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— Sir Oliver? — disse il giudice con tono interrogativo.

Oliver Rathbone si alzò in piedi e si portò al centro dell’aula. Con il pubblico alle sue spalle, la giuria su due file di seggi alla sua sinistra e il giudice di fronte, sull’imponente scranna intagliata a mo’ di trono, l’impressione era di stare in un’arena. Il banco dei testimoni in cima alla scala quasi lo sovrastava.

Aveva trascorso in quel luogo la maggior parte della sua vita di adulto, in processi di grande rilievo, come uno degli avvocati più brillanti d’Inghilterra. Di solito si sentiva intensamente coinvolto nei suoi casi, che stesse rappresentando la difesa o l’accusa. Spesso c’era in gioco la vita di un uomo. Quel giorno agiva per la difesa perché era il suo lavoro, ma non era ancora sicuro se l’imputato fosse colpevole o innocente e, questo gli dava una rara sensazione di vuoto. Non riusciva a metterci passione, nessuna accalorata difesa in nome della giustizia. Avrebbe agito in modo competente, niente di più, il che era ben lungi dal soddisfare la sua indole.

Ma ultimamente ben poco era andato per il verso giusto. Le cose a cui teneva sembravano sfuggite al suo controllo, a partire dal caso Ballinger e a tutte le penose decisioni che avevano portato alla separazione definitiva dalla moglie Margaret.

Si concentrò sul testimone, costringendosi a ricordare i dettagli della sua deposizione per attaccare a uno a uno tutti i punti che fossero vulnerabili e forzare l’uomo a contraddirsi, così che la giuria lo avrebbe giudicato ambiguo e inaffidabile.

Riuscì nell’intento. Era l’ultimo testimone della giornata e la corte si aggiornò. Rathbone tornò a casa in carrozza e vi giunse relativamente presto. Era una di quelle serate calme e immobili tipiche dell’inverno incipiente, prima dell’arrivo dei temporali. Non faceva abbastanza freddo per la brina. Quando scese dalla vettura e pagò la corsa, l’aria non era pungente. Gli ultimi crisantemi nei giardini erano ancora fioriti e passandoci accanto ne avvertì l’odore dolciastro di terra.

Solo un anno addietro sarebbe stato felice di rientrare a casa in anticipo e avere del tempo libero da impiegare. Ma questo era stato prima della vicenda delle imbarcazioni sul fiume con i loro piaceri osceni, l’abuso di bambini e la degenerazione crescente, fino all’omicidio.

Con Margaret erano stati felici, una felicità che aumentava di settimana in settimana. La tenerezza e la comprensione tra loro avevano appagato tutti quei desideri che, in precedenza, non si era quasi nemmeno accorto di provare.

Ora, mentre entrava dalla porta principale e il maggiordomo gli prendeva cappello e cappotto, avvertì il silenzio opprimente della casa.

— Buonasera, sir Oliver. — L’uomo era gentile come sempre.

— Buonasera, Ardmore — rispose meccanicamente Rathbone. Con tutta probabilità, quelle del maggiordomo, della cuoca e della governante, la signora Wilton, sarebbero state le uniche voci che avrebbe udito fino all’indomani. L’assenza di suoni sarebbe diventata pesante e opprimente, quasi come un’altra presenza nella casa.

Assurdo. Stava diventando patetico. Il silenzio non lo aveva mai disturbato quando era scapolo, il che era stato per parecchio tempo. Anzi, lo trovava piuttosto piacevole, dopo il costante baccano del suo studio o del tribunale. A quel tempo, una saltuaria cena con gli amici, specialmente Monk e Hester, era tutta la compagnia che desiderava. A parte, naturalmente, far visita ogni tanto al padre a Primrose Hill. Ma in quel momento Henry Rathbone era in viaggio in Europa, in Germania per la precisione, e vi sarebbe rimasto fino al nuovo anno inoltrato.

A Oliver sarebbe piaciuto andare a trovarlo, quella sera. Suo padre rimaneva il suo migliore amico, come era sempre stato. Ma non si fa visita agli amici con il proprio senso di vuoto. Non c’era nessun problema interessante da sottoporgli, né particolari perdite o difficoltà per cui cercare il suo conforto, solo la sensazione di avere fallito. Eppure non sapeva cosa avrebbe potuto fare di diverso preservando allo stesso tempo il suo onore.

