24.
Rimasi lì in piedi con la parrucca in mano. Era un po’ sbiadita; i capelli sintetici si erano gonfiati e aggrovigliati, formando un pagliaio grigiastro. Per quello che ne sapevo, fra quelle ciocche arruffate poteva esserci il DNA di Carl.
In sottofondo, sentivo Jason ripetere all’infinito: «È rimasta a guardarci mentre dormivamo insieme. Ci ha guardati».
Mi sentivo stranamente tranquilla. Il panico provato quando lui insisteva che non avevamo niente da temere si era dissolto. Ora il fantasma che infestava la casa era diventato una presenza concreta, un segnale, un messaggio curiosamente intimo, come la firma di un serial killer, la testa di cavallo insanguinata lasciata nel letto. Ora ci intendevamo, io e Amanda. L’avvertimento era giunto forte e chiaro. La mia risposta non avrebbe dovuto essere da meno. Nel giardino sul retro c’era una griglia per cucinare all’aperto. Ai tempi in cui avevamo ancora amici comuni, io e Jason facevamo delle feste. Ma erano davvero amici? Oppure, mentre ce ne stavamo seduti intorno al barbecue, alla luce del fuoco, uno di loro mi aveva messo una mano sul ginocchio, lasciandomi capire che se fossi andata a letto con lui mi avrebbe presentato al suo agente? A essere sincera non ricordavo bene. Prima dell’episodio con Neely, cose del genere mi succedevano di continuo, e quasi non me ne accorgevo neppure. Me le scrollavo di dosso come facevo con i disturbatori dei miei spettacoli. La rabbia, però, continuava a covare sotto la cenere, come i mozziconi di sigaretta che infilavamo fra i legnetti per accendere il fuoco. Era stata quella rabbia ad attirare Amanda. Evidentemente, sprigionavo un fumo degno di un falò.
Era ora che divampasse.
Ignorando le farneticazioni di Jason, afferrai un pacchetto di sigarette e un accendino dal piano della cucina e aprii la porta di servizio. Quando fui davanti alla griglia, gettai la parrucca di Betty sui resti carbonizzati di una festa a cui non avevo partecipato. Pallida e ingarbugliata su quello sfondo nero pareva una creatura marina spiaggiata che cuoceva al sole. Presi una sigaretta, l’accesi, feci qualche tiro e la gettai sulla parrucca. I capelli biondo platino presero fuoco a contatto con il mozzicone, arricciandosi, annerendo ed esalando nello smog mattutino di Los Angeles un fumo tossico dalla puzza tanto agghiacciante quanto un urlo.
«Senti l’odore?» borbottai, in tono vendicativo. Poi, in caso Amanda fosse davvero appostata da qualche parte nei paraggi e stesse sentendo quel tanfo di plastica bruciata, alzai un po’ la voce. «Lo vedi cosa me ne faccio del tuo patto?»
Per ogni evenienza, accesi e gettai nel mucchio le altre cinque sigarette che c’erano nel pacchetto. Rimasi a guardare finché l’ultimo rimasuglio di quello che avevo fatto, di quello che Amanda avrebbe voluto che diventassi, si fu raggrumato e poi disciolto.
Avevo chiuso con le alleanze, con i partner e gli amici. Ora dovevo solo escogitare un piano.
Quando rientrai in casa, Jason si era calmato. Seduto sul divano, sotto shock, sollevò il telefono e mi mostrò un’immagine allegata a un testo. Sapevo già di cosa si trattava. Era eccessiva, inutile. Un altro gesto plateale da horror splatter.
«Ottima profondità di campo», commentai freddamente. «Sembra un film di Ozu.»
Lui, però, non mi aveva sentito. Scuoteva la testa incredulo. «Non c’erano altre chiavi», disse disarmato. «Deve averne fatta una copia. Mi ha ingannato fin dall’inizio.»
Gettai il pacchetto vuoto di Natural American Spirits sul divano accanto a lui. «Devi andare al negozio all’angolo a comprarne altre?»
