11
Dopo che Rathbone se ne fu andato, Hester e Monk se ne stettero seduti al tavolo, l’uno di fronte all’altra. La cucina era un ambiente familiare e confortevole, ma ora il calore che emanava sembrava fermarsi alla pelle.
— Cosa farai per aiutarlo? Cosa puoi scoprire? — Il tono con cui Hester lo disse implicava più una richiesta che una domanda.
— Non lo so — rispose Monk. — Ho già esaurito praticamente tutto il raggio di indagine. Non c’è niente da scoprire sul luogo del crimine. Non sono stati commessi delitti come questo, nessun litigio che andasse oltre un battibecco alla drogheria o frivole divergenze di opinioni. Quella povera donna non sembrava avere rapporti con nessuno, salvo con Lambourn. Non sono nemmeno riuscito a sapere come impiegasse il tempo, a parte il fatto che ogni tanto faceva qualche favore ai vicini, dei lavoretti di cucito. Leggeva libri, giornali...
— Potrebbe essere venuta a conoscenza di qualche informazione su qualcuno, per caso? — suggerì Hester. — Aver sentito qualcosa di sfuggita?
— Forse. — Monk avrebbe voluto offrirle qualche speranza. — Ma non c’è assolutamente niente che lo indichi. Era una donna quasi invisibile. E anche se sapeva effettivamente qualcosa, questo non spiega le mutilazioni.
— Non aveva famiglia? — insistette Hester, con una nota di scoramento nella voce. Un ciuffo di capelli le ricadeva sulla fronte, ma lei non sembrava essersene accorta.
— Nessuno ne ha mai avuto notizia. Abbiamo controllato.
— Ma continuerai a indagare?
— Per Dinah Lambourn o per Rathbone? — chiese Monk accennando un sorriso.
Hester si strinse impercettibilmente nelle spalle, gli occhi le si erano addolciti. — In parte semplicemente per la verità, ma soprattutto per Oliver — ammise.
— Hester... non posso fare molto. Il suicidio di Lambourn non è di mia competenza. Posso rivolgere qualche domanda, ma non sono in grado di giustificare il fatto che ci dedichi troppo tempo. Mi diranno che il rapporto sull’oppio è stato distrutto e io non posso dimostrare il contrario. Potrebbero perfino dire che è stato lo stesso Lambourn a distruggerlo perché sapeva che conteneva imprecisioni. Non hanno bisogno di provarlo.
— È molto che non ti prendi una vacanza. — Hester lo guardò dritto negli occhi. — Potresti farlo adesso. Ti aiuterò io. Ho già chiesto al dottor Winfarthing di vedere quali informazioni riesce a procurarsi, giusto per confrontarle con quanto sostenuto da Joel Lambourn.
Monk fu scosso da un fremito di paura, come una mano gelida sulla pelle. — Hester, se è vero che qualcuno ha ucciso Lambourn a causa di quel rapporto, allora avresti messo in pericolo anche Winfarthing!
— L’ho avvertito — si affrettò a dire lei, arrossendo un poco. — Quindi pensi che ci sia pericolo?
Hester lo aveva manovrato costringendolo ad ammetterlo non solo con lei, ma con se stesso.
— Sì — concesse Monk. — Se Dinah ha ragione in merito al rapporto, allora ci sono in ballo grosse somme di denaro, forse anche la reputazione di qualcuno. Ma non significa che Lambourn sia stato ucciso o che Dinah sia innocente.
— Ti aiuterò — ripeté Hester.
Monk fu felice di dargliela vinta, almeno fino a quando non avesse scoperto la verità. C’era qualcosa nel coraggio di Dinah che lo commuoveva, nonostante la ragione gli dicesse che era colpevole. Di certo non credeva che il suicidio di Lambourn fosse spiegabile con la disperazione per il rifiuto della sua relazione scientifica. La sua carriera e la considerazione di molti colleghi rivelavano che era fatto di una fibra più forte.
Inoltre, consapevole della propria felicità, Monk voleva fare il possibile per distrarre Rathbone dall’amara delusione familiare che aveva patito.
Passò per prima cosa alla stazione di Wapping, poi si recò all’archivio della polizia metropolitana per sapere chi era stato incaricato dell’indagine sulla morte di Joel Lambourn. Sapeva che, vista la sua importanza, il caso non poteva essere stato ristretto alla polizia di Greenwich.
Fu sorpreso nello scoprire che se n’era occupato il sovrintendente Runcorn. All’inizio della carriera di Monk, Runcorn gli era stato amico e socio, diventandone poi il rivale e infine il superiore. Se Runcorn avesse licenziato Monk dal corpo di polizia o fosse stato quest’ultimo a dare le dimissioni era una questione di punti di vista. In ogni caso, si era trattato di uno scontro duro e spiacevole. Non si erano certo lasciati da amici. Monk aveva trascorso gli anni successivi lavorando come investigatore privato. Si era guadagnato una certa libertà su quali casi accettare e quali rifiutare, almeno in teoria. In pratica, era stato un lavoro duro e finanziariamente precario.
Monk e Runcorn si erano incrociati diverse volte in quel periodo. Stranamente, avevano imparato a rispettarsi. In seguito, Monk si era reso conto di essere stato spesso intollerante e aggressivo senza averne motivo. Comandare gli agenti della polizia fluviale gli aveva insegnato quanto danno potesse arrecare al corpo anche un solo subordinato non disposto a collaborare. E questo aveva profondamente cambiato la sua opinione di Runcorn.
Con Monk non più sotto il suo comando, ma sempre un passo avanti nel ragionare, Runcorn aveva imparato ad apprezzarne l’abilità, sviluppando un sorprendente rispetto per il suo coraggio nell’affrontare il disagio dovuto all’amnesia.
Monk aveva perso la maggior parte dei suoi ricordi. Aveva sprazzi di memoria occasionali, ma nessuna immagine completa, tasselli sparsi che non formavano un tutto. Ma ora Monk non ne era più ossessionato. Non temeva più gli estranei, il fatto che avrebbero potuto conoscerlo senza che avesse la minima idea di chi fossero, amici o nemici, o addirittura di cosa potessero sapere sul suo conto che lui ignorava.
Dover di nuovo affrontare Runcorn era peggio che avere a che fare con uno sconosciuto, ma almeno non sarebbero servite spiegazioni. Malgrado anni d’inimicizia, i tempi degli errori di giudizio erano ormai passati.
Monk si recò alla stazione di polizia di Blackheath, dove Runcorn era sovrintendente. Si presentò con nome e grado al sergente alla scrivania.
— È una questione molto grave — gli disse. — Riguarda una morte avvenuta di recente e su cui ho ulteriori informazioni. Potrebbe trattarsi di omicidio. Il sovrintendente Runcorn deve essere immediatamente informato.
