12
Oliver Rathbone era nell’ufficio a sua disposizione presso l’Old Bailey, il tribunale. Stava cercando di raccogliere le idee per iniziare la difesa di Dinah Lambourn, accusata di aver assassinato Zenia Gadney. Era il caso più importante che gli fosse capitato da molto tempo. Aveva già ricevuto parecchie critiche per averlo accettato; osservazioni indirette, naturalmente. Tutti sapevano che ogni persona accusata di un crimine aveva il diritto di essere difesa in tribunale, chiunque fosse e qualunque fosse il capo di imputazione, indipendentemente dalla certezza della sua colpevolezza. Era la legge.
Altra era la questione sul piano psicologico. Accettare in via teorica che qualcuno dovesse difendere Zenia Gadney era parecchio diverso dal farlo in prima persona.
“Non è stata una mossa saggia, Rathbone” gli aveva detto un suo amico scuotendo la testa e storcendo le labbra. “Avresti dovuto lasciare che se lo accollasse qualche pivellino alla disperata ricerca di un caso, senza nulla da perdere.”
Rathbone ne era rimasto ferito. “È questo il genere di avvocato che vorresti per tua moglie?” aveva chiesto.
“Mia moglie non farebbe a pezzi una prostituta per poi gettarla nel fiume!” aveva risposto infervorato l’uomo. “Non ne avrebbe motivo, per la miseria! Non che lo farebbe comunque, ovviamente” aggiunse.
“Forse neanche Dinah Lambourn l’ha fatto” aveva replicato Rathbone, rimpiangendo di essere stato tanto sciocco da farsi trascinare nella discussione.
Quell’uomo avrebbe potuto avere ragione. Seduto nella grande, comoda poltrona, Rathbone guardava le carte sparpagliate sulla scrivania chiedendosi se non fosse stato avventato. Aveva accettato il compito come una sorta di suicidio personale, una punizione autoinflitta per aver deluso Margaret?
Sui giornali apparivano titoli a piena pagina sul processo, con congetture su ogni genere di altro crimine causato dalla gelosia e dalla pazzia. Dinah era stata descritta come una donna consumata dall’odio per qualsiasi essere umano di sesso femminile che guardasse suo marito. Insinuavano che fosse follemente gelosa, incline a fissazioni e manie, e perfino che avesse spinto Lambourn al suicidio con la sua possessività.
Un editoriale faceva notare che se la giuria avesse sancito che una donna poteva commettere un omicidio orribile e scellerato perché il marito frequentava una prostituta, ne sarebbe potuto seguire un massacro senza fine. Cosa sarebbe successo se una donna fosse semplicemente stata convinta di una relazione simile?
E naturalmente Rathbone aveva sentito donne prendere le difese di Dinah, dire che un uomo che frequentava le prostitute profanava il letto coniugale non solo per aver tradito i voti del matrimonio, ma in modo più immediato e fisico rischiando di tornare dalla propria moglie portandole terribili malattie. E cosa dire poi del denaro che questi depravati dilapidavano per soddisfare i propri appetiti nell’atto di rinnegare le mogli?
Per alcuni uomini che Rathbone aveva sentito parlare al suo club, Dinah era la vittima per eccellenza. Per altri simboleggiava la donna isterica che cerca di limitare le libertà dell’uomo e di sorvegliare ogni sua mossa.
Un giornalista l’aveva presentata come l’eroina di tutte le mogli tradite, delle donne usate, ingannate e poi abbandonate. Sull’onda delle emozioni, la ragione veniva spazzata via come un relitto dalla corrente.
Rathbone si era preparato nel miglior modo possibile, ma sapeva che era comunque troppo poco. Né Monk né Orme erano stati in grado di trovare un testimone che avesse visto Zenia con un uomo attorno all’ora del delitto. L’unica persona con cui era stata notata brevemente sulla strada che conduceva al fiume era, senza ombra di dubbio, una donna. Fatto sul quale lui non intendeva assolutamente portare l’attenzione.
Tutto quello che aveva in mano per difenderla erano la sua trascorsa lealtà nei confronti sia del marito che di Zenia, e il suo carattere. Preferiva non chiamarla al banco dei testimoni. La sua convinzione dell’esistenza di una cospirazione di cui non aveva alcuna prova la rendeva troppo esposta a essere messa in ridicolo. Ma alla fine, probabilmente, gli sarebbero rimaste poche altre carte da giocare.
Monk e Hester stavano ancora cercando prove concrete, e così Runcorn, appena ne aveva la possibilità. Il guaio è che tutto finora lasciava spazio solo alla ragionevole interpretazione che Dinah fosse colpevole. Non c’era nessun altro da indicare come sospettato.
L’aggressione ai danni di Monk era stata violenta e ben organizzata, ma non esistevano elementi per collegarla all’omicidio di Zenia Gadney. Non si era verificata una seconda aggressione, non fino a quel momento.
Rathbone fu lieto quando l’impiegato arrivò a interrompere il crescente senso di panico che avvertiva e lo chiamò in aula. Il processo stava per cominciare.
Le formalità iniziali erano state espletate. Era un rituale a cui Rathbone non aveva bisogno di prestare molta attenzione. Guardò verso il banco degli imputati che sovrastava l’aula, dove Dinah era seduta tra due robuste agenti carcerarie. Contro la parete sinistra, sotto la finestra, stavano i banchi dei giurati, e di fronte la grande scranna su cui sedeva il giudice, sfolgorante nella toga scarlatta e la lunga parrucca.
