Capitolo 9
Blake aveva mantenuto la parola. Dopo quella gara, che tra parentesi aveva vinto, non mi aveva rivolto la parola per i dieci giorni successivi. Si sedeva accanto a me a lezione e si limitava ad ascoltare, anche se a volte era capitato che ci sorprendessimo a fissarci. Imbarazzante. Se lo trovavo seduto sulla nostra panchina, non ci andavo, ma se c’ero prima io, Blake non si faceva problemi a sedersi accanto a me, mettersi le cuffie e a rilassarsi con della musica spacca timpani che non mi faceva studiare; tuttavia, se mi stava accanto in silenzio, aleggiava una strana quiete nell’aria.
Un pomeriggio, ero in biblioteca a studiare quando i suoi anfibi neri si bloccarono accanto al mio tavolo; poco dopo, sentii la sedia spostarsi e qualcuno lasciarcisi cadere sopra. Alzai lo sguardo solo nell’istante in cui vidi un bicchiere di Starbucks scivolare verso di me e incrociai gli occhi di Blake. Evitavo di guardarlo da quando avevamo fatto l’accordo, perché altrimenti mi sarebbe venuta voglia di dirgli qualcosa, o anche solo di offenderlo. Fu proprio nel sollevare la testa che mi resi conto che fuori dalla finestra era buio. Ero rimasta chiusa lì dentro, con il naso fra i libri, per così tanto tempo? Guardai l’orologio, erano le sette passate.
«Cavolo, quanto è tardi», dissi e presi il bicchiere che lui mi aveva gentilmente portato.
«Ho pensato ti servisse del caffè se hai ancora da studiare». Non poteva comportarsi così. Non poteva non rivolgermi la parola e poi portarmi del caffè. Sospirai.
«Grazie», dissi, ma lui non rispose e si diresse all’uscita. «Te ne stai andando?». Non volevo chiederlo, o almeno non ad alta voce. Lui si fermò e si voltò.
«Sì, perché?». Alzai le spalle. «Ti manco già? Non hai resistito nemmeno un mese intero». Gli comparve sulle labbra un sorriso soddisfatto, vittorioso. Ecco perché lo preferivo quando stava zitto. Mi concentrai sui libri e lo ignorai così mi lasciò sola.
«Per quanto tempo pensi che non vi rivolgerete la parola? È imbarazzante». Io, Mariam e il resto del gruppo eravamo a mensa per la pausa pranzo prima dei corsi del pomeriggio.
«Senti è un giusto accordo. Io non lo sopporto, è irritante, strafottente e persino volgare. Non sono una santa, però secondo me esagera proprio», mi lamentai mentre mangiavo una specie di poltiglia che doveva essere purè di patate.
«Ma se sembrate due anime in pena!». Devon bevette un po’ d’acqua. «A lezione siete insopportabili. Tu ti muovi in continuazione e lui avrà rosicchiato almeno tre tappi. In realtà, Blake finge di stare attento, ma non fa altro che lanciarti delle occhiate perché vorrebbe solamente punzecchiarti. Questo accordo è ridicolo», sbuffò.
«Gli do pienamente ragione», si aggregò Mariam.
«Lasciatela in pace, Blake non è un bravo ragazzo», intervenne Brooke e mi guardò con quei suoi occhioni spaventati; le sorrisi mentre Devon le passò un braccio intorno le spalle.
«Non è un bravo ragazzo, ma è decisamente sexy, Brooke», disse lui serio.
«Be’, questo non posso negarlo», ammise lei con un sorriso. Devon scoppiò a ridere e la abbracciò forte mentre io e Mariam ci scambiammo un’occhiata. Non sapevamo cosa fosse successo alla nostra nuova amica, ma il trauma subito l’aveva segnata profondamente; tuttavia, più passava il tempo e più cercava di aprirsi, grazie soprattutto al suo migliore amico.
«La mia rocker sta tornando in sé finalmente», le disse, baciandole la fronte; al che lei chiuse gli occhi. «Ma tu, Mariam, invece, che aggiornamenti hai?», la mia amica alzò gli occhi al cielo.
«Niente, io e Damien studiamo e basta, lo sapete. Lui è molto bravo in diritto privato perciò mi aiuta». Abbassò lo sguardo e trattenni una risata, Mariam si stava prendendo proprio una bella cotta.
«Siete noiosi», si lamentò Devon.
«Sono carini invece», risposi io e lei mi guardò sorridendo.
«Io preferisco il fuoco tra Dakota e Blake», continuò lui, facendomi l’occhiolino. «Per la cronaca, Cooper si sta avvicinando e Blake ti sta fissando, quindi giocatela bene, bambina». Proprio mentre giravo la testa verso Blake, Cooper occupò la mia visuale con il vassoio in mano.