Dieci minuti dopo Monk fu portato nell’ufficio di Runcorn. Era una stanza estremamente curata, cosa che non lo sorprese: l’ordine era un tratto tipico di Runcorn che sfiorava l’ossessione, al contrario di Monk. Il numero dei libri era addirittura aumentato, ma ora alle pareti c’erano quadri di scene agresti che alleggerivano l’atmosfera. Una novità decisamente inusuale per l’uomo che Monk conosceva. Posato su uno degli scaffali, c’era un vaso dipinto di blu e bianco, di grande finezza. Forse non valeva molto in termini di denaro, ma era bello nella semplicità assoluta delle sue forme.
Runcorn si alzò e gli andò incontro, tendendo la mano. Era un uomo alto e imponente, il ventre ingrossatosi con l’età. Aveva i capelli più grigi di quanto Monk ricordasse, ma nella sua espressione non c’era traccia della rabbia interiore del passato. Stava sorridendo. Gli strinse brevemente la mano.
— Sedetevi — gli disse, indicando la sedia di fronte alla scrivania. — Culpepper ha parlato di un possibile omicidio.
Monk si era preparato a un’accoglienza completamente diversa, in un certo senso a un uomo completamente diverso. Ne fu spiazzato. Ma se avesse esitato si sarebbe percepito, il che lo avrebbe messo in una posizione di svantaggio, e con Runcorn non poteva permetterselo. Per di più avrebbe dato l’impressione di non essere del tutto onesto.
— Sto lavorando su un delitto particolarmente cruento. Mi riferisco alla donna trovata a Limehouse Pier quasi due settimane fa — cominciò, sedendosi.
Runcorn assunse di colpo un’espressione di sgomento. Sembrava sinceramente sconvolto.
Monk fu di nuovo sorpreso. Di rado l’aveva visto mostrare una tale sensibilità. Ricordava solo una volta, in un cimitero, quando Runcorn era stato travolto da un improvviso moto di pietà. Forse quella era stata la prima occasione in cui Monk aveva provato autentica simpatia nei confronti di Runcorn, apprezzando l’uomo al di là della sua aggressività e dei suoi maneggi.
— Credevo aveste arrestato qualcuno — disse Runcorn a voce bassa.
— L’ho fatto. I giornali non lo sanno ancora, ma non ci metteranno molto.
Runcorn lo guardò con aria interrogativa. — E cosa volete da me?
Monk fece un respiro profondo. — Dinah Lambourn.
— Cosa? — Runcorn scosse la testa, come a dire che era impossibile.
— Dinah Lambourn — ripeté Monk.
— Cosa c’entra lei? — Runcorn continuava a non capire.
— Tutto sembra indicare che sia stata lei a uccidere quella donna vicino al fiume. Si chiamava Zenia Gadney.
Runcorn era impietrito. — Ma è ridicolo. Come poteva la vedova del dottor Lambourn avere legami con una prostituta di Limehouse? — Non era arrabbiato, solo incredulo.
Conscio dell’assurdità della cosa, Monk spiegò: — Joel Lambourn aveva una relazione con Zenia Gadney che durava da circa quindici anni. Andava a trovarla almeno una volta al mese e le dava dei soldi. Per la donna era l’unica fonte di sostentamento.
— Non ci credo — ribatté secco Runcorn. — Ma anche se così fosse, sarà rimasta senza un soldo dopo la sua morte. Sarà tornata sul marciapiede e avrà incontrato qualche folle. Non è la risposta più logica?
— Sì — concordò Monk. — Il problema è che del folle in questione non c’è traccia. Un uomo che uccide in quel modo non commette un crimine isolato, lo sapete bene quanto me. Colpisce con una certa regolarità e con violenza crescente man mano che la sua ossessione peggiora.
— Qualcuno di passaggio? — azzardò Runcorn. — Un marinaio, forse. Introvabile perché non è di qui. E i delitti precedenti li ha commessi altrove.
— Magari fosse così. — Monk era sincero. — È stato qualcosa di tremendamente personale, Runcorn. Ho visto il corpo. Uno abbastanza matto da fare qualcosa del genere lascia delle tracce. Qualcuno lungo il fiume ne avrebbe sentito parlare. Persino un marinaio straniero sarebbe stato notato. Credete che non ci abbiamo già pensato?
— Avrebbero notato anche Dinah Lambourn — ribatté subito Runcorn.
— Infatti... l’hanno vista in tanti... mentre cercava Zenia Gadney. I clienti della drogheria si ricordano di lei, e anche il padrone.
Runcorn appariva scosso. — Volete farmi testimoniare? Non posso. Mi è sembrata una delle persone più sane di mente che abbia mai incontrato. Una donna profondamente innamorata del marito. Era crollata dopo la sua morte. Quasi non se ne capacitava. — Il volto del sovrintendente era segnato dal dolore. — Mi chiedo come si possa affrontare il fatto che la persona che si ama e di cui ci si fida di più al mondo si è tolta la vita. Senza neanche farci capire che soffriva, tantomeno che voleva morire.
— Neanche io. — Monk rifiutò di pensare a Hester. — Immaginate cosa aveva provato nell’apprendere che il marito aveva da quindici anni una relazione con una prostituta di Limehouse.
— Lo sapeva?
— Sì. Sua cognata dice di sì. La stessa signora Lambourn l’ha ammesso.
Runcorn stette immobile al suo posto, come se una parte di lui fosse paralizzata.
— E ha ammesso di aver ucciso questa... Gadney?
— No. Dice di no. Ha giurato di essere stata a una serata con un’amica, una certa signora Moulton...
— Ecco, appunto! — esclamò Runcorn con enorme sollievo. Finalmente si rilassò, mettendosi comodo sulla sedia.
— E la signora Moulton ha detto che erano andate a una mostra d’arte. Messa alle strette, ha confessato che Dinah Lambourn non era con lei — concluse Monk.
Runcorn si irrigidì nuovamente.
— Che cosa volete da me? Non posso testimoniare contro la vedova di Lambourn. Non so niente di lei, conosco solo la sua dignità e il suo dolore. — Runcorn lo guardò negli occhi con franchezza ed evidente compassione.
Questa era la parte più difficile. Monk si sentì insolitamente timoroso di offendere Runcorn. Se ne stupì. In passato era stato ben felice di cercare scuse per litigare.
— Mi ha supplicato di chiedere a Oliver Rathbone di difenderla — disse con lieve imbarazzo. — Lui ha accettato e ora mi ha domandato di aiutarlo. Non so se crede che sia innocente. Niente nei fatti lo prova, finora. Ma tutta la faccenda è piena di punti poco chiari. C’è in gioco molto di più, non si tratta solo di ottenere giustizia per Zenia Gadney.