Li studiò uno a uno mentre il mormorio si protraeva. Benché spaventata, Dinah Lambourn era bellissima. Gli occhi spalancati, la pelle di un disperato pallore. I capelli folti e scuri, tirati un po’ troppo indietro, mettevano in evidenza gli zigomi e la fronte, il perfetto equilibrio dei lineamenti, la bocca generosa e fragile. Sir Oliver si chiese se questo sarebbe andato a suo favore o no. La giuria avrebbe ammirato la sua dignità o l’avrebbe fraintesa per arroganza? Non c’era modo di saperlo.
Il giudice era Grover Pendock, un uomo che Rathbone conosceva da anni, anche se non molto bene. La moglie era invalida e lui preferiva tenersi alla larga dagli eventi mondani, a cui lei non avrebbe potuto partecipare. Era per riguardo nei suoi confronti o un’ottima scusa per sottrarsi a doveri da cui non traeva alcun piacere? Aveva due figli. Il maggiore, Hadley Pendock, era uno sportivo apprezzato e il giudice ne era estremamente orgoglioso. Il minore era un ragazzo studioso, si diceva, e doveva ancora distinguersi.
Rathbone guardò il giudice e vide la serietà del viso ampio, la mascella decisa e la bocca sottile. Era un processo al quale era stato dato grande risalto: doveva rendersi conto che gli occhi dell’opinione pubblica sarebbero stati puntati sul modo in cui l’avrebbe condotto e che tutti si sarebbero aspettati, anzi avrebbero preteso, una rapida e risolutiva conclusione. Prima si concludeva il processo, prima sarebbe scemata l’isteria e i giornali avrebbero spostato l’attenzione su qualcos’altro. Non avrebbe dovuto esserci alcun dubbio sul fatto che giustizia fosse stata fatta, nessun comportamento disdicevole e, soprattutto, nessuna possibilità di appello.
L’avvocato dell’accusa aveva un’aria cupa e determinata, come se fosse ansioso di dare battaglia. Sorley Coniston era vicino alla cinquantina, più alto e robusto di Rathbone, il viso ben rasato. Il sorriso mostrava i denti davanti leggermente spaziati, tratto non sgradevole. Era quasi attraente. Solo una certa sicurezza nei suoi modi guastava la signorilità con cui si alzò per chiamare il suo primo testimone.
Come ci si aspettava, era il sergente Orme della polizia fluviale del Tamigi. Rathbone lo immaginava, ma non si capacitava del perché Coniston avesse scelto Orme piuttosto che Monk.
Poi vide il volto di Orme, tondo e calmo, mentre saliva la scala del banco dei testimoni e guardava in basso verso l’aula, e capì. Monk era asciutto ed elegante. Non ci poteva fare niente, aveva l’aria di chi è abituato al comando: nella postura del capo, il viso sottile, gli occhi magnetici. Orme era un tipo comune. Nessuno lo avrebbe pensato subdolo o eccessivamente scaltro. Gli avrebbero creduto. Se qualcuno avesse attaccato la sua onestà avrebbe fatto maggior danno a se stesso che a lui.
Coniston si portò al centro dell’aula e sollevò lo sguardo verso Orme, che aveva già prestato giuramento e fornito il proprio nome e grado.
— Sergente Orme — iniziò con gentilezza, come se fosse un suo pari. — Potreste raccontare alla corte cosa è successo la mattina del 24 novembre, mentre vi avvicinavate a Limehouse Pier? Descrivete la scena per quelli di noi che non erano là.
Orme era preparato a questa domanda, ma si sentì tuttavia a disagio. Lo si vedeva chiaramente dall’espressione del viso e dal modo in cui si sporgeva leggermente in avanti, aggrappandosi alla sbarra con entrambe le mani. Doveva descrivere qualcosa che faceva parte della sua vita di tutti i giorni, ma che non era abituato a tradurre in parole. Alla giuria, la sua sarebbe sembrata angoscia per quello che aveva visto. Coniston li stava già preparando all’orrore. Rathbone era colpito. Avrebbe potuto darsi meno pena e presumere che il sentimento di riprovazione sarebbe seguito naturalmente.
— Il signor Monk e io eravamo di ritorno, dopo aver investigato su un furto più a est, lungo il fiume — cominciò Orme.
— Eravate solo voi due? — chiese Coniston. — Stavate remando?
— Remavamo entrambi — rispose Orme. — Uno dietro all’altro, signore, un remo ciascuno.
— Capisco. Grazie. Che ore erano? Com’era la luce?
— Cominciava ad albeggiare, signore. I colori brillavano nel cielo e sull’acqua. — La tristezza di Orme era evidente.
— Eravate vicino alla riva o più al largo, nella corrente? — continuò Coniston.
— Vicino a riva, signore. Se si va al largo ci si trova sulla rotta delle imbarcazioni, dei traghetti...
— Quindi eravate all’ombra dei dock e dei magazzini? Ci descriva la scena, per favore, sergente Orme.
Orme si mosse a disagio. — Eravamo a una ventina di metri dalla riva, signore. Gli edifici ci... sovrastavano, ma non eravamo all’ombra. La corrente è meno forte vicino alla riva e si è più riparati dal vento.
— Capisco. Lo state descrivendo bene — disse affabile Coniston. — Così voi e il comandante Monk stavate tornando in barca verso Wapping dopo aver risposto a una chiamata prima dell’alba. Faceva freddo. Il fiume era increspato dalla brezza, salvo vicino alla riva, quasi all’ombra dei dock e dei magazzini. Il sole nascente gettava la sua luce scarlatta sull’acqua calma e scura attorno a voi?
Il viso di Orme si contrasse, come se quella sottolineatura della bellezza della scena lo turbasse. — Qualcosa del genere, signore.
— È accaduto qualcosa che vi ha fatto fermare?