Era seduto nella splendida sala da pranzo che Margaret aveva arredato. Cenò e ripercorse tutto nella mente.

Se avesse lottato di più per provare l’innocenza di Ballinger, se anche fosse riuscito a pensare a qualche trucco, onesto o disonesto, non avrebbe sicuramente mutato il verdetto finale.

Ma Margaret non l’aveva mai vista così. Era convinta che Rathbone avesse anteposto l’ambizione alla lealtà familiare. Ballinger era il padre di Margaret e, nonostante le prove, lei non aveva voluto credere alla sua colpevolezza. Era meglio o peggio del fatto che Ballinger fosse stato assassinato in prigione prima che potesse essere impiccato?

Anche di questo Margaret gli aveva dato la colpa, nella convinzione che si sarebbe potuto tenere una sorta di processo di appello e che suo padre sarebbe potuto restare ancora in vita.

Non era vero. Non c’erano motivazioni per ricorrere in appello e Rathbone, almeno, sapeva che Ballinger era colpevole. Alla fine, in privato, lui stesso glielo aveva confessato. Rathbone ricordava ancora l’arroganza sul volto dell’uomo mentre gli raccontava tutta la storia; nella sua mente, si sentiva giustificato.

Rathbone mangiava meccanicamente, spostando i pezzi di roastbeef e le verdure qua e là sul piatto di porcellana. Era un insulto alla signora Wilton, ma lei non l’avrebbe mai saputo. L’avrebbe ringraziata esattamente come se avesse apprezzato appieno la cena. I domestici stavano cercando in tutti i modi di compiacerlo. Era commovente e un poco imbarazzante. Lo capivano meglio di quanto lui non avesse desiderato. Si diceva che nessun uomo fosse un eroe per il proprio servo. Quell’acuta intuizione sembrava estendersi anche al maggiordomo e alla governante. E forse alle cameriere e al valletto, per quanto ne sapeva.

Ora che Margaret se n’era andata il personale era troppo numeroso, ma lui non riusciva a convincersi a lasciare a casa nessuno, non ancora comunque. Era per il loro bene? O era un rifiuto da parte sua di accettare la soluzione come definitiva?

Ripensò a Ballinger e al loro ultimo colloquio. Si sarebbe potuto giustificarlo, un poco, all’inizio? Chiaramente Ballinger ne era convinto. La rovina era venuta dopo.

O forse lo sbaglio era stato nel primo passo e il resto era seguito inevitabilmente?

Terminò il dessert: una delicata crema inglese cotta al forno, con una crosta dolce e croccante. La signora Wilton ce la stava mettendo tutta. Doveva ricordarsi di farle i complimenti.

Posò il tovagliolo accanto al piatto e si alzò. Senza rendersene conto, aveva deciso di andare ancora una volta da Margaret. Forse era la sensazione di incompletezza che gli scavava quel buco dentro e rendeva impossibile mettere fine all’acredine tra loro per iniziare a guarire, qualsiasi cosa volesse dire. Non aveva ancora fatto tutto quello che poteva per appianare il risentimento tra di loro.

Margaret era in errore. Lui non aveva anteposto la propria ambizione alla famiglia. L’ambizione non era neanche stata nei suoi pensieri. Nemmeno per un momento si era tirato indietro dal rappresentare Ballinger. Inoltre, al principio aveva creduto di poter e dover vincere la causa. L’accusa di Margaret era ingiusta e lo feriva ancora. Forse adesso che era passato del tempo, lo avrebbe riconosciuto anche lei.

Disse ad Ardmore che sarebbe stato fuori per un’ora o due. Prese il capello e il cappotto e uscì nelle strade illuminate dai lampioni in cerca di una vettura di piazza.

Arrivò alla nuova casa, di gran lunga più piccola della precedente, che la signora Ballinger aveva preso dopo la morte del marito. Era la quinta in una fila di abitazioni a schiera molto ordinarie, una netta caduta rispetto al benessere e all’eleganza della dimora in cui avevano vissuto prima e in cui Margaret era cresciuta.

