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IL CONTINENTE

 

 

 

Gli aveva mentito. Ghislaine non se n’era resa conto che molto più tardi, quando aveva avuto il tempo di rifletterci. Aveva mentito anche a se stessa in buona fede. Non avrebbe mai potuto uccidersi anche se credeva di volerlo. Le mani di lui sul corpo le ottenebravano la mente, le toglievano la speranza dall’anima, eppure non poteva uccidersi. Le era negata anche quella speranza. Non poteva pensare di gettarsi dalla carrozza in corsa; non poteva sognare di balzare giù dalla nave che attraversava il Mare del Nord. Anche se l’avesse portata nel posto più temuto di tutti, la Francia, lei non poteva farlo.

Si era confrontata con lo spettro del suicidio quella notte di tanti anni prima, dopo essersi macchiata le mani col sangue di Malviver. Ma aveva fatto marcia indietro. Ora quel momento di calma, di serena liberazione le era negato per sempre. Aveva pensato al suicidio come la sua ultima vendetta, ma ora aveva perso anche quella via d’uscita. Non l’aveva capito finché le circostanze non erano diventate insostenibili.

Era assurdo che considerasse la situazione attuale atroce quanto il nero abisso in cui era caduta la sua anima dieci anni prima, quando era andata a incontrare Malviver, l’artefice della sua distruzione. Aveva accettato di incontrarlo con il proposito di offrirgli il suo corpo in cambio di denaro per nutrire il fratellino e per salvarsi dal potente Consiglio di quartiere. Si era già data al macellaio ed era sopravvissuta. Il trucco era semplice. Bastava seppellire la mente e le emozioni in quel posto segreto della sua anima dove solo il cuore era vivo e batteva, mentre tutto il resto cessava di esistere.

Ma aveva sopravvalutato la sua capacità di controllo e sottostimato la pressione delle emozioni che pensava di avere annullato, come l’odio, la rabbia, la vendetta. Malviver non era Porcin, il gentile e goffo macellaio che cercava solo di rilassarsi per una ventina di minuti. Non era nemmeno un nobiluomo inglese dissoluto e alcolizzato, che amava far soffrire le donne e che aveva un debole per le vergini.

Quell’uomo era sobrio, potente e crudele. L’aveva aspettata nella bottega del macellaio, dove erano già spariti i segni della presenza di Porcin. Le carni non c’erano più e i mobili non erano quelli della classe operaia. Malviver era ben pagato dal potere.

Lui era seduto in una stanza male illuminata, con accanto una bottiglia del vino di Porcin. «Chiudi la porta» le aveva ordinato con la voce gutturale che lei avrebbe risentito nei suoi incubi.

Ghislaine aveva ubbidito ed era andata avanti. Il chiarore del fuoco la raggiungeva appena. Si era domandata se lui la ricordasse, o se introdurre le ragazze alla prostituzione fosse stata una cosa ricorrente nella sua ascesa al potere.

Le sue parole le avevano tolto il dubbio. «Hai preferito la strada alla casa di madame Claude? Pensavo che avessi più buonsenso. Vieni, avvicinati.»

Lei non aveva risposto. Mentre obbediva al suo ordine sentiva le gambe appesantirsi. «Vieni alla luce» le aveva detto. «Ecco, così. Sei ancora bella. Se non avessi qualcuno come Quattr’ossa che ti sorveglia, a quest’ora saresti morta. Ti ho pensato spesso da quest’estate. Mi è dispiaciuto che per primo ti abbia avuta quel grassone inglese, ma i soldi sono importanti. Lo sono sempre stati. E poi sapevo che sarebbe arrivato anche il mio momento.»

Ghislaine aveva stretto nel pugno il coltello che aveva in tasca e che portava sempre con sé. Sentire il legno del manico la tranquillizzava un po’. Più lui parlava, più lei stringeva.

Era già stato difficile con Porcin. Con quel mostro sarebbe stato impossibile, soprattutto se avesse continuato a stuzzicarla. Con voce incolore, gli aveva detto: «Devo tornare. Non possiamo fare in fretta?»

«Che impazienza!» aveva riso Malviver. «E che bella voce questa piccola aristocratica. Non l’avevo mai sentita, naturalmente, ma me lo avevano detto. La duchessa della strada, ti chiamano. Voglio che mi parli mentre ti faccio mia. Voglio sentire quella tua voce elegante quando vengo.»

