Sei
Tommy sorseggiava un caffè nella cucina vuota. Gli uomini di fatica del turno di notte, Mohammed Grande e Mohammed Piccolo, avevano finito, li sentiva discutere in arabo nello spogliatoio. A parte questo, la cucina era immersa nel silenzio.
Era il suo momento preferito. I taglieri erano stati ripuliti a fondo e ben strofinati, i banchi da lavoro in acciaio e i frigoriferi a parete scintillavano. Non ci sarebbero stati altri cuochi fino alle due e mezza. A mezzogiorno doveva arrivare il lavapiatti per aiutarlo con le preparazioni e per mettersi in pari con le pentole. Fino a quel momento più nessuno avrebbe disturbato Tommy, che sarebbe stato libero di cucinare come voleva, con i suoi tempi. Scorse la lista appiccicata alla porta dell’armadio a parete, vicino alla postazione del sauté.
«TOMMY!» c’era scritto, nello stampatello spigoloso dello chef che adorava i punti esclamativi.
Brodo di vitello non ridotto abbastanza... RIMEDIA! Anche: pollo arrosto...
25 carcasse in arrivo... Cucinare e sgusciare per la pasta di stasera.
Serve una salsa per lo spada... Qualche idea?
Anche: patate gaufrette e pommes anna (scusa)
Tommy odiava preparare le pommes Anna.
Ma c'era dell'altro.
Riempire bottiglie di vinaigrette al peperone rosso e salsa al coriandolo.
Tagliare pesce: uno spada giovane (controlla che sia giovane) e un salmone in arrivo. Spada in porzioni da 200 grammi, salmone come al solito.
MINESTRA! Cancella la vecchia schifezza dal menu. Usa i calamari nella cella frigorifera e i ciuffetti nel frigo a parete. NON USARE SCALOGNO!
Salsa di funghi: usa i portobello, i gallinacci, i porcini secchi. Allungala coi funghi freschi. Usa la demi dopo che l’hai ridotta. Mettici il PORTO!
Butta la verdura malconcia nel brodo di vitello...
Fai pulire le cozze al lavapiatti quando arriva. Anche gli altri molluschi.
Una cassa di ostriche Pine Island e una di Cherry in arrivo.
Verdure già tagliate in cella frigo... NON TAGLIARE!
Quando arrivano Ricky e Mei, fagli pulire le scatole e gettare la roba misteriosa.
Arrivo verso le 2.30.
Tommy si soffermò sull'ultima riga. Quando lo chef diceva che sarebbe arrivato verso le due e mezza, intendeva forse le tre e mezza, o anche le quattro. “Mei” era il nome affibbiato a ogni nuovo cuoco inesperto. Veniva dal termine italiano “malacarne”. L’ultimo Mei era il nuovo garde-manger, vero nome Ted, o qualcosa del genere. Come tutti gli altri Mei, era un esterno del Culinary Institute, che faceva un semestre di tirocinio nel mondo vero per acquisire crediti scolastici. La sua era quella che veniva definita con sarcasmo una “esperienza istruttiva”, nel senso che lui si faceva un culo così a lavorare, e il ristorante sfruttava mano d'opera entusiasta a un costo davvero irrisorio. Come tutti gli altri, si era presentato tutto lindo e pinto, nella sua divisa nuova, con la dotazione standard di coltelli avvolta nella custodia di similpelle nera arrotolata sotto un braccio, e una copia del Professional Chef sotto l'altro. Ma lavorava come un pazzo, non si lamentava se qualcuno gli chiedeva di pelare l’aglio o fare ettolitri di salsa olandese per il brunch. Tommy fu tentato di chiedere a Mei di sgusciare le aragoste, ma decise di non farlo.