Sulla corte era calato un assoluto silenzio, rotto solo dal lieve fruscio di una gonna.
— Sì, signore. Sentimmo una donna urlare, sul pontile, a Limehouse. Stava gridando e agitando le braccia. Non riuscimmo a capire il perché finché non salimmo sul pontile. Il cadavere di una donna era a terra, accasciato su un fianco. Il suo... il suo corpo era stato squartato e i vestiti erano impregnati di sangue... — Non riuscì a terminare, non solo a causa della forte emozione, ma anche per il crescente mormorio del pubblico. Una donna stava già piangendo e si sentiva il vocio di chi cercava di offrirle conforto o invitava gli altri a fare silenzio.
— Ordine! Vi prego, signore e signori — intimò Pendock. — Continuiamo. Diamo modo al sergente Orme di essere ascoltato.
— Grazie, signor giudice — disse gravemente Coniston, prima di rivolgersi di nuovo a Orme. — Presumo che voi e il comandante Monk abbiate esaminato i resti di quella povera donna?
— Sì, signore. Non c’era niente che potessimo fare per lei. Ormai nessuno avrebbe potuto aiutarla — disse Orme con voce rauca. — Chiedemmo alla testimone il suo nome, l’indirizzo e tutto quello che poteva dirci, che non era molto. Si trovava là solo per cercare il marito. Poi io rimasi sul posto, mentre il signor Monk andava a chiamare la polizia locale.
— La polizia locale? — chiese Coniston sorpreso. — Visto che era stata trovata sul pontile, non era nella vostra giurisdizione?
— Sì, signore. Ma per prima cosa volevamo scoprire chi fosse — spiegò Orme.
Coniston sorrise e si rilassò un poco. — Naturalmente. Ci arriveremo più tardi. Non la conoscevate?
— No, signore.
— E potreste descriverci il corpo, sergente?
Rathbone avrebbe voluto obiettare, ma non ne aveva le motivazioni. Era un delitto spaventoso. Coniston aveva il diritto di atterrire i giurati fino alle lacrime, fino a farli star male. Nessun uomo che non si fosse svegliato nella notte, bagnato di sudore per aver rivissuto quella scena, sarebbe stato degno di essere un cittadino, men che meno un giurato. Se fosse stato lui l’avvocato dell’accusa, avrebbe fatto lo stesso.
Orme deglutì. Anche dal posto in cui era seduto, Rathbone riuscì a vedere i muscoli del collo e la mascella che si irrigidivano. Lo sforzo che gli stava costando mantenere il controllo sarebbe stato altrettanto evidente ai giurati.
— Sì, signore — mormorò Orme. Strinse la sbarra davanti a sé e respirò piano prima di iniziare. — La vittima doveva aver passato la quarantina. Corporatura slanciata. La pelle era molto chiara, per quello che siamo riusciti a vedere. I vestiti erano stati strappati o tagliati, e il suo... il suo seno era nudo. Qualcuno l’aveva squartata da... — Si posò una mano piuttosto tremolante al centro del torace e lentamente scese fino all’inguine. Deglutì ancora. — E le interiora erano state tirate fuori, signore, e lasciate su di lei. Non... non era facile capire se c’era tutto, signore, e io non l’avrei comunque saputo dire.
Perfino Coniston era impallidito. — E questa era l’estensione completa delle ferite, sergente?
— No, signore. I capelli erano impregnati di sangue, come se fosse stata colpita molto forte. — Orme fece per continuare, ma poi si trattenne dal dire che le ferite peggiori erano state inferte dopo la morte, pur sapendo che avrebbe risparmiato turbamento alla giuria.
Coniston si alzò in piedi, il capo chino. — Grazie, sergente. Per favore, rimanete al banco in caso il mio illustre collega della difesa abbia delle domande da farvi. — Guardò Rathbone con un sorriso affabile. Non c’era niente che Rathbone potesse contestare, lo sapevano entrambi.
Rathbone si alzò. — Ringrazio l’avvocato Coniston, signor giudice — disse rivolgendosi a Pendock — ma ritengo che il sergente Orme ci abbia già detto tutto quello che poteva.
Orme lasciò il banco dei testimoni, e il suo posto venne preso dal dottor Overstone, il medico legale che aveva esaminato il cadavere. Si teneva con portamento militaresco e guardò dritto verso Coniston, il viso cupo e i capelli radi pettinati e lisciati sulla testa. Aveva l’aria stanca, come se testimoniare fosse una cosa che aveva fatto troppo spesso, e stesse diventando ogni volta più difficile anziché il contrario. Nella mente di Rathbone balenò il pensiero che il medico stesse facendo appello a tutta la sua forza per mantenere una voce calma e misurata.
— Avete esaminato il corpo della povera donna che la polizia ha trovato a Limehouse Pier, dottor Overstone? — cominciò Coniston.
— Sì.
— Potete descriverla? Intendo com’era quando era in vita.
— Circa un metro e sessanta — rispose Overstone. — Di media corporatura, leggermente ingrossata sui fianchi. Ben nutrita, a quanto sembrava. Direi tra i quarantacinque e i cinquant’anni. I capelli castano chiaro, gli occhi azzurri. Per quello che si poteva dire, doveva essere stata molto graziosa. Aveva una bella dentatura, le ossa delle mani erano minute.
— Segni di malattie? — chiese Coniston, come se fosse una domanda ragionevole.
Il viso di Overstone si irrigidì. — Quella donna era stata fatta a pezzi! — disse tra i denti. — Come diamine avrei potuto capirlo?
Coniston arrossì un poco, anche se aveva istigato quella risposta.
