domestici si erano impegnati molto e avevano reso abitabili altre stanze, inclusa una sala da pranzo dalla pulizia impeccabile. Ghislaine si vestì con un semplice abito color avorio e, seduta su un divano del salone principale, pensò che avrebbe dovuto vestirsi di rosso. Dopo la notte più erotica della sua vita, si sentì all’improvviso, per la prima volta dopo dieci anni, come se fosse tornata vergine.

Ma lui dov’era? Non voleva, non poteva credere che l’avesse abbandonata, che alla fine l’avesse lasciata dopo tutte le suppliche che le aveva rivolto. Sarebbe stata una bella vendetta infrangere le sue difese per poi gettarla via.

Le aveva detto che non l’avrebbe lasciata mai più e lei si accorse di avergli creduto, sebbene lui avesse insistito di essere un uomo senza onore. Voleva stare con lui per sempre o sarebbe morta.

Taverner era preoccupato. Giurò di non sapere dove fosse Nicholas e l’espressione sul suo volto era sincera, non riusciva a celare l’ansia, che si trasmise al cuore di Ghislaine.

I domestici si ritirarono per la notte e Taverner andò a cercare il padrone, anche se disse che andava solo a fare due passi. Ghislaine vagava nel palazzo come un’anima persa, aspettando.

Salì al piano di sopra dopo mezzanotte. La casa era avvolta nel silenzio quando attraversò la piccola stanza che si era riservata e andò nella camera padronale. La candela che le rischiarava il cammino dava poca luce; appena entrò in camera la depose sul tavolino vicino alla porta e cercò a tastoni il candelabro che illuminava meglio.

«Lascia stare» disse la voce di Nicholas.

Per poco il sollievo non la fece piangere. Tremando, chiuse l’uscio e vi si appoggiò. La candela spezzava appena il buio, ma lei distinse davanti alla finestra la sagoma di Nicholas che fissava la notte.

«Sei qui da molto tempo?» gli chiese.

Lui si voltò, appoggiò la schiena alla parete e Ghislaine riuscì a intravedere il suo sorriso ironico, che aveva sperato di non vedere più. «Non da molto. Lui è morto.»

Per un momento, lei non capì di che cosa stesse parlando. Lo fissò e notò il suo abito nero, i capelli in disordine e la faccia pallida per la stanchezza e per qualcosa di peggio. «Di chi parli?»

«Wrexham. Ho vendicato il tuo onore, mia cara. E adesso, chi vendicherà il male che ti ho fatto io?»

«L’hai ucciso?»

«Come puoi dubitarne?» Nicholas fece un ampio gesto con la mano. «Sono perfettamente capace di uccidere. Ma forse esagero. Due uomini in meno di una stagione! Suvvia, non essere tanto sconvolta. C’è stato un duello con molti testimoni che possono dichiararne lo svolgimento leale. Non saremo cacciati da Venezia.»

Ghislaine notò il suo tono disperato, ma era una disperazione che non riusciva a comprendere. Mentre si muoveva nella stanza con passo leggero, capì. Il perfido Nicholas, spietato e mezzo matto, aveva il cuore di un essere umano, dopotutto.

Gli si avvicinò e gli prese il viso tra le mani. «Nicholas, mi dispiace tanto» mormorò.

Lui cercò di sottrarsi al suo tocco gentile. «Ti dispiace? Perché dovrebbe dispiacerti? Una morte in più o in meno non fa differenza e se qualcuno meritava di morire, questi era Wrexham. La sua reputazione era pessima. Tu non sei stata né la prima né l’ultima delle sue vittime e non la più danneggiata. Se lo meritava. Meritava di morire male, steso sul suo stesso sangue, mentre urlava chiedendo pietà nell’esalare l’ultimo respiro.»

«Oh, Dio» bisbigliò Ghislaine abbracciandolo. «Nicholas…»

Lui l’allontanò da sé. «Non sono dell’umore adatto» disse con una risata amara. «In questo momento non sono una buona compagnia. Sono stato fuori quanto più ho potuto, ma i passatempi di Venezia oggi non sono di mio gusto. Ti libero dalla mia presenza…»

Lei lo fermò afferrandogli un polso. «Nicholas. Io ti amo.»

