18
Rathbone era consapevole del fatto che il caso gli stava sfuggendo di mano. Non era ancora sicuro di quale fosse il nocciolo della questione: quale furia fosse infine sfociata nell’omicidio. Non poteva fare a meno di tornare alla convinzione che Dinah fosse innocente, e si chiedeva se non fosse ciò che voleva credere. Era attratto dalla lealtà della donna verso Lambourn perché desiderava credere nell’esistenza di un amore simile: più profondo del bisogno di sopravvivere, più profondo perfino degli elementi di prova.
Era una convinzione basata sulla ragione, o solo la dimostrazione dell’incapacità della donna di accettare la verità?
Disteso da solo nella camera immersa nel silenzio, Rathbone si sentiva lontano da una risposta. A est il cielo stava impallidendo e la luce filtrava dalle tende nel punto in cui non le aveva ben tirate. Sarebbe stato uno di quei luminosi giorni d’inverno che rendevano ancora più bello e lieto l’arrivo del Natale. Di lì a poco, sarebbe stato il giorno più corto dell’anno. La gente raccoglieva ghirlande di edera e alloro e decorava le porte con nastri. Ci sarebbero stati i cori natalizi per le strade.
Nei giardini, gli ultimi crisantemi stavano sfiorendo, alcuni coperti di brina. C’era odore di foglie umide e del fumo dei camini, tutte le cose belle che evocavano in lui il passare del tempo e l’incapacità di tenere stretta a sé la più preziosa delle cose.
Questo Natale l’avrebbe passato da solo.
Poteva almeno salvare Dinah? Il suo talento professionale era una delle cose a cui aveva creduto di potersi aggrappare: una sicurezza che nemmeno Margaret aveva potuto portargli via. Ora anche quello sembrava meno certo.
Se Dinah era innocente, chi era il colpevole?
Chi mai avrebbe potuto chiamare a testimoniare per aiutarla?
Era addirittura concepibile che la morte di Lambourn e l’omicidio di Zenia non fossero connessi, ma solo due terribili avvenimenti che avevano colpito la stessa famiglia nell’arco di due mesi? Stava forse cercando un filo logico che non esisteva?
Se fosse stato così, allora Dinah era innocente e Zenia Gadney la vittima di qualche folle che avrebbero potuto essere chissà dove. Di certo non sarebbe riuscito a trovare la prova della sua esistenza nei prossimi giorni. Era domenica. E sapeva che Pendock avrebbe voluto rimettere il caso alla giuria prima di Natale, ossia entro il fine settimana successivo. In caso contrario, il processo si sarebbe prolungato. Ai giurati non sarebbe piaciuto e ne avrebbero incolpato lui.
Sentì il peso della disperazione, come se stesse affogando. Era assurdo. Disteso sul letto, immobile, fissava la luce crescente del giorno che si rifletteva sul soffitto. Il suo stato di salute era buono come sempre. Era il disincanto che lo opprimeva, e la consapevolezza di un fallimento molto più profondo della semplice perdita di una causa. Desiderava che Dinah fosse innocente, che fosse sana di mente, coraggiosa, leale, che amasse il marito, anche se morto, più di quanto amasse se stessa.
Fu in quel momento che prese la decisione di andare a far visita ad Amity Herne quel giorno stesso, per cercare di capire qualcosa di più su Lambourn e le sue complicate relazioni. Avrebbe potuto scoprire cose che non gli sarebbero piaciute, ma era troppo tardi per tirarsi indietro davanti alla verità, anche se questa avesse implicato la colpevolezza di Dinah. Non c’era più tempo per compiacere i propri desideri.
L’ora di pranzo della domenica era un momento particolarmente sconveniente per far visita a qualcuno, specialmente se non invitato, ma le circostanze non lasciavano scelta. A Rathbone non importava proprio niente di quanto Amity e suo marito potessero sentirsi infastiditi o offesi.
Si vestì in modo elegante e sobrio, come se fosse appena uscito dalla messa. Quel mattino, la rituale sicurezza della funzione religiosa e le certezze un poco pompose del celebrante non gli sarebbero risultate di giovamento. Aveva bisogno di pensare, di fare dei piani per affrontare la peggiore e più terribile delle possibilità.