Suonò il campanello dell’entrata fornitori. Tommy percorse lo stretto corridoio e aprì con una spinta la pesante botola che si apriva sulla strada. Era arrivato il pesce. Un autista piccoletto e con la barba lunga, che indossava un cinturone di cuoio da scaricatore, guanti da lavoro e stivali di gomma, entrò con un lungo scatolone di cartone colmo di ghiaccio tritato. Mollò lo scatolone ai piedi di Tommy, e sul pavimento cominciò a scorrere un rivolo di acqua dal ghiaccio che si scioglieva. Dallo scatolone Tommy estrasse dapprima un trancio di pesce spada, poi un salmone dell'Atlantico. Li pesò entrambi sulla bilancia digitale posta su una veneranda ghiacciaia, eseguì la solita, burocratica procedura col salmone, ovvero dargli una strizzatina, controllò occhi e branchie e infine firmò la bolla. Consegnò all'autista l'originale, appese la copia gialla a un chiodo alla parete, vicino a una pila di etichette di molluschi, poi tornò in cucina.
Dal piano di sopra, nella postazione dei camerieri, riusciva a sentire Barry, il direttore di sala, che scaldava il latte per il cappuccino. Finì il caffè e urlò un «salaam» ai due Mohammed che attraversavano la cucina per raggiungere l'uscita. Riempì d'acqua il carrello a vapore e, inginocchiandosi sugli immacolati tappetini di gomma dietro i banconi, si allungò ad accendere i fornelli. Accese anche le cappe dei fornelli e la friggitrice, i forni e una parte della griglia. In una padella antiaderente fece saltare del chorizo con dello scalogno avanzato dalla sera prima, poi ci strapazzò delle uova con una spatola di gomma. Ci macinò del pepe, fece scivolare le uova su un piatto e le mangiò di corsa, in piedi davanti alla sua postazione. Finito di mangiare, mise il piatto e la forchetta nella zona del prelavaggio. Avviandosi alla sua mise-en-place, dalle mensole in alto prese le pentole che gli sarebbero servite, e dispose con cura i coltelli sul suo tagliere. Riempì d’acqua calda una ciotola di acciaio inox, ci mise a mollo un po’ di cucchiai maschio e femmina, un paio di pinze e una spatola. Prese una pila di canovacci da cucina dallo spogliatoio e li posò su una mensola della sua postazione.
Entrò nella cella frigorifera e tirò fuori un secchio pieno di brodo di vitello, lo versò in un massiccio pentolone Crusader-Wear e cominciò a ridurlo. Rientrò nella cella per uscirne con una tinozza di aragoste a una sola chela, che non la smettevano di dimenarsi. Versò due litri di vino bianco in un pentolone, ci aggiunse delle foglie di alloro, del pepe in grani, un po’ di peperoncino frantumato, chiodi di garofano, un rametto di timo fresco. Trovò dei ritagli di verdura nella scatola del sauté, una mezza cipolla avvizzita, un paio di carote raggrinzite, del sedano ammosciato. Li buttò dentro assieme a qualche cima di porro e una testa d’aglio. Coprì e aspettò che il vino iniziasse a bollire, assorbendo l’aroma delle spezie e delle verdure. Ritornò verso la cella, pensando a quanti chilometri al giorno si faceva a forza di andare avanti e indietro, e ne uscì con un secchio di fumetto di pesce e uno di patate sbucciate. Il mangianastri schizzato di cibo sparava a tutto volume She cracked, un vecchio pezzo dei Modern Lovers, e Tommy si mise a saltellare al ritmo della musica senza imbarazzo, visto che era solo in cucina. «She cracked... I’m sad... But I won’t...» cantava. Sfregò un paio di peperoni rossi con olio d’oliva e li mise sulla griglia per la vinaigrette.
Si voltò verso le aragoste in fermento. Le rovesciò nel vino bianco che bolliva. «Mi spiace, ragazze» disse. «Tra un attimo sarà tutto finito.» Le udì raspare la pentola con le chele. Il rumore cessò quasi subito.