«No!» esclamò lui, ma non respinse la sua mano. «Non lo capisci? Non te l’ho dimostrato decine di volte? Io sono un mostro, che non merita di essere amato, che non merita niente, assolutamente niente.»

«Io ti amo» disse lei ancora. Gli prese l’altra mano, si circondò con le sue braccia e si strinse contro il suo corpo rigido per la tensione. «Ti amo tanto» ripeté.

Nicholas fece uno strano suono soffocato e appoggiò il viso sulla testa di lei. Ghislaine lo sentì scosso da un brivido e lo tenne abbracciato con la tenerezza con cui si stringe un bambino ferito, come avrebbe tenuto il fratello perduto. Poi l’abbraccio cambiò, alzò il viso e gli sfiorò la bocca con la propria.

Nicholas si lasciò baciare ma quando cominciò a ricambiare il bacio lei lo frenò, gli aprì i bottoni e gli abbassò la camicia dalle spalle. Vide il lungo graffio che gli aveva inflitto sulla pelle col coltello e lo sfiorò con le labbra. Gli baciò la spalla, i capezzoli piatti, fece scorrere la bocca in basso, sul ventre muscoloso, poi la premette contro il prepotente rigonfiamento sotto le brache.

Lui le afferrò le spalle, la sollevò e le diede un bacio violento e profondo che venne ricambiato con entusiasmo. Le tolse l’abito con furia e lo stesso fece lei con i suoi calzoni. Ghislaine lo toccò, sentì la sua potenza, la pelle calda, liscia come seta e lui con un gemito sordo si spinse contro le mani che lo accarezzavano. Lei lo voleva, ne aveva bisogno in un modo che solo l’istinto poteva suggerirle. Prima ancora che Nicholas capisse le sue intenzioni, Ghislaine cadde in ginocchio sugli abiti sparsi a terra e lo prese tra le labbra. Sentì il gemito di lui e le mani che le stringevano le spalle.

«No, Ghislaine. Oddio, sì… sì…» mormorò, incapace di controllarsi, spingendosi nella sua bocca dolce e curiosa. Poi la sollevò e la strinse tra le braccia. Avanzò verso il muro e ve la spinse contro per poter entrare profondamente dentro di lei, che lo accolse con gli occhi chiusi assorbendo le sue spinte febbrili, tremando di piacere. Lui si voltò, appoggiò la schiena alla parete e la sostenne. Lei gli circondò la vita con le gambe e Nicholas guidò il movimento del coito, ora sempre più affrettato, sempre più vigoroso e profondo. I loro corpi erano madidi di sudore. All’improvviso Ghislaine si sentì esplodere e fu come se si frantumasse in milioni di pezzi. Zittì il grido di lui con un bacio mentre con il corpo assorbiva la sua essenza.

Nicholas la trasportò sul letto dove caddero insieme, esausti. Ghislaine non poteva e non voleva lasciarlo andare. Si sentiva persa, spaventata, più commossa di quanto si fosse mai sentita in tutta la vita. Era come se lui l’avesse prosciugata di tutto, della volontà, del potere, della forza e della rabbia. Sentiva di esistere solo per lui. Lo tenne tra le braccia come un bambino, accarezzandogli i lunghi capelli. Pianse per lui e sentì sulla pelle anche le sue lacrime.

 

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Fu un sogno, un idillio presto infranto. Passarono giorni a letto facendo l’amore con calore e passione, con dolcezza e tenerezza. Lo fecero a letto, sul pavimento, sul tavolo, nella vasca da bagno. Lo fecero in piedi, seduti, di fronte, di dietro, di lato. Lui non ne aveva mai abbastanza, non si stancava mai del suo corpo. E lei non ne aveva mai abbastanza di lui.

Ghislaine sapeva che sarebbe finito. Ne era sicura come del battito del proprio cuore, dello scorrere del proprio sangue, del sale delle lacrime che erano sgorgate di nuovo dopo anni.