Alle dodici e mezzo era davanti alla casa di Barclay Herne. Qualche minuto più tardi, il maggiordomo lo accompagnò, con una certa riluttanza, nel salottino e gli chiese di attendere mentre andava a informare il padrone del suo arrivo.
A dire il vero, era Amity Herne che Rathbone voleva vedere, ma avrebbe colto l’opportunità di parlare con entrambi. Se avesse potuto, avrebbe osservato le loro reazioni in presenza l’uno dell’altra. Si era chiesto se Amity potesse essere stata influenzata da Barclay e dalle sue ambizioni nel prendere le distanze dal fratello. Oliver era più che disposto a metterla sotto pressione per scoprire qualcosa di utile a procrastinare il processo.
Mentre questi pensieri gli affollavano la mente, camminava su e giù nel salottino piuttosto pretenzioso. Sulle mensole erano disposti libri dalla rilegatura in pelle perfettamente identica e sopra il caminetto era appeso un grande, lusinghiero ritratto di Amity di circa vent’anni prima, senza alcun segno sulla pelle del viso e delle spalle. Rathbone era amaramente consapevole della propria disperazione.
La porta si aprì e Barclay Herne entrò, richiudendola dietro di sé. Era vestito in modo informale, con un foulard tenuto morbido attorno al collo invece della cravatta, giacca da camera e pantaloni non abbinati. Sembrava sorpreso e a disagio.
— Buon pomeriggio, sir Oliver. È accaduto qualcosa a Dinah? Spero non sia stata male. — Scrutò preoccupato il volto di Rathbone in cerca di una risposta.
— No — lo rassicurò lui. — Da quanto ne so, la sua salute è discreta. Ma temo di non poter offrire molte speranze che rimarrà tale.
Herne trasalì. — Non so cosa fare per lei — disse sconfortato.
Rathbone si sentiva nervoso, sapendo che stava mettendo entrambi in imbarazzo, forse inutilmente. Decise di continuare. — Ho la sensazione che ci sia qualcosa che mi sfugge, qualcosa di vitale importanza. Vi sarei grato se potessi parlare apertamente con voi e vostra moglie. So che è domenica e che potreste avere altri programmi, prossimi come siamo al Natale. Tuttavia, questa è l’ultima possibilità che ho di trovare un motivo per sollevare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza della signora Lambourn, o di chiedere la grazia.
L’ultima traccia di colore svanì dal viso di Herne, lasciandolo esangue, la fronte imperlata di minuscole gocce di sudore. — Forse, se mi seguiste nel salotto... Dobbiamo ancora mangiare, e potreste unirvi a noi.
— Mi dispiace recarvi disagio — si scusò Rathbone, accodandosi a Herne fuori dalla porta e attraverso il magnifico ingresso fino al salotto. Era un ambiente sontuoso con tende di velluto bordeaux e mobili pregiati color amaranto con piedi di mogano finemente intagliati. I tavolini gemelli erano tirati a lucido, come se non fossero mai stati usati.
Amity Herne era seduta accanto al caminetto, in cui il fuoco era già vivace anche a quell’ora del primo pomeriggio. Fuori dalla finestra, il sole invernale rischiarava un piccolo giardino. Le piante perenni erano state potate e la terra scura e fresca sarchiata e rastrellata.
Amity non si alzò in piedi. — Buon pomeriggio, sir Oliver. — Era sorpresa di vederlo, e chiaramente non le faceva piacere. Lanciò un’occhiata al marito per leggere la sua espressione. Poi si voltò di nuovo verso Rathbone.
Herne rispose alla domanda implicita della moglie. — Sir Oliver vorrebbe parlare con noi, per vedere se possiamo riferirgli qualcosa che sia di aiuto a Dinah — spiegò.
Amity guardò Rathbone. I suoi occhi nocciola erano freddi, guardinghi. Doveva detestare ciò che Oliver le stava ricordando in quella tranquilla domenica, quando forse aveva sperato di negarlo a se stessa, almeno per avere un giorno di respiro prima dell’inevitabile.