Ghislaine tremava. Istintivamente aveva fatto un passo indietro, ma lui non si era mosso. «Inoltre, non hai un posto dove tornare» le aveva detto.

Lei si era fermata, in attesa.

«Mi dispiace informarti, mia cara, che tuo fratello se n’è andato. Pare che quel povero piccolo idiota si sia reso conto che facevi la puttana per lui. Credo che non abbia sopportato la vergogna. Nessuno sa che cosa gli sia successo, ma immagino che si sia gettato nella Senna.»

«Mentite. L’ho lasciato da meno di un’ora» aveva replicato lei con la voce tremante d’incertezza e di terrore.

«I miei uomini sono svelti. Tuo fratello se n’è andato, duchessa, e non tornerà più. E tu rimarrai con me e farai esattamente quello che voglio, oppure lo seguirai. Vediamo… Da che cosa cominciamo?» Malviver si era appoggiato allo schienale con un sorriso diabolico sulla faccia olivastra. «Perché non ti metti in ginocchio davanti a me? Possiamo cominciare da lì.»

Lei non si era mossa. «In ginocchio, cagna!» aveva gridato all’improvviso l’uomo.

Ghislaine non seppe mai com’era successo. Aveva in mano il coltello, c’era sangue dovunque e lui gridava, con un tono acuto come quando si sgozza un maiale. Poi era tornato il silenzio e lei ricordava di aver corso nelle strade di Parigi. Correva e correva…

Malviver non le aveva mentito, il fratello non c’era più. Quattr’ossa giaceva nella neve sporca e a lei non era nemmeno venuto in mente di vedere se fosse ferito o morto. Le era stata tolta l’unica ragione per cui valesse la pena di vivere e nient’altro importava.

Eppure le ci era voluto un infinito numero di ore prima di perdere l’ultima speranza. Ore passate a vagabondare per le strade chiamando Charles-Louis senza più curarsi che la sua voce educata la indicasse come aristocratica. Né che i bambini plebei non si chiamassero Charles-Louis.

Nessuno l’aveva toccata, nessuno aveva risposto alle sue grida disperate. La gente la schivava, qualcuno le faceva dei gestacci, altri si stringevano di più nei loro cenci. I poveri di Parigi non avevano emozioni da condividere con altre anime perse.

Era finita sul ponte a fissare le profondità fangose della Senna. «Charles-Louis» aveva mormorato per l’ultima volta, con voce rotta.

Non aveva mai saputo che cosa le avesse impedito di saltare nel fiume. Non era stata la speranza, poiché l’ultimo filo era svanito con la scomparsa del fratello. Non era stata una voce scaturita dalla nebbia, come anni dopo sarebbe stata la sua quando aveva salvato Ellen Fitzwater che voleva fare la stessa cosa. E non era stata nemmeno una convinzione religiosa, o la paura dell’inferno.

Ciò che si avvicinava di più alla sua comprensione era che forse non si era suicidata per non dargliela vinta. Perché le forze diaboliche che sembravano cospirare per distruggerla non dovessero trionfare. Avevano ucciso i suoi genitori e rapito suo fratello. Quelle forze l’avevano deprivata di ogni conforto e sicurezza, a cominciare da Nicholas Blackthorne e dall’infatuazione adolescenziale per lui finita nel fango. Per non dire della fame, del freddo, della solitudine e della disperazione, per finire con la peggiore di tutte le ignominie: aveva venduto il suo corpo e non avrebbe mai più riavuto l’innocenza perduta.

Dunque poteva morire, un’anima persa in più travolta da un infame destino, o poteva rinascere dalle ceneri di una vita distrutta come una fenice. Poteva combattere, continuare a combattere e non rinunciare mai.

Poi Ghislaine si era imbattuta nella piccola, modesta locanda Coq Rouge, grazie alla luce della lanterna sulla porta, che fendeva la nebbia. Vi era entrata, dimentica degli abiti macchiati di sangue, e per la prima volta era stata assistita dalla fortuna. La locanda era gestita da una coppia, ma grazie al cielo l’uomo non aveva urgenze di natura sessuale e la moglie, Marthe, era gentile quanto era grassa. Ghislaine aveva avuto un giaciglio caldo e una scodella di zuppa e la mattina dopo aveva cominciato a lavorare in cucina.