Presto o tardi il passato l’avrebbe raggiunta. Da madame Claude, attraverso la nebbia della droga, aveva visto una sala piena di uomini che urlavano la loro offerta per poterla deflorare. Wrexham aveva vinto, ma c’erano altri che si sarebbero ricordati di lei.

E Nicholas avrebbe voluto ucciderli.

Ghislaine non poteva vivere con quel terrore. Non le importava della morte di un gruppo di uomini dissoluti, ma era l’autodistruzione di Nicholas che l’avrebbe uccisa.

Aveva creduto che fosse un uomo tanto forte, tanto freddo, refrattario alle emozioni a parte la collera. Gli aveva attribuito qualità diaboliche, che le erano servite a mantenere le distanze.

Invece si era trovata intrappolata in una situazione che la legava per sempre a colui dal quale aveva voluto fuggire. Il bellissimo giovane che aveva amato un tempo c’era sempre, ma anche il suo persecutore. Il mascalzone, il traditore, l’anima persa, il bambino che aveva tanto bisogno del suo amore da non rendersene nemmeno conto.

Lei voleva darglielo, quell’amore, voleva tenergli la testa appoggiata sul seno e confortarlo, alleviargli il tormento che aveva nel cuore. Voleva essere la sua amante, sua madre, la sua sposa e la sua bambina.

Ma la presenza di Ghislaine nella sua vita l’avrebbe condotto alla distruzione finale, quella che lui aveva corteggiato e al tempo stesso evitato per tanto tempo. Dalla morte di Wrexham era cambiato. Si era aperto a lei in un modo che non avrebbe creduto possibile.

I momenti erano stati brevi, apparentemente poco importanti, e perciò ancora più preziosi. Come quando una mattina, a letto, con il sole che creava chiazze d’ombra sui loro corpi, lui le aveva insegnato a giocare a picchetto e lei lo aveva battuto sonoramente subito dopo. O il pomeriggio in cui l’aveva convinta a fare un giro in gondola e dopo averla canzonata perché il suo colorito passava da bianco a verde e viceversa, aveva finalmente detto al gondoliere di accostare alla riva. L’aveva poi portata a casa in braccio. Il suo gesto galante l’aveva fatta stare ancora peggio, ma lei non glielo aveva detto.

C’era stata la sera in cui avevano mangiato pollo freddo sotto le stelle e avevano danzato nel buio, con Nicholas che cantava a bocca chiusa una vecchia ballata paesana, e lei aveva imparato di nuovo il valzer.

E la notte in cui l’aveva tenuto tra le braccia, perché, tormentato dai sensi di colpa di una vita, non riusciva a prendere sonno.

Ghislaine aveva ascoltato, senza biasimarlo, il racconto delle sue birbonate di ragazzo che erano diventate sempre più gravi; il ripudio e poi la morte del padre, il giovane uomo che aveva ucciso, dopo essersi ubriacato, in un duello.

L’aveva ascoltato quando le raccontava delle donne che aveva preso e lasciato, delle fortune che aveva vinto e perso al gioco, dell’inseguimento insensato del piacere per dimenticare se stesso. E una delle cose che aveva voluto dimenticare con più accanimento era la ragazzina francese di quindici anni con l’amore nello sguardo.

Lei aveva ascoltato tutto. Lo amava e rendersene conto non le bastava.

Era cresciuta con gli insegnamenti di una chiesa, che aveva poi abbandonato, in cui si sosteneva che la confessione facesse bene allo spirito. Per Nicholas era stato così. Dopo averle raccontato i segreti più torbidi della sua vita le era parso che gli si fosse sollevato un velo oscuro dall’anima. Poteva guardarla e sorriderle senza la minima traccia di ironia. Poteva anche ridere di cuore, cosa che rendeva ancora più disperata la decisione di lei.

Ghislaine si disse che doveva lasciarlo, non aveva scelta. Lui si sarebbe arrabbiato moltissimo. Ma forse prima o poi avrebbe trovato un’altra più meritevole di essere amata. E il buio della sua anima sarebbe scomparso per sempre.