— Solo? — chiese Runcorn spalancando gli occhi.
Monk proseguì: — Si tratta di ottenere giustizia anche per Dinah e Joel Lambourn. E per l’intera questione della legge sui farmaci.
Runcorn si accigliò. — Joel Lambourn? Non capisco.
— Dinah sostiene che non si sia suicidato. Secondo lei è stato ucciso per via del rapporto che aveva redatto sulla vendita di oppio e sui danni che provoca, soprattutto a bambini e neonati. Lei pensa che quelli che l’hanno ammazzato abbiano ucciso anche Zenia Gadney, facendo ricadere la colpa su Dinah in modo da impedirle di mettere in dubbio la morte del marito o di sollevare troppo interesse sulla sua indagine, la cui documentazione sembra essere scomparsa, comprese le copie e gli appunti.
Runcorn non lo interruppe. Si incurvò solo un poco in avanti, teso e stupito.
— E ovviamente se la sua relazione con Zenia Gadney dovesse diventare di dominio pubblico, cosa che accadrà di sicuro — soggiunse Monk — si avrà una motivazione perfetta per il suo suicidio. — Osservò il viso di Runcorn, leggendovi repulsione, rabbia e poi un’infinita compassione. Non era questo l’uomo che conosceva. Dimostrava una gentilezza d’animo che non gli aveva mai visto prima. Era Runcorn a essere radicalmente cambiato oppure lui stesso? E ora si limitava a percepire quello che in realtà c’era sempre stato?
Runcorn rifletté a lungo prima di rispondere. Quando lo fece, soppesò con cura le parole e il suo sguardo rimase fisso sul volto di Monk.
— Il verdetto del coroner sul caso di Lambourn non mi ha mai del tutto soddisfatto — ammise. — Volevo indagare ulteriormente, per non lasciare spazio al dubbio. — Scosse lievemente la testa. — Non che vedessi altre possibilità. Era lì, solo, seduto per terra con la schiena contro quell’albero. Aveva le vene dei polsi tagliate e coperte di sangue, come i vestiti. Non so neanche perché ho voluto andare più a fondo. Forse perché un uomo che ha famiglia raramente compie un gesto tanto orribile. — Si fermò, come se avesse bisogno di una pausa per riflettere attentamente su cosa dire.
Monk pensò all’esistenza solitaria di Runcorn e si chiese se riuscisse a immaginare come sarebbe stato avere una donna che lo amasse quanto Dinah Lambourn aveva amato suo marito. Ma parlarne sarebbe stato privo di tatto e crudele, e non ce n’era alcuna necessità.
— Il governo era ansioso di chiudere il caso al più presto — continuò Runcorn. — Dissero che il suo lavoro in quel periodo era molto delicato e che aveva commesso gravi errori di giudizio. Non so quali. — Sembrò perplesso. — Per quanto mi risulta, stava raccogliendo informazioni sull’importazione e la vendita di oppio, su dove è disponibile e su come viene etichettato. In cosa poteva essersi sbagliato?
— Non lo so — ammise Monk. — Forse sulla quantità di prove necessarie prima di accettare come autentica una testimonianza. O sul grado di precisione e aggiornamento degli archivi dei medici. I funzionari governativi hanno detto qualcosa?
— No. — Runcorn scosse il capo. — Solo che per proteggere la sua reputazione e la sua famiglia bisognava chiudere il procedimento con la massima velocità e discrezione possibile. Non ero soddisfatto dei dettagli, ma potevo capire la loro ansia. State dicendo che c’è la possibilità che stessero proteggendo se stessi, e non lei?
— Non ne sono certo. — Monk fu franco. — E devo esserlo. Avete mai letto quel rapporto?
— No. La casa l’hanno perquisita loro. E il rapporto sarebbe stato comunque proprietà del governo. Glielo avevano commissionato pagandolo. Dissero che Lambourn si era basato su opinioni che si era formato sull’onda delle emozioni e non su dati scientifici. Tutto qui. — Runcorn sospirò. — Senza essere espliciti, hanno suggerito che fosse la prova della sua fragilità mentale. E non sembravano sorpresi che avesse deciso di togliersi la vita... come se ci pensasse già da un po’.
— Nessun accenno alla relazione con Zenia Gadney?
Runcorn scosse la testa. — No. Dissero che per molti versi era un eccentrico. Forse era a questo che volevano alludere. — Parve affranto, come se riuscisse a immaginare fin troppo bene quella tragedia. — Che cosa volete fare?
— Riesaminare tutte le prove — rispose Monk. — Vedere se la storia di Dinah Lambourn ha un minimo senso e se c’è niente che susciti dei dubbi, che non quadri con il suicidio o con la teoria che Joel Lambourn stesse perdendo il senno o che fosse perlomeno emotivamente instabile.
— Siete sicuro che avesse una relazione con quella donna di Limehouse? — Runcorn restava scettico. Ma faceva il poliziotto da troppo tempo per lasciarsi stupire da qualcosa.
— All’inizio Dinah ha negato di saperlo. Poi lo ha ammesso.
— C’è qualcosa di strano — insistette Runcorn, guardando prima la scrivania, poi di nuovo Monk. — Sarei felice di riesaminare il caso punto per punto e vedere se ci sono stati errori. Ma dovremo farlo con molta discrezione e in via ufficiosa, o il governo interverrà e ci sbarrerà la strada. — Non c’era esitazione nella sua voce, nessun dubbio.
Monk restò colpito da tanto coraggio. Il Runcorn che conosceva non avrebbe mai sfidato l’autorità, apertamente o di nascosto.
Gli porse la mano, e Runcorn gliela strinse. Non vi fu bisogno di parole per suggellare quell’accordo.
— Finisco il servizio alle quattro — disse Runcorn. — Venite da me alle cinque. — Scrisse un indirizzo di Blackheath su un pezzetto di carta. — Vi dirò quello che so e valuteremo da dove cominciare.
Lo stupore di Monk fu ancora maggiore quando giunse all’abitazione di Runcorn quel pomeriggio, qualche minuto prima delle cinque. Era una rispettabile casa di famiglia in una strada tranquilla. Il giardino era ben tenuto e dall’esterno ispirava un senso di comodità, di stabilità. Non l’avrebbe mai associata a Runcorn.