Quando le aragoste furono cotte, le rovesciò in un colatoio e ci fece scorrere dell’acqua fredda.
Ridusse un po’ di porto per la salsa di funghi. Allungò la mano in un secchio gelido di scalogni e scoprì che ce n’erano pochi. Con la mano ancora bagnata, iniziò a stilare la lista delle preparazioni su un foglio del blocco a molla dello chef. «Tritare scalogno! !» fu la prima cosa che scrisse. Mise a mollo in acqua tiepida dei porcini secchi, e con uno spelucchino ripulì gambo e lamelle di una manciata di portobello.
La radio lanciò il vecchio surf degli Chantays, Pipeline, un brano strumentale. Tommy sorrise. Gli parve un buon momento per iniziare a preparare la minestra. Trovò la sua pentola preferita in un angolo sotto il banco da lavoro, proprio dove l’aveva nascosta il giorno prima, e la mise sul fornello. Ci versò dell’olio d’oliva, tritò dell’aglio e lo fece rosolare finché non fu quasi trasparente. Avrebbe voluto mimare un assolo di chitarra per accompagnare la musica, visto che nessuno lo guardava, invece sbucciò le cipolle e ne fece un battuto fine. Gli tornarono in mente i peperoni rossi sulla griglia. Si voltò con una piroetta, li acchiappò con le pinze, li mise in una ciotola d’acciaio e li coprì con la pellicola di plastica prima di togliergli la pelle. Gettò il trito di cipolla nella pentola della minestra con l’aglio, e ci aggiunse qualche foglia di timo e di alloro. Tolse i semi a qualche peperoncino rosso e verde, li tritò di grosso e buttò anche quelli nella pentola. Aggiunse una bella presa di cumino macinato. Ben presto la cucina cominciò a riempirsi dell’aroma di aglio, cipolla e cumino. Aggiunse i calamari tagliati, smuovendoli con una paletta d’acciaio. Rovistò nel frigo a parete della zona griglia e ne ripescò dei ritagli di pesce spada, un po’ di polpa d’aragosta e, meraviglia delle meraviglie, una ciotola piena di vongole già sgusciate. Passandola nel colino, aggiunse l’acqua delle vongole al fumetto di pesce che si stava già scaldando sul fornello posteriore, e aggiunse le vongole ai calamari, assieme all’aragosta e al pesce spada. Quando il fumetto fu caldo, lo versò nella pentola della minestra, ci aggiunse due barattoli di pomodori pelati, un paio di cucchiai di concentrato di pomodoro e quattro litri di vino rosso. Tagliò in pezzi grossi dieci patate già sbucciate e buttò anche quelli nella pentola. Completò quello splendido fondo scuro con del peperoncino frantumato e un po’ di tabasco, e lasciò la pentola a bollire a fuoco basso.
Accese una sigaretta e cercò a tentoni, sotto il bancone, il posacenere che lo chef aveva usato la sera prima. Niente da fare. Rovistò nella rastrelliera inclinata della postazione, scostando le bottiglie unte di tabasco, olio d’oliva, vino bianco, brandy, Worcestershire, aceto di riso, succo di limone. Finalmente trovò il posacenere su una mensola in alto, infilato dietro il coltello giapponese personalizzato dello chef nel suo fodero di palissandro, roba da quattrocentocinquanta dollari. Una bustina di cellophane sbucava dal fodero, e Tommy la estrasse con cura. La bustina aveva un timbro colorato con l’immagine di un water. Prese una banconota dal portafogli, la arrotolò veloce, staccò il nastro adesivo che chiudeva la bustina e, dopo una rapida occhiata attorno a sé, fece un breve, misurato tiro del suo contenuto amaro.
«Ooohhh, baby» disse a gran voce.