Con lei non aveva speranza.

Era rimasta troppo a lungo con l’ultimo dei pazzi Blackthorne; sarebbe impazzita a sua volta. Nicholas non le aveva mai detto di amarla, non le aveva mai suggerito che tra loro ci fosse qualcosa oltre la passione del momento. Ma lei lo sapeva, con la saggezza che le veniva dal cuore, che tra loro c’era l’amore, un amore che li avrebbe perseguitati per il resto della vita.

Non aveva idea di dove sarebbe potuta andare. Non sapeva nemmeno se sarebbe stata abbastanza forte da voltare le spalle all’unica speranza di gioia che aveva. Dopo gli anni bui seguiti alla morte dei genitori era tornata a vivere e la pena e la disperazione che si erano impossessate di lei avevano cominciato ad attenuarsi.

Ma quella pena e quella disperazione erano in agguato, pronte a risvegliarsi e a distruggerla. Aveva imparato che nella vita non c’è lieto fine. Quanto più si è stati felici, tanto più devastante è la caduta. Ed era decisa a fuggire prima di trascinare anche Nicholas nella caduta.

Doveva andarsene anche se le si spezzava il cuore, un cuore che credeva si fosse spezzato tanti anni prima. Era il solo dono che potesse fargli.

 

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Il palazzo aveva un piccolo giardino riparato da un muro, sul Canal Grande. Era pieno di erbacce, trascurato da anni ma ugualmente affascinante. Luisa aveva bandito Ghislaine dalla cucina per le sue strane idee francesi, ma nel giardino non comandava nessuno, poiché il giardiniere aveva trovato un altro impiego ormai da molto tempo. Ghislaine vi passava le ore soleggiate a curare i fiori, cercando di non pensare al futuro. Non sapeva mai dove Nicholas passasse la giornata. Dormiva fino a tardi, una vita di indolenza la sua, in guerra con il senso del dovere di lei. Di solito quando lei cercava di fargli fare qualcosa, la convinceva a tornare sotto le coperte, con grande soddisfazione di entrambi, ma Ghislaine pensava che fosse un po’ tempo sprecato. Il disastro era alle porte.

E giunse prima di quanto lei si aspettasse. Nicholas le si avvicinò mentre era inginocchiata e trafficava con gli arnesi da giardiniere. Lei si sedette sui talloni e lo guardò. «Domani torniamo in Inghilterra» le disse con voce stranamente esitante. «Non ti preoccupare, ti prometto che non ci avvicineremo alla Francia e che viaggeremo via terra il più possibile. Non smetto di meravigliarmi che una persona con il tuo coraggio abbia uno stomaco tanto debole.»

Lei non riuscì a sorridere. «Non voglio tornare in Inghilterra. E tu come puoi farlo? Non sei forse nei guai?»

«Posso uscirne fuori, se m’impegno. Ho ancora qualche amico influente. Tavvy ti aiuterà a fare i bagagli.»

«Lasciami qui.»

Il viso di lui perse ogni espressione. Per la prima volta dopo tanti giorni apparve freddo e distante. «Non essere assurda.»

«Ragiona, Nicholas. Tu non hai bisogno di me…»

Con un gesto improvviso, lui l’alzò in piedi e le prese il viso tra le mani. Era così alto, così forte e così stranamente vulnerabile. Con la collera nella voce disse: «Ho bisogno di te. Pensavo di essere stato chiaro, amore mio. Non voglio lasciarti andare. Mai». La baciò con prepotenza e lei gli circondò la vita con le braccia, incapace di resistergli. Sapeva che si stava innamorando sempre più e che sarebbe stato sempre più difficile rinunciare a lui.

Ed era terribile non potergli dire addio, perché sapeva che l’avrebbe fermata. Perciò, Ghislaine si limitò a guardarlo sperando che non avrebbe notato il suo sorriso forzato, la stretta troppo prolungata delle sue mani, e che con quel bacio gli stava dicendo addio.

