Capitolo 4

 

 

 

 

 

 

«Com’è andato il primo giorno? Odio non frequentare le tue stesse lezioni, sei sicura di non volerti trasferire a legge?», scossi la testa mentre io e Mariam ci dirigevamo a cena.

«Sto bene nel mio corso di biologia, grazie».

«Okay, sei arrabbiata. Devon mi ha raccontato cos’è successo, ma tesoro, non importa a nessuno e domani se lo saranno già dimenticato», disse prendendomi a braccetto e trascinandomi in mensa. Prendemmo due vassoi e cercammo di decidere quale cibo faceva meno schifo.

«Non si tratta solo di ciò che è accaduto durante la prima ora», mormorai prendendo un panino.

«Aspetta, c’è dell’altro e non ne so niente? Amica, mi deludi», si voltò a trafiggermi con lo sguardo e non prestò attenzione alla fila davanti a lei, finendo così per travolgere un povero ragazzo di spalle. Il vassoio finì a terra insieme al suo contenuto, che in parte si spalmò anche sulla giacca di pelle nera dello sconosciuto; quest’ultimo dapprima si mostrò decisamente arrabbiato, poi si concentrò sulla mia amica e si addolcì.

«Se volevi la mia attenzione bastava chiedere, l’avresti senza dubbio ottenuta senza fare questo disastro». Ma erano tutti così spavaldi da quelle parti? Sì, assolutamente sì. Non solo, erano anche particolarmente belli. Anche se lo guardai solo di sfuggita, impegnata com’ero a fissare il pasticcio che avevamo combinato, mi resi conto che il ragazzo aveva i capelli scuri corti, gli occhi chiari, che risaltavano grazie alle lunghe ciglia nere, e un sorriso abbagliante.

Mariam non disse niente.

Non. Una. Parola. Le diedi una gomitata e la fissai, in attesa che si ricomponesse.

«Mi… mi dispiace», balbettò. Strinsi le labbra per trattenere una risata, lei che balbettava era il colmo.

«Non importa. Sono Damien, voi siete?», chiese il ragazzo.

Imbarazzata dalla nostra goffaggine, mi lasciai distrarre da un addetto giunto sul posto per ripulire il macello di Mariam e la fila per la cassa ricominciò a fluire, noi esclusi.

«Io sono Mariam e lei Dakota, siamo al primo anno», rispose la mia amica, riprendendosi, anche se non del tutto, dalla vista di Damien. Dal canto mio, evitai accuratamente di guardarlo per non vedere l’espressione sconvolta che doveva avere in volto a causa del nostro comportamento assurdo.

«Tu sei quella che è salita in macchina con Blake ieri», mi disse lui. Fantastico. Non ero più semplicemente Dakota, ero la pazza che era salita in macchina con un folle. Ma perché cavolo ci ero salita, poi?

«Sì è proprio lei, in carne e ossa, fratellino». Tre volte in un giorno, doveva essere uno scherzo, un’orribile tortura inflittami per chissà quale peccato commesso nella mia vita precedente. Ma Blake non si limitò a commentare, no, quell’idiota mi mise un braccio intorno alle spalle e allungò una mano verso il mio vassoio rubandomi la mela.

«Sparisci, Blake, e ridammi la mela», dissi a denti stretti. Per tutta risposta me la morse in faccia, abbassandosi di proposito dall’alto dei suoi due metri.

«Guarda, sarò così gentile da permetterti di infilarmi la lingua in bocca così potrai assaggiare questa prelibatezza». Era disgustoso. Quel tizio era qualcosa di indicibile, era completamente fuori di testa.

«Blake», lo rimproverò l’altro. Lui poggiò la mela mangiucchiata sul mio vassoio e si avvicinò a Damien. Fu allora che guardai bene entrambi i ragazzi e sia a me che a Mariam per poco non cadde la mandibola a terra.

«Voi due…», iniziò lei puntando un dito contro i fratelli. Damien sorrise mentre l’odioso alzò un sopracciglio. «Cavolo, ma siete gemelli», concluse lei.

 

«Come hai fatto a dimenticarti di dirci che Damien e Blake sono gemelli?», urlò Mariam a Devon. Le feci segno di abbassare la voce, ma lei non mi calcolò neanche.

«Ah, i gemelli Scott, che sogno», sospirò Devon, chiaramente ammaliato dai due.

«Sono il giorno e la notte, il Sole e la Luna, la Terra e Marte, insomma non hanno assolutamente niente in comune se non la stessa faccia. Insomma, vediamo il lato positivo: ora so come sarebbe Blake senza quel piercing sul setto e sul sopracciglio», mormorai. Odiavo dover ammettere che fosse bello quanto stronzo, cosa che era in modo ineguagliabile.