Mentre Rathbone fissava il marciapiede, sentì un moto di pietà, quasi di vergogna per la splendida casa in cui si era trasferito dopo il matrimonio con Margaret. Lei aveva scelto i colori e i tessuti, delicati e bellissimi. Un po’ più audaci di quelli che avrebbe preferito lui, ma una volta arredate le stanze, gli erano piaciuti. Avevano fatto sembrare insipido il suo gusto conservatore. Margaret aveva disposto i quadri, i vasi, i soprammobili migliori. Alcuni erano regali di matrimonio.

Le era piaciuto essere lady Rathbone. Un titolo che, Oliver l’aveva appreso con tristezza e amarezza, aveva smesso di utilizzare, sebbene non potesse certo farsi chiamare signora Rathbone. Quella persona non esisteva. Non avevano parlato di divorzio, ma la questione rimaneva sospesa tra loro, in attesa dell’inevitabile decisione. Quando sarebbe stato?

Forse non sarebbe dovuto venire. Lei avrebbe potuto parlarne ora, e lui non era pronto. Non sapeva cosa dirle. Nessuno di loro aveva commesso il genere di peccato che normalmente rende un matrimonio intollerabile. A volte, l’una o l’altra parte inventavano una relazione e la confessavano. Margaret non l’avrebbe mai fatto e, sir Oliver se ne rese conto mentre stava sulla soglia, nemmeno lui. Nessuno dei due aveva fatto un torto all’altro, in quel senso. Erano semplicemente incompatibili sul piano morale, il che era forse peggio. Non era una questione di perdono. La spaccatura non era in ciò che avevano fatto, ma in quello che erano.

Una cameriera aprì la porta e, nel riconoscerlo, sul suo volto si dipinse il turbamento.

— Buonasera — disse Rathbone, senza riuscire a ricordare il nome della domestica, ammesso che l’avesse mai saputo. — La signora Ballinger è in casa?

— Entrate, sir Oliver, e vedrò se può ricevervi. — Si scostò per lasciarlo passare.

L’ingresso era così diverso da quello magnifico e spazioso della vecchia casa. Era stretto, più buio, in un certo senso più scialbo nonostante il tocco casalingo e l’odore di pulito.

Non c’era altro posto in cui poter aspettare. La casa non aveva una saletta per gli ospiti, né uno studio, solo un salotto, la sala da pranzo e le cucine, forse un unico locale per cucinare e un retrocucina per lavare i piatti. Una cuoca-governante, una cameriera, un domestico e forse una cameriera particolare per Margaret e sua madre erano probabilmente più che sufficienti. Rathbone si chiese con una punta di ironia quanto di tutto quello fosse pagato con l’assegno più che generoso che le passava. Dovunque decidesse di vivere, era sempre sua moglie.

La cameriera tornò. Aveva un’espressione impassibile.

— La signora Ballinger vi riceverà, sir Oliver. Se volete seguirmi. — Non lo condusse in salotto ma in un’insospettabile saletta che si apriva accanto a una porta di servizio. Forse la stanza della governante.

La signora Ballinger lo stava attendendo. Era vestita di nero. Sembrava incredibile che fossero passate solo poche settimane da quando Ballinger era morto. Guardandola, Rathbone provò un moto di pietà. Sembrava più bassa, come se tutto nella sua vita si fosse ristretto. I capelli erano più spenti e sottili, le spalle così ricurve che il vestito le cadeva in modo goffo, nonostante fosse un capo eccellente, ricordo di tempi migliori. Ora la sua figura non lo riempiva come in passato. Il viso era pallido, ma aveva negli occhi ancora un barlume di speranza.

Rathbone si trovò a corto di parole. Sapeva che la donna desiderava che lui e Margaret si riconciliassero. Forse sperava che, se non la sua, almeno la loro felicità potesse essere ricostruita. La rabbia e la tristezza di Margaret dovevano pesare su di lei più che su chiunque altro. Ne ebbe la certezza guardandola in viso. Non gli era mai piaciuta veramente. Gli era sembrata una donna concentrata solo su se stessa, priva di immaginazione e sotto molti aspetti superficiale nei giudizi. Ora gli suscitava un forte sentimento di compassione. Sapeva di non poter fare niente per aiutarla, salvo forse controllare il suo umore e sforzarsi di trovare un qualche accordo con Margaret.

Chissà se Margaret pensava mai a quanto la sua amarezza stava costando alla madre. O era forse così assorbita dal proprio dolore da non tenere in considerazione quello degli altri?

Rathbone sentì bruciare di nuovo quella stessa rabbia che avrebbe voluto tenere a bada per il bene della signora.