— Vi chiedo perdono — si scusò di nuovo sir Oliver. — Se fosse stato possibile scegliere un momento più consono, l’avrei fatto. — La donna non l’aveva invitato a sedersi, ma lui lo fece ugualmente. Si mise deliberatamente comodo, indicando la propria intenzione di fermarsi. Vide dall’impercettibile cambiamento nell’espressione della donna che aveva capito.
— Non so cosa pensate che possa dirvi — osservò un po’ freddamente lei. — Non è un po’ tardi, ora? — Era una domanda brutale, ma onesta.
— Sì — convenne Rathbone. — Ma ho la netta sensazione che ci sia qualcosa di importante che ignoro, e da cui potrebbe dipendere la difesa.
— Che difesa può esserci per chi ha ucciso una donna... in quel modo? — interruppe Herne, passando accanto a Rathbone e sedendosi sulla poltrona all’altro lato del caminetto, di fronte alla moglie. — Non ci può essere giustificazione al mondo per fare una cosa del genere. L’ha... massacrata, sir Oliver. Non l’ha semplicemente colpita troppo forte durante un litigio. Questo si sarebbe potuto capire. Ma non una simile... atrocità. — Prese fiato, come se volesse cambiare la scelta delle parole, borbottando qualcosa di incomprensibile.
— Non c’è bisogno che tu dia spiegazioni, Barclay — disse prontamente Amity. — Zenia Gadney potrà anche essere stata una donna dissoluta, e una ragione di imbarazzo per la famiglia, ma non meritava di essere sventrata come un pesce.
Di nuovo Herne fece per protestare, e di nuovo si azzittì.
— Certo, voi avete perfettamente ragione — convenne Rathbone. — Non sembra esserci niente che possa giustificare una tale efferatezza. Voi avete detto, e lei stessa lo ha ammesso, che Dinah aveva sempre saputo dell’esistenza di Zenia Gadney, della sua relazione con il dottor Lambourn e del fatto che lui le passava del denaro da oltre quindici anni. In effetti, il denaro proveniva dal fondo domestico ed era registrato nei libri contabili, il 21 di ogni mese. Dinah ha detto che ammirava il fatto che il dottor Lambourn si prendesse cura della signora Gadney e, una volta omologato il testamento, intendeva continuare a farlo.
Amity spalancò gli occhi. — E voi le credete? Sir Oliver, Zenia Gadney, o dovrei dire Zenia Lambourn, era legalmente la vedova di mio fratello. Aveva diritto a ereditare il suo intero patrimonio, non una manciata di sterline al mese concesse a discrezione di una donna che in fondo era l’amante di suo marito.
— Amity... — protestò Herne.
Lei lo ignorò. — Vi sarà difficile presentare questo fatto alla giuria per suscitare compassione, sir Oliver. Uccidere per denaro, anche se per sfamare i propri figli, non è giustificato. Specie in modo così selvaggio. Inoltre, se io fossi il signor Coniston avanzerei l’ipotesi che Joel avesse cominciato a stancarsi di Dinah e stesse considerando la possibilità di chiedere a Zenia di tornare da lui, come sua moglie legittima. E che è stato questo a scatenare in Dinah la furia dell’odio.
— Diamine, Amity! — proruppe Herne. — Devi proprio...
— Ti prego di non essere blasfemo, Barclay — rispose pacata la donna. — Soprattutto nel giorno del Signore e di fronte al nostro ospite. Non sto perorando questa linea d’azione, sto solo avvertendo sir Oliver di quello che potrebbe accadere nella requisitoria dell’accusa. È meglio che sia preparato. Occorre trovare una spiegazione alla violenza del delitto.
Rathbone sentì il senso di gelo dentro di lui farsi più intenso. Non gli era piaciuto per niente quello che Amity aveva detto, né la maniera compassata e sagace con cui si era espressa, ma era vero. Al posto di Coniston, avrebbe forse fatto lo stesso.
— Non l’avevo considerato — ammise. — Ma naturalmente avete ragione. Ci deve essere qualcosa che spieghi la brutalità del crimine, e sebbene non creda a quello che voi suggerite, non posso nemmeno provare che non sia vero.