Rathbone sapeva che l’aveva fatto intenzionalmente. Sentì i muscoli irrigidirsi e il collo dolergli nello sforzo di respirare profondamente e rilassarsi. L’atmosfera nella stanza era tesa come una corda di violino. Alcuni giurati lo guardavano, chiedendosi cosa mai potesse fare per difendere qualcuno accusato di un simile delitto. Forse si stavano chiedendo cosa ci facesse lì.
Il rammarico di Coniston durò poco. Si rivolse di nuovo a Overstone.
— Ma avete potuto accertare la causa della morte, vero, signore? — disse con riguardo.
— Sì. Un violento colpo alla testa — rispose Overstone. — Le è stato fracassato il cranio. È morta immediatamente. Le altre ferite sono state inferte dopo la morte, grazie a Dio. È possibile che non abbia saputo niente di quello che sarebbe successo. — L’espressione di Overstone sembrava denotare un’aria difensiva, ma l’impressione era così minima che Coniston non avrebbe potuto attaccarla.
— Grazie, dottore — disse compito quest’ultimo. Fece per tornare al suo posto, ma all’ultimo momento si voltò e sollevò lo sguardo. — Oh... un’ultima cosa. Avrebbe richiesto una grande forza sferrare il colpo che l’ha uccisa ?
— No, non se fosse stato inferto con un movimento rotatorio del braccio.
— Avete trovato l’arma che è stata usata?
— Il corpo mi è stato portato, signore! — rispose irritato Overstone. — Non hanno portato me sul pontile a esaminarlo.
Il viso di Coniston restò impassibile. — Giusto. Avete idea di quale sia stata l’arma? Quella che ritenete più probabile?
— Un pezzo di metallo: una spranga o qualcosa di simile — rispose Overstone. — Dubito che un bastone di legno possa essere abbastanza pesante, a meno che non sia di legno duro, magari ebano.
— E le altre ferite? Avrebbero richiesto una forza o un’abilità particolari?
— Solo una lama affilata. Non c’è voluta nessuna abilità, non lo si potrebbe neanche chiamare macellaio. — Overstone pronunciò la parola con ripugnanza.
— Una donna sarebbe stata in grado di farlo? — chiese Coniston, esprimendo l’interrogativo che tutti in aula si stavano ponendo.
— Sì — rispose Overstone, senza aggiungere altro.
Coniston lo ringraziò e si rivolse a Rathbone. — A voi il teste, sir Oliver.
Rathbone cercò disperatamente di farsi venire in mente qualcosa da dire. Dinah si stava probabilmente chiedendo perché mai lo avesse assunto. La vita di quella donna era nelle sue mani.
— C’era qualcosa nelle ferite, qualsiasi cosa, che indicasse il modo in cui erano state inferte? — chiese guardando Overstone.
— No, signore — rispose questi.
— Niente che suggerisse quanto era alto l’aggressore? — precisò Rathbone. — La sua forza? Se era mancino o destrorso, per esempio. Maschio o femmina? Giovane o vecchio?
— No, signore — ripeté Overstone. — Eccetto forse che, considerando la violenza del colpo, potrebbe aver usato entrambe le mani. Ma questo non è di grande aiuto. Significa solo che l’altezza è irrilevante.
— Così potrebbe essere stato chiunque, eccetto forse un bambino?
— Proprio così.
Congedato il medico, Coniston chiamò a testimoniare Monk.
Questi era vestito in maniera impeccabile, come sempre, elegante da capo a piedi, fino agli stivali ben lucidati. Ma salì la scala del banco dei testimoni come se fosse dolorante, e si notava che una spalla era leggermente più alta dell’altra.
All’inizio, l’atmosfera parve meno tesa. I presenti non sapevano cosa aspettarsi da lui. Pensavano di aver già udito gli orrori peggiori. Tuttavia i giurati lo guardavano seri, pallidi in viso. Molti mostravano segni di irrequietezza e disagio. Sapevano che il pubblico li stava osservando, cercando di leggere nei loro pensieri. Rathbone non vide nessuno guardare in direzione di Dinah Lambourn, che sedeva in alto, sul banco degli imputati, tra le due guardie.
Coniston sembrava consapevole di avere a che fare, stavolta, con un testimone potenzialmente ostile, nonostante fosse stato Monk ad aver arrestato Dinah. La sua lunga amicizia con Rathbone doveva essere cosa risaputa. Coniston era di gran lunga troppo intelligente per non esserne informato, prevedendo l’effetto che avrebbe potuto avere sul caso.
Prese a camminare avanti e indietro per l’aula, con un atteggiamento che denotava eleganza e al tempo stesso un’implicita minaccia.
— Signor Monk — cominciò con tono pacato. I presenti stavano in silenzio, non volevano perdersi neanche una parola. — Voi eravate con il sergente Orme quando scopriste il cadavere di quella povera donna, quel mattino a Limehouse Pier. Udiste entrambi le urla della persona che l’aveva trovata. Orme rimase a sorvegliare il corpo e voi andaste a chiamare la polizia locale, per identificarla, e le autorità competenti perché si occupassero della salma, giusto?
— Sì — assentì Monk, l’espressione impassibile.
— La polizia locale la conosceva? — chiese Coniston, come se non sapesse la risposta.
— No — rispose Monk.
Coniston si mostrò leggermente stupito. Si fermò di colpo. — Non l’avevano mai arrestata, o perlomeno ammonita in relazione alla sua attività di prostituta?
— È quello che hanno detto — assentì di nuovo Monk.
— Se era davvero una prostituta, non trovate questo fatto singolare? — domandò Coniston con una nota di sorpresa nella voce.
