9.
«Mmh, Fash Banner. Complicato.»
«In che senso?» Camminavo avanti e indietro davanti alle enormi portefinestre di Amanda, sfidando chiunque a guardarmi. Sapevo di non essere lucida, ma non volevo perdere lo slancio. Quello che mi aveva raccontato Kim in bagno sul conto di Fash era marchiato a fuoco nel mio cervello.
Amanda era seduta sul divano con le gambe accavallate, il computer aperto in grembo, a sorseggiare il suo abituale bicchiere di vino rosso. «Be’, adesso che ha vinto, è piuttosto in vista…»
«Più in vista di Aaron Neely?» domandai incredula.
«No, no, certo che no.» Amanda sembrò leggermente irritata. «Però è di gran lunga più vicino a te. Nessuno sapeva che avevi incontrato Neely.»
«Solo Jason», precisai. «Ma Branchik, allora?»
«Gli altri programmatori di Runnr sono a conoscenza dei miei trascorsi con Branchik ma non del fatto che abitiamo vicini. Questo non lo sa neanche lui.» Si interruppe, corrugando la fronte pensierosa. «Non sto dicendo che sia impossibile; solo, bisognerà essere più caute e magari scegliere un approccio diverso.»
«Non puoi semplicemente entrare in casa sua e distruggergli la collezione di dischi o qualcosa del genere?»
«Senti, tu vuoi che lui se ne vada», disse Amanda, e io annuii. «Il problema è che ha appena ricevuto un premio da cinquemila dollari, oltre a offerte di agenti e altre opportunità.» Feci una smorfia. «Non credo che perdere qualche LP raro lo turberebbe più di tanto. E comunque non basta che se ne vada, giusto? Perché probabilmente questo lo farà in ogni caso. Andrà a New York o a Los Angeles e avrà successo; se non altro, frequenterà persone nuove che non sanno che è un predatore. Il suo comportamento sarà premiato, non certo punito.»
Capivo il ragionamento, ma avevo la sensazione che non fosse il caso di lasciare spazio a equivoci. «Okay, va bene, non sarà facile coglierlo con le mani nel sacco. E i ricatti sono fuori discussione; per quanto ne so, non ha una fidanzata o altri a cui freghi qualcosa di lui.» Era uno dei motivi per cui Fash suscitava sempre un po’ di pietà, finché non sfruttava la propria solitudine per giustificare le battute a sfondo sessuale sul palco, o addirittura le palpate, come avevo sperimentato sulla mia pelle. «In ogni caso, secondo me non lo farà più, almeno non le cose peggiori.»
«Stai parlando di stupro?» Amanda socchiuse gli occhi. «La tua amica Kim non ha detto che era successo appena si era trasferito a Austin, quattro o cinque anni fa?»
Feci segno di sì con la testa. «Infatti, è per questo che è stato emarginato dai teatri di improvvisazione.» Mio malgrado, provai a riconsiderare un’ipotesi che la sera precedente avevo quasi scartato. «Forse ha imparato la lezione.»
Amanda si grattò il naso. «Quello? Improbabile. Ah, scommetto che è un po’ che non si infila nel letto di una ragazza tramortita dall’alcol. A questo punto, quando si sentirà insicuro o stressato, tenderà a muoversi in ambienti nuovi. Come farà di sicuro a Los Angeles, fra l’altro… Il successo può essere tanto stressante quanto il fallimento.» Si morse il labbro, attorcigliandosi distrattamente un ricciolo intorno al dito. «Mi chiedo se soffra di qualche patologia.»
«Mentre tu ti interroghi, probabilmente, starà facendo i bagagli e cercando di subaffittare il suo appartamento», mi lamentai. Poi schioccai le dita. «Trovato! Potresti andare a vedere la casa, fingere di essere interessata e poi… chissà...»
«Rilassati, Dana. Ho già delle idee. Devo solo fare un po’ di ricerche, tutto qui. Stavolta non sarà così veloce, ma ti prometto che mi darò da fare.» Mi guardò. «Ti ho mai deluso?»
