CAPITOLO 24.
La primavera era al massimo dello splendore, la luce anche. Alcuni non riuscivano più a sopportare quel silenzio e se ne andarono, gli altri rimasero seduti a terra a giocare a carte. La vecchia passione, rimasta annidata per anni, scoppiò di nuovo: giocare e scommettere. Di colpo le persone si sbarazzarono degli stracci umidi e assunsero l'aria di villeggianti: ridevano e si scambiavano battute. Tsili ancora non sapeva che impercettibilmente lì stava fiorendo un nuovo stile di vita. Le parole allegre rammentarono a Tsili i suoi genitori. Quand'era piccola d'estate andavano in una pensioncina sulla riva del Danubio. I suoi genitori non avevano soldi, ma risparmiavano per trovarsi, foss'anche solo due settimane, insieme a gente che parlava correttamente il tedesco; ma come se qualcuno volesse far loro un dispetto, lì incontravano per lo più persone che parlavano yiddish. La cosa irritava suo padre, che diceva: Sono dappertutto. Non c'è scampo. Poi si era ammalato e aveva rinunciato alla villeggiatura. Il denaro se ne andava in visite mediche e medicine. Ora nessuno parlava più della guerra. I giochi a carte assorbivano tutto il loro tempo. Alcuni, invero, andarono a comprare delle provviste, ma tornarono subito per riprendere a giocare appassionatamente. Ogni tanto a qualcuno veniva in mente di chiedere: che accadrà? Non era una vera domanda. Faceva parte del gioco. Cos'è che non va qui?, c'è caffè e ci sono sigarette. Qui ci si può passare tutta la vita, qualcuno si diede pena di replicare. A una certa distanza avanzavano delle truppe, esercito fresco scampato all'assedio che ora vagava in sella a giovani cavalli. Lì tutti ammiravano i russi, i volontari e i partigiani. Non un rispetto che implicava un coinvolgimento diretto. Che facciano pure la loro guerra, non spetta a noi la vendetta. Tsili si teneva in disparte con il suo feto palpitante.
Le parole che Marek pronunciava quando stavano insieme sul monte le ronzavano nelle orecchie. Davanti agli occhi passavano le scene sul monte, come rituali percepiti nitidamente. Marek non le si manifestava più. Per ore sedeva ad aspettarlo. Non c'è più. Questo pensiero le passò per la mente e subito svanì. Una sera apparvero alcuni profughi, sollevando un trambusto di tipo diverso. Fra loro ce n'era uno, giovane d'aspetto, che parlava della salvezza imminente. Parlava della remissione dei peccati e della purificazione dell'anima. Aveva una voce gradevole. Era magro, ma non magro per il terrore. Alcuni se lo ricordavano dal campo come una persona tranquilla, che tribolava e soffriva in silenzio. Non immaginavano affatto che avesse la bocca traboccante di parole. L'uomo piacque a Tsili, che gli si avvicinò per ascoltarlo. Parlava pacatamente, spiegava, ma senza alzare la voce, come se stesse discorrendo di cose ovvie. Per un momento sembrò che più che parlare cantasse. Ma gli altri, intenti a giocare, erano disturbati da quel discorso. Dapprima lo pregarono di andare altrove. L'uomo si scusò e affermò che voleva solo dire quel che aveva da dire, e se era verità quel che aveva sentito, non era autorizzato a tacerla. Si capiva che era una persona buona, educata, che parlava in un ebraico tedesco corretto, e non intendeva irritare nessuno. Ma gli altri pretendevano che sparisse, o comunque che non parlasse. Il giovane stava per andarsene, ma qualcosa in lui, un impulso interiore, lo trattenne; pertanto rimase e continuò. Uno dei giocatori, che aveva perso ed era incollerito, si alzò e lo colpì. Per lo stupore di tutti, quello scoppiò a piangere. Non era un vero e proprio pianto, piuttosto un mugolio. Una notte intera gemette. Tra un lamento e l'altro uscivano frammenti di vita. Dapprima aveva lavorato come ingegnere. Come i suoi avi, anche lui si era tenuto ben lontano da tutte le faccende ebraiche. Al campo aveva avuto un'illuminazione. Per sua fortuna, il suo compagno era un ebreo molto colto, in effetti miscredente, da cui aveva attinto un po' di Bibbia, di Mishnah e di testi tradizionali. Solo dopo la guerra aveva sentito delle voci, e non confuse, finché una sera gli era esplosa in gola una chiamata: «Tornate, ebrei, ai vostri padri in cielo». Da allora aveva continuato a parlare, a spiegare, a chiamare al pentimento. Quando la gente si rifiutava di ascoltarlo o lo picchiava, lui si accasciava a terra e piangeva. L'indomani qualcuno escogitò uno stratagemma. Andò da lui e gli parlò pacatamente. Perché devi occuparti di questi ebrei testardi? Giù, non lontano