Rimase completamente esterrefatto quando la porta fu aperta non da Runcorn o da una cameriera, ma da Melisande Ewart, la bellissima vedova che lui e Runcorn avevano interrogato come testimone di un omicidio qualche tempo addietro. La signora Ewart aveva insistito per parlare con loro, quando il suo dispotico fratello aveva cercato invano di dissuaderla. A quell’epoca, Monk si era reso conto che Runcorn l’aveva ammirata molto più di quanto avesse voluto, forse se ne era anche un po’ innamorato, benché si sarebbe subito imbarazzato, perfino umiliato, se lei l’avesse intuito. Perfino Monk non aveva fatto commenti: se la situazione fosse stata meno delicata, ci avrebbe scherzato su. Runcorn era l’ultimo uomo al mondo a potersi innamorare, tantomeno di una donna di status e rango sociale superiori, sebbene non avesse soldi e dipendesse da un fratello che trovava oppressivo.
E adesso lei gli stava sorridendo con aria leggermente divertita e forse con un lieve rossore alle guance. — Buon pomeriggio, signor Monk. Che piacere rivedervi. Prego, entrate pure. Gradite una tazza di tè mentre discutete il caso?
Monk ritrovò la parola e la ringraziò, accettando l’offerta. Pochi minuti dopo sedeva con Runcorn in un salotto piccolo ma accogliente che portava tutti i segni di una solida pace domestica. C’erano quadri appesi alle pareti; un vaso di fiori sulla credenza, sistemato con un certo tocco artistico; e una scatola da cucito posata ordinatamente in un angolo. I libri sullo scaffale erano di diverse dimensioni, scelti per il contenuto e non per fare effetto.
Monk si trovò a sorridere finché Runcorn, leggermente impacciato, lo riportò all’argomento della discussione.
— Ecco i miei appunti di quel periodo. — Allungò a Monk un blocco di fogli scritti con grafia elegante e ordinata.
— Grazie. — Monk li prese e lesse.
Melisande servì il tè, accompagnato da dolcetti e pane tostato imburrato. Si congedò nuovamente con una parola di riguardo, senza tentare d’intromettersi. Iniziarono a mangiare.
Runcorn attese pazientemente in silenzio finché Monk ebbe terminato di leggere. Poi quest’ultimo parlò del caso, come se non ci fosse nient’altro di straordinario. Non riuscì a fare osservazioni su come quell’uomo fosse cambiato, mostrando una pace interiore fino a quel momento insospettabile e ora, di colpo, divenuta evidente. Monk non riusciva a ricordare le prime fasi della loro amicizia o in che modo si erano inaspriti i loro rapporti. Faceva parte del suo passato perduto. Ma aveva trovato prove sufficienti della propria indole ruvida: la lingua rapida, l’arguzia tagliente, la grazia fisica, quella naturale affabilità che Runcorn non era mai riuscito a emulare. Runcorn era goffo, sempre all’ombra di Monk, e ogni fallimento nelle relazioni sociali affievoliva sempre di più la sua fiducia in se stesso.
Eppure ora tutto ciò non contava. Runcorn se l’era tolto di dosso e se n’era sbarazzato come si fa con un cappotto logoro. Monk era più felice per lui di quanto avrebbe potuto immaginare. Probabilmente non avrebbe mai saputo come Runcorn aveva corteggiato e conquistato Melisande, che oltre a essere splendida, era più aggraziata e infinitamente più raffinata di lui. Non aveva importanza.
— Avete esaminato Lambourn nel punto in cui è stato trovato? — chiese al sovrintendente.
— Sì — annuì lui. — Almeno questo è ciò che ha detto la polizia.
Monk percepì la sua esitazione. — Ne dubitate? Perché?
Runcorn parlò lentamente, come per descrivere pezzo per pezzo la scena che ricreava nella sua mente. — Sedeva inclinato un poco di lato, come se avesse perso l’equilibrio. La schiena poggiava contro il tronco di un albero, le mani lungo i fianchi, la testa ciondolante da una parte.
— Ma non è quello che ci si aspetterebbe? — chiese Monk con un’ombra di dubbio. — Perché pensate che lo abbiano spostato?
— All’inizio mi dissi solo che non pareva seduto in una posizione comoda. — Runcorn stava scegliendo i vocaboli con insolita cura. — Non ho visto molti suicidi, ma quelli che l’hanno fatto in maniera relativamente indolore sembravano... a loro agio. Perché sedersi in una posizione strana per una cosa del genere?
— Magari è caduto o scivolato in quella posizione — suggerì Monk. — Come avete detto, ha perso l’equilibrio mentre le forze l’abbandonavano.
— Aveva i polsi e gli avambracci coperti di sangue — proseguì Runcorn, aggrottando il volto al ricordo. — E ne aveva sui pantaloni, sulla parte anteriore delle cosce, ma ancora di più ce n’era sul terreno. — Alzò gli occhi verso Monk, lo sguardo fermo. — Che ne era completamente imbevuto. Niente coltello però. Dissero che doveva averlo gettato via, o che magari lo aveva fatto cadere mentre barcollava. Ma non c’erano scie di sangue che portavano al punto in cui si era accasciato. E poi perché diavolo buttare via un coltello dopo che ci si è tagliati le vene? Non si avrebbe nemmeno la forza di tenerlo, figuriamoci di scagliarlo abbastanza lontano perché nessuno lo trovi.
Monk tentò d’immaginarselo, ma invano.
— Che ora era? — chiese.
— Mattino presto. Quando sono arrivato lì erano circa le nove.
— Allora chiunque l’abbia trovato avrà notato il corpo un paio d’ore prima — osservò Monk. — Le sette o giù di lì. Che ci faceva questo individuo nel parco, in cima alla One Tree Hill, alle sette di un mattino di ottobre?
— Una passeggiata — rispose Runcorn. — Esercizio. Aveva dormito male ed era uscito a schiarirsi le idee prima di cominciare la giornata, così ha dichiarato.
— Avrebbe potuto prendere lui il coltello?
— No, a meno di essere completamente pazzo — ribatté Runcorn seccamente. — E su, Monk! Quale persona sana di mente ruba un coltello a un suicida che l’ha appena usato per tagliarsi i polsi? Era un uomo rispettabile, di mezz’età. Lavorava a qualcosa per conto del governo. Non ricordo a cosa, ma ce l’aveva detto.
— Per il governo? — ripeté subito Monk.
Runcorn capì cosa intendeva. — Ho cercato tracce di sangue che portassero al luogo del decesso. Nulla. E il coltello non è mai stato trovato. Ho setacciato dappertutto in un raggio di cento metri dal corpo. Se fosse stato lì lo avremmo scovato.
— Portato via da un animale attirato dal sangue? — suggerì Monk, senza nessuna convinzione.
Runcorn fece una smorfia. — Prendere il coltello e lasciare intatto il cadavere? State perdendo colpi, Monk!