Erano l’uno di fronte all’altra e si guardavano in silenzio. Toccava a lui parlare per primo, e spiegare il perché della sua visita, non invitato e a quell’ora di sera.

Senza averlo programmato, fu stranamente gentile.

— Volevo sapere come state — cominciò, come se fosse un pensiero che gli stava a cuore. — Ci potrebbe essere qualcosa che posso fare e a cui non ho pensato. Se me lo permettete.

Lei rimase in silenzio, cercando di capire le intenzioni dietro quelle parole.

— Per il bene di Margaret? — chiese infine. — Dovete odiare ancora il signor Ballinger, e me a causa sua. Io non avevo idea... — Suonava come una giustificazione, e si fermò non appena se ne accorse.

— Non ho mai pensato che ne foste al corrente — disse sinceramente Oliver. — Lo sgomento di scoprire una cosa del genere e capirne il significato avrebbe paralizzato chiunque. E voi non avevate alternativa, se non essergli leale. Quando lo avete saputo, non c’era più niente da fare. Non potevate salvare nessuno.

La signora Ballinger lo guardò per un istante stupita, come se cercasse di distinguere il giudizio che Oliver aveva su di lei da quello che aveva su Margaret.

— Eravate sua moglie — disse lui per spiegare.

— Siete venuto per vedere Margaret? — La speranza non l’aveva abbandonata.

— Se posso. — Era una cortese finzione. La signora Ballinger non l’aveva mai respinto; era Margaret che rifiutava di parlargli.

La donna esitò. Non era indecisa se riferire il messaggio o no, quanto piuttosto su come consegnarlo in modo da avere maggiori probabilità di successo, Oliver lo capiva.

— Andrò a chiederglielo — disse infine. — Aspettate qui, per favore. Io... — deglutì a fatica — io vorrei evitare scenate che ci metterebbero tutti in imbarazzo.

— Naturalmente — convenne lui.

La signora tornò dopo quasi un quarto d’ora, segno di quanto le fosse stato difficile convincere la figlia. Ringraziandola e seguendola attraverso l’atrio, Oliver sentì crescere la rabbia verso Margaret, non per se stesso ma per la signora Ballinger. Non riusciva neanche a immaginare il colpo che la donna doveva aver subito a causa della colpevolezza del marito e poi per il suo omicidio, che aveva cancellato ogni speranza di commutazione della pena. Non che ce ne fossero. Sarebbe morto con il cappio al collo. L’intero mondo di questa donna era orribilmente crollato. Non aveva nessuno su cui contare salvo le figlie. Il fallimento del matrimonio di Margaret e il suo rifiuto di accettare la colpevolezza del padre dovevano rendere impossibile rimarginare le ferite.

Margaret lo stava aspettando al centro di un salotto stipato di oggetti. Era vestita in maniera molto semplice. Come la madre, indossava ancora il nero, anche se ravvivato da gioielli di giaietto e una spilla di perle barocche, un leggero barlume di bianco in tutta quell’oscurità. Il suo portamento denotava grazia, come sempre. Teneva la testa alta, ma era più magra dell’ultima volta che l’aveva vista, e molto pallida, quasi esangue.

Non parlò per prima.

Chiederle come stava sarebbe stato assurdamente formale e avrebbe dato alla conversazione un tono che poi sarebbe stato difficile cambiare. Aveva sempre goduto di una salute eccellente, non era certo di questo che dovevano discorrere. Qualsiasi cosa la angustiasse adesso era di natura emotiva, qualcosa che nessun medico avrebbe potuto trattare, per non dire curare.

Oliver si sentiva a disagio e si rendeva conto che, con i suoi impeccabili abiti di sartoria, doveva sembrare fuori luogo in quella stanza dalle pareti scialbe, in cui i ritratti di famiglia erano troppi e sparpagliati dappertutto.

Cosa poteva dirle che fosse sincero? Perché era venuto?

— Volevo parlarti... — cominciò. — Per vedere se potevamo capirci un po’ di più, magari trovare una via per rappacificarci... — Si interruppe. Il volto di lei non lasciava trapelare nulla e Oliver si sentiva stupido e vulnerabile.