Aveva visto Quattr’ossa due volte, una delle quali quando era andata a recuperare le sue misere cose. Non le aveva chiesto che cosa fosse successo con Malviver né lei glielo aveva detto. Una morte in più a Parigi non poteva aver fatto notizia. L’aveva lasciato senza una parola. Il dolore di entrambi per Charles-Louis non aveva bisogno di commenti.

Gli anni seguenti erano stati relativamente tranquilli. La follia che aveva ammorbato Parigi era cessata insieme al Regno del Terrore e con l’ascesa di Napoleone. In città era sorto un cauto ottimismo e il Coq Rouge aveva prosperato.

Marthe aveva passato le redini della cucina alla sua volonterosa discepola. I frequentatori della locanda sapevano di doversi tenere lontani dalla cuoca, sempre col coltello a portata di mano se qualcuno fosse stato così importuno da rivolgerle la parola. Finché Ghislaine si era imbattuta in una pallida rosa inglese, sul punto di suicidarsi proprio sul ponte dal quale lei stessa era stata sul punto di gettarsi. E la sua vita era proseguita lontano dalla Francia in un nido dove aveva trovato la tranquillità.

Quando aveva visto la giovane donna sul parapetto del ponte, Ghislaine aveva capito che cosa le stava passando per la mente. E si era resa conto che, se l’avesse fermata, avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe fatto un passo nel mondo dei vivi. Per un momento aveva esitato. Non voleva assumersi la responsabilità dell’anima di un’altra persona.

Ma non aveva avuto scelta. La compassione che credeva di aver sepolto era riaffiorata e aveva constatato che certe cose della vita potevano ancora farle male. Così aveva fermato la ragazza. E mentre riacciuffava Ellen dal confine con la morte spingeva anche se stessa sulla strada della vita.

Aveva visto Quattr’ossa un’ultima volta poco prima che lei ed Ellen partissero per l’Inghilterra. Gli anni non lo avevano segnato; era sempre un vecchio emaciato, maleodorante e scontroso. Il nome di Charles-Louis non era stato pronunciato, né quello di Malviver. Ma quando lo aveva lasciato mettendogli in mano metà dei suoi magri risparmi, aveva fatto una cosa che non aveva mai fatto prima: gli aveva detto addio con un bacio.

E a quel punto non poteva più tornare indietro. Né fermarsi su quel ponte solitario vicino al Coq Rouge, né aggrapparsi ai sogni confortanti della dolce oscurità dove tutti i pensieri cessavano. I genitori erano là con Charles-Louis. Lei era destinata a lottare. E avrebbe continuato a lottare.

 

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Il viaggio verso la città scozzese di Dunster venne fatto velocemente e in silenzio. Ghislaine aveva osservato il paesaggio, più desiderosa che mai di scappare, ma tra l’apparente indifferenza di Nicholas e l’espressione sospettosa di Taverner non c’era speranza. C’era sempre qualcuno al suo fianco quando si fermavano e anche quando usava il vaso da notte vedeva l’ombra di uno dei suoi carcerieri.

Non era nemmeno sicura che la nave su cui erano saliti fosse diretta in Olanda e non in Francia. Non poteva controllare. Fissava con nostalgia le scure acque del porto, ma i suoi guardiani erano sempre vicini. Non sapeva se Nicholas avesse creduto alla sua minaccia di suicidarsi, ma anche se il viso di lui tradiva solo la noia, la sua figura imponente le era sempre vicina.

Alzarono le vele con la marea del mattino. Ghislaine osservò dalla balaustra la terra che spariva nella nebbia e se fosse stata ancora capace di piangere l’avrebbe fatto.

Con gli occhi asciutti si voltò verso l’uomo che le stava accanto. La guardava con il suo sguardo cupo e misterioso ignorando la costa che si allontanava.

Il vento gli scompigliava i lunghi capelli, che schiaffeggiavano la bella faccia altera.

«Avete vinto» disse lei all’improvviso.

«Davvero?»

«Siete in salvo. Siete riuscito a fuggire dall’Inghilterra prima di essere arrestato per la morte del marito di quella donna. E nemmeno Ellen e il suo amico sono riusciti a raggiungervi. Avete vinto.»

«Lo credete davvero?» mormorò Nicholas facendo scorrere lo sguardo sugli abiti di lei. «Non mi sembra che sia ancora il momento di dirlo. Non ancora.» E fu quella strana espressione nel suo sguardo, non evidente come un’occhiata ironica, che la mise in guardia. «State ancora pensando di gettarvi in mare, mia cara?»