Mi guardò come se fossi pazza da legare.
«Sì, okay, lo so, fumi solo quando bevi. Me l’hai detto un miliardo di volte. Non ti preoccupare, non ho nessuna intenzione di romperti le balle per farti smettere.»
«Dana, non ti lascio qui da sola.» Aveva gli occhi strabuzzati.
«Ma il negozio è solo a pochi passi. Ci metterai cinque minuti.» Ci eravamo andati un’infinità di volte. «Non mi succederà niente.»
«È qui», ribatté lui deciso. «Magari vicinissima. Non vado proprio da nessuna parte.»
«Ascoltami, dobbiamo separarci. Lei sta cercando te. Finché saremo insieme, io sarò in pericolo. Devi creare un diversivo. Farla allontanare abbastanza da permettermi di andarmene.»
«Torni al motel? Dana…»
«Non al motel. Torno a casa.»
«A casa?» Jason si guardò intorno, confuso, come se io non avessi mai vissuto altrove.
Il tempo cominciava a stringere. Dovevo convincerlo a uscire di casa. «Fra noi non funziona, Jason. Non facciamo altro che litigare. Forse un giorno saremo di nuovo amici, ma adesso devo lasciare Los Angeles, tornare in un posto dove le cose hanno un senso. Non so, magari per un po’ starò da mia madre ad Amarillo. Mi troverò un lavoro. No, non cercare microspie, il telefono l’ho lasciato nell’altra stanza, e comunque non lo faccio per Amanda, ma per me. Se mi sente, sarà contenta di sapere che ti mollo.»
«Aspetta un attimo. Aspetta.» Jason mi si avvicinò, tendendo goffamente le mani per afferrarmi. «Non andartene. Se mai, me ne vado io. L’attirerò lontano da qui. Non voglio metterti in pericolo. Però… ti prego, non permetterle di separarci. Ne riparleremo al mio ritorno.»
«Okay. Aspetterò. Ma devi fare in modo che ti segua in un posto isolato, dove penserà di poterti avvicinare.»
«Può entrare qui dentro», disse lui quasi in lacrime. «E se ti facesse del male per colpire me?»
«Non è il suo modo di agire», gli spiegai paziente, come se stessi parlando con un bambino. «Così danneggerebbe una donna, non un uomo. Lei ha intenzione di punirmi colpendo ciò e chi mi sta più a cuore, cioè te. Quindi, vuole ucciderti due volte: una per lei e l’altra per me.» Lo vidi indeciso e mi venne un’idea. «Senti, chiamo un fabbro per far cambiare la serratura, qualcuno del pronto intervento. Uso il vecchio telefono così, se lei lo sta controllando, capirà che è inutile riprovare a entrare.» Andai nell’altra stanza e staccai il cellulare dal caricabatteria.
«Aspetto che arrivi il fabbro.»
«Jason, esci subito», insistetti, aprendo la app per inoltrare la richiesta. Ottima interfaccia, facilissima da usare: non dovetti neanche inserire l’indirizzo di Jason, grazie alla localizzazione GPS. «Se no me ne vado io. Devo stare lontana da te.»
«Fammi vedere», disse. «Voglio le prove.»
Gli mostrai il telefono. Sulla mappa un punto rosso si spostava verso un punto blu. «Guarda, sta già arrivando qualcuno. Daniel R. Che bel nome da fabbro.»
«Voglio solo essere certo che tu sia al sicuro in mia assenza.»
«Daniel è a pochi isolati di distanza. Se esci adesso, lei ti seguirà. Vai.»
Jason uscì. Io rimasi in attesa, con la mano infilata nella borsetta che tenevo in grembo.
Pochi minuti dopo qualcuno bussò educatamente alla porta. Estrassi l’oggetto dalla borsa e lo impugnai, mentre con l’altra mano aprivo la porta.
«Sono Amanda, ho risposto alla tua chiamata.» Fissò il mio taser. «Mi risulta che vogliate cambiare la serratura.»