Lei rimase in piedi immobile quando Nicholas si allontanò. Sapeva che doveva organizzare il viaggio e che il loro tempo insieme stava per finire. Doveva approntare un piano di fuga, ma per il momento non poteva. Rimase in giardino con la mente in fermento, con le lacrime che le cadevano sulle mani e si biasimò per questo. Non aveva pianto per dieci anni e ora non riusciva a fermarsi.

Udì del trambusto a distanza, ma rimase dov’era, inginocchiata sul terreno, cercando di asciugarsi gli occhi.

E poi udì una voce che credeva di non poter udire mai più. «Gilly!»

Si voltò e guardò annichilita Ellen Fitzwater sulla porta del giardino con alle spalle una grande figura maschile che le faceva ombra.

L’istinto ebbe il sopravvento. Si alzò, corse verso l’amica e si gettò tra le sue braccia piangendo senza ritegno. «Mio povero angelo» disse Ellen stringendola forte «dev’essere stato terribile per te. Ma ora siamo qui noi. Tony non permetterà che lui ti faccia ancora del male, me l’ha promesso.»

Ghislaine non riusciva a profferire parola. I singhiozzi le chiudevano la gola mentre Ellen la guidava all’interno, nel salone. «Non è… Io non posso…» disse alla fine.

«Zitta, ora. Tony, guarda se riesci a trovare qualcuno che ci porti un tè. Gilly ha bisogno di una buona tazza di tè forte per calmarsi.»

Ghislaine udì una risposta affermativa mentre Ellen la faceva sedere su un sofà, e riuscì anche a fare una risatina dicendo: «Voi inglesi pensate che col tè si risolva tutto».

«Perché è così. Per questo siamo un popolo equilibrato e rispettabile» replicò Ellen accarezzando i capelli dell’amica.

«Equilibrato e rispettabile come Nicholas Blackthorne?» disse Ghislaine con voce rotta.

«Gilly, dimmi che cosa ti ha fatto. È stato molto cattivo? Ti ha fatto molto male? È stato terribile che ti abbia rapita a quel modo. Come devi odiarlo!»

La risata di Ghislaine fu quasi isterica. «Devi portarmi lontana da lui, Ellen.»

«Non preoccuparti, piccola, lo faremo. Tony e io ti proteggeremo. Se non vuoi Nicholas vicino, ti prometto che non ti toccherà mai più. Ci penserà Tony.»

«Ci penserà Tony» ripeté Ghislaine, per un attimo distratta dalla propria disperazione. Abbassò gli occhi sulle mani che stringevano le sue, sull’anello di diamanti e zaffiri, e cercò di sorridere mentre diceva: «Capisco».

Ellen arrossì fino alla radice dei capelli. «Lo amo da sempre. Oh, Gilly, sono così felice! Non puoi immaginare che cosa significhi!»

Gilly rispose piano: «Sì, posso immaginarlo».

«Oh, no! Pensavo che tu odiassi Nicholas. Non sarai per caso… Non puoi essere…»

«Lo amo, Ellen.»

«Oddio! Perché proprio lui con tutti gli uomini che ci sono? Il più egoista e dissoluto buono a nulla del mondo! Potrei ucciderlo. Potrei assolutamente ucciderlo!»

«È vero che riesce a suscitare nelle persone quell’impulso» affermò Ghislaine con una risata in sordina. «Devo andar via di qui. Subito, prima che torni. Non so dove sia andato ma può tornare da un momento all’altro.»

«Non temere, ti porteremo via. Anche se si potrebbe obbligarlo a sposarti se tu lo ami…»

«No! Questo non farebbe che peggiorare le cose!» gridò Ghislaine.

Sir Antony Wilton-Greening si stava avvicinando. Il suo volto era l’emblema della compassione. «Faremo tutto il possibile per assistervi» annunciò solennemente.

Ghislaine si sentì in colpa. «Non sono sicura che vorrete farlo.»

«Certo che vogliamo. Ti abbiamo inseguito per metà del continente proprio per questo!» la rassicurò Ellen.

«Potreste pentirvi di averlo fatto. Io non sono una donna rispettabile.»