Margaret lo guardò incredula. — Stai dicendo quello che pensi di dover dire, Oliver? — chiese senza alzare il tono di voce. — Stai preparando la strada per giustificarti, perché vuoi mettermi da parte con la coscienza pulita? Dopotutto, hai bisogno di poter dire ai tuoi colleghi che ci hai provato. Avrebbe un effetto negativo sulla tua immagine se non lo facessi. Tutti capiranno che un eminente avvocato come te non desideri essere sposato con la figlia di un criminale, ma potresti almeno evitare di renderlo palese in modo così offensivo.

— È questo che pensi di te stessa: la figlia di un criminale? — chiese Oliver con voce più tagliente di quanto avrebbe voluto.

— Stavamo parlando di te — replicò lei. — Sei tu che sei venuto da me, non il contrario.

Anche questo lo ferì, sebbene non si sarebbe dovuto aspettare che Margaret andasse da lui. Giusto o sbagliato, era sempre l’uomo che faceva il primo passo, eccetto forse nel caso di Hester. Se Hester avesse discusso con qualcuno a cui voleva bene, sarebbe andata lei a cercarlo, che avesse torto o ragione. Lo sapeva per esperienza. Stava ingiustamente facendo il confronto tra lei e Margaret? Anche Hester aveva dei difetti, ma quelli tipici di un animo grande, coraggioso, mai la meschinità. Era stato lui a non essere abbastanza audace per lei. Non doveva essere vile, ora.

Fece un lungo respiro. — Sono venuto nella speranza che, se avessimo parlato, avremmo potuto ricomporre almeno in parte la rottura tra noi — disse il più gentilmente possibile. — Non so cosa porterà il futuro e di certo non stavo cercando di giustificarmi. Non ho bisogno di dare spiegazioni ad altri...

— Buon per te, perché non puoi! — lo interruppe Margaret. — Non a me o alla mia famiglia.

Oliver si trattenne a fatica. — Non stavo pensando a te, quando ho detto “ad altri”. — Erano in piedi, come se mettersi comodi fosse impossibile. Pensò di chiederle il permesso di sedersi o di farlo e basta, ma decise di no. Avrebbe potuto darle l’impressione che sentisse di appartenere a quel posto e che lo considerasse un diritto, non un privilegio.

— Come cosa, allora? — chiese lei.

— Come a mia moglie e, almeno un tempo, anche amica — rispose.

Inaspettatamente, gli occhi di lei si riempirono di lacrime.

Per un istante, Rathbone pensò che ci fosse speranza. Mosse un passo verso di lei.

— Tu hai gettato via tutto — gli disse in fretta, alzando leggermente la testa, come per allontanarlo.

— Ho fatto quello che dovevo fare! — protestò lui. — Tutto ciò che la legge mi ha permesso di fare per difenderlo. Era colpevole, Margaret!

— Quante volte devi ripeterlo a te stesso, Oliver? — disse lei aspra. — Non sei ancora riuscito a convincerti?

— Me lo ha confessato — rispose stancamente lui. Ne avevano già parlato. Aveva ripercorso l’intera orribile tragedia per lei, la lotta disperata di Ballinger per salvarsi la vita e infine l’ammissione di colpevolezza. Le aveva dato pochi dettagli, per risparmiarle la pena e per non portarla a conoscenza di alcuni aspetti spaventosi e crudeli, cose che non era necessario venisse a sapere.

— E questo ti è bastato? — Margaret gli sbatté le parole in faccia come un’accusa. — Cosa ne dici delle sue ragioni, Oliver? O non volevi saperle? Non puoi per una volta essere onesto e smetterla di nasconderti dietro la legge? O forse è tutto quello che sai o che capisci? Il codice dice questo! Il codice dice quello!

— Questo è ingiusto, Margaret — protestò. — Non posso lavorare al di fuori della legge...

— Vuoi dire che non puoi pensare al di fuori della legge — lo corresse lei, gli occhi brucianti di disprezzo. — Sei un bugiardo, forse prima verso te stesso che verso di me, ma riesci a tenere conto della vera moralità quando vuoi. Con Hester lo fai. Rompi tutte le tue preziose regole quando te lo chiede lei.

— È di questo che si tratta? — disse Rathbone con l’improvvisa, dolorosa sensazione di aver capito. — Sei gelosa di Hester, perché credi che per lei avrei agito diversamente? Non capisci che non me lo avrebbe mai chiesto?