— E allora chi ha preso il coltello, e perché? — Monk diede voce a ciò che entrambi pensavano. — È da qui che dobbiamo cominciare. C’è molto su cui investigare.
— Mi riguarderò le deposizioni — propose Runcorn, pallido in volto. — Dobbiamo essere discreti, per dare l’impressione di voler semplicemente far sì che questo nuovo processo fili liscio. Quelli del governo si comportavano con... — Scrollò le spalle. — Credevo fosse rispetto. Ora comincio a pensare che fosse il loro modo di tenermi fuori.
Monk annuì. — Io mi prenderò un periodo di vacanza. È da tanto che devo farlo. Datemi nomi e indirizzi dei testimoni e dirò testualmente che sto cercando di garantire che la difesa di Dinah Lambourn non porti a galla niente. — Non sapeva se gli avrebbero creduto o se lo avrebbero liquidato con le solite vecchie scuse, promettendogli che se ne sarebbe occupato il governo, ma non riusciva a pensare a una soluzione migliore.
Si congedò da Runcorn e ringraziò Melisande. Poi si immerse nella silenziosa oscurità della strada, pronto a camminare fino a imbattersi in una vettura che lo portasse a casa, anche se non era molto lontano.
Monk cominciò il mattino dopo, informando Orme delle sue intenzioni. Non era sicuro di quello che si aspettava di scoprire o di quali fossero esattamente le ragioni che lo muovevano, tranne che voleva fare il più possibile chiarezza.
Tornò a Greenwich, deciso a parlare direttamente con le persone che avevano visto il corpo di Lambourn. In precedenza non gli era stato fornito il nome dell’uomo che aveva scoperto il cadavere portando a spasso il cane. Ma ora quel nome l’aveva ottenuto da Runcorn. Questa volta, inoltre, avrebbe insistito fino a quando non avesse trovato l’agente Watkins, il poliziotto che era arrivato per primo sul posto. L’avrebbe scovato, dovunque fosse, in servizio o no. Poi sarebbe tornato dal dottor Wembley. Poteva dire che era per mettere al riparo la propria indagine da eventuali critiche mosse dalla difesa di Dinah Lambourn.
Camminava svelto nel sole pallido, senza neanche cercare una carrozza. L’aveva più o meno accettato: sperava di scoprire che Lambourn non si era suicidato né per il rifiuto del suo rapporto da parte del governo, né perché la sua vita privata stava franando.
Era irritato con se stesso. Non era tipo da lasciarsi andare a simili sentimentalismi.
Erano quasi le dieci quando raggiunse l’ufficio tranquillo e ordinato di Edgar Petherton, poco distante da Trafalgar Road. Era l’uomo che aveva trovato il corpo di Lambourn. Monk si presentò e gli spiegò subito chi era.
Petherton era sulla cinquantina ma aveva i capelli già grigi. I suoi occhi erano straordinariamente scuri, il volto cordiale e intelligente. Invitò Monk a sedersi in una bella poltrona di cuoio di fianco al camino acceso, mentre lui si accomodava nell’altra.
— Che cosa posso fare per voi, signore? — chiese. La voce era sommessa e piena di curiosità. — Siete sicuro che è con me che volete parlare e non con mio fratello? Lavora al Naval College e si chiama Eustace. A volte la gente ci confonde.
— Potrei sbagliarmi — ammise Monk. — Siete voi che circa due mesi e mezzo fa avete trovato il cadavere del dottor Joel Lambourn mentre passeggiavate col cane di mattina presto? O era vostro fratello?
A quel ricordo, Petherton non tentò di dissimulare il proprio dolore.
— Nessuno sbaglio, purtroppo. Sono io. Ho già risposto a tutte le domande che mi fece a suo tempo la polizia e un funzionario del governo. Ministero dell’Interno, mi sembra.
— Ne sono certo. — Monk gli diede la spiegazione che aveva preparato. — Posso permettermi di supporre che avete letto del brutale omicidio di quella sventurata trovata a Limehouse Pier all’inizio di questo mese?
Lo shock di Petherton fu evidente. — Ma cosa avrà mai a che vedere con la morte di Lambourn? Il poveretto era già morto da tempo.
— La vedova di Lambourn è stata arrestata e accusata di averla uccisa — replicò Monk. — Stiamo cercando di non dare clamore al fatto, in modo da ottenere almeno la parvenza di un equo processo.
— La signora Lambourn? — Petherton scosse la testa incredulo. — Ma è ridicolo! Santo cielo, e perché mai avrebbe fatto una cosa del genere? Dovete aver commesso un orribile sbaglio.
— È possibile — concesse Monk, chiedendosi se veramente fosse così o se stesse solo pronunciando una frase accomodante. Era davvero tanto ipocrita? Non lo era sempre stato. O forse prima era stato semplicemente meno consapevole dello stato d’animo altrui? — Data la probabile strategia della sua difesa, sto ricontrollando tutti i fatti, in modo che non possano essere distorti.
— E se fosse innocente? — azzardò Petherton.
— Allora dovremo investigare più a fondo per trovare chi ha massacrato quella poverina — rispose Monk.
Petherton aggrottò la fronte. — Credete veramente che una donna, tanto più una signora rispettabile e di buone maniere, possa fare una cosa del genere? — chiese Petherton guardando Monk come se non fosse un uomo, ma una sorta di scherzo della natura.
— Sono nella polizia da molto tempo — replicò lui. — Credo in tante cose che dieci o quindici anni fa avrei trovato improbabili. Ma ciò nonostante stento ad accettare che la signora Lambourn sia coinvolta. Per questo ho bisogno di apprendere i dettagli del caso. Forse c’è un’altra spiegazione. E se è così, devo trovarla.
— Posso solo ripetere quanto ho già detto — disse Petherton, con l’aria di desiderare ardentemente di trovare il coraggio o l’immaginazione di mentire.
— Vi capita spesso di uscire tanto presto con il cane? — domandò Monk. — E di norma andate a Greenwich Park?
— Vado di frequente in quel parco — rispose Petherton. — Ma per rispondere alla vostra prima domanda, no, non esco così presto di solito. Non riuscivo a dormire ed era una bella mattinata. Ero uscito un’ora buona prima del consueto.
— Normalmente raggiungete la One Tree Hill?
— Non direi. Quel giorno volevo pensare. Avevo un problema personale che mi preoccupava. Non stavo prestando troppa attenzione a dov’ero. Me ne resi conto solo quando Paddy, il mio cane, cominciò ad abbaiare e temetti che stesse disturbando qualcuno. Latrava in maniera inusuale, come se qualcosa lo turbasse. E naturalmente era così. Gli corsi dietro e lo trovai all’erta, i peli del collo rizzati, che fissava un uomo seduto a gambe distese e con la schiena contro un albero. Era inclinato un poco da un lato, come se stesse dormendo. Invece era morto.