Mi irrigidii e scossi la testa. A volte, sembrava un po’ matta, ma aveva un modo di agire tutto suo. Era riservata, anche troppo, e molto attaccata alle sue teorie complottistiche. Pareva quasi che, dopo aver rifiutato in modo così categorico il mondo della Silicon Valley, ne avesse interiorizzato ancora di più la mentalità. Eppure mi fidavo ciecamente di lei. Forse non mi diceva proprio tutto, ma perlomeno non mi avrebbe mai mentito. Il suo realismo era coraggioso e ammirevole. In pochissimo tempo mi aveva aperto gli occhi. O lei era paranoica o io ero ingenua. Dopotutto, avevo pensato che l’episodio con Neely fosse stato solo un orribile incidente isolato. Amanda, con il suo pallino per la statistica, aveva intuito subito che si trattava di un comportamento ricorrente; inoltre, aveva trovato il modo di incastrarlo procurandosi prove inequivocabili. Quella scoperta aveva già cambiato il mio modo di elaborare le informazioni. Se Kim mi avesse raccontato della violenza di Fash solo qualche settimana prima, sarei stata capace di liquidarla con un’alzata di spalle? In fondo lei stessa aveva minimizzato. Pensai alla moglie di Branchik. Avevamo tutte la medesima propensione a mentire a noi stesse? Era troppo brutto guardare in faccia la realtà, e cioè che accerchiate da individui come Fash, Branchik e Neely ci lasciavamo rinchiudere ora in un recinto, ora in un altro?
«So che lo farai», dissi. «È solo che…» Cercai le parole per descrivere il senso di impotenza che provavo, vedendo che questi episodi si ripetevano in continuazione intorno a me. «Sono impaziente.»
«Be’…» Amanda sorrise come se avesse in serbo una sorpresa per me. «Ti piacerebbe tenerti impegnata nell’attesa?»
Amanda non stava scherzando quando mi aveva detto di avere una lunga lista. Mi mostrò il foglio elettronico con gli pseudonimi e, in alcuni casi, anche nomi, cognomi e indirizzi degli uomini che l’avevano molestata su internet. Erano sparsi in tutto il mondo. Ce n’erano tre in Texas, di cui uno a Houston e uno a El Paso. Solo RadioMacktive666, però, aveva la fortuna di vivere a Austin.
Il grosso delle molestie risaliva a due anni prima, dopo che un notiziario aveva parlato del suo caso in modo anonimo, rendendola però identificabile. La maggior parte della gente l’aveva dimenticata in fretta, ma alcuni individui tenaci avevano persistito fino a costringerla a cancellare i suoi profili online. Aprì un file pieno di screenshot di commenti ed e-mail, tutti scrupolosamente corredati di appunti sui troll che li avevano postati. Erano perlopiù minacce di stupro piene di oscenità, ma RadioMacktive666 era stato molto creativo, mandando terribili GIF modificate in modo che Amanda apparisse come la vittima di atroci violenze. Distolsi in fretta lo sguardo.
«Che piani hai?» domandai disgustata.
«Inutile dire che è un utente di Runnr. Gli piace pagare le persone – preferibilmente le donne – per farsi recapitare cibo thailandese, anche se a volte spende un pacco di soldi per ordinare un hamburger da quindici dollari con sopra l’uovo fritto. Il suo username è Carl M. Non ti dico il suo vero nome, perché meno sai e meno ti viene la tentazione di cercarlo online, offrendogli così un modo per rintracciarti. Questo qui è molto più intelligente di Branchik. Potrebbe trovarti in un secondo e diffamarti su internet.»
In piedi alle sue spalle, vidi una schermata piena di numeri. Nella colonna a sinistra c’erano sei cifre, poi uno spazio, poi altre quattro cifre. Date e orari. «Sono i servizi di cui ha usufruito?»
«Esatto.» Amanda sorrise. «Vediamo se riesci a individuare lo schema.»
Sembrava evidente. «Una volta alla settimana?»
«Sì, ma che ne pensi di queste variazioni? E di questi buchi? O delle settimane in cui richiede il servizio due volte?»
Guardai con più attenzione, cercando di ragionare in modo schematico, come Amanda. «È lo stesso giorno della settimana per circa tre mesi di fila, poi cambia.» Aprii il calendario sul telefono e verificai. «Le date più recenti sono dei giovedì. E a quanto pare, l’anno scorso l’ha fatto per dieci domeniche di seguito… aspetta un attimo.» Controllai di nuovo gli orari. «Diciannove e trenta, diciannove e quarantacinque... appena prima delle otto. L’orario dei programmi televisivi in prima serata.» Mi misi a ridacchiare. «Deve essere...»