Il volto di Monk era di marmo. — Spesso non si riconosce qualcuno che è morto di morte violenta, specialmente se c’è del sangue e un naturale senso di raccapriccio. Una persona può sembrare più bassa di com’era in vita. E se è vestita in modo diverso dal solito, o se si trova in un posto inusuale, è possibile che non la si riconosca.
Era chiaro dall’espressione di Coniston che non era la risposta che si era aspettato. Passò oltre. — Avete poi condotto delle ricerche per scoprire la sua identità?
— Naturalmente.
— Dove?
— Presso gli abitanti del luogo, i bottegai, donne che vivevano in zona e che avrebbero potuto conoscerla — rispose Monk, sempre con una voce priva di emozione.
— Quando dite “donne”, intendete prostitute? — lo incalzò Coniston.
Monk restò tranquillo. Probabilmente solo Rathbone si accorse della leggera contrazione di un muscolo della guancia.
— Intendo lavandaie, operaie, mendicanti, chiunque avesse potuto avere a che fare con lei — rispose.
— Siete riuscito nell’intento? — chiese gentilmente Coniston.
— Sì — rispose Monk. — È stata identificata come Zenia Gadney, una donna di mezz’età che conduceva una vita tranquilla, da sola, al numero quattordici di Copenhagen Place, proprio oltre Limehouse Cut. Diverse persone che abitavano nella strada la incontravano ogni tanto.
— Come provvedeva al proprio sostentamento? — Coniston ostentava calma e cortesia, ma era nervoso, e i giurati lo notarono. Osservandoli, anche Rathbone poteva avvertirne la tensione.
— Non lo faceva — rispose Monk. — C’era un uomo che andava a farle visita una volta al mese, e le dava denaro sufficiente alle sue necessità, che sembravano essere modeste. Non abbiamo trovato prove che si procurasse denaro in altro modo, fatta eccezione per qualche saltuario lavoretto di cucito, che potrebbe aver svolto tanto per buona volontà e compassione quanto per soldi. — Il viso di Monk era serio, la voce pacata, come se fosse addolorato non solo per la terribile morte di Zenia, ma anche per l’apparente futilità della sua vita.
Rathbone se ne rese facilmente conto dalla sua espressione e dalla scelta delle parole. Si chiese se anche l’accusa lo capisse. L’avrebbe giudicato in maniera obiettiva?
Coniston esitò un istante, poi continuò. — Presumo che, come è naturale, abbia cercato di identificare quest’uomo e il tipo di relazione che aveva con la vittima.
— Naturalmente — rispose Monk. — Si trattava del dottor Joel Lambourn, di Lower Park Street, Greenwich.
— Capisco — si affrettò a dire Coniston. — Sarebbe il defunto marito dell’imputata, la signora Dinah Lambourn?
Il volto di Monk non tradiva la minima emozione. — Sì.
— Andaste a far visita alla signora Lambourn, per chiederle quali rapporti c’erano tra suo marito e la signora Gadney? — chiese Coniston con aria ingenua. — Deve essere stato spiacevole per voi doverla informare del legame tra il marito e la vittima. — Nel suo tono c’era una nota di pietà.
— Sì, certo, andai da lei — gli rispose Monk. Fece il possibile per non mostrare compassione, ma questa traspariva ugualmente.
La giuria osservava con attenzione. Anche Pendock, dal suo seggio, si era sporto leggermente in avanti. Si udì un sospiro tra il pubblico, segno che la tensione era salita.
— E quale fu la sua reazione? — lo incoraggiò Coniston un po’ bruscamente, come se si fosse risentito di doverlo chiedere.
— All’inizio negò di sapere chi fosse la signora Gadney — rispose Monk. — Poi ammise di essere stata a conoscenza che il marito l’avesse mantenuta, fino alla morte, avvenuta due mesi prima.
— Lo sapeva! — esclamò Coniston, girandosi un poco verso il pubblico in modo che la cosa non sfuggisse a nessuno in aula. Tornò a rivolgersi a Monk. — La signora Lambourn sapeva che il marito aveva fatto visita e dato denaro a Zenia Gadney per anni?
— Così disse — confermò Monk.
Rathbone prese qualche appunto su un foglio di carta.
— Ma inizialmente lo aveva negato? — insistette Coniston. — Era in imbarazzo? Arrabbiata? Umiliata? Spaventata, perfino?
Rathbone considerò la possibilità di obiettare che un giudizio di questo tipo non rientrava nelle competenze di Monk, ma poi cambiò idea. Sarebbe stato inutile, avrebbe solo attirato l’attenzione sulla propria importanza.
L’ombra di un sorriso attraversò fugacemente il volto di Monk. — Non lo so. Era in preda a una violenta emozione, ma non ho modo di sapere cosa fosse. Poteva essere shock e orrore per il modo in cui era morta Zenia Gadney.
— Oppure rimorso? — aggiunse Coniston. — O magari la mancanza di rimorso?
Rathbone fece per alzarsi in piedi.
Pendock lo vide. — Signor Coniston, state facendo delle congetture inappropriate. Vogliate limitarvi a porre domande a cui il teste può rispondere.
— Chiedo scusa, vostro onore — disse Coniston contrito. Guardò ancora Monk. — Ma sarebbe corretto dire che la signora Lambourn si trovava in uno stato di forte emozione, signor Monk?
— Sì.
— Considerando quello che avevate appreso sulla relazione del dottor Lambourn con la vittima e che la signora Lambourn ne era a conoscenza, avete cercato di scoprire se la signora Lambourn avesse mai fatto visita a Zenia Gadney?
— Sì. — Il volto di Monk denunciava la tristezza, ma non eluse la domanda. — Diversi testimoni videro una donna che rispondeva alla sua discrezione a Copenhagen Place, il giorno prima che il corpo di Zenia Gadney fosse trovato a Limehouse Pier. Questa persona fece domande per rintracciare la signora Gadney, specialmente nelle botteghe.