«E io so quanto Damien sarebbe figo tutto tatuato e… aspetta, perché come la Terra e Marte?», mi chiese pensierosa Mariam.

«Perché Damien rappresenta la Terra, con vita e ossigeno, mentre Blake Marte, un pianeta sul quale non si sa se ci sia vita e soprattutto se ci siano gli alieni», scoppiarono tutti a ridere, Brooke inclusa, anche se non ci trovavo assolutamente niente di divertente nell’essere tormentata dal pianeta rosso.

«Secondo me è un alieno», disse improvvisamente Brooke e le sorrisi.

«Grazie, per fortuna c’è una persona che mi capisce», dichiarai e lei mi fece un sorriso appena prima di abbassare lo sguardo per torcersi le mani. Devon mise una mano su quelle di Brooke, che alzò gli occhi lucidi verso di lui.

«Noi andiamo, ci vediamo domani mattina al solito posto», disse lui alzandosi e facendoci l’occhiolino. «Buonanotte, meraviglie». Anche io e la mia compagna di stanza ci alzammo e andammo nella nostra camera. Guardammo un film che mio padre mi aveva fatto portare dal Colorado, ma Mariam si addormentò subito e sul mio letto, per giunta. Non mi presi neanche la briga di svegliarla perché si trasferisse nel suo, la coprii con un plaid e, dopo aver spento la tv, mi sdraiai al suo posto. Mariam non era mattiniera, ma nemmeno una nottambula a differenza mia che ero abituata a leggere fino a tardi visto che spesso l’insonnia non mi dava tregua. Spensi la luce e pensai agli ultimi avvenimenti della mia vita: avevo conosciuto un ragazzo che mi aveva costretta a partecipare a una corsa illegale di macchine e che mi aveva fatto incazzare. L’avevo rivisto in università il giorno dopo e mi aveva fatto incazzare di nuovo. Poi, ero andata a cena e avevo scoperto dell’esistenza di ben due Scott, uno dei quali, sempre il solito, mi aveva fatto incazzare. Sì, Scott, le dico le parolacce nella mia testa! Precipitai nel buio dei miei sogni pensando alla sua domanda: “Ti piacerebbe se fossi io a fottere te?”.

Mi svegliai accaldata, col respiro accelerato e un fastidiosissimo formicolio in mezzo alle cosce. Mi alzai e in quel preciso momento la sveglia iniziò a suonare. La spensi e andai dritta in doccia, dovevo calmarmi o avrei dato di matto. Mentre l’acqua mi scrosciava addosso, immaginai le sue mani tatuate che mi accarezzavano le gambe, le sue labbra, la mia presa fra i suoi capelli. Okay, quella doccia non mi stava aiutando proprio per niente. Uscii, mi asciugai e indossai velocemente una felpa rossa e dei pantaloni da yoga neri. Svegliai Mariam e la costrinsi ad alzarsi. Una volta fuori ci fermammo davanti i gradini dell’università e aspettammo Devon e Brooke. La famiglia a quanto pareva si era allargata.

«Meraviglie, buongiorno». Devon arrivò affiancato da Brooke che ci salutò timida con la mano. Il rombo di un motore attirò la mia attenzione; apparteneva a una moto rossa fiammante, bella e pericolosa quasi quanto il tizio che la guidava. Blake si tolse il casco e si passò la mano fra i capelli scompigliandoli. Mi morsi il labbro e cercai di calmarmi, ma i miei tentativi si vanificarono non appena scese dalla moto, con i jeans scuri calati sui fianchi magri. Sorrise a una ragazza in avvicinamento, poi le passò un braccio intorno alle spalle e accettò il caffè che gli stava offrendo. I due si avviarono verso l’entrata e per un secondo, un secondo soltanto, i nostri sguardi s’incrociarono e incastrarono. Avvampai rendendomi conto che Blake mi stava squadrando tutta, nel passarmi davanti senza neanche salutarmi. Certo che aveva proprio una faccia da schiaffi.

«Forza, altrimenti facciamo tardi», disse Mariam, intrecciando le dita alle mie. Quando strinse un po’ la presa, le sorrisi, non dovevo mai sforzarmi per farmi capire da lei, mai.

«Io oggi finisco all’ora di pranzo, tu?», le chiesi.

«Ne ho fino alle sei. Ci vediamo in mensa, così ceniamo insieme», rispose prima di salutarmi. Subito dopo si allontanò con Brooke per la sua lezione di Psicologia, mentre io e Devon andammo insieme a gustarci la nostra dose giornaliera di Biologia.