«Non dire assurdità. Sei sempre stata riservata sul tuo passato, ma non sono un’idiota. Ho immaginato che avessi perso la famiglia durante il Terrore. Devi essere di buona estrazione. Il sangue non mente.»

«Mio padre era il conte de Lorgny. Il padrino di Nicholas Blackthorne.»

Ellen rimase per un attimo senza parole, poi si riprese. «Non avevo pensato che fossi tanto in alto» ammise.

«A Parigi, quando i miei genitori sono stati uccisi, mio fratello e io abbiamo vissuto per strada.» Fece una pausa. Le parole le bruciavano in petto. «Mi sono guadagnata da vivere nel solo modo possibile.»

Malgrado avesse l’anello nuziale al dito, Ellen non mostrò di aver capito. Fu sir Antony a comprendere subito e si mise tra le due donne. Ghislaine pensò l’avesse fatto per proteggere la moglie dalla sua presenza contaminante.

Invece s’inchinò, le prese la mano e stringendola tra le proprie sussurrò: «Sono stati tempi terribili, mademoiselle. Nessuno vi biasima per ciò che siete stata costretta a fare per sopravvivere».

Ghislaine riuscì a sorridergli. «Strano. Lo dice anche Nicholas.»

«Che cosa ha detto Nicholas?» intervenne una voce maschile fredda e sarcastica.

Lentamente, sir Anthony le lasciò la mano e si voltò verso Blackthorne, ancora fermo sulla soglia, pallido e accigliato. «Buongiorno, Blackthorne» gli disse.

«E c’è anche la mia cuginetta» disse Nicholas avanzando nella stanza. Era visibilmente molto teso. «A che cosa dobbiamo il piacere della vostra compagnia?»

«Siamo venuti a portare via Gilly!» esclamò Ellen.

«No. Lei rimane con me» replicò Nicholas con apparente gentilezza.

«Non siate ridicolo, Blackthorne! Non avete già fatto abbastanza danno? Ghislaine non merita di essere usata a quel modo…» replicò severamente Tony.

«Interessa forse a voi? Se vi vedo un’altra volta sfiorarle le mani vi infilzo il cuore.»

Ghislaine aveva visto la stessa espressione sulla faccia di Nicholas prima che andasse a uccidere il conte di Wrexham ed era sicura che poteva uccidere ancora. La cosa la terrorizzava, ma solo per lui. Se avesse costretto sir Antony a battersi in duello, o avrebbe reso vedova la cugina o sarebbe morto lui stesso.

«Smettila!» gridò Ghislaine. «Sir Antony è sposato con tua cugina. Non ha alcun interesse per me!»

«Solo un morto può non avere interesse per te, piccola mia» disse Nicholas. «Forse è così che sir Antony rischia di diventare.»

«Potete sempre tentare» rispose educatamente Tony. «Pensavo che vi foste stancato di uccidere la gente, ma forse è un’abitudine difficile da perdere.»

«Potreste prenderci gusto anche voi» soggiunse Nicholas in tono minaccioso. «Sarei molto contento di accontentarvi se intendeste provare.»

Ellen si eresse in tutta la sua altezza torreggiando sopra Ghislaine. Le prese la mano dicendo in tono autoritario: «Vieni con me, Gilly. Lasciamo che sistemino loro la faccenda.» E cercò di trascinarla via.

«No! Si uccideranno a vicenda!» esclamò Ghislaine facendo resistenza.

«Non puoi fermarmi. Va’ in camera e aspettami» ordinò Nicholas.

«Mi sembra un’idea eccellente» commentò Ellen tirando l’amica per il braccio. «Vieni.»

«Non capisci» balbettò Ghislaine mentre veniva trascinata su per la lunga scala a spirale. «Lo ucciderà. Ucciderà tuo marito e questo distruggerà anche lui!»

«Tu non conosci Tony molto bene. Sa come trattare con Nicholas. È vero che mio cugino è pericoloso, ma ho molta fiducia in Tony. Andiamo in camera tua a fare i bagagli e quando avranno finito di discutere noi saremo già a metà strada dal nostro albergo.»