«Il trono di spade», mi imbeccò lei. «I primi episodi di una nuova serie domenicale.»
«Domenica», dissi. «Così presto?»
«Se vogliamo cogliere l’occasione al balzo, sì», rispose lei con nonchalance. «Questa puntata non se la perde di sicuro. E avrà fame.»
Cercai di abituarmi all’idea. «Cosa faccio appena arrivo?»
«Malware.» Amanda mi mostrò una chiavetta USB. «È un programma di cui vado particolarmente fiera. La prima cosa che farà sarà mandare screenshot delle sue attività online più disdicevoli a tutti i contatti della sua mailing list, compresi il datore di lavoro, i colleghi e… la madre, immagino.» Sorrise. «È troppo furbo per aprire un link, ma se riuscissi a caricarglielo sul computer, potremmo fare seri danni.»
«Quindi devo entrare in casa sua?» Mi incupii. «Quando ci sarà anche lui?»
«Questa operazione è decisamente più pericolosa», osservò Amanda, guardandomi impassibile. «Io mi occupo del software, tu invece dovresti procurarti roba pesante.»
La fissai inespressiva.
«Dana, non sei certo una gigantessa. Ricorda che rischio hai corso l’ultima volta. Avrai bisogno di un po’ di protezione.» Entrò in un sito web e cominciò a scorrere le pagine. «Pensalo come un banale utensile, né più né meno.»
Diedi un’occhiata allo schermo e mi sentii impallidire. File su file di pistole, piccole sagome a L dal potere letale.
«Meno male che abitiamo in Texas. Dovrebbe essere facilissimo.»
Cercai di fare una battuta, ma per una volta non mi venne in mente nulla. Invece dissi: «No, non posso». Sebbene ad Amarillo molta gente possedesse armi da fuoco, in casa mia non ce n’erano e i miei genitori mi avevano insegnato a rimanerne il più possibile alla larga. Il padre di Jason andava a caccia, ma era diverso. E francamente anche il suo fucile mi faceva impressione. Quella era una cosa che non avrei mai potuto fare.
Per un po’ parlammo di autodifesa. Alla fine, risolsi la questione cercando su Google «Autodifesa dei lavoratori di Runnr» e trovai una sfilza impressionante di episodi di aggressioni in servizio. Mentre passavo in rassegna articoli intitolati Le cinque cose che potrebbero salvarti la vita durante una consegna sfortunata e Come capire se la consegna in realtà è una trappola, mi resi conto che i discorsi di Amanda sui rischi a cui Runnr esponeva i clienti evitando di fare controlli adeguati sul personale mi avevano fatto dimenticare i pericoli che correvano i lavoratori. Era un’altra controindicazione della gig economy. Ecco perché c’erano meno donne che uomini.
Alcuni veterani suggerivano di girare armati di pistola, anche se gli strumenti di difesa di gran lunga più apprezzati erano i taser, perché avevano meno probabilità di causare tensione nelle situazioni critiche. Inoltre, e questo fu l’aspetto che convinse Amanda, avrei potuto ottenerne uno senza registrarlo, così non sarebbero rimaste tracce da cancellare. Risollevata, accettai di procurarmelo entro domenica e uscii dall’appartamento di Amanda provando un senso di straniamento. L’ultima cosa che lei mi disse sulla porta fu: «Ricordati di metterti quell’orribile parrucca. Gli piacciono le bionde».
Solo quando fui sul marciapiede diretta alla mia auto mi ricordai di essere andata a casa di Amanda per parlare di Fash e di esserne uscita con l’intenzione di procurarmi un’arma.
Il mattino dopo, quando arrivò la chiamata, ero ancora a letto.
«Ciao, Dana, sono Larry Green.» Mi arrovellai per cercare di ricordare chi fosse. Prima che potessi aprir bocca, aggiunse: «Senti, so che ti sto avvertendo all’ultimo minuto, ma stamattina un ospite ci ha dato forfait. Cynthia ha pensato di sostituirlo con te».
Cynthia. Larry. Stavo parlando con il produttore del Bestie Cast. «Wow», dissi, afferrando finalmente il messaggio. «Grazie per avermi chiamato, Larry. Allora, quando…»
«Vorremmo registrare il più presto possibile per avere pronto il podcast alla solita ora. Siamo già in ritardo. Che ne pensi di farlo più o meno adesso?»
Balbettai una risposta affermativa.