— Mi dispiace. Vorrei potervi aiutare — disse Amity più gentilmente. — Ma alla fine conterà solo la verità.
Barclay si piegò in avanti, i gomiti sulle ginocchia, e nascose il viso tra le mani. Era più sconvolto lui della moglie? O era semplicemente più emotivo? Lambourn era il fratello di Amity. Forse una parte di lei non poteva perdonare Dinah per il dolore che gli aveva causato.
— Conoscevate bene Zenia? — chiese Rathbone ad Amity. — Voglio dire, prima che divenisse dipendente dall’oppio e si separasse dal dottor Lambourn.
Amity apparve per un attimo confusa. Era chiaro che non si era aspettata quella domanda. Esitò, cercando di pensare alla risposta giusta.
— No — rispose Herne per lei. — Non vivevamo nella stessa zona a quei tempi, e mia moglie non stava abbastanza bene per viaggiare. Joel ci disse che Zenia era una donna buona e tranquilla. Una persona per bene, ma piuttosto comune.
Amity si voltò a guardare Rathbone. Due rughe sottili sulla fronte erano segno della sua irritazione. — Quello che mio marito intende dire è che non era una donna eccentrica e non attirava l’attenzione su di sé.
Diversamente da Dinah, pensò Rathbone, anche se non lo disse. Senza volerlo, pensò a Margaret, e a Hester. C’era stato un tempo in cui la pacata dignità, la grazia e la compostezza di Margaret gli erano parse bellissime, esattamente quello che desiderava in una donna, in particolare in una moglie. La passione e l’energia di Hester imprevedibili com’erano, un po’ lo spaventavano. Ma era forse stato innamorato di Hester come non lo era mai stato di Margaret?
Allora perché non aveva corteggiato Hester prima che sposasse Monk? Era stato saggio, aveva avuto il buon senso di non illudersi che avrebbe potuto essere felice, o era stato solo codardo? Joel Lambourn aveva lasciato Zenia per noia, conquistato dalla vivacità e dalla vitalità di Dinah, e dal suo amore per lui? Se ne era poi pentito?
E lui stesso si sarebbe stancato di Hester? L’ardore e l’intelligenza di lei gli avrebbero richiesto più di quanto fosse stato disposto a dare, forse più passione di quella che aveva?
Non c’era bisogno di angustiarsi. Monk era innamorato di Hester quando l’aveva sposata, forse l’aveva amata da tempo ma non aveva voluto ammetterlo con se stesso. Rathbone si rendeva conto, solo guardandolo, che ora il suo amore per lei era più forte. Gli anni, le belle e le brutte esperienze, avevano modellato per loro un vaso più grande, in grado di contenere un sentimento più profondo. Se lui fosse stato un uomo minimamente degno, gli sarebbe accaduto lo stesso.
Guardò Amity. — Il dottor Lambourn vi aveva confidato quello che provava, signora Herne? Rispetto la vostra sensibilità e il desiderio di proteggere la sua sfera privata, specialmente perché non può più farlo di persona, ma devo conoscere la verità.
Barclay sollevò lo sguardo e osservò Amity, aspettando una sua risposta.
Amity sembrava in lotta con se stessa.
— Posso giudicare solo dalle sue azioni — disse infine. — Aveva iniziato a far visita a Zenia sempre più spesso, forse senza dirlo a Dinah. Magari lei lo aveva scoperto e aveva cominciato a nutrire sospetti, e poi a sentirsi spaventata. Joel era un uomo tranquillo. Detestava le scenate, come penso la maggior parte degli uomini. Ci sono donne che le usano come un’arma, in modo implicito, è chiaro, non apertamente. Dinah aveva la tendenza a recitare, per così dire. Era egocentrica ed esigente. Alcune donne di grande fascino sono viziate e non imparano mai che la bellezza è un onere, oltre che un dono. E si abituano a contare su quello.
— E Zenia era un tipo... comune — intervenne pacatamente Rathbone.