«Ellen!»

Raggiunsero il pianerottolo del primo piano. «Forza, Gilly, a meno che tu non preferisca rimanere. Credo che abbia molto interesse per te. Non l’avrei ritenuto possibile con un uomo come Nicholas, ma ci può essere speranza per il futuro, se lo ami. Non l’ho mai visto tanto possessivo nei riguardi di una donna.»

«Non capisci? Non posso rimanere!»

Ellen scosse il capo. «I francesi sono proprio pazzi, l’ho sempre sospettato. E questo mi ricorda che è arrivata una lettera per te. L’ho tenuta nella borsetta durante tutto il viaggio.»

In quel momento udirono un tintinnare di lame. «Si stanno battendo» disse Ghislaine terrorizzata.

«Tony saprà difendersi senza uccidere Nicholas. Abbi fede» la rassicurò Ellen con calma.

«Io non ho fede.»

«È ora che cominci ad averne. Ma adesso andiamo in camera. Farò i bagagli per te mentre leggi la tua lettera.»

Ghislaine avrebbe voluto scendere al piano di sotto e gettarsi tra i due contendenti. Ma Ellen era più alta, più forte e più determinata di lei. Le impose con un gesto di andare in camera, la spinse dentro e dopo averla fatta sedere le diede una busta spiegazzata.

Ghislaine guardò la grafia sconosciuta con una parte della mente tesa verso il piano di sotto, timorosa di udire rumori che annunciassero il peggio. Ellen aveva trovato una valigia e la stava riempiendo di abiti.

«Come è possibile che qualcuno sapesse dov’ero?» chiese lei colta da ulteriore panico. La lettera era indirizzata alla Cittadina Ghislaine de Lorgny; non suggeriva niente di buono. Chi poteva sapere dove si trovava se aveva mentito persino a Marthe del Coq Rouge?

Aprì la busta con mani tremanti. Quattr’ossa non sapeva leggere né scrivere, ma sapeva dove trovare uno scrivano che volesse guadagnare qualche soldo. Certo che sapeva dov’era andata. Quattr’ossa sapeva tutto, incluso ciò che lei non voleva dire.

Alzò la testa e con gli occhi pieni di lacrime disse con voce rotta: «Mio fratello è vivo. L’hanno trovato».

Ellen smise di fare i bagagli. «Hai un fratello?»

«Te l’ho detto prima, in salone. Ora è in un piccolo villaggio sulle montagne francesi. Devo andare da lui. Devo assolutamente andarci.» Si alzò in piedi asciugandosi in fretta le lacrime.

Senza esitare Ellen rispose: «Certamente». Poi guardò la valigia che aveva preparato con tanta cura e aggiunse: «Mi domando se abbiamo abbastanza spazio per questa».

Ghislaine la guardò stupita. «Che cosa vuoi dire?» chiese.

«Io vengo con te, è ovvio. Sono ormai abituata a viaggiare, da quando Tony e io siamo venuti a cercarti, e non ho alcuna intenzione di lasciarti andare da sola. So bene quanto ti terrorizzi il solo pensiero di tornare in Francia. Almeno con me al fianco hai qualcuno cui appoggiarti.»

Ghislaine riuscì a rivolgerle un lieve sorriso. L’innocenza di Ellen non sarebbe mai stata in grado di salvarla dalle forze oscure che la minacciavano in Francia. Paragonata a lei, Ellen era sprovveduta come una neonata, ma Ghislaine l’adorava per la sua determinazione. Tuttavia riuscì a dire con fermezza: «No, tuo marito non lo permetterebbe mai».

Ellen chiese timidamente: «E non lo lasceresti venire con noi?».

«Assolutamente no. Devo andare da sola.» La lettera di Quattr’ossa diceva che lei doveva arrivare da sola nel paesino di montagna chiamato Lantes. Altrimenti le probabilità di vedere il fratello sarebbero state nulle.

Ellen scosse le spalle e sorrise allegramente. «Dicono che la lontananza aumenti l’amore. Tony mi perdonerà.»