Ghislaine avrebbe dovuto capire che la stava deridendo. Voleva prenderla in contropiede e dimostrarle che lei era un bluff. Il porto era già sparito nella nebbia e l’acqua era scura e profonda attorno alla nave che procedeva spedita. «Quali sono le mie possibilità di scelta?» gli chiese.

Lui sorrise curvando appena le labbra sottili. «C’è una cabina di sotto. Abbastanza spaziosa, con una cuccetta grande e comoda. Il viaggio dovrebbe durare tre giorni. Noi potremmo conoscerci meglio senza essere disturbati.»

Lei mantenne il viso impassibile e voltò la testa per fissare il mare. Non voleva morire, dannazione. E non voleva nemmeno che lui le mettesse addosso quelle mani grandi e forti.

«Cosa scegliete, Mam’zelle? La morte o il disonore?» mormorò.

Ghislaine non riusciva più a pensare in modo razionale. Il beccheggio della nave cominciava ad avere il solito effetto deleterio sul suo stomaco e se avesse dovuto sopportare il mal di mare come le era successo meno di un anno prima, quando aveva accompagnato Ellen in Inghilterra, avrebbe davvero preferito morire.

Il parapetto di fronte a lei era largo. Ghislaine vi mise sopra le mani e Nicholas non fece alcuna mossa per fermarla. «Preferirei l’abbraccio del mare» disse rispondendo alla sua domanda se scegliesse la morte o il disonore.

Lui non sembrò preoccupato. «Davvero? Allora siete libera di accomodarvi. Vi serve una mano per salire?»

Il parapetto era alto e lei troppo piccola. Lanciò uno sguardo irritato all’espressione indifferente di Nicholas. «Posso farlo da sola. Sto solo aspettando che la nave si stabilizzi un po’.»

«Dubito che lo faccia. Il Mare del Nord è famoso per essere sempre agitato. Mi aspetto che continueremo a rollare e a beccheggiare fino all’Olanda.

Ghislaine impallidì afferrandosi al parapetto. «Andiamo in Olanda?»

«Non l’avevamo detto?»

«Mi scuserete se non mi fido troppo delle vostre parole.»

«Siete scusata» rispose lui con un elegante inchino. Lei avrebbe voluto dare uno schiaffo al suo sorriso ironico. «Non siete ancora pronta per andare in cabina?»

«Per subire le vostre indegnità? Mai!»

«No, amore. Per liberarvi di ciò che vi preoccupa. Avete assunto la più bella tonalità di verde che abbia mai visto e pensavo che aveste bisogno di un po’ di privacy. Comunque, se preferite dare di stomaco qui sul ponte siete padronissima di farlo.»

Ghislaine lo guardò accigliata. Se fosse stato in suo potere avrebbe trasferito su di lui quella nausea che stava aumentando a un livello insopportabile. A quel punto persino la vendetta impallidiva davanti alla necessità di un catino e di un letto. «La cabina» disse con voce strozzata. Barcollò per qualche passo allontanandosi dalla balaustra.

Nicholas la prese in braccio, cosa che le fece aumentare il capogiro e quasi cancellare l’ultimo lembo di controllo rimastole. «Pauvre petite» mormorò con un sorriso dolce e sincero. «Ancora una volta vi siete salvata dal lupo cattivo.»

«Non ne sono sicura. Forse preferirei voi al mal di mare» disse lei con un filo di voce.

La luce dell’alba svaniva mentre lui imboccava una stretta scala che portava sottocoperta.

Nicholas rise come chi non è afflitto dal mal di mare. «Mia cara, un simile complimento potrebbe togliermi la virilità. Continuate così e la mia vanità mi farà esplodere.»

Ghislaine era troppo concentrata a tenere in corpo la colazione per prestare la minima attenzione alla cabina. Capì solo che il letto era soffice, la luce fortunatamente bassa, il beccheggio e il rollio della nave più pronunciati e che Blackthorne la guardava con un sorriso diabolico.

Gli disse: «Se non volete rovinare i vostri abiti eleganti fareste bene ad andarvene e a lasciarmi sola. Sono sicura che starò molto male».

«Saggio consiglio, amore mio. Ma prima voglio farvi un omaggio in segno della mia stima.»

Lei temeva che commettesse il grave errore di baciarla. Ma Blackthorne era troppo intelligente per rischiare. Invece le mise tra le mani un catino e se ne andò.

Appena in tempo.

