Prologo

II ritrovamento di un cadavere gettato dalle onde sulla spiaggia non era poi un fatto così insolito. Nel corso degli anni, a Sandy Hook ne erano capitati fin troppi‘ di morti galleggianti. Funzionari del sindacato, incaprettati e in avanzato stato di decomposizione, tronchi umani già mangiati dai granchi, bambini scomparsi, spacciatori dì droga ficcati in barili di petrolio. Tutta roba portata dalla corrente. Trascinati fuori dal porto di New York, lungo la costa del New Jersey, si riempivano di gas e balzavano in superficie prima di arrivare a riva con la marea.

Al dottor Russel Breen, medico legale di Sandy Hook, strappato alla sua colazione alla tavola calda Tips for Tops’n, bastò guardare l’ultimo arrivato per identificarlo come uno di città: nastro isolante attorno ai polsi e alle caviglie, segni di un laccio sotto il mento, lividi provocati da un corpo contundente e fori di proiettile nella nuca.

«Non è di qui, non c’è verso» disse. Un altro regalo della Grande Mela, pensò. Sottopose a radiografia la dentatura del morto, o quel che ne restava, scattò qualche foto di fronte e di lato e inviò il tutto via fax a New York.

Impossibile rilevare impronte. La pelle veniva via dalle dita en masse. I capelli erano spariti da tempo, e quel che rimaneva della faccia era sfigurato al di là di ogni possibile identificazione. Il ventre dell’uomo, gonfiato dal gas, era affetto da ernia ombelicale: l’ombelico stesso sporgeva come un termometro da tacchini. Quando il dottor Breen rivolse la sua attenzione alla bocca del morto, inserendo al suo interno un dito guantato, si chiese subito se ci avessero acceso un fuoco. La lingua era carbonizzata, e nel palato erano conficcati frammenti di carta rossa e marrone. I denti erano quasi completamente scomparsi, mentre le guance lacere e annerite ciondolavano in strisce spugnose sopra le orecchie, quasi qualcuno avesse tentato di rovesciargli il volto come un guanto, senza esito. Nella gola il medico trovò qualcosa di duro, e lo recuperò con un laccio emostatico.

«Figlio di puttana» disse, esaminando l’oggetto alla luce, «è un fuoco d’artificio, un raudo. Ne ha ingoiata un bel po’, di questa roba.»

Una volta concluso che il defunto era stato preso a rivoltellate, percosso e strangolato con un laccio, e che avevano anche tentato di fargli esplodere la testa, il dottor Breen fece montare il cadavere su una lettiga cigolante e diede ordine di trasportarlo nella cella frigorifera. Infine tornò al Tips for Tops’n per finire la colazione. Ogni sua ulteriore mossa era legata all’inevitabile arrivo della squadra di New York. Magari sarebbero riusciti loro a recuperare qualche impronta, asciugando i polpastrelli con un solvente chimico. Magari i denti superstiti sarebbero stati sufficienti a ottenere un’identificazione. Bastava aspettare quelli di New York, di questo era certo. Nel frattempo, tanto valeva far colazione.

Ma il vero fatto insolito fu l’entità del contingente newyorkese che si presentò qualche ora dopo. Il più delle volte i cadaveri galleggianti richiamavano due, massimo tre detective di città. In rarissimi casi capitava anche un pezzo grosso della scientifica. Questa volta fu diverso. Si trattò di un’invasione. Da quanti erano, non c era spazio per tutti nel minuscolo ufficio del dottor Breen. Tizi della procura in giacca e cravatta, agenti dell’Fbi in giacca a vento blu scura, detective in jeans e giaccone imbottito, altri in calzoni sportivi e polo, neanche li avessero fatti correre via dal campo da golf. Cera anche un terzetto di medici legali dall’aria emaciata, gente arrivata dritta da Washington, nientemeno, e addirittura in elicottero. Tutto molto strano.

Di solito, i due o tre detective che venivano a vedere il più recente cadavere della mafia s’aggiravano pomposi nell’ufficio del coroner, in un fuoco di fila di battute, cercando di impressionare quelli del posto con la loro indifferenza. Ridacchiavano davanti alla salma, ansiosi di dimostrare che erano quisquilie, quelle, che roba del genere, loro, se la trovavano sotto il naso dalla mattina alla sera. Per loro un morto ripescato in acqua era Poppin’ Fresh, l’orsetto di lievito della pubblicità, o Kibbles ’n Bits, cibo per cani, casomai gli mancasse qualche pezzo, oppure, ancora, se ritrovato in un fusto metallico, carne in scatola.

Ma non stavolta. Tutta gente tetra e poco disposta alle battute, questa. Sembravano avercela su per chissà cosa. Invece di motteggiarsi l’un l’altro, come di consueto, non facevano che litigare. Nell'aria si agitavano recriminazioni non dette che, di tanto in tanto, finivano per sfociare in alterchi veri e propri. Infine scoppiò una rissa, nel corridoio, un tozzo agente dell’Fbi mollò un cazzotto a un tale della procura, e per separarli fu necessario l'intervento di un paio di poliziotti locali. Il viceprocuratore in questione dovette farsi dare un paio di punti, mentre l’uomo dell’Fbi fu caricato in fretta sull’elicottero e rispedito a Washington.

Dopo la zuffa, tutti quanti si radunarono nell’atrio a guardarsi in cagnesco. Quelli dell’Fbi prendevano per il culo i detective e facevano commenti volgari a bassa voce, poco più in là i detective rispondevano in silenzio con occhiate di fuoco. Il gruppetto dei viceprocuratori si era radunato nei pressi della fontanella dell’acqua, vittima degli opposti insulti degli agenti dell’Fbi e dei detective.

Comparve anche una reporter del quotidiano locale, ma fu subito messa in mezzo dall’intera comitiva, che per un improvviso e passeggero istante si ritrovò unita nell’ostilità. Un detective, minaccioso, le ringhiò all’orecchio parole irriferibili, e la donna se ne fuggì in lacrime.

Quando fu sparita, gli uomini ripresero a fronteggiarsi torvi e accusatori. Scrollavano il capo. Fumavano come ciminiere. Si rodevano il fegato per le immaginabili ripercussioni di quello sbarco sul litorale di Sandy Hook. Senza dubbio, sapevano chi era. E la cosa non li rendeva felici.

Al dottor Breen sembravano tutti... be’, colpevoli.