Margaret scoppiò in una risatina amara che lacerò quanto era rimasto dei sentimenti di lui. — Sei un codardo, Oliver! È per questo che tieni tanto a lei? Perché combatterebbe per te senza aspettarsi niente in cambio se non che tu la segua? Cosa mi dici di Monk? Ti batteresti per lui?

Non sapeva cosa risponderle, in parte poteva essere vero?

— Hai chiesto a mio padre perché ha fatto tutte le cose di cui lo hai accusato? — continuò lei, forse presentendo la vittoria. — O non volevi saperlo? Avrebbe potuto turbare il tuo bel mondo diviso in bene e male, dove tutto è stato deciso per te dalle generazioni di avvocati che ti hanno preceduto. Nessun bisogno di pensare! Nessun bisogno di prendere decisioni difficili o di combattere da solo. Di certo nessun bisogno di intraprendere azioni pericolose, di mettere in discussione le tue comode certezze, né di rischiare niente.

Infuriato, Oliver decise di rispondere. — Metterei a rischio la mia sicurezza, Margaret, ma non quella altrui.

Gli occhi di lei si allargarono dallo stupore. — Quell’uomo era feccia! — disse con acceso disprezzo. — Una nullità. Sai bene cosa ha fatto.

— E la ragazza? — sussurrò Rathbone.

— Quale ragazza? — chiese Margaret senza capire.

— La ragazza che ha ucciso.

— La prostituta!

— Sì, la prostituta — rispose lui freddo. — O era feccia anche lei?

— L’avrebbe fatto impiccare! — esclamò Margaret.

— Quindi era giusto ucciderla? È questo il tuo coraggio, la tua impavida moralità? Decidi tu chi vive e chi muore, non la legge, non altri?

— Lui aveva delle ragioni, delle scelte terribili da fare. — Ora le sue guance erano rigate di lacrime. — Era mio padre! Gli volevo bene. — Lo disse come se questo bastasse a spiegare tutto, e Oliver cominciò a rendersi finalmente conto che per lei era così.

— Perciò dovevo perdonarlo, indipendentemente da quello che aveva fatto? — chiese.

— Sì! È tanto difficile? — nella sua furia e disperazione, Margaret lo stava sfidando.

— Peccato allora che tu non volessi altrettanto bene a me. — Lo disse così piano che era poco più di un sussurro.

Margaret sgranò gli occhi e restò senza fiato. — Questo è ingiusto!

— No, non lo è — replicò lui. — E dato che non posso anteporre la tua famiglia a ciò che è bene, o perfino lecito, allora forse neanch’io ti ho amato. Questa sembra essere la tua conclusione, e secondo i tuoi criteri, hai ragione. Mi dispiace. Credevo sinceramente a qualcosa di diverso. — Rimase per un istante immobile, ma lei non disse niente.

Oliver si voltò per andarsene. Era già alla porta, quando infine Margaret parlò.

— Oliver...

Si fermò e si girò a guardarla. — Sì?

Margaret allargò le braccia. — Pensavo di avere qualcosa da dire ma... niente. — Era un’ammissione di fallimento, una porta chiusa.

Oliver fu sopraffatto dal dolore, non tanto per la perdita quanto per la fine di un sogno che un tempo era sembrato reale. Tornò alla porta e uscì, richiudendola silenziosamente dietro di sé.

La cameriera lo stava aspettando nell’ingresso, come se avesse saputo che non sarebbe rimasto a lungo. Gli porse il cappotto e il cappello. La signora Ballinger non c’era, e gli sembrò un po’ ridicolo mandarla a chiamare per dirle che stava andando via. Non avrebbe fatto altro che metterli entrambi in imbarazzo. Non c’era niente da dire, ma si sarebbero comunque scambiati qualche frase artificiosa. Meglio andarsene.

Ringraziò la cameriera e uscì nell’oscurità. L’aria era fredda, ma non se ne accorse. Camminò a passo svelto e raggiunse l’incrocio più vicino dove poter trovare una vettura per tornare a casa.

Rathbone entrò nell’ingresso ampio ed elegante per sentirsi dire da Ardmore che c’era qualcuno che lo aspettava nel salottino.

— Chi è? — chiese con una certa irritazione. Di qualunque cosa si trattasse, non era in vena di occuparsene in quel momento. Se anche un cliente fosse stato arrestato e condotto in prigione, non c’era niente che avrebbe potuto fare a quell’ora di sera.