 

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«Dov’è Mam’zelle?» chiese Tavvy comparendo sulla soglia della piccola cabina, quella che Nicholas, con rassegnazione, era stato costretto a dividere con il valletto.

«Nella sua cabina. Dubito che di lei sentiremo più di una serie di lamenti prima che arriviamo in continente» rispose lui con indifferenza versandosi un bicchiere del brandy che si era portato a bordo. Essendo per natura democratico porse poi la bottiglia a Tavvy, che la rifiutò scuotendo la testa.

«Io vorrei sapere una cosa» disse Tavvy lasciandosi cadere sulla sedia di fronte a Blackthorne. «Come vi è venuto in mente, in nome di Dio, di portare la ragazza con noi?»

La bocca di Nicholas si curvò in un sorriso sbieco. «Pensavo che la risposta fosse ovvia.»

«No, sir, non lo è» replicò l’altro. «Avete avuto tutto il tempo necessario per prendervi il vostro piacere mentre io ero fuori a informarmi della situazione. Non è che lei sia tutta questa bellezza, né che sia particolarmente portata a fare l’amore, se capite quello che voglio dire. Questo sì che è ovvio.»

«Detto in modo delicato» convenne Nicholas.

«Allora, perché? Perché l’abbiamo trascinata qui attraversando Inghilterra e Scozia? Perché ci siamo imbarcati su questo vecchio colabrodo di nave e andiamo in Olanda invece di prenderne una decente e andare in Francia? Perché non l’avete mollata a Dunster? Vostra cugina e il suo uomo l’avrebbero presa e riportata in Inghilterra. E tutto sarebbe stato a posto. Ciò che avete fatto non ha senso, ecco.»

Nicholas sospirò. «Non sono sicuro di doverti una spiegazione, Tavvy.»

«Lei non è una puttana, questo si capisce. È vero che ha tentato di uccidervi ma, conoscendovi, so che non siete il tipo da avercela con lei per questo. Un mucchio di donne, e di uomini, vorrebbero uccidervi, e i più con ragione. Quindi, perché non lasciate andare quella povera piccina?»

Nicholas gli sorrise in un modo che avrebbe intimidito qualsiasi essere umano meno virile di Tavvy. Invece lui si limitò a ricambiare lo sguardo. Il padrone esclamò: «Quella povera piccina? Non sapevo che ti avesse fatto tanta impressione. Ti rendi conto che stiamo parlando della donna che ti ha dato un colpo in testa con un secchio e ti ha nascosto in un cespuglio?»

«È una piccola ribelle pronta a tutto, non lo nego. Ma non mi piace vederla maltrattata.»

Nicholas appoggiò lentamente il bicchiere. «Da quanto tempo mi conosci, Tavvy?»

«Più di dieci anni, sir.»

«Lascia perdere quello stupido “sir”. Tu fai domande che nessun domestico farebbe, perciò è meglio che ci parliamo da pari a pari. Perché credi che dovrei lasciarla andare? Perché questo improvviso attacco di compassione per un essere umano? Anzi, per la precisione, per una donna?»

«Mi dispiace per lei» insisté testardamente Tavvy. «Qualsiasi cosa facciate, continuerà a combattere. Da un lato mi dispiacerebbe molto vederla sconfitta.»

«Sei un romantico. Non conoscevo questo lato di te. In verità io provo la stessa cosa» mormorò Nicholas.

Tavvy annuì. «Non mi preoccupo solo per lei. Ma anche per voi.»

Nicholas spalancò gli occhi; non era più indifferente. «Mi interessa moltissimo ciò che dici, Tavvy. Mi conosci meglio di chiunque altro, inclusi i miei genitori. Perché ti preoccupi per me?»

«Lei vi distruggerà.»

«Non essere ridicolo. Una ragazzina minuta come lei? Ci vuole molto più di una francesina ribelle per distruggermi. Ho concentrato tutti i miei sforzi nell’autodistruzione per quindici anni e non ho ancora finito.» Il suo sorriso era freddo quando disse: «Quindi, perché dovrei preoccuparmi che Ghislaine de Lorgny riesca a distruggermi quando io stesso e altri abbiamo fallito?»

«Lei vi rende debole» ribatté Tavvy. «Ho visto come la guardate, a volte, quando la stanza è in penombra e lei è impegnata nelle faccende. Sembrate un gatto in amore, questa è la verità.»

