Ventuno

Sedevano a uno dei tavoli migliori, vicino a uno zampillo d’acqua nel patio del giardino sul retro del ristorante. Sui graticci alle loro spalle si arrampicava edera verde smeraldo, e dappertutto c’erano tulipani gialli. Agli altri tavoli vecchie signore facoltose chiacchieravano in piccoli gruppi.

«Hai bisogno di soldi» disse la madre. Un’affermazione, non una domanda. Lo chef annuì, tentando un timido sorriso.

«Ricordi come facevamo colazione?» chiese la madre, cambiando argomento. «In Francia?»

«Con la cioccolata?» chiese lo chef, lieto che la madre non lo rimproverasse per via dei soldi.

«Sì» disse lei, «con la baguette, il burro di Normandia e la cioccolata calda. Servita in quelle grandi scodelle blu.»

«Mi piaceva tanto» disse lo chef. «E mi manca. Non si può fare qui, non è la stessa cosa.»

«Colpa del burro» osservò la madre.

Era alta, magra ed elegante, in abito blu scuro e filo di perle. I capelli argentei, raccolti in uno stretto chignon, davano al suo volto un aspetto severo. Il viso era pallido e bianco, ravvivato da un unico tratto di rossetto scuro. Sedeva dritta come un fuso e, con due lunghe dita dalla manicure perfetta, si tolse una briciola di tabacco dalla punta della lingua. Senza voltare il capo, si accorse del cameriere in arrivo e spense la Gitane senza filtro nel posacenere di vetro molato.

Il cameriere le mise davanti un enorme piatto di porcellana. «Madame» disse. Lei esaminò il carré d’agneau senza muovere la testa né mutare espressione. Tre minuscole costolette d’agnello, rifilate in modo impeccabile, erano disposte di sbieco su una striscia di salsa al centro del piatto. Una composizione di verdure mignon, legate in mazzetti da striscioline di porro sbiancato, circondava la pietanza. Il cameriere girò attorno al tavolo e servì allo chef il suo rombo chiodato.

«Guarda quanti tartufi ci hanno messo» disse la madre con lieve accento francese.

Lo chef fece un ampio sorriso. «La cottura è di tuo gradimento, marnarli» le chiese.

«Parfait» rispose lei. Le piaceva sentirsi chiamare maman.

Il cameriere le versò un altro goccio di Còtes-du-Rhóne, poi prese una bottiglia di Pouilly-Fuissé da un secchiello d'argento e riempì il bicchiere dello chef. Chiese alla donna, in francese, se desiderava altro. Lei lo congedò, sempre in francese.

Dal rombo lo chef tolse con le dita un grosso pezzo di tartufo e se lo infilò in bocca.

«Oh! Michel!» protestò la madre, «non con le mani!»

Lo chef scosse il capo, prese la forchetta e attaccò un primo boccone di pesce.

«Va bene? E tenero, in mezzo? Non è troppo cotto?» chiese la madre, sbirciando il figlio dall’altra parte del tavolo.

«Ottimo» disse lo chef. Sollevò l’enorme bicchiere e bevve metà del contenuto.

«Ti è appena arrivato il pesce e hai quasi finito il vino» osservò lei.

«Posso sempre bere il resto del tuo» disse. «L'hai appena toccato.»

«E smettila di agitarti sulla sedia in quel modo. Non riesci a metterti comodo? C'è sempre qualcosa che ti rode» disse la donna.

«Scusa» disse lo chef.

«E bevi troppo» aggiunse lei.

«Non bevo sempre così» disse lo chef. «E che il vino è buono. Non mi capita spesso, del vino così buono. Sto cercando di approfittarne.»

Lei annuì e prese un piccolo boccone dal centro della sua costoletta. «Avresti fatto meglio a ordinare della carne rossa. Non hai un aspetto sano.»

«Sarà il fegato. Une crise de foie. Ho lasciato la finestra aperta ieri sera. La corrente, l’aria notturna...»