Coniston annuì lentamente. — Stava cercando di trovare la vittima. Qualcuno ha accennato al suo stato mentale? Vi prego di essere accurato, signor Monk.
— Era notevolmente turbata — rispose Monk. — Due o tre persone hanno riferito che era fuori di sé. Per questo se la ricordavano.
— Interrogaste la signora Lambourn a questo proposito?
— Certo.
— E quale fu la sua risposta?
— Inizialmente, mi disse di essere stata a una serata con un’amica. Mi recai da questa amica, che mi diede una versione diversa.
— È possibile che questa amica si sia sbagliata o, peggio, che abbia mentito? — insistette Coniston.
— No — rispose Monk con tono inespressivo. — Le chiesi solo dove fosse stata quel giorno e a quell’ora, e lei me lo disse. Era in compagnia di molte altre persone e verificammo in seguito che aveva detto la verità.
— Quindi la signora Lambourn ha mentito? — disse Coniston, con voce chiara.
— Sì.
Coniston fece un impercettibile sorriso.
— Per riassumere, comandante Monk, le prove che avete raccolto indicano che l’imputata, la signora Dinah Lambourn, sapeva che il marito aveva fatto visita alla vittima per anni e che le passava regolarmente del denaro. Il giorno prima dell’omicidio, la signora si recò nella strada in cui abitava la vittima, chiedendo alla gente dove avrebbe potuto trovarla. Diverse persone le hanno riferito che era in uno stato di profondo turbamento, quasi di isteria. Quando voi le avete posto domande in merito, la signora vi ha mentito dicendo di essere stata da un’altra parte, cosa che voi avete verificato essere falsa. È corretto?
— Sì — rispose mestamente Monk.
— A quel punto, l’avete arrestata con l’accusa di aver ucciso Zenia Gadney?
— Sì. Lei dice di non averla uccisa e insiste nell’affermare di non essere stata a Copenhagen Place.
— Cosa che avete provato essere una menzogna — puntualizzò Coniston visibilmente soddisfatto. — Grazie, comandante Monk. — Si voltò verso Rathbone. — A voi il teste, sir Oliver.
Rathbone si portò al centro dell’aula e sollevò lo sguardo verso Monk. Sapeva che tutti lo stavano osservando, aspettando di vedere cosa avrebbe detto. Ebbe un’improvvisa visione di uno dei primi cristiani scendere in un’arena piena di leoni. Oliver sperava in un miracolo, senza essere affatto sicuro di crederci, nei miracoli.
— Signor Monk, avete detto che la signora Lambourn aveva ammesso di sapere che il marito faceva visita alla signora Gadney da molti anni. A proposito, la vittima era sposata o stiamo usando l’appellativo per cortesia?
— Secondo i vicini, sosteneva di essere stata sposata — rispose Monk. — Ma non abbiamo trovato traccia di un uomo di nome Gadney, né alcuna menzione di lui nei registri.
— E il dottor Lambourn l’aveva sostenuta finanziariamente fin da quando si era trasferita là? — continuò Rathbone.
— Circa quindici anni — confermò Monk.
— Capisco. — Rathbone corrugò la fronte. — E dite che apparentemente la signora Lambourn ne era sempre stata al corrente, o perlomeno quasi da subito? Ne siete certo?
— Sì.
— Perché lo ha ammesso lei? E naturalmente le avete creduto? — Rathbone si permise una lieve nota di incredulità nella voce.
Monk lo guardò con un lampo di ironia. Durò solo un instante. — Perché un altro testimone me lo ha confermato — lo corresse.
— Ah. Così non avete dubbi che fosse stata a giorno dell’esistenza della signora Gadney da un periodo piuttosto lungo, da anni, probabilmente?
— Esatto.
— E da quanto tempo era morto il dottor Lambourn quando la signora Gadney è stata uccisa?
— Quasi due mesi.
Dall’espressione di Monk, sir Oliver comprese che sapeva esattamente quale sarebbe stata la domanda successiva. I loro occhi si incontrarono. — E per quale ragione, secondo voi, la signora Lambourn, due mesi dopo essere rimasta vedova, andò improvvisamente a Copenhagen Place a cercare Zenia Gadney in preda all’isteria, lasciando che persino i bottegai e i loro clienti la vedessero in quello stato? Che cosa voleva da Zenia Gadney in quel momento, e tanto urgentemente, dopo che aveva saputo di lei per anni? Quella donna non riceveva più denaro, vero?
Diversi giurati si sporsero per essere sicuri di non perdere nemmeno una parola della risposta. Uno corrugò la fronte e scosse la testa. Si udì un fruscio tra il pubblico, qualcuno tratteneva il respiro. Pendock stava fissando Rathbone, il viso segnato dall’apprensione.
Monk non sembrò turbato. Rathbone si chiese per un momento se l’amico avesse messo deliberatamente il piede in fallo. Monk l’avrebbe fatto, nell’interesse della verità. Aveva arrestato Dinah, ma gli aveva anche chiesto di difenderla, offrendosi di usare il suo tempo libero per scoprire come si erano svolti i fatti.
— Dinah Lambourn sostiene di non essere andata a Copenhagen Place — disse Monk scandendo le parole. — Crede che il marito, il dottor Joel Lambourn, sia stato ucciso, a causa delle ricerche che stava conducendo per provare che l’oppio venduto nel nostro paese...