— L’avete capito subito? — chiese rapido Monk.
— Io... — Petherton esitò, era evidente che il pensarci gli costava fatica. — Credo proprio di sì. Il volto era molto pallido, quasi totalmente privo di colore. Aveva un aspetto orribile. I polsi erano rossi di sangue e c’era sangue anche sul terreno. Al principio non lo toccai. Ero... piuttosto scosso. Quando mi ripresi, mi chinai e gli tastai l’avambraccio, sopra i tagli...
— Aveva le maniche arrotolate? — lo interruppe Monk.
— Sì. Le maniche erano arrotolate.
— Giacca?
— Dunque... per quanto rammento, non indossava la giacca. No, di sicuro portava solo la camicia. Gli tastai il braccio e constatai che era freddo. Aveva gli occhi infossati. Non sentii battito sul collo. Non provai il polso, per via del sangue. — Fece un respiro profondo. — E non volevo... lasciare segni dove... Lo ammetto, non volevo toccare il sangue. Mi sembrava ripugnante, ma anche irrispettoso. Quel poveraccio aveva già raggiunto il punto di degradazione più basso, per un essere umano. Il suo dramma andava trattato con un po’ di... di decenza.
Monk annuì. — Di certo la decisione giusta, in termini sia di rispetto che di procedure della polizia. Dov’era il coltello?
Petherton sbatté le palpebre. — Non vidi nessun coltello.
— Non doveva essere vicino al capo? — continuò Monk, quasi con noncuranza.
— Non c’era. — Petherton scosse il capo. — Forse si era spostato e il coltello era finito sotto di lui.
— Nascosto dalla giacca?
— Ve l’ho già detto, non aveva la giacca, solo la camicia.
— Voi indossavate una giacca?
— Sì, certo. Era ottobre, di mattino presto. C’era a malapena luce. Faceva freddo. — Petherton aggrottò la fronte, chiaramente turbato. — Non ha senso, non trovate? Nemmeno quando sta per togliersi la vita un uomo si causa volontariamente disagio, per esempio camminando al freddo per quasi un chilometro prima dell’alba. Non ci avevo mai pensato. — Si morse il labbro. — Dev’essere stato fuori di sé dalla disperazione, e tuttavia sembrava in pace, come se si fosse seduto sotto quell’albero e avesse semplicemente lasciato che succedesse. — Attese una spiegazione da parte di Monk.
— Aveva assunto parecchio oppio — rispose Monk, guardando fisso Petherton. — Probabilmente è per questo che sembrava così calmo. Forse era quasi del tutto insensibile.
— E allora com’era riuscito a salire su quella collina? — ribatté Petherton. — O intendete dire che ha assunto l’oppio una volta giunto in cima? Ma comunque avrebbe indossato una giacca. Mi chiedo che fine abbia fatto.
— Avete notato impronte di qualcun altro? — chiese Monk.
Petherton sembrò sorpreso. — Non ho controllato. Ve lo ripeto, c’era poca luce. Ci si vedeva appena. Pensate che ci fosse qualcuno con lui?
— Be’, come avete detto voi, avrebbe di sicuro indossato una giacca. A meno che non fosse uscito presto la sera prima senza l’intenzione di andare tanto lontano — replicò Monk.
Petherton capì dove voleva arrivare. — Magari voleva fare una breve passeggiata e tornarsene a casa? Ora che ci penso, era una serata tiepida. Cominciò a fare freddo durante la notte. Anch’io ero rimasto a lavoricchiare fuori in giardino fino a tardi.
Monk cambiò approccio. — Avete visto nulla che potesse contenere oppio, o acqua in cui disciogliere qualche preparato in polvere?
— No, non gli ho frugato certo nelle tasche! — disse con sdegno Petherton.
— Magari poteva tenerci una bottiglietta, o una fiala — insistette Monk.
— Forse una fiala in una tasca dei pantaloni, suppongo. Cosa pensate che sia successo?
— Non lo so, signor Petherton. È quello che devo scoprire. Ma per favore, non discutetene con nessuno, per il bene vostro e di quest’indagine. Abbiamo avuto abbastanza tragedie. Potrebbe esserci una spiegazione del tutto innocente a cui non abbiamo ancora pensato. — Pronunciò quelle parole con disinvoltura, ma un peso gli opprimeva la mente. Era possibile che Dinah fosse uscita dopo di lui, seguendolo magari lungo un tragitto che compiva spesso, e che dopo averlo trovato avesse rimosso il coltello e la fiala per suscitare sospetti?
Monk ringraziò di nuovo Petherton e lo lasciò tanto confuso quanto si sentiva lui. Uscì all’aria fresca e si diresse a ovest, puntando verso la stazione di polizia per parlare con l’agente Watkins.
La cosa si rivelò ben più difficile di quanto si aspettasse. All’inizio venne mandato a Deptford per errore, un viaggio scomodo che gli prese oltre un’ora, solo per scoprire che Watkins se n’era già andato ed era tornato a Greenwich.
Arrivato a Greenwich, fu fatto attendere perché Watkins era impegnato in un’indagine. Passata un’ora chiese di nuovo, e con mille scuse il sergente gli disse che Watkins era stato chiamato altrove e che non sarebbe tornato prima del giorno seguente. Inoltre, non sapeva dove abitava.
Era troppo tardi per tornare dal dottor Wembley, cosa che non aveva comunque senso finché non avesse confermato la storia di Petherton con Watkins. Aveva sprecato un’intera giornata. Andò a casa furioso e più convinto che mai che lo stessero fuorviando di proposito, benché non sapesse dire se lo facessero per proteggere Lambourn o per occultare qualche segreto.
Se fosse stato semplicemente per proteggere Lambourn, Monk avrebbe desistito? No, se esisteva un legame con la morte di Zenia Gadney. Ne fu sicuro mentre attraversava Southwark Park diretto a Paradise Place.
Si presentò alla stazione di polizia di Greenwich il mattino dopo alle sette e mezzo, indisponendo non poco il sergente di turno, e attese fino all’arrivo dell’agente Watkins. Il sergente avrebbe voluto bloccare Monk, ma in quel momento era alle prese con una vecchietta vestita con uno scialbo abito di cotone e uno scialle strappato che si lamentava di un cane randagio.
Monk avanzò verso Watkins, benché il sergente avesse evitato con cura di salutarlo chiamandolo per nome, come invece aveva fatto con gli altri colleghi già arrivati.
— Agente Watkins? — scandì Monk a voce alta.
Il giovane si voltò per guardarlo. — Sissignore. Buongiorno, signore. Ci conosciamo? — I suoi grandi occhi azzurri non tradivano la minima astuzia.