— Il signor Brundish, signore — rispose Ardmore. — Ha detto di avere una cosa estremamente importante da consegnarvi e gli è impossibile tornare domattina a causa di altri impegni. Gli ho spiegato che eravate fuori e che non sapevo a che ora sareste tornato, ma è stato irremovibile, signore.

— Sì, avete fatto bene — disse stancamente Rathbone. — Suppongo che, di qualsiasi cosa si tratti, sia meglio che vada a ritirarla. Cos’è, lo sapete? Una lettera, immagino.

— No, sir Oliver, è una cassetta piuttosto grossa e, dal modo in cui la trasportava, anche molto pesante.

Rathbone era stupito.

— Un pacco?

— Sì, signore. Devo servire del whisky, signore? O del brandy? Li ho già offerti, ma ha preso solo del caffè.

— No, grazie. Lo incoraggerebbe solo a restare. — Sapeva di sembrare scortese, ma voleva semplicemente prendere il pacco e accompagnare alla porta quell’uomo che, molto probabilmente, era altrettanto ansioso di tornare a casa quanto lui di essere lasciato in pace.

Entrò nel salottino e Brundish si alzò in piedi. Robusto, con indosso un abito gessato, sembrava stanco e un po’ inquieto.

— Sono spiacente di disturbarvi a quest’ora di sera — si scusò prima che Rathbone potesse parlare. — Non posso passare domani e dovevo... occuparmi di questo. — Gettò uno sguardo alla cassetta sul pavimento vicino alla sedia. Era alta e larga una trentina di centimetri, e lunga quaranta. Sembrava una sorta di custodia.

— Occuparvi? — domandò perplesso Rathbone. — Di cosa si tratta?

— Di un lascito a vostro favore — rispose Brundish. — Da parte del defunto Arthur Ballinger. L’ho tenuta in custodia per lui. Perlomeno, avevo le chiavi e le istruzioni. L’ho ritirata solo oggi.

Rathbone si irrigidì. I ricordi riaffiorarono prepotentemente. Il messaggio di Ballinger, nel quale affermava che in un estremo, amaro gesto di ironia gli aveva lasciato in eredità le fotografie oggetto dei ricatti. Rathbone lo aveva preso per l’ultimo scherzo di un uomo che stava per morire, una minaccia priva di significato.

Ora guardava la custodia posata sul bellissimo tappeto, un’altra scelta di Margaret, e si chiese se fosse davvero quello il contenuto: fotografie di uomini, uomini importanti, potenti, ricchi e con posizioni influenti, mentre indugiavano nel vizio funesto nel quale Ballinger li aveva fotografati e per il quale poi li aveva ricattati. Solitamente, almeno, era stato per obbligarli a fare del bene. Il primo era stato un giudice poco propenso a chiudere una fabbrica che inquinava il suolo causando terribili malattie. La minaccia di rendere pubblico il suo gusto per le violenze sessuali ai danni di bambini gli aveva fatto cambiare idea.

Ciascun membro di quell’orrendo club aveva dovuto posare in una fotografia tanto oscena e compromettente che la sua pubblicazione lo avrebbe rovinato. Dopo l’iniziazione, l’indugio nel vizio era stato relativamente libero, fino a quando Ballinger non aveva avuto bisogno di chiedere dei favori a qualcuno di loro.

Solo dopo alcuni anni la cosa era degenerata nel pagamento in denaro, e infine nell’omicidio.

Rathbone non sapeva al di là di ogni dubbio se Ballinger fosse coinvolto o no nell’omicidio dei ragazzini troppo cresciuti per soddisfare i gusti dei clienti, o che si opponevano a quelle coercizioni. Né se ne fosse a conoscenza. Preferiva pensare che di questi ulteriori crimini fosse innocente.

Margaret non credeva a niente di tutto ciò e non aveva mai visto, né immaginato, le fotografie. Rathbone avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere perché non lo venisse mai a sapere. Cose come queste si imprimevano nella mente e non potevano essere cancellate. Rathbone stesso si svegliava ancora nel cuore della notte madido di sudore quando sognava di andare su quelle barche, e sentiva il dolore e la paura che si richiudevano sopra di lui come acque sudicie.

— Grazie — disse con voce rauca. — Suppongo dobbiate lasciarle qui?

