I fatti di Mischief Creek, un racconto la cui idea rimase in gestazione per quasi sei anni, nacque all’incirca a cavallo del secolo: iniziato nell’inverno del 1999, era pronto poco dopo la notte di San Silvestro, nel Capodanno Y2K, o 2000. Il titolo è un omaggio a Bret Harte, che intitolava in maniera simile i suoi racconti.
Lo scrissi dopo una pausa molto lunga nella pratica della forma breve; vi ricordo che il racconto precedente, Pomeriggio dorato, l’avevo finito di scrivere nel 1997. Non c’è che dire, i cinque libri dello strigo mi avevano assorbito un tantino. Soprattutto nelle ultime fasi, nei due ultimi volumi.
Il racconto ha innumerevoli fonti d’ispirazione: Magia e stregoneria di Janet Cave e Margery A. Dumond, Witches & Warlocks di Philip W. Sergeant, La caccia alle streghe in Europa di Brian P. Levack, e non va dimenticata La strega di Jules Michelet. E ben pochi sono stati gli studi sulla magia e sulle streghe che abbiano tralasciato il noto caso di Salem.
Il caso di Salem – del quale nella novella, con la grande attenzione alla verità storica che mi è propria, fornisco lo svolgimento e i particolari, compresi i nomi delle persone coinvolte – fu molto atipico. Ebbe luogo nel febbraio 1692, dunque molto tardi. La follia criminale attraversò l’Atlantico molto tempo dopo che aveva smesso d’infuriare in Europa e vi era quasi scomparsa. Il culmine della caccia alle streghe in Europa si verificò infatti tra il 1600 e il 1620. Inoltre, a Salem furono uccise soltanto ventidue persone. Forse non era poco per una cittadina come Salem, ma i suoi accusatori e i suoi giudici non erano certo all’altezza di un Philipp Adolf von Ehrenberg, vescovo di Würzburg, che in un solo anno bruciò sul rogo novecento «streghe». Un suo collega, il vescovo Fuchs von Dornheim di Bamberga, ne bruciò seicento. In Franconia, a Fulda, furono bruciate trecento donne nel corso di tre anni. Il record appartiene tuttavia a Quedlinburg: vi furono bruciate centotrentatré donne... in un solo giorno. Nella città slesiana di Nysa – in modo davvero rinascimentale, secondo lo spirito dell’epoca, lo spirito del progresso, come si confaceva al secolo nato dalla rivoluzione industriale – la corporazione dei fumisti costruì su richiesta dei frati domenicani un forno speciale per bruciare le streghe. Il progresso! Sprofondano nell’oblio l’aratro a chiodo, l’arcolaio, la macina a mano e il mucchio di fascine innalzato alla bell’e meglio in mezzo alla piazza del mercato, e al loro posto compaiono l’aratro moderno, il telaio, il mulino ad acqua e il forno per le streghe. Nel prototipo di Nysa furono bruciate appena poche centinaia di donne, è vero, ma in realtà esso costituì un precursore che non andò dimenticato, ma si sviluppò in milioni di esemplari appena tre secoli dopo. Nella stessa regione. Ad Auschwitz-Birkenau.
Ma torniamo a Salem. Studiando il caso, riportai l’impressione irrefutabile che alle sue basi non ci fossero affatto, come nella maggioranza dei casi europei, la psicosi, il fanatismo e la sfrenata misoginia del clero, e qui va detto chiaramente che le Chiese riformate si tenevano valorosamente al passo col clero cattolico e con l’Inquisizione, accusata di qualsiasi delitto possibile e immaginabile; luterani e anglicani mandavano le donne alla tortura e sul rogo con eguale fervore. Riportai l’impressione che in realtà allora a Salem nessuno dei delatori e dei giudici credesse alla magia, ma si trattasse in sostanza di soldi o di regolamenti di conti privati, come del resto suggerisce Arthur Miller nel suo celebre dramma. Di qui l’idea e il leitmotiv del racconto, vicino del resto ai Musicanti: torturiamo gli animali perché sono inermi di fronte a noi, torturiamo le «streghe» perché cosa possono mai farci delle donne inermi? E qui, d’un tratto, c’è una sorpresa...
Il racconto comparve nel numero dell’agosto 2000 di Nowa Fantastyka.