Amity sorrise. — Molto. Non era brutta, solo... come posso dirlo senza essere volgare? Noiosa. Ma era buona e altruista. Forse questo è un altro genere di bellezza, che aumenta con il tempo, mentre un bel viso può avvizzire. Vivere sempre sul palcoscenico può diventare stancante, dopo un po’. Si ha desiderio di ordinarietà, di una sincerità... naturale.
Herne la fissava angosciato. Nella sua espressione, però, nulla indicava cosa lo ferisse.
— Capisco. — Rathbone si accorse di aver parlato con tono piatto. — Questo prima che Lambourn cominciasse a essere angosciato per il rifiuto del suo rapporto sull’uso dell’oppio?
— Ne abbiamo già parlato — lo interruppe secco Herne. — Il rapporto era pieno di aneddoti, il che era assolutamente inappropriato. Joel si era lasciato coinvolgere emotivamente dalle tragedie legate alla questione. È comprensibile. Sarebbe inumano non provare compassione per una donna che ha accidentalmente ucciso il proprio bambino. — Il suo viso si contrasse per lo stato di forte emozione. Sospirò, quindi continuò con voce rauca: — Ma non c’è spazio per sentimenti del genere in un rapporto scientifico. Cercai di spiegarglielo, di fargli notare che il suo resoconto avrebbe dovuto ridursi a fatti e cifre, dettagli concreti che potessero essere misurati, in modo da attuare con calma le misure necessarie a ridurre i rischi. Ma senza essere troppo restrittivi e impedire il legittimo uso dei medicinali. Tuttavia Joel era... isterico. Rifiutava di ascoltare. — Guardò Amity, come per avere la sua conferma.
Conferma che lei diede immediatamente, rivolgendosi a Rathbone. — Joel era assolutamente irragionevole. Era come se avesse perso il proprio equilibrio. Naturalmente lo rispettavo per la sua compassione verso chi soffre, come tutti, ma lasciarsi sopraffare dalle emozioni non era di alcun aiuto alla causa. Ci provammo entrambi... — guardò Herne, che annuì prontamente — ma non riuscimmo a persuaderlo a eliminare dal suo rapporto le mere congetture per attenersi ai fatti. Per ogni caso o testimone avrebbe dovuto fornire solo le informazioni scientifiche.
Rathbone era stupito. Quello che aveva sentito dire da altri sulla condotta professionale di Lambourn era ben diverso.
— Capisco — disse cupo. — Nessuna corte di giustizia accetterebbe delle prove aneddotiche. E posso capire perché il Parlamento non l’avrebbe fatto. Pensate che a quel tempo il suo stato di salute fosse già deteriorato? — domandò ad Amity.
Lei rifletté per qualche istante. Nel silenzio, Rathbone udì un rumore di passi risuonare nell’atrio, poi delle voci.
Amity si irrigidì e stette immobile.
Herne si alzò lentamente, il viso teso dall’apprensione. Si voltò verso Rathbone.
— Il signor Bawtry si unisce a noi per il pranzo — disse con un po’ di affanno. — Aveva detto che sarebbe venuto se fosse riuscito. Mi dispiace. Mi rendo conto che questa è una questione di famiglia, ma Bawtry è il mio superiore e non posso rifiutare.
Rathbone minimizzò con un piccolo gesto della mano. — Certo che no. E abbiamo già discusso la parte più personale della questione. Per altre cose che riguardano il rapporto, o le reazioni del dottor Lambourn al suo respingimento, il signor Bawtry è tanto coinvolto quanto voi. Sarò il più breve possibile.
Guardò Amity, aspettandosi di vedere il gelo nei suoi occhi. Invece vi trovò una tale vitalità da restarne esterrefatto. Amity si riscosse e si alzò, voltandosi verso la porta mentre veniva aperta dal valletto.
Un attimo dopo, Sinden Bawtry entrò. Era stato chiaramente avvertito della presenza di Rathbone. Venne avanti sorridendo ad Amity, poi porse la mano a Rathbone.
— Buon pomeriggio, sir Oliver. Mi fa piacere vedervi, ma immagino siate qui per avere qualche nuova informazione, per portare questo disgraziato processo a una conclusione il più decorosa possibile, magari prima di Natale.