«Perfetto, ti richiamo fra un quarto d’ora. Tieniti pronta.» Riagganciò senza salutare.
Tre minuti dopo ero già completamente vestita e seduta sul bordo del divano di casa con il cellulare in mano, senza osare guardarlo, per paura di intaccare la carica del novantun per cento. Alle dieci e cinque squillò e io accettai la chiamata all’istante.
«Dana Diaz?» domandò Larry, come se fosse la prima volta che parlavamo. Proseguì con una voce più morbida e sciolta rispetto a quella burbera che avevo udito pochi minuti prima. «Sono Larry, il produttore del Bestie Cast. Siamo felicissimi di averti nel nostro programma. Fra un attimo ti metto in collegamento con Cyndi. La sentirai parlare per alcuni minuti, poi dirà: “Ciao”. Dopodiché sarà un gioco da ragazzi…» Si mise a sghignazzare.
«Oddio!» non riuscii a trattenermi dall’esclamare. «È tutto vero.»
«Rilassati», replicò lui. Quindi, con grande crudeltà, aggiunse: «Devi solo far ridere!».
All’improvviso sentii la voce morbida e melodica di Cynthia che stava dicendo: «Con tacos per colazione! È o no il paradiso in terra? Poco fa ho fatto parte della giuria del concorso per la Persona più spiritosa di Austin, un torneo di cabarettisti locali che dura ben sei settimane. È stato lì che ho incontrato la nostra ospite di oggi, Dana Diaz, arrivata seconda con un’esibizione che non saprei descrivere altrimenti se non come… accattivante. Dana, ci sei?»
Per alcuni angosciosi secondi mi chiesi se fosse il caso di chiamarla Cynthia o Cyndi, ma alla fine mi uscì solo: «Sì, ciao».
«Sei sul Bestie Cast. Dana, devi far finta di essere la mia best!»
«Ah, scusa.» Risi fiaccamente. «Ciao, cara, come stai?» Ero terribilmente tesa. Dapprincipio mi resi conto che Cynthia cercava di farmi rilassare, malgrado dalla sua voce non trapelasse nulla, e io provai con tutta me stessa a sciogliermi. Parlammo dei nostri genitori; io raccontai una storiella su Amarillo. Senza le risate del pubblico, pareva talmente scialba che ebbi la certezza che non avrebbe fatto ridere nessuno. Lei mi imbeccò più volte per stimolarmi a tirare fuori qualche aneddoto autobiografico del mio repertorio, materiale di serie B a cui ricorrevo durante gli spettacoli per mostrare la mia personalità. Ma senza l’energia di una platea faticavo a mantenermi in equilibrio sul filo teso della comicità e ad afferrare il trapezio che Cynthia continuava a lanciarmi affinché non precipitassi nel vuoto.
Trascorsi alcuni minuti, persino la sua voce calma cominciò a tradire una punta di irritazione. «Parlami di Betty, un personaggio che a volte interpreti nei tuoi spettacoli.»
«Betty è v-venuta da me all’improvviso», balbettai. «Una collega mi ha prestato la parrucca…»
«Fantastico.» Cynthia mi interruppe prima che cominciassi a sparare cazzate sul mio lavoro di commessa. «Che ne dici di entrare un attimo nel personaggio e di rispondere alle domande come se fossi lei? Avrei un bel po’ di cose da chiederle.»
«Sì, certo.» Ero desiderosa di compiacerla, anche se non compresi bene quello che avevo accettato di fare finché non fu troppo tardi.
«Allora, la prima domanda: Betty, com’è che sei un tipo così… terra terra?»
Un secondo. Due. Tre. Un’insopportabile pausa di silenzio nella trasmissione che si protrasse per il tempo necessario a correre in camera mia, prendere in fretta e furia la parrucca sulla cassettiera e infilarmela di sghimbescio sulla testa. «Terra terra, a me?» dissi con la voce stridula di Betty, guardandomi allo specchio. «Io sono il sale della terra, stronza!»
Cynthia rise sollevata. «Betty! Sono felice che tu sia venuta a trovarci. Però non costringere Larry a mettere altri bip, okay?»
Biascicai una sfilza di parolacce che terminò con un gracidio. «Che te ne pare?» Arrendendomi a Betty, smisi di cercare di sintonizzarmi con Cynthia e cominciai a rivolgermi al pubblico invisibile. Sapevo d’istinto che i suoi ascoltatori si sarebbero divertiti un mondo a sentir punzecchiare la loro amata presentatrice, purché lo facesse un personaggio immaginario che sarebbe scomparso alla fine della puntata.