La madre aggrottò la fronte. «Non prendermi in giro, Michel. Non è buffo. Non hai un bell’aspetto. Mi preoccupi.»

«Sto bene, sto bene» disse lo chef, aggrottando la fronte. «E solo che lavoro troppo. Non dormo abbastanza.»

«Non hai neanche l’assistenza sanitaria. Quella bestia del tuo principale non è nemmeno capace di fornire l’assistenza sanitaria ai suoi dipendenti, al suo chef. E vergognoso.»

«Al momento non può permetterselo» disse lo chef. «E neanche io.»

La madre scosse la testa con disapprovazione. «Magari avresti potuto lavorare qui. Potrei domandarlo ai miei amici. Sono sicura che il proprietario tratta i suoi dipendenti in modo corretto. Lascia che glielo chieda.»

«Non potrei essere lo chef, qui» disse lo chef. «E io voglio essere il capo. Mi servono soldi. Non posso permettermi di essere solo un commis.»

«D’accordo» disse lei. «Non qui, allora, ma da qualche altra parte, dove potresti essere lo chef. Un posto come questo.»

Lo chef scosse lentamente il capo. «Non potrei lavorare così... Non posso svegliarmi alle quattro del mattino e andare a Fulton Street a cacciare il naso in un mucchio di branchie. Non posso fare quindici, sedici ore al giorno per sei, sette giorni alla settimana. E non sono abbastanza bravo da cucinare roba come questa. Non certo come chef.»

«Questo è un atteggiamento disfattista» disse la madre. «Non sei sempre stato così.»

«Sì, be’, sto invecchiando» replicò lo chef.

«Proprio così. Sì. Stai invecchiando» disse la madre. «E vivi ancora come... come uno zingaro. Non hai mai abbastanza soldi. Non fai che cambiare lavoro, ogni due anni un posto diverso, un appartamento diverso. Niente famiglia, niente assicurazione, non possiedi niente.»

«Ho sempre te, no?» disse lui con un sorriso.

«Sì. Per ora. Non ci sarò sempre» disse lei. «Non sarò qui ad aiutarti in eterno. Non ti pagano, al lavoro?»

«Mi pagano» disse lo chef. «E solo che tutto è così caro, sai. E ho dei debiti.»

«Hai sempre dei debiti. E tremendo, avere dei debiti.

Io non ho debiti. Non so come fai a vivere così. E i tuoi amici, sembrano una... una banda di motociclisti, non cuisinier...»

Lo chef scoppiò a ridere e cambiò argomento in fretta.

Mangiarono in silenzio. La madre tolse con metodo le ultime striscioline di grasso dall’agnello, lasciando sottili ossi bianchi su un piatto altrimenti vuoto. Apparve l’aiutante di sala e tolse i piatti. Il cameriere spinse un carrello di formaggi accanto al tavolo. La madre dello chef prese gli occhiali dalla borsetta e, dopo averli appoggiati in cima al naso, si sporse a esaminare i formaggi. Dopo un attimo di riflessione scelse un Pont-l’Eveque. Lo chef, senza guardare, chiese una fetta di St.-André e una di Camembert.

«A quanto pare, ci piacciono i formaggi morbidi» disse lo chef.

«Anche il formaggio, qui, non è la stessa cosa. Lo sciupano per l’esportazione» disse la madre.

«Lo pastorizzano» disse lo chef.

«Appunto, non è lo stesso» disse la madre.

«Forse dovresti vivere in Francia.»

«E come potrei aiutarti, quando ti cacci nei guai? Chi te li darebbe i soldi per i tuoi debiti? E poi, non potrei tornare laggiù. Adesso è un paese comunista» disse lei.

«Socialista» la corresse lo chef.

«E uguale. De Gaulle avrebbe dovuto cacciarli tutti in prigione. Dopo la guerra.»

La madre dello chef prese un ultimo boccone di formaggio, si tamponò la bocca con la punta del tovagliolo e si chinò verso il figlio. «Lo usi, il preservativo?» chiese.