Rathbone gli strinse la mano. Era salda, ma non eccessivamente. Non aveva bisogno di mostrarsi forte. Quella non era casa sua, tuttavia Bawtry dominava naturalmente la stanza come se fosse stato il padrone e gli altri tre ospiti.
— Non c’è niente che possiamo fare — disse Herne con una nota di disperazione. — Abbiamo già spiegato che il povero Joel stava perdendo il controllo di sé, diventando troppo emotivo. Non potevamo accettare come valido il suo rapporto.
Amity gli lanciò un’occhiata irritata, ma l’intervento di Bawtry le impedì di dire alcunché.
— Penso che meno diciamo sul conto del povero Joel, meglio è — disse sorridendo a Rathbone. — Non gioverebbe alla vostra causa cercare di giustificare l’omicidio di quella donna suggerendo che ci sia stata una qualche motivazione. Francamente, l’unica speranza che vedo è di sollevare il ragionevole dubbio che la signora Gadney avesse disperato bisogno di denaro e avesse tentato, con poca esperienza, la via della prostituzione. — Sorrise cupo, quasi come se si volesse scusare. — Potreste farlo senza macchiare troppo il suo nome. Non suggerite che se lo meritava, dite solo che è stata così sfortunata da non sapersi difendere, perché sola al momento dell’aggressione. Se ha urlato, nessuno l’ha sentita. Una donna abituata alla vita di strada sarebbe stata più cauta e non avrebbe frequentato un posto del genere senza un... protettore.
Herne aveva un’aria profondamente infelice. — Era una donna per bene, una volta... — protestò.
— Anche Dinah lo era! — ribatté secca Amity. — Per l’amor del cielo, Barclay, facciamola finita. C’è una sola conclusione possibile. Non illudiamo nessuno fingendo che sia stata una fatalità, e che non c’entrino la gelosia di Dinah, o il suo bisogno di assicurarsi di ereditare il denaro di Joel. La storia che Joel non si è suicidato ma è stato ucciso a Greenwich Park in seguito a qualche misterioso complotto è assurda. Non ci crede nessuno. — Si rivolse a Rathbone. — Se avete qualche...
Bawtry le posò la mano sul braccio, delicatamente, come per accarezzarla.
— Signora Herne, il desiderio di mettere fine alla tortura psicologica che siamo costretti a subire a causa di questo processo è naturale, e rivela la vostra onestà e la vostra umanità. Ma dobbiamo pazientare fino alla fine, in silenzio, se necessario.
Si rivolse a Rathbone. — Sir Oliver farà del suo meglio per vostra cognata, ma è un’impresa destinata al fallimento, e lui ne è consapevole quanto noi. Occorre che la legge sia rispettata. — Il sorriso che indirizzò a Rathbone si estese anche ai suoi occhi. — Immagino che sarà necessario prolungare il processo fin dopo Natale, per mostrare che si è seguita la via della giustizia. È un peccato, ma è inevitabile.
Amity parve rilassarsi, e una sorta di tranquillità sembrò pervaderla. I suoi occhi tornarono luminosi. — Mi dispiace, ovviamente — disse piano. — Ma non posso oppormi all’inevitabile. D’altra parte sarebbe innaturale non provare angoscia.
— Assolutamente — convenne Bawtry. Spostò lo sguardo dalla donna al marito. — So che gli eravate affezionato, Barclay, e che queste rivelazioni su sua moglie devono essere scioccanti per voi. È comprensibile che desideriate negarle, ma sono sicuro che troverete la forza in vostra moglie. E che sarete grato di non aver perso le vostre capacità, o la vostra reputazione professionale, come è stato per il povero Lambourn.
Con uno sforzo che visibilmente gli costava sofferenza, Herne si ricompose, si raddrizzò e guardò davanti a sé.
— Certo — assentì. Si voltò verso Rathbone. — Mi rincresce che non abbiamo potuto esservi di maggiore aiuto, sir Oliver. Temo che i fatti siano incontestabili. Grazie per essere venuto.
Rathbone non aveva scelta se non di andarsene educatamente. Nella sua testa le impressioni si affollavano, nessuna delle quali gli pareva tuttavia di aiuto.