Cynthia mi premiò con una risata spontanea. «Benissimo, Betty. Sai, Larry ha avuto una serata terrificante e questa è la mazzata finale. Per un attimo, aveva temuto che non ci saresti stata.»
«Figurarsi se mi perdevo il Betty Cast!»
«Si chiama Bestie Cast.»
«E io cos’ho detto?» Betty padroneggiava con la massima scioltezza le battute più scontate. Se la regola aurea di Dana era stata: «Niente sangue nell’acqua», il motto di Betty era: «Tira fuori il tampone e spruzza sangue dappertutto».
«Betty, adesso però sii sincera. Ti sei messa la parrucca, vero? Ti ho sentito. Signore e signori, siamo in presenza di una vera artista, al livello di Kaufman.»
«A proposito di parrucche, avrei una storiella da raccontare su quella di Cynthia…»
«Non ci provare!» mi avvertì lei, stando al gioco. «Sai, Betty, le tue buone maniere lasciano a desiderare.»
«L’ha detto anche il mio psichiatra, solo che ha usato più parole. Aspetta, quante parole sono “disturbo della personalità con tendenze antisociali e omicide”?» Finsi di contare, ma mi interruppi al numero tre. «Be’, comunque all’epoca faceva meno fatica a parlare perché aveva ancora le labbra. E la lingua.»
«Cos’è successo?»
Mi sedetti sul divano, allungai le gambe e mi pulii le unghie tenendo il telefono sulla spalla. «Sono proprio contenta che tu me l’abbia chiesto. Tutto è cominciato l’altro giorno quando ho fatto fare a Blister un certificato per la pet therapy, così avrei potuto intrufolarmi nelle cucine delle case di cura per anziani e buttarmi nelle tinozze di crema di mais.» Sbuffai indignata. «E chi lo sapeva che bastava mordere un vecchio per essere sbattuti fuori da un posto del genere?»
«Aspetta un attimo», disse Cynthia, facendomi da spalla. «Perché avresti dovuto buttarti nelle tinozze di crema di mais?»
«Secondo te, perché i vecchi hanno la pelle così molle e appiccicosa? Anche se, fidati, non è buona come sembra, quindi lascia perdere.»
«Ti riferisci alla crema di mais?»
«No, alla pelle dei vecchi.»
«Quindi sei stata tu a mordere il vecchio?» domandò Cynthia incredula. «E Blister?»
«Blister è morto sei anni fa», ribattei. «A quanto pare, anche in questo caso non sono stata alle regole. Però adesso devi tacere. Adesso parla Betty.»
Nell’ora successiva, mentre Betty sproloquiava e Cynthia si fingeva scioccata, vissi in una dimensione parallela. L’appartamento intorno a me sembrava quasi trasparente; oltre i muri vedevo un mondo che sapeva di piscine a sfioro, acqua salata, sandali di pelle e successo. Quando infilai Betty nello studio di uno psichiatra, fornendole un arsenale di armi prese in prestito da un vecchio cartone della Warner Brothers, lei urlò la battuta conclusiva: «Così, alla fine, ho deciso di prendere in mano la situazione!».
Cynthia mi ringraziò per averle fatto passare l’ora peggiore della sua vita, e io capii che era un complimento. «Dana, devi venire a trovarci a Los Angeles. Era già nei tuoi programmi?»
«Sì, certo, certo», risposi. I millecinquecento dollari vinti alla gara sarebbero bastati a pagare quantomeno un breve soggiorno. Le piscine sembravano così a portata di mano da potermici tuffare. «Grazie per avermi invitato al Bestie Cast, Cynthia.»
«Oggi è stato il Betty Cast. E grazie per essere stata la mia bestie per un’ora. A presto!»
A quel punto si scollegò, e Larry, il produttore, era di nuovo in linea. «Grazie mille, Dana. Sei stata grande. La puntata andrà in onda stasera e sarà disponibile in rete subito dopo, quindi tieni d’occhio i social media.»
Lo ringraziai di nuovo e la comunicazione si interruppe, come il collegamento con il mondo oltre i muri di casa mia. I mobili, il televisore… tutto tornò opaco come prima. Persino la luce del giorno che filtrava dalle tende chiuse sembrava sporca. Nel silenzio, avvertii il ronzio dell’aria condizionata.