— Sì — rispose Brundish con sguardo lievemente sorpreso. — Devo desumere che non vogliate... qualsiasi cosa sia? — Estrasse un foglietto di carta dalla tasca interna. — Tuttavia, devo chiedervi di firmare per attestare l’avvenuta consegna.

— Certamente. — Senza parlare, Rathbone prese il foglio, lo poggiò sullo scrittoio nell’angolo, afferrò una penna, la intinse nel calamaio e firmò. Asciugò leggermente la firma e riconsegnò la ricevuta.

Dopo che Brundish se ne fu andato, Rathbone chiese ad Ardmore di portare del brandy, poi lo congedò per la notte e si sedette sulla poltrona a pensare.

Avrebbe dovuto distruggerle subito, senza nemmeno visionarle? Guardò la cassetta e vide che era di metallo e chiusa da un lucchetto a cui era stato attaccato un nastro con la chiave, probabilmente da Brundish. Avrebbe dovuto aprirla e tirarle fuori prima di distruggerle. Dentro quella piccola cassa erano invulnerabili, probabilmente anche al fuoco.

Che cos’altro avrebbe potuto distruggerle? L’acido? Ma perché darsi tanta pena? Il fuoco era la cosa più semplice. Il focolare era acceso. Doveva solo aggiungere del carbone, farlo diventare incandescente, e avrebbe avuto lo strumento perfetto. Di lì al mattino seguente non ne sarebbe rimasto più nulla.

Si chinò e prese la chiave, la infilò nel lucchetto e la girò. Si aprì facilmente, come se fosse stato usato di frequente.

Il contenuto non era solo cartaceo, come si era aspettato, ma comprendeva lastre fotografiche allegate a stampe, presumibilmente duplicati utilizzati per provarne l’esistenza. Avrebbe dovuto prevederlo. Erano gli originali da cui Ballinger aveva ricavato le copie che usava per ricattare la... gente. Era stato sul punto di dire “le vittime”, ma questi uomini non erano le vittime. Le vere vittime erano i bambini, i monelli di strada, gli orfani rapiti e tenuti prigionieri sulle barche per quei tempi.

Guardò le fotografie a una a una. Erano orrende, ma avevano anche un fascino osceno. Guardò appena i bambini, non riusciva a sopportarlo, ma le facce degli uomini lo catturavano, benché contro la sua volontà. Conosceva quei volti, uomini di potere che stavano al governo, che avevano ruoli di spicco nella magistratura, nella Chiesa, nella società. Che il morbo li avesse tanto corrotti da farli cadere così in basso era una cosa che lo sconvolgeva. Avvertì una forte stretta allo stomaco e cominciarono a tremargli le mani.

Se avessero pagato delle prostitute o avessero fatto quelle cose con uomini adulti, o con le mogli di altri uomini, sarebbe stata una questione privata che avrebbe anche potuto negare di sapere. Ma questo era totalmente diverso. Era lo stupro e la tortura di bambini: anche agli occhi dei più tolleranti, un crimine inumano. Per il mondo in cui vivevano, che li rispettava e in cui rivestivano posizioni di potere, era un peccato al di là di ogni possibile perdono.

Le lastre erano di vetro. Non poteva bruciarle. Il fuoco nel caminetto, per quanto caldo, non sarebbe bastato.

L’acido? Colpirle forte con un martello e ridurle in frantumi? Ma avrebbe dovuto farlo? Distruggere le prove significava diventare complice di quei crimini.

Portarle alla polizia?

Ma alcuni di questi uomini erano la polizia. Altri erano giudici, avvocati. Avrebbe rovesciato mezza società, magari sconvolgendo irrimediabilmente tutto il sistema.

Forse non sarebbe nemmeno sopravvissuto. Gli uomini uccidevano per molto meno.

Era troppo stanco per prendere una decisione definitiva quella sera.

Richiuse il piccolo cofano e fece scattare il lucchetto. Nel frattempo, doveva trovare un posto sicuro per nasconderlo. Un posto dove nessuno potesse trovarlo, in cui nessuno avrebbe pensato di cercare.

Dove l’aveva tenuto Ballinger?

In una cassetta di sicurezza in banca o qualcosa di simile.

Ci avrebbe pensato l’indomani. Adesso si sentiva troppo oppresso dal dolore e dall’enormità della decisione.