— No, agente, non ci conosciamo — rispose Monk con un sorriso. — Sono il comandante Monk della polizia fluviale del Tamigi, stazione di Wapping. Devo farvi qualche domanda. Gradite una tazza di tè per iniziare la giornata? Magari anche un sandwich?
— Non è necessario, signore, ma... Va bene. — accettò Watkins, tentando di nascondere, senza peraltro riuscirci, la gioia al pensiero di un sandwich appena fatto.
Il sergente spostò il peso da un piede all’altro, inspirando rumorosamente.
— Agente! — disse in tono duro. — Signor Monk, l’agente Watkins ha dei doveri. Non può semplicemente... — Guardò l’ispettore in faccia e la voce gli tremò.
— Avete ricevuto ordini dai vostri superiori di impedire all’agente Watkins di collaborare con la polizia fluviale in qualunque tipo d’indagine, sergente? — chiese Monk senza mezzi termini. — O in un’indagine in particolare? — Pronunciò le ultime parole con voce tagliente quanto la lama di un rasoio.
Il sergente negò balbettando, ma a Monk parve ovvio che era esattamente quanto gli avevano comandato.
Monk accompagnò Watkins a un chiosco all’angolo della strada vicino alla stazione di polizia e comprò tè caldo e dei sandwich. Era un mattino freddo e cominciava a fare luce solo ora. Un vento gelido soffiava dal fiume e penetrava sotto la lana di cappotti e sciarpe.
Watkins era a disagio, ma comprendeva che non aveva altra scelta se non collaborare. Monk avrebbe dovuto fare il possibile per proteggerlo.
— Agente, circa due mesi e mezzo fa voi siete stato il primo ad arrivare sul luogo della morte del dottor Joel Lambourn, sulla One Tree Hill.
— Sissignore.
— Ho parlato con il signor Petherton, l’uomo che ha trovato il dottor Lambourn. Mi è stato molto utile. Però, come potete immaginare, ho bisogno di una persona più esperta per verificare che le sue osservazioni siano corrette.
— Sissignore. — L’agente Watkins sorseggiò il suo tè, ma i suoi occhi non lasciarono mai quelli di Monk.
Monk ripeté per filo e per segno quello che Petherton gli aveva riferito, senza tralasciare i dettagli riguardanti la camicia, le maniche arrotolate, il sangue sui polsi di Lambourn e sul terreno.
— C’era dell’altro? — domandò. — Per favore, pensateci con attenzione, agente. Aggiungere dettagli in seguito non sarebbe opportuno. Nel migliore dei casi sembrerebbe seriamente da incompetenti, mentre nel peggiore apparirebbe come deliberata disonestà. Non ce lo possiamo permettere. La morte di un uomo, chiunque sia, è un fatto gravissimo. In special modo data l’importanza che il dottor Lambourn aveva per il governo. La mia descrizione corrisponde a quanto avete visto? Fate appello alla vostra memoria e poi rispondetemi.
Watkins chiuse gli occhi, rimase in silenzio a lungo e li riaprì, guardando Monk.
— Sissignore, è tutto assolutamente esatto.
— Quindi il signor Petherton è stato preciso e onesto?
— Sissignore.
— Non ha tralasciato nulla? Non c’era nient’altro? Impronte? Segni di una colluttazione? Qualunque cosa?
— Nossignore, assolutamente nulla.
— Grazie, agente. È tutto. Non devo distrarvi oltre dai vostri incarichi. Potete dire al sergente che gli sono obbligato e che vi siete limitato a confermare l’esatta versione dei fatti da voi fornita in precedenza.
Watkins emise un sospiro di sollievo e il colore gli riaffluì al volto. — Grazie, signore.
Monk rivide il dottor Wembley, che però non aggiunse niente di significativo e ripeté semplicemente la deposizione data in passato.
Più tardi, quella sera, sotto una pioggia fredda e sottile Monk andò a casa di Runcorn e gli riferì i risultati della giornata.
Erano nel comodo salottino riscaldato da un bel fuoco. Sul tavolo che li divideva, c’erano tè appena fatto e pasticcio freddo di pollo. Stavolta era presente anche Melisande. Era venuta semplicemente a portare il cibo, ma Runcorn le aveva fatto cenno di rimanere. Vista la fermezza con cui aveva compiuto quel gesto, Monk non fece obiezioni. Non voleva angustiarla. Sapeva molto poco della sua vita, eccezion fatta per il coraggio con cui aveva insistito per testimoniare in quel vecchio caso, quando l’avevano incontrata per la prima volta. Le guardò il volto di sfuggita una o due volte e notò solo compassione e un’intensa concentrazione.
— Sono le stesse cose che hanno detto a me — disse Runcorn dopo che Monk ebbe concluso il suo racconto. — Ho riguardato le istruzioni che mi avevano assegnato. — Sembrava lievemente imbarazzato. — A quel tempo pensavo servissero a salvaguardare la reputazione di Lambourn e lo stato d’animo della sua vedova. Adesso sembrano molto più mirate a insabbiare la verità. E se si danno tutta questa pena per nasconderla, dobbiamo chiederci perché.
— Ha camminato fin lassù in maniche di camicia — rifletté Monk a voce alta. — Oppure aveva una giacca che qualcun altro si è portato via. Ma Petherton ha detto che la sera prima era stata tiepida e che lui stesso aveva passato del tempo in giardino. Durante la notte la temperatura era scesa, e di mattina faceva sicuramente freddo. Pare quasi che Lambourn non intendesse andare tanto lontano.
Runcorn annuì ma non lo interruppe.
— Petherton è sicuro che non ci fosse un coltello né un flacone con cui trasportare liquidi, a meno che non fosse qualcosa di molto piccolo, magari tenuto nella tasca dei calzoni. Watkins ha concordato, specificando che nelle tasche non c’era nulla. Non possono mentire o sbagliarsi entrambi. L’oppio non si può inghiottire senza diluirlo.
— C’era qualcun altro. Nella migliore delle ipotesi si è portato via il coltello e il flacone dell’oppio — concluse Runcorn. — Nella peggiore, la signora Lambourn ha ragione e suo marito è stato assassinato. — Fissò Monk con la fronte aggrottata.
— E si aspettavano di riuscire a nascondere il crimine — pensò Monk a voce alta. — Ma sono stati sbadati. Niente coltello. Niente con cui prendere l’oppio. Nessuna giacca per una camminata così lunga in una sera di ottobre. Sono stati forse colti di sorpresa e hanno dovuto agire in fretta? O è stata solo arroganza?