Coniston scattò in piedi. — Vostro onore! — sbottò. — Questo è assolutamente irrilevante e fuorviante. L’oppio è un medicinale comune, prescritto dai medici e disponibile in qualsiasi farmacia d’Inghilterra e in migliaia di botteghe. Se la signora Lambourn ne assumeva, per alleviare dei dolori o per altre ragioni, non è una scusante per ciò che ha fatto. Milioni di persone fanno uso di oppio. Riduce la sofferenza e l’insonnia, non conduce alla pazzia, né può scusare l’omicidio.
— Preso in quantità massicce e troppo frequentemente, può causare dipendenza, specie se fumato — ribatté aspro Rathbone. — E si può morire a causa di una dose eccessiva.
Coniston si voltò verso di lui. — Zenia Gadney non era un’oppiomane e non è morta a causa di una dose eccessiva di oppio, sir Oliver! È stata colpita in testa con una spranga di ferro e poi massacrata. Le sono state estratte le interiora e...
— Ordine! — sbraitò furiosamente Pendock. — Sappiamo come è morta, signor Coniston! Sir Oliver! State dicendo che la signora Lambourn aveva assunto dell’oppio e che ciò giustifica in qualche modo questo orribile delitto?
— No, vostro onore. Io...
— Bene — tagliò corto Pendock. — Allora siete pregato di procedere con l’interrogatorio del signor Monk, se ne avete ancora intenzione. In caso contrario, sospenderemo l’udienza per il pranzo.
— Farò solo qualche altra domanda, signor giudice. — Senza attendere che Pendock gli desse il permesso, Rathbone si rivolse nuovamente a Monk. — Voi credete che l’improvvisa decisione della signora Lambourn di andare a cercare Zenia Gadney avesse qualcosa a che fare con la morte del marito?
— Non con la sua morte, piuttosto con la rovina della sua reputazione — rispose Monk. — E non credeva che si fosse suicidato.
Di nuovo, Coniston si alzò in piedi. — Signor giudice, il tragico suicidio di Joel Lambourn...
Pendock alzò la mano. — Ne sono ben consapevole, signor Coniston. — Si girò bruscamente verso Rathbone. — Sir Oliver, il dottor Lambourn era morto da due mesi quando la signora Lambourn si mise a cercare Zenia Gadney. Se sapeva di lei da quindici anni, non ha senso che abbia tentato di rintracciarla improvvisamente in quel momento. Se credeva che la signora Gadney fosse in qualche modo responsabile del suicidio del dottor Lambourn, allora dovete mostrare delle prove al riguardo. Ne avete?
— No, signor giudice...
— Dunque siete pregato di andare avanti. — Era un ordine.
Rathbone trattenne il fiato e cercò di pensare a qualche altra domanda. Non voleva ritirarsi adesso, sarebbe sembrato come se si stesse in qualche modo arrendendo. Ed era così che si sentiva. Non aveva nient’altro da chiedere a Monk. Era chiaro che qualunque cosa avesse detto sulla questione della morte di Joel Lambourn o sul rapporto sull’oppio, sarebbe stata respinta. A meno che non fosse riuscito a farla apparire così chiaramente rilevante che rifiutarsi di prenderla in considerazione avrebbe fornito delle basi per ricorrere in appello.
— Non ho altre domande. Grazie, vostro onore — disse con tutto il garbo che riuscì a usare, e tornò a sedere.
Dopo la sospensione per il pranzo, Coniston procedette ad ascoltare i testimoni che potevano riferire in merito alla morte di Joel Lambourn e agli effetti che questa aveva avuto sulla sua vedova. L’interesse di Rathbone si fece più vivo. Forse, dopotutto, avrebbe avuto l’opportunità di riaprire la questione in modo da mettere in discussione il suicidio. Monk gli aveva certamente fornito elementi sufficienti per sostenere un dibattito, se soltanto avesse trovato uno spiraglio per iniziarlo. Aveva bisogno solo di un piccolissimo errore di giudizio da parte di Coniston, un passo falso di uno dei testimoni dell’accusa, e avrebbe potuto sollevare il punto.
Rathbone diede un’occhiata alle proprie spalle e notò i numerosi giornalisti che seguivano l’udienza, penne alla mano. Non avrebbero perso la minima sfumatura del processo, neppure se fosse sfuggita alla giuria.
Poi, mentre si voltava di nuovo verso il giudice e il banco dei testimoni, intravide la faccia di un uomo che conosceva. Gli era capitato perfino di incontrarlo a qualche ricevimento. Era Sinden Bawtry, un funzionario del governo, un tipo ambizioso noto per essere un filantropo. Aveva costruito la sua fortuna sulla produzione di medicinali registrati, in particolare del famoso Rimedio casalingo per il dolore.
Senza sapere esattamente perché, Rathbone evitò di incontrare il suo sguardo. Non voleva far sapere a Bawtry che l’aveva notato, almeno non ancora, sebbene fosse un uomo avvenente e non sarebbe passato inosservato alla stampa. Entro il giorno dopo, chiunque avesse letto i giornali avrebbe saputo della sua presenza.
Ora l’attenzione di Rathbone era massima. Quella faccenda era più complessa di quanto avesse pensato. L’interesse di Bawtry per il legame di Lambourn con il caso era evidente. Era lì da privato cittadino o come rappresentante degli interessi del governo?
Rathbone osservò un poliziotto che non conosceva salire la scala fino al banco dei testimoni. Monk gli aveva detto che Runcorn era stato incaricato dell’indagine sulla morte di Lambourn. Che ruolo aveva quest’uomo, un certo Appleford, e perché Coniston aveva scelto lui?
— Commissario Appleford — cominciò mellifluo Coniston. — Mi risulta che l’indagine sulla tragica morte di Joel Lambourn sia stata rimessa al suo comando dalla polizia locale. È corretto?
