Ventitré

Harvey uscì dall'ufficio borbottando tra sé per via della macchina del ghiaccio. Si era guastata di nuovo, e la ditta che faceva rifornimento di ghiaccio l'aveva consegnato in ritardo, pochi minuti prima della fine del servizio. Carol lo stava aspettando al bar, già al secondo Glenlivet on thè rocks. Harvey le si sedette accanto con un gemito e le diede un bacio sulla guancia che presto si trasformò in un più lungo bacio sul collo. Poi lanciò un’occhiata al barista e indicò che voleva un cognac.

Il gruppo di Long Island all’angolo del bancone si era ridotto. Restavano solo quattro ragazze dai capelli cotonati intente a conversare con il barista ridacchiando. L’uomo interruppe il suo monologo e versò a Harvey un doppio Rémy. Gli mise il bicchiere sotto il naso e tornò dalle ragazze. Si appoggiò al bancone, il gomito su un mucchio di tovaglioli sporchi, e continuò a cazzeggiare.

«Guarda lì» disse Harvey. «Quelle tipe avranno sedici anni. A forza di stronzate, quella testa di cazzo mi farà togliere la licenza.»

«Perché non gli dici qualcosa?» chiese Carol.

«Di sicuro hanno tutte una carta d’identità con su scritto trentadue anni» disse Harvey. «Fanculo. Tempo perso. Ora ho altri problemi.» Continuò a guardare il barman con aria nervosa.

«Brutta giornata?» chiese Carol.

«Di merda come non mai» disse Harvey.

«Sembri stanco» disse Carol massaggiandogli la nuca.

«Lo sono» disse lui. «Oggi mi ha chiamato Janis. Ci mancava anche una sua telefonata.»

«Vuole dei soldi?»

«Li vuole sempre» disse Harvey. «Ma questa volta è diverso. C’è una novità. Cioè, sempre di soldi si tratta. Dovrò pagare lo stesso. Va sempre a finire così.»

«Ma se le hai appena comprato un paio di tette nuove. Che vuole adesso? Tirarsi su il culo?»

«È per mia figlia. Le ha dato il permesso di prendere lezioni di equitazione. Equitazione! Già sono sempre in ritardo con gli alimenti, ogni cazzo di volta. Lei lo sa che qui mi ammazzano, che non ci tiro su un centesimo. Lo sa. Ma vuole farmi cacciar fuori altra grana, così Sarah può imparare ad andare a cavallo. Chiaro che le ho detto che non posso permettermelo. “Le spezzerai il cuore” mi fa. “Tutti i suoi amici ci vanno.” Le aveva già detto di sì, ovvio. Allora io le faccio: “Bene, quanto mi viene a costare?” “Cinquanta a settimana per le lezioni” dice lei. Okay, non mi va, ma ce la posso anche fare, mi tocca... Poi mi rovescia addosso il resto. C'è tutto un abbigliamento apposito, dice. Bisogna comprare i pantaloni, la camicia, la giacca, il caschetto. E gli stivali! Da fare su misura. Altrimenti le faranno male i piedi. Tu hai idea di quanto mi costeranno tutte queste stronzate? Aspetta e vedrai se tra un po’ non le dice che papà le comprerà un bel cavallo di merda!»

«E una bambina splendida» disse Carol. «Se Sarah è contenta, non vedo cosa c’è di male. Parlo delle lezioni, bada bene.»

«Gli ebrei non vanno a cavallo» disse Harvey.

«Da bambina adoravo i cavalli» disse Carol. «Qualche volta ci sono anche salita, alla colonia estiva.»

«Sì, lo so, lo so. Le bambine adorano i cavalli. Ma Janis la spedirà in qualche accademia di equitazione nazista del cazzo, dove tipi come me neanche li fanno entrare. Magari usano i cavalli proprio per mandar via dal green la gente del mio stampo, se solo cerca di giocare a golf.»

«E un circolo esclusivo? Ne sei sicuro?»

«No, non lo so. Il punto è che lo fa apposta. Per darmi fastidio. Sta cercando di trasformare la mia bambina in una protestante, o qualcosa del genere. E vuole farlo pagare a me.»

«Se Sarah è contenta...»

«Cambiamo discorso» disse Harvey con aria infastidita. Buttò giù una lunga sorsata di cognac, strinse il pugno e se lo premette sullo sterno. «Com’è andata al lavoro, oggi?»

«Il dottore ha fatto una cazzata» disse Carol, abbassando la voce in un bisbiglio.

«Oh» disse Harvey illuminandosi. «Sono già di buon umore. Che ha combinato?»

«Ieri aveva un’estrazione. Una signora anziana, con un dente del giudizio di traverso. Avrebbe dovuto metterle dei punti. Gliel’ho detto, con garbo. Solo un suggerimento. Vedessi l'occhiataccia che mi ha lanciato. Così l'ha riempita di garze e l'ha mandata via. Stamani se n'è arrivata con un ematoma da non credere. E lui le ha messo i punti.» Carol fece una smorfia. «Mi sarebbe piaciuto fargli: “Gliel'avevo detto...”»

Harvey sbuffò. «E uno sfaticato, quel tipo. Ci fossi stato io, non sarebbe mai successo. Non gliel’avrei lasciato fare...» Si alzò dallo sgabello. «Andiamo a casa. Mi sento di merda. Devo togliermi questi vestiti di dosso. Ho l'office proprio sopra la cucina, in cima alle scale. L'odore del cibo entra dappertutto. Puzzo come Charlie il Tonno. Voglio cambiarmi. Prima una doccia, poi, magari, un salto nella Jacuzzi, magari anche un bel massaggio alla schiena, che ne dici?»

«Tocca anche a me, un massaggio alla schiena?»

«Prima io» disse Harvey.

Tommy e Stephanie sbucarono dal piano inferiore e si fermarono accanto al bancone. Tommy aveva una strana espressione in volto. Stephanie si sistemò il rossetto guardandosi nello specchio dietro il bancone.

«Non voglio neanche immaginare cos'hanno combinato quei due, giù di sotto. Negli ultimi tempi questo posto è una specie di Sodoma e Gomorra» disse Harvey. Lanciò al barista un ultimo sguardo preoccupato. L’uomo era ancora accucciato davanti alle tipe cotonate, un book fotografico spalancato sul bancone. Le ragazze non facevano che ululare e ridacchiare, commentando a bassa voce i primi piani del barista. «Cristo» disse Harvey. «Li odio, gli attori.»