Melisande parlò per la prima volta. — Sono stati stupidi — disse lentamente. — Il coltello avrebbe dovuto trovarsi accanto al corpo e anche il contenitore della bevanda usata per assumere l’oppio. Perché li hanno portati via? Anche solo lasciare la giacca a terra, di fianco al cadavere avrebbe avuto più senso. — Guardò prima l’uno, poi l’altro. — Il coltello o la fiala avrebbero potuto identificare gli assassini?
Non c’era bisogno di rispondere. Runcorn osservò intensamente Monk. — È davvero possibile che l’abbiano ucciso loro per metterlo a tacere e insabbiare il suo rapporto? Ma perché?
Monk rispose, la voce un poco roca. — Comincio a pensare che sia così. E ci dev’essere una ragione più plausibile che ritardare la divulgazione del rapporto e quindi il disegno di legge.
Sedettero in silenzio per qualche momento. Il fuoco crepitava dolcemente nel camino, creando una luce calda e un suono piacevole e sommesso.
— Che cosa intendete fare? — chiese infine Melisande. Il volto e la voce tradivano paura.
Runcorn la guardò. Monk non gli aveva mai letto in faccia un’emozione così cristallina. Era come se ci fossero soltanto lui e Melisande nella stanza. A Runcorn stava molto a cuore l’opinione che lei aveva di lui, e tuttavia sapeva di dover prendere quella decisione da solo, secondo le sue convinzioni.
Monk tratteneva il fiato, desiderava che fosse Runcorn a rispondere.
Della cenere cadde nel camino. Le braci si sopirono.
— Se non facciamo nulla diventiamo complici — disse finalmente Runcorn. — Dobbiamo scoprire la verità. Se Lambourn è stato ucciso, allora dobbiamo trovare chi è stato e provarlo. E lo stesso dicasi per chi ha nascosto il suo rapporto. — Allungò la mano e sfiorò quella di lei. — Può essere molto pericoloso.
Melisande gli sorrise, gli occhi che brillavano di paura e d’orgoglio. — Lo so.
Monk, dal canto suo, non aveva bisogno di parlare. Se fosse stato certo che Dinah Lambourn mentiva, non avrebbe coinvolto Rathbone e men che meno si sarebbe messo a cercare prove.
Runcorn si alzò e attizzò il fuoco.
Discussero ancora un po’, pensando a come informare Rathbone e a come muoversi se questi avesse chiesto loro di indagare. Infine Monk augurò la buonanotte e uscì nella strada buia.
Aveva smesso di piovere ma faceva più freddo. Si era fatto tardi e a quell’ora avrebbe probabilmente faticato a trovare una carrozza. Gli conveniva dirigersi verso le strade illuminate del centro, dove c’erano circoli e teatri e gente in cerca di vetture, magari anche un locale dove i fiaccherai mangiavano o aspettavano una corsa.
Camminava svelto lungo il marciapiede, che la luce delle lampade di alcuni ingressi illuminava abbastanza chiaramente, quando si accorse che c’era qualcuno dietro di lui. Al principio pensò che si trattasse di un’altra persona in cerca di una carrozza. I suoi passi facevano poco rumore e sembrava muoversi con grande rapidità. Di scatto, Monk si fece di lato per farlo passare. Fu in quell’istante che gli arrivò un colpo alla spalla così forte da rendergli insensibile il braccio sinistro. Se lo avesse preso in testa sarebbe svenuto.
L’aggressore ritrovò l’equilibrio e tornò all’attacco. Stavolta però Monk gli sferrò un possente calcio all’inguine, facendolo cadere in avanti. Lo percosse quindi con il ginocchio sulla mascella e lo sconosciuto crollò a terra. La testa era schizzata all’indietro con tale forza che temette di avergli rotto l’osso del collo. Il randello rotolò rumorosamente lungo il marciapiede e finì in un canale di scolo.
Il braccio sinistro di Monk era ancora paralizzato.
L’assalitore si girò su un fianco, annaspando per rialzarsi sulle mani e le ginocchia.
Sentendosi sollevato che fosse ancora vivo, Monk gli affibbiò un altro violento calcio nell’addome, in modo da mozzargli il fiato.
L’uomo tossì e fu scosso da conati di vomito.
Monk si raddrizzò. C’era un’altra figura sul lato opposto della strada. Non correva verso di lui, come avrebbe fatto un passante intenzionato ad aiutarlo, ma si muoveva in fretta e portava qualcosa nella mano destra.
Monk si voltò. Davanti a sé vide un’altra ombra, forse la sagoma di qualcuno seminascosto in un androne. Girò sui tacchi, il braccio sinistro pesante come piombo e pulsante di dolore. Corse più in fretta che poté nella direzione da cui era venuto.
Era a circa un chilometro dalla casa di Runcorn. Non sapeva quanti altri aggressori ci potessero essere. Era in una zona che non conosceva ed era quasi mezzanotte.
Non andò direttamente a casa di Runcorn. Chiunque lo stesse seguendo se lo sarebbe aspettato. Rimase nelle strade più ampie, camminando il più veloce possibile. Si spostò poi sul retro di un isolato, attraversò diversi giardini e arrivò finalmente alla porta della cucina. Cercò disperato un segno che qualcuno fosse ancora alzato.
Non vide nulla. Si acquattò nel giardino, tra file di ortaggi e un capanno degli attrezzi. Non riusciva a immaginarsi Runcorn impegnato in qualcosa di così casalingo come il giardinaggio. Sorrise tra sé malgrado stesse iniziando a tremare. Non poteva restare là fuori. Tanto per cominciare si gelava, stava ricominciando a piovere ed era ferito. Inoltre, presto o tardi, avrebbero pensato di cercarlo lì.
Raccolse da terra una manciata di sassolini e li lanciò contro una delle finestre al piano superiore.
Silenzio.
Riprovò con maggior forza.
Questa volta la finestra si aprì e Runcorn mise fuori la testa, appena visibile come una sagoma più scura stagliata contro il cielo notturno.
Monk si alzò lentamente. — Ci stanno addosso — disse nel buio. — Mi hanno aggredito.
La finestra si chiuse e un attimo dopo si aprì la porta sul retro. Ne emerse Runcorn, con una giacca sopra la camicia da notte. Non disse nulla e aiutò Monk a entrare, richiuse la porta e serrò il chiavistello. Poi lo squadrò.
— Be’, almeno sappiamo di avere ragione — disse ironico. — Abbiamo una stanza libera. State sanguinando?
— No. Ma non riesco a muovere il braccio.
— Vi porto una camicia da notte pulita e un bel bicchiere di whisky.
Monk sorrise. — Grazie.
Runcorn rimase immobile per un momento. — Come ai vecchi tempi, eh? — aggiunse con mesta soddisfazione. — Solo meglio.