I Musicanti, naturalmente, hanno anch’essi la loro storia. Il racconto fu scritto nel 1989 su richiesta di Wojtek Sedeńko, che mi propose di partecipare a un’antologia di fantascienza polacca allora in preparazione. L’antologia, la cui idea e il cui spunto furono chiaramente ispirati a Wojtek dalle famose Dangerous visions di Harlan Ellison, fu pubblicata infine col titolo Wizje alternatywne («Visioni alternative»), mentre originariamente doveva chiamarsi Zagrożenia («Minacce»).

Proprio questo fu il titolo che mi diede Sedeńko quando mi propose di partecipare. Tuttavia mi avvertì che non voleva un fantasy, genere al quale al tempo ero indissolubilmente associato. Ah, pensai, se non può essere un fantasy e per giunta si tratta di Minacce, è chiaro quale stile devo adottare. Prima di allora non avevo mai progettato di scrivere un horror. Non amavo quel genere perché era menzognero già nella definizione, addirittura nel nome. Soprattutto nel caso di quello più alla moda, l’horror cinematografico, chiamato – in modo assai adeguato – splatter. Invece di suscitare orrore, paura e angoscia il più delle volte faceva ridere, e di quando in quando provocava altresì un disgusto quasi vomitevole con gli «effetti speciali» a base di abbondanti schizzi di vernice rossa, gelatine verdi e budella di latex assolutamente realistiche. Mentre io ero cresciuto col buon horror, quello della mia giovinezza, quando il disgelo politico del 1956 fece sciogliere il ghiaccio anche nella traduzione e nella politica editoriale. Allora divorai i classici del genere, i racconti dell’orrore che meritavano davvero quel nome, come La zampa di scimmia di W.W. Jacobs, Il teschio che urla di Francis Marion Crawford, La maschera di Innsmouth e altri racconti di H.P. Lovecraft, L’indagine di Stanisław Lem, innovativo per il genere. Quelli sì erano tempi, quelle erano vere storie dell’orrore. Poi, come si è detto, per molto, molto tempo non ci fu nulla, finché non apparvero Rosemary’s Baby di Ira Levin e L’esorcista di William Peter Blatty. E poi fu la volta di Stephen King col suo Pet Sematary. Che ci crediate o no, quando finii di leggere questo romanzo, a un’ora piuttosto tarda della notte, spensi la luce stranamente di malavoglia.

Ma non furono affatto gli animali di King a darmi lo spunto per scrivere I Musicanti. Dovete sapere che io adoro i gatti, amo in maniera addirittura maniacale queste creature. E quando la sera, fuori della finestra, echeggiava il grido di un gatto torturato accompagnato da un: «Acchiappalo, Rambo!» lanciato dal vicino, uno stomatologo, o dai falsetti divertiti dei deliziosi piccini della vicina, una docente dell’università di Łódz´, ero invaso... No, non da rabbia, non da furia scatenata, non da sete di vendetta. Ero invaso dalla consapevolezza ripugnante, vergognosa della mia impotenza. In seguito venni a sapere che la vicina del quinto piano, un’insegnante in pensione alla quale gli accoppiamenti rumorosi dei gatti impedivano di seguire con l’adeguata concentrazione i destini degli eroi di Dinasty, sfamava le bestiole gettando loro carne macinata accuratamente mescolata... con vetro sminuzzato.

E avevo già l’idea per un racconto. Che era adatto al titolo dell’antologia, Minacce. Torturate gli animali perché sono inermi e non possono ripagarvi, rendervi pan per focaccia? Attenti! Non siatene così certi!

I Musicanti comparve all’interno della succitata antologia nel 1990. Era il mio primo racconto che non apparteneva al genere fantasy, intendendo naturalmente con questo termine il fantasy più classico, storie del tipo sword and sorcery, «spada e magia», ambientate in qualche isola che non c’è. Perché I Musicanti può essere comunque considerato un fantasy. Rientra – come molti horror – nel sottogenere che prende il nome dal titolo di un racconto di Ray Bradbury, Something Wicked This Way Comes, ovvero «qualcosa di strano sta venendo verso di noi».1 Per via degli animali antropomorfizzati, è inoltre affine alla Collina dei conigli di Richard Adams e agli altri fantasy di questo genre «animale».

In conclusione – o quasi –, una curiosità: non tutti sanno perché l’antologia di Sedeńko comparve infine col titolo Visioni alternative anziché Minacce. La stragrande maggioranza degli autori – vuoi per innata pigrizia, vuoi per l’impossibilità di rispettare la scadenza fissata – mandò a Wojtek opere tirate fuori dal cassetto o dai recessi dei dischi rigidi. Com’è facile intuire, ciò fece sì che la gamma dei temi fosse piuttosto ampia e che i racconti non fossero legati da un filo conduttore. Per lo più, quasi a farlo apposta, non vi si faceva neppure parola di una qualsivoglia minaccia, perciò Sedeńko non ebbe altra scelta che adattare il titolo dell’antologia al suo reale contenuto.

Ricordo inoltre che I Musicanti fu inserito anche nell’antologia «gattesca» dell’editrice SuperNOWA. Ma questa, come diceva Kipling, è tutta un’altra storia. Torniamo al tema, e brevemente.

In conclusione aggiungerò che nel 1990 I Musicanti ricevette il premio della Fondazione Letteraria Natalia Gall. Ciò avvenne quasi contemporaneamente al mio primo riconoscimento nel fandom attraverso la statuetta del premio Janusz A. Zajdel. Ciò dimostra che, nonostante l’opinione comune, il mainstream si era accorto di me e mi aveva accettato quasi allo stesso tempo dei patiti del fantasy e del loro ghetto.