«Ciao ragazzi», ci salutò.
«Ciao», rispondemmo noi.
«Vuoi sederti?», chiese gentilmente Devon; Cooper mi fissò e gli sorrisi poiché non avevo la minima idea di che altro fare. «Io e Brooke stiamo andando via quindi accomodati pure qui». Si alzarono e Devon ci fece un cenno di saluto. «A domani, meraviglie».
Una volta allontanatisi Devon e Brooke, Cooper si sedette di fronte e me e Mariam che, da buona amica, iniziò a chiacchierare con lui dei vari corsi che seguivano insieme; Cooper ogni tanto mi lanciava delle occhiate, ma io mi limitavo a partecipare alla conversazione a monosillabi, solo se interpellata; Mariam, invece, sembrava a suo agio con lui.
Dopo un po’, mi schiarii la voce. «Be’, io vado in camera, mi vado a fare una doccia. Cooper riaccompagni tu Mariam in camera?»
«Ehm, certo», rispose lui, squadrandomi. Presi la borsa e feci l’occhiolino alla mia amica prima di andare verso la porta. Lasciata la mensa, passai davanti alla biblioteca che era buia e silenziosa, tranne per una luce che proveniva dal fondo della stanza, ovvero dal nostro tavolo. Un momento, nostro? Da quando io e Blake avevamo qualcosa di nostro? Be’, in effetti, condividevamo una panchina, un tavolo e un’intera fila di banchi nell’aula di Biologia. Non so cosa mi prese, ma mi fermai davanti alla macchinetta del caffè e ne presi due; poi entrai in punta di piedi in biblioteca, anche se sapevo che Blake non mi avrebbe sentito perché aveva le cuffie e il libro enorme davanti a lui godeva della sua piena attenzione. Avvertii una punta di gelosia. Ma come? Ero gelosa di un libro? Che folle. Mi avvicinai a Blake e mi accorsi che muoveva la gamba a tempo e tamburellava sul libro con la penna. Sorrisi, il suo era proprio un vizio, non lo faceva solo per dispetto a me. Mi sedetti davanti a lui e a quel punto sollevò quei meravigliosi occhi su di me per un istante prima di riabbassarli. Gli allungai il bicchiere, catturando così di nuovo la sua attenzione. Scoprii che mi piaceva. Mi piaceva che mi rivolgesse la sua attenzione.
«Studi fino a tardi?», gli chiesi. Si tolse le cuffie e prese il caffè.
«Domani ho un test di chimica organica, ho un sacco di formule da ripetere», mi rispose in tono piatto. Bevve un sorso di caffè prima di lasciarsi cadere contro lo schienale della sedia. «Non devi portarmi il caffè solo per restituirmi il favore».
«Non te l’ho portato per questo». Strinse gli occhi e torreggiò sulla scrivania incrociando le braccia al petto. Vidi i muscoli contrarsi rapidi sotto la maglietta grigia e aderente.
«Allora perché?», chiese diffidente. «Ci hai sputato dentro? L’hai drogato?», gli comparve sul viso un sorrisetto pericoloso.
«Escluderei la seconda, ma non posso assicurarti la prima». Blake rise e scosse la testa prima di inchiodarmi con lo sguardo.
«Fidati, piccola, la tua saliva mi è più che gradita, ovunque essa si posi sul mio corpo.», replicò lui, allusivo.
«Sei disgustoso», ribattei con un sorriso, che lui notò.
«Cavolo, non mi sgridi? Questa sì che è una novità». Presi il libro che aveva davanti e diedi un’occhiata a quello che stava studiando. Okay, era arabo. Come memorizzasse quella roba era un mistero.
«Smettila di fare l’idiota e dimmi questa formula», lo rimbeccai e Blake alzò un sopracciglio.
«Tesoro, ci sono milioni di formule su quel manuale, devi dirmi il nome della formula», ridacchiò lui e io lo imitai.
«Be’, forse hai ragione, ma io sono cattiva perciò ti suggerisco solo la prima lettera della formula, mentre tu mi dici il resto», mi guardò scioccato.
«Ma è impossibile, così mi distruggi», si lamentò.
«Oh andiamo, Mister “Vinco sempre io”, prova a vincere anche questa sfida. Credi di potercela fare?», il sorriso mi morì sulle labbra quando assunse un’aria incredibilmente seria. Aveva gli occhi ardenti, tanto che il loro verde parve scomparire inghiottito dalle fiamme che gli apparvero nello sguardo.
«Puoi giurarci». Oh cazzo.