— Sì. — Appleford era di media altezza, magro, anche se cominciava a ingrossarsi attorno alla vita. I capelli castano chiaro si stavano drasticamente diradando. Ma era vestito in modo elegante e appariva molto sicuro di sé, come se fosse lì al solo scopo di essere d’aiuto e appianare delle difficoltà che altri, di minor talento, non sarebbero riusciti a risolvere.
— Perché il caso non è stato lasciato nelle mani del sovrintendente della più vicina stazione di polizia? Ossia al signor Runcorn, di Blackheath, se dico bene? — chiese Coniston con finta noncuranza.
— Il signor Runcorn ha raccolto le prime prove — rispose Appleford con un lieve sorriso. — Quando si seppe che si trattava di Joel Lambourn, uomo rispettabile e scienziato eccezionale che aveva sofferto recentemente di uno... — esitò, come a cercare un’espressione delicata — stato di tensione emotiva, il governo di Sua Maestà decise di mantenere la discrezione sulla sua vita privata, per quanto possibile, senza infrangere la legge. Non c’era modo di evitare di ammettere che si fosse trattato di suicidio, ma i fatti più riservati non furono resi pubblici. Non sarebbe servito a niente, e occorreva proteggere la sua famiglia. Sembrava un atto compassionevole verso un uomo che aveva così degnamente servito il suo paese.
— Assolutamente. — Coniston chinò il capo, poi sollevò di nuovo lo sguardo. — C’è stato niente che è stato nascosto alla legge? Intendo dire, esisteva un possibile dubbio che la sua morte non fosse stata autoinflitta?
— Nessuno — rispose Appleford. — Aveva preso dell’oppio, una dose massiccia, presumibilmente per attenuare il dolore, e poi si era tagliato le vene.
— Grazie, commissario — si voltò verso Rathbone. — Sir Oliver?
Rathbone sapeva ancor prima di iniziare che non avrebbe ottenuto nulla da Appleford, ma rifiutò di lasciarsi intimidire e di non provarci nemmeno.
— È particolarmente doloroso, tagliarsi le vene? — chiese. — Voglio dire abbastanza da dover assumere dell’oppio per sopportarlo?
— Non ne ho idea — rispose Appleford con una punta di sarcasmo.
— Vi chiedo scusa — disse Rathbone con una nota altrettanto tagliente nella voce. — Pensavo foste stato chiamato come esperto, con competenze superiori a quelle del sovrintendente Runcorn. Non è così?
— Il mio compito era mantenere la discrezione — ribatté secco Appleford. — Il che non rientrava nei poteri di Runcorn.
— Apparentemente no — convenne Rathbone. — Dato che chiunque sembra essere al corrente che Joel Lambourn è stato pesantemente screditato e che, caduto nella disperazione, si è suicidato a Greenwich Park. È lì che è accaduto, non è vero? O qui entra in gioco la discrezione?
Coniston si alzò in piedi. La sua espressione e i suoi modi facevano capire chiaramente quanto fosse infastidito. — Vostro onore, sir Oliver sta solo cercando di mettere in difficoltà il testimone perché non ha domande utili da fargli. Potremmo, per decenza, lasciare alla tragedia che ha posto fine alla vita del dottor Lambourn quel poco di riservatezza che è rimasta? Non ha alcuna attinenza con l’omicidio di Zenia Gadney.
Rathbone si voltò. — No? Allora pare che abbiate ricevuto molte più informazioni di quante ne sono state date a me. La vostra accusa si basa interamente sul presupposto che la signora Lambourn abbia ucciso Zenia Gadney a causa di qualcosa che aveva a che fare con il dottor Lambourn. — La sua voce trasudava sarcasmo. — State dicendo che esistono altri nessi tra le due donne, la prima delle quali è la vedova di un rispettabile medico di Greenwich, l’altra una prostituta di mezz’età che viveva dall’altra parte del fiume, a Limehouse?
— È ovvio che il nesso è lui! — esclamò Coniston accalorato. — Ma la sua vita, non la sua morte.
— E sono questioni completamente separate? — chiese Rathbone incredulo.
Si udirono diversi fruscii in aula mentre gli astanti si sporgevano in avanti e allungavano il collo, nel timore di perdersi qualcosa. I giurati si guardarono attorno, quindi si volsero verso il giudice.
— Sì — disse spavaldo Coniston. — Nella misura in cui la disperazione professionale che ha causato il suo suicidio era completamente separata dalla gelosia domestica che ha portato sua moglie ad assassinare la signora Gadney. — Fissò anche lui il giudice. — Vostro onore, la difesa sta cercando di confondere le acque sollevando questioni su fatti accaduti molto prima dell’omicidio della signora Gadney e che non hanno alcuna attinenza con esso. La signora Lambourn non era coinvolta nel lavoro del marito per il governo, dunque questo non può avere niente a che vedere con l’omicidio di Zenia Gadney.
Rathbone si alzò per protestare. La conclusione era totalmente arbitraria. — Vostro onore...
— La vostra argomentazione è accolta, signor Coniston — lo interruppe Pendock. — Sir Oliver, se non avete nessun’altra domanda pertinente da rivolgere al commissario Appleford, la corte può congedarlo e procedere col prossimo testimone. Prego, signor Coniston.
Rathbone si sedette. Si sentì come se fosse stato schiacciato da un peso che avrebbe dovuto prevedere. Non sapeva a che santo votarsi. Il processo non era condotto in maniera imparziale. Tuttavia, se avesse protestato ancora, avrebbe fatto infuriare Pendock senza poter provare alcunché a favore di Dinah, perché la realtà era che non aveva in mano niente.
Si sentì improvvisamente sull’orlo della sconfitta.