«Che scusa addurrai per lasciarlo qui?»

«Tony sa del mio debito con te, e che non potrò mai ripagarlo. Capirà» disse caparbiamente.

Ghislaine non trovava nessun argomento da opporre alla decisione dell’amica. Alla fine rinunciò. La verità era che voleva la compagnia di Ellen, sia per non affrontare da sola il rientro in un paese dove aveva giurato di non rimettere piede mai più, sia perché l’aiutasse a superare il trauma di lasciare Nicholas.

La sua esitazione fu di breve durata. «Lascia qui metà del tuo bagaglio. Se vuoi venire con me devi essere pronta a viaggiare in fretta e in modo leggero.»

Ellen le rivolse un sorriso radioso. «Sapevo che avresti finito per darmi ragione.»

 

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Nicholas crollò in un angolo, senza fiato e con il braccio della spada leggermente sanguinante. Guardò sir Antony Wilton-Greening, che non era in condizioni migliori. Era nell’angolo opposto e anche se il taglio alla mano era abbastanza profondo sarebbe guarito presto.

«Siete più bravo di quanto mi aspettassi» riuscì a dirgli accigliato e ansante.

«Be’, in quanto a questo, nemmeno voi volevate uccidermi, vero Blackthorne?» disse allegramente Antony, anche lui con il fiato corto. «Ghislaine vi ama, io adoro vostra cugina e tutta questa violenza è assolutamente mal riposta. Perché non sposate la ragazza e risparmiate a tutti un sacco di guai?»

«Dubito che lei mi voglia» borbottò Nicholas appoggiando la testa al muro e fece un respiro profondo cercando di riprendere fiato. «È convinta che le abbia rovinato la vita e non sbaglia del tutto. Se fosse abbastanza pazza da sposarmi, probabilmente le rovinerei qualsiasi opportunità di essere felice che potrebbe ancora avere. È la maledizione dei matti Blackthorne, sapete.»

«Non ne posso più della storia dei matti Blackthorne» disse chiaro e tondo Tony. «Non si può negare che abbiate degli antenati strambi e che voi abbiate fatto il possibile per mantenere viva la reputazione della famiglia. Ma questo non significa che non possiate cambiare. Se lo volete.»

«E perché dovrei volerlo?»

«Mi sembra ovvio. Perché non le dite che l’amate? Me ne sono accorto persino io dopo avervi visto insieme per pochi minuti. Lei dovrebbe averlo capito, ma scommetto che non glielo avete mai detto.»

«Non sono fatti vostri.»

«Lo sono quando decidete di infilzarmi in un attacco di nervi. Se volete sposare la ragazza, ditele che l’amate. Credete a me. È molto meno penoso di quanto immaginiate.»

A questo punto il senso dell’umorismo che Nicholas aveva perso da tempo riaffiorò. «Questo sarebbe il vostro consiglio? Avreste dovuto darmelo prima che cercassi di uccidervi.»

«Non fateci caso, amico. Non mi aspettavo niente di diverso da voi» disse Tony con un vago gesto della mano. «Ma se siete disposto ad ascoltarmi, vi dico che, se fossi in voi, non aspetterei altro tempo. Andate di sopra e ditele la verità.»

Nicholas lo guardò con espressione sospettosa. «Siete sicuro di non avere un interesse personale in tutto questo?»

«Ho un grande interesse personale. Se Ghislaine non vuole stare con voi, l’onore mi impone di tenerla a casa mia. Nel qual caso sarebbe la terza partecipante alla mia luna di miele e voi cercherete di infilzarmi un’altra volta. E non so chi dei due farà fuori l’altro.»

Nicholas si alzò in piedi e si appoggiò al muro sforzandosi di controllare il respiro. «Lei non andrà da nessuna parte» disse con un tono abbastanza tranquillo.

Tony sospirò. «Potreste almeno chiederlo per favore.»

Nicholas si avviò verso la porta ma venne raggiunto da Taverner che, scuro in volto, disse: «Non vi piacerà, Blackthorne: se ne sono andate entrambe».