Come al solito lo chef si presentò in ritardo, verso le tre e mezza. Andò subito a recuperare il suo coltello e sparì nello spogliatoio per cinque minuti buoni, prima di ripresentarsi in abiti da lavoro e con l’aspetto notevolmente rigenerato. Tommy non disse niente. Lo chef sintonizzò la radio su una stazione di classic rock, si accese una sigaretta e si diresse verso il bar al piano di sopra, ripresentandosi poco dopo con un bicchierone di Coca-Cola e ghiaccio.
«Che minestra è?» chiese a Tommy.
«Guarda qui» disse Tommy, fiero di se. «Zuppa di pesce alla portoghese.»
Lo chef sollevò il coperchio della minestra che ancora sobbolliva. «Cazzo, che profumo. Se riesco a tenere qualcosa nello stomaco, me ne faccio una scodella per pranzo. Hai sistemato l'aragosta?»
Tommy annuì. «Sì, e mi ha fatto schifo. Dovremmo lasciarlo al lavapiatti, quel lavoro di merda.»
«Butterebbe metà della polpa nell'immondizia. Non spolpano le giunture, quelli. E poi s'innervosisce. Non gli piace avere a che fare con i crostacei, credo che c'entri la religione.»
«Ho messo assieme una salsa per il pesce» disse Tommy. «Vinaigrette alla senape ed estragone con guarnitura di porro croccante. Va bene?»
«Ottimo» disse lo chef. «Un vecchio classico.»
«Non ho ancora tagliato i porri» disse Tommy. «Non è che mi lasceresti usare il tuo coltello? Con i coltelli del ristorante viene una poltiglia di merda.»
«A quanto pare hai già messo mano al mio coltello. Metà della bustina è andata» disse lo chef.
«Era già mezza vuota. Ho fatto solo un tiro» disse Tommy.
«Mi serviva per svegliarmi, cazzo» sussurrò lo chef. «Tu non hai bisogno di quella roba. Io sì.»
«Scusa se ne ho presa un po’» disse Tommy. «E stata una cosa d’impulso. Mea culpa. Scusa.»
«Ora mi tocca andare nell’East Side» disse lo chef, indicando col capo verso est. «Non c’è niente, in centro, e dalle parti della Quarantesima è troppo a rischio. Volevo andarci più tardi, e invece devo andarci subito. Mica voglio trasformarmi in una zucca a metà del servizio, cazzo.»
«Davvero, non ne ho tirata molta» disse Tommy.
«Ora mi tocca andare laggiù» ripetè lo chef.
«Mandaci un aiutante di sala, dopo. Hector arriva tra un’ora» suggerì Tommy.
«Ci avevo pensato» disse lo chef, «ma non mi va. Non è poi 'sta gran figata. E se lo beccano? Finiscono per espellerlo dal paese. E poi lo conosci, Hector. Ce l'ho mandato un paio di volte, e ora pensa che riuscirà a spillarmi una bistecca per cena. Ce lo vedi Hector, un aiuto cameriere del cazzo, che se ne sta di sopra ad affondare i denti in un filetto da mezzo chilo, e tutto il personale di sala e il direttore che cercano di mandar giù il loro sformato? Non si può. Come se non bastasse, quel figlio di puttana vuole la carne ben cotta. Questione di principio.»
«Quindi ci vai ora?» chiese Tommy.
«Sì. Puoi prepararmi la postazione?»
«Sì, certo.» Esitò un attimo. «Be’, visto che vai, me ne puoi prendere un paio?»
«Ce li hai i soldi?» gli domandò lo chef.
«Abbastanza per due.»
«Non è che ti avanza un venti fino alla prossima settimana? Sono a corto di grana.» «Va bene» disse Tommy, prendendo il portafogli. «Ma me lo devi restituire.»
«Nessun problema» disse lo chef. Ma il problema, Tommy lo sapeva benissimo, ci sarebbe stato.
«Allora, ne prendi quattro?» chiese Tommy.
«Due per me e due per te» disse lo chef. Si voltò e si avviò alla porta.