Nicholas rise. «Così, mi credi uno stupido innamorato. Altro che i matti Blackthorne! È la tua salute mentale che mi preoccupa adesso!»

«Non dico che siate proprio innamorato. Ma non siete più lo stesso. Non ve la siete nemmeno portata a letto quella ragazza. O no?»

«Accidenti alla tua impudenza, Tavvy» disse Nicholas in tono tranquillo. «Questo non ti riguarda. E se non mi sentissi attratto da lei?»

«Un tempo non c’era donna che non vi attraesse» ribatté Tavvy. «Voi la volete; l’avete avuta a portata di mano per una settimana, ormai, e ancora non vi siete infilato sotto la sua gonna. La trascinate nel continente, la lasciate sola in cabina e mi domandate perché sono preoccupato?»

«Ha il mal di mare. Permettimi di essere infastidito. Se ti fa sentire meglio, sappi che la violenterò appena saremo sulla terraferma. Puoi guardare, se vuoi.»

«Ho già visto in passato, ma non credo che con questa vi piacerebbe avere un pubblico.»

Nicholas stentava sempre più a controllarsi. «È perché la vuoi tu, Tavvy? Non è altro che una cuoca, dopotutto; non è così in alto da non farsi toccare da un valletto. Forse hai bisogno di sistemarti, di crescere qualche marmocchio, e magari riuscirai anche a diventare maggiordomo.»

Tavvy scosse la testa respingendo la provocazione. «Lei non è per i tipi come me. So riconoscere una persona di qualità, che sia inglese o francese, e Mam’zelle non è una serva come le altre. E c’è un’altra cosa.»

«Immagino che me la dirai che io voglia sentirla o no» disse Nicholas con un sospiro.

«Infatti è così. La ragazza è fatta per voi. Lei lo sa ma combatte proprio per questo. Anche voi lo sapete e se aveste un po’ di buonsenso la gettereste in mare. Vi farà crollare, Blackthorne. Distruggerà voi, e me, se non vi libererete di lei.»

«Dio, non essere così melodrammatico! E come farebbe una piccola donna francese ad architettare tutto questo?»

«Vi innamorate di lei.» La voce di Taverner era piatta, inespressiva. «Lei lo sa e ne approfitta. Poi vi lascia. Alla fine sono sempre loro che ci lasciano, lo sapete. E la prossima volta che vi batterete in duello sarete distratto. O forse, in una corsa di cavalli, andrete troppo vicino all’ostacolo e sarà la fine.»

Con estrema pazienza, Nicholas ribatté: «Tavvy, sono già anche troppo distratto nei duelli e nelle corse di cavalli. Ho sfiorato la morte per oltre dieci anni. Se stare con Ghislaine de Lorgny può affrettarla, ne sarò felice. Bevi un sorso, amico. Ne hai bisogno».

«No, grazie» rispose l’altro con grande dignità, alzandosi in tutta la sua non eccessiva altezza. «Ma pensate a quanto vi ho detto. Se siete troppo schizzinoso per portarla a letto, forse la cosa più prudente da fare è lasciarla non appena arriviamo in Olanda.»

«Mio caro Tavvy, quando mai mi sono preoccupato di essere prudente?» mormorò Blackthorne.

Taverner se ne andò borbottando fra i denti. Nicholas lo seguì con lo sguardo accigliato. Accidenti a lui, pensò. Ma c’era della verità nei suoi terribili ammonimenti. Aveva lasciato che Ghislaine gli entrasse nel sangue, la sentiva più vicina di qualsiasi altra donna frequentata nel corso della sua egoistica esistenza. Eccetto che per una certa innocente ragazzina francese che aveva conosciuto tanto tempo prima.

Avrebbe potuto averla innumerevoli volte. Quando l’aveva legata nel letto ad Ainsley Hall. E in tutte le locande in cui avevano sostato. Oppure in Scozia, nel letto del padiglione di caccia in rovina.

Ma ogni volta qualcosa lo aveva fermato. Una volta per pigrizia, una per compassione, una per il gusto di prolungare il tormento di lei. Non era mai stato per mancanza di desiderio. Aveva tentato di sfogarsi con quella cameriera della locanda, ma il loro energico amplesso aveva avuto come risultato di fargli desiderare di più Ghislaine.

Tavvy aveva ragione a metterlo in guardia, accidenti al suo intuito. Lui era diventato troppo sentimentale riguardo alla prigioniera. Era ora di chiarire il loro rapporto. Lei aveva il destino segnato e lui aveva intenzione di farglielo vivere appena giunti in Olanda. Una volta stanco della ragazza si sarebbe liberato dell’ossessionante concupiscenza che lo consumava.