Era ancora troppo presto per andare al lavoro. Tirai fuori il mazzetto di biglietti da visita ricevuti alle finali e mi sedetti davanti al computer portatile. Era ora di mandare qualche e-mail con il link al sito del Bestie Cast vicino alla firma. Presto avrei fatto una puntatina a Los Angeles e avrei avuto bisogno di una presentazione.
Quella sera il Bestie Cast andò in onda mentre terminavo il turno in cartoleria. Quando mi infilai nel letto, aveva avuto ancora poche condivisioni su Twitter. L’indomani mattina fui colta alla sprovvista dalla valanga di e-mail da parte di agenti e manager giunta nel corso della notte. Passai la mattinata al telefono, a rispondere con savoir-faire alle proposte di rappresentanza, lasciando credere ad alcuni che fossi sul punto di trasferirmi a Los Angeles. La sensazione di essere così desiderata mi dava talmente alla testa da impedirmi di preoccuparmi troppo dei dettagli. I soldi vinti al concorso non mi avrebbero portato tanto lontano, ma forse mi avrebbero permesso di tirare avanti finché non mi fossi trovata un impiego a Los Angeles.
Mi resi conto che si era fatto tardi. Mentre percorrevo le strade trafficate della zona est di Austin, di nuovo diretta alla cartoleria, pensai ai lavori diurni, che erano il travestimento per eccellenza dei comici, il nostro modo di fingere di essere persone come tutte le altre. Solo di rado ci concedevamo di sognare di poterne fare a meno per sopravvivere. Eppure, quei posti con salario minimo, non ce li tenevamo mai per più di un anno o due. Dopodiché cominciavamo a diventare inquieti, decidevamo che ci impedivano di spiccare il volo e ci licenziavamo, annunciando sui social media che volevamo avere più tempo per dedicarci all’arte, alle nostre ambizioni, alla nostra vita. Un bel giorno, però, tornavamo a indossare un grembiule dall’altra parte della città, così si sapeva che non ce l’avevamo fatta neppure quella volta.
Dopo aver passato diverse ore nell’oasi dei sogni a occhi aperti, a crogiolarmi nell’allettante prospettiva di una carriera come comica, mi guardai intorno nel negozio per la prima volta da un pezzo e notai una cosa.
«Come mai non entrano mai uomini?» domandai a Ruby, che stava lisciando le etichette di lino sull’espositore delle collane. «Questo è un negozio di articoli da regalo. Gli uomini non devono comprare regali per mogli, fidanzate o che ne so io?»
«Non sono capaci», spiegò Ruby. «Per questo esistono i fiori.»
Stavo trascrivendo la frase – ormai non mi prendevo più neppure la briga di nascondere il taccuino – quando mi arrivò un messaggio sul telefono. Appena vidi chi era, sussultai.
Sentita da Cynthia Omari!!! Becchiamoci un giorno
Nient’altro. Due frasi da parte della persona che un tempo mi stava più a cuore di chiunque altro, del migliore amico che non si era fatto più sentire da quando ero sparita dalla sua vita, per tornarmene alla base. La spigliatezza dei punti esclamativi, la mancanza di pronomi personali, come se avesse scritto il messaggio in pochi secondi, mentre era impegnato a fare qualcos’altro, e l’assenza del punto finale mi indussero a saltare alle conclusioni. Se almeno ci fossero stati dei puntini di sospensione o se avesse scritto «presto», invece che «un giorno», mi sarei presa una pausa e l’avrei chiamato all’istante.
Invece non c’era niente. Questo significava che avrei dovuto limitarmi a una risposta innocua, qualcosa di generico e preferibilmente spiritoso. Non avrei potuto scrivere: Jason, mi sei mancato. Senza di te mi sento solo metà di me stessa.
Fissai il telefono senza digitare niente.
Quella sera non partecipai ai microfoni aperti e andai a letto presto, sfinita da ore e ore passate a fingere che mi fregasse qualcosa dei minuscoli cactus in vasetti di ceramica dipinta e di altre stronzate scelte da Henry. Dopo il messaggio di Jason, Los Angeles sembrava un po’ più lontana, anziché più vicina. L’incursione a casa di Carl M. invece era imminente. Avevo bisogno di riposare.