Scioccato, lo chef piegò il capo di lato. «Cosa?»

«Quando esci con i tuoi amici, magari per vederti con una ragazza, una ragazza qualsiasi, usi il preservativo? Ho letto qualche articolo sulle riviste.»

«Sì, marnare» disse lo chef imbarazzato. Diede un’occhiata ai tavoli circostanti, casomai qualcuno avesse sentito. Le anziane signore al tavolo accanto erano impegnate a bere Martini e a fare commenti sul fondoschiena dell'aiutante di sala.

«Be’, è già qualcosa. Ottimo. Dovresti usarlo sempre» disse la madre, soddisfatta.

«Cos’hai guardato alla tv, di recente, Oprah o roba del genere?» chiese lo chef.

«Cos’è Oprah?» chiese la madre.

«Lascia perdere. Era una battuta» disse lo chef.

«Quest ce que vous voulez comme dessert madame?» chiese il cameriere, mentre il suo aiutante toglieva i piatti del formaggio. La madre dello chef si allungò per vedere il carrello dei dolci.

«Di’ a quell’idiota di avvicinare il carrello» disse lo chef, un po’ alticcio.

«Sssh! Qa suffit\»

Il cameriere era già andato a prendere il carrello per sistemarlo accanto al tavolo. La madre dello chef esaminò con attenzione tutto quel che era alloggiato sui tre ripiani. «Ah!» esclamò. «Il Paris-Brest. Guarda, Michel, il Paris-Brest. Ricordi?» Lo indicò col dito, e il cameriere gliene servì una porzione. «Danne una anche a me» disse lo chef al cameriere. Quando il cameriere sparì, la donna rimproverò il figlio. «Non dovresti parlare così. Ci mangio ogni settimana, in questo posto.»

«Scusa, mamma. Me la sto solo spassando. Mi sto rilassando. Mi diverto, capisci?» disse lo chef.

«Ti piace il dessert? Ricordi l’ultima volta che l'abbiamo mangiato?» chiese lei.

«A Chagny? Era quel posto con tutti quei cani, vero?»

«Sì. Chez Denis. Il Paris-Brest è il mio preferito assoluto. Lo facevano così bene. Anche questo è ottimo. Ti piace?»

«Fantastico» disse lo chef ingurgitandone una gran quantità, la crema chantilly che gli spuntava agli angoli della bocca. «Un pasto fantastico. Eccellente.»

«E mi sa che dovrò pagarlo io» disse la madre.

«Insomma...» disse lo chef.

«E ti servono dei soldi, mi pare d'aver capito» disse la madre infilando la mano nella borsetta. Gli porse un assegno da mille dollari, già compilato con calligrafia illeggibile e piena di sgorbi, da vecchia signora. «Ecco. Ma solo se prometti di tagliarti i capelli. Sembri un cannibale, conciato così.» Tenne stretto l’assegno, come a non volerlo mollare. «E vedi di accorciarti le basette, mica voglio che la gente ti scambi per una specie di terrorista.»

«Certo, maman» disse lo chef. Lei mollò la presa sull’assegno.

Lo chef mise il tovagliolo sporco sul piatto del dessert e si appoggiò allo schienale. André, chef e proprietario del ristorante, s’accostò al tavolo a porgere i suoi omaggi. Indossava una giacca da cuoco bianchissima, con bottoni alla cinese e il tricolore francese a ornare il colletto. Sul taschino anteriore aveva fatto ricamare il suo nome, un ricamo blu e perfetto, e il cappello inamidato si ergeva ben alto. Ebbe una breve conversazione con la madre, in francese, chiedendole come stava e se aveva mangiato bene. Parlarono di amici comuni. Lei si voltò verso lo chef e disse, in inglese: «André, vorrei presentarti mio figlio, Michel. Anche lui è uno chef.»

Lo chef si alzò e tese la mano. Avrebbe voluto morire.