Tuttavia doveva riconoscere che se si fosse trattato solo di concupiscenza avrebbe sbrigato la cosa da un pezzo. Non avrebbe ascoltato la coscienza. Non avrebbe esitato nemmeno per un momento. E certamente non sarebbe andato con un’altra donna al posto suo.

Nicholas non era affatto disturbato al pensiero della propria distruzione, per opera di lei o di chiunque altro. Era il pensiero della propria esitazione che trovava insopportabile.

Aveva bisogno di fare quanto era necessario per togliersi di dosso quella debolezza. Nella sua vita non c’era posto per la pietà o la tenerezza. La Scozia era stata uno sbaglio fin dall’inizio. Sapeva che non c’era paradiso per quelli come lui e la dolce promessa di primavera nella campagna scozzese aveva suscitato una speranza illusoria. Non c’erano grazia né bellezza nel mondo e chi le aveva promesse al suo animo stanco aveva mentito.

La Scozia era una menzogna, un paese dal suolo roccioso, dal clima inclemente e di eterna solitudine. Ghislaine era una menzogna, con la sua espressione sofferta e l’anima assassina.

Lui non poteva cedere. Tutto ciò che aveva era il suo cuore gelido e amaro che lo preservava dal pericolo di affezionarsi a qualcuno o a qualcosa che non fosse un suo egoistico interesse. Se avesse permesso che solo un’oncia di compassione e di sentimento facesse breccia nella corazza che si era creato intorno al cuore, sarebbe entrato di tutto, a cominciare dal senso di colpa e dal dolore che aveva negato a se stesso per tanti anni. E davvero sarebbe stata la sua fine.

Non voleva che ciò accadesse. Sapeva da un pezzo di poter contare solo su se stesso. E Ghislaine doveva aver imparato la medesima dura lezione, perché da lui non si aspettava alcuna pietà.

Si sentì di nuovo inghiottito dal buio. Il matto Blackthorne aveva persino superato la reputazione della famiglia.

Si alzò appoggiando il bicchiere sul tavolo e si avviò verso la cabina. Pensò all’incredibile pallore verdognolo del viso di Ghislaine, ma poteva anche essersi ripresa. Camminò con passo sicuro sul ponte ondeggiante senza che il brandy che aveva bevuto o il movimento della nave avessero effetto su di lui.

Aprì la porta della cabina senza bussare. Era stata davvero molto male. Lui prese il catino e lo mise fuori dalla porta, poi tornò da lei e si fermò a guardarla. La faccia era pallida e imperlata di sudore freddo, gli occhi erano chiusi e cerchiati da un’ombra scura.

Prima di restare sola in cabina, Ghislaine era scivolata nel francese, cosa che non aveva mai fatto da quando erano insieme. Anche Nicholas l’aveva evitato, perché gli ricordava troppo il passato. L’accento inglese che lei aveva perfezionato era ottimo, con appena un’inflessione plebea per ingannare il prossimo.

Ma il suo francese era quello bellissimo e impeccabile dell’aristocrazia. Gli ricordava i giorni lontani, la gioventù perduta per sempre, uno stile di vita distrutto dall’avidità della classe al potere e dalla rabbia del popolo.

Le ravviò i capelli caduti sul viso ma lei non si mosse, esausta per il malessere e le troppe emozioni. Nicholas si chinò su di lei e le mormorò all’orecchio parole gentili, parole d’amore, in un fluente e tenero francese. Forse, tra i sogni, lei lo udì, perché un lieve sorriso innocente le piegò le labbra e lui fu scosso dal desiderio di prenderla subito lì, nonostante tutto.

Si riprese e si scostò dal letto prima che la tentazione divenisse insopportabile. Solo più tardi nella notte, dopo aver bevuto un bel po’ di brandy con Tavvy, ricordò ciò che aveva detto istintivamente in francese a Ghislaine. Le aveva detto che era la sua bellissima, preziosa bambina, il suo angelo nella notte buia. Le aveva detto che lei era la sua anima, la sua vita e il suo respiro, che era il calore del suo desiderio.

E, che Dio lo aiutasse, le aveva detto la cosa peggiore di tutte. Le aveva detto che l’amava. E anche in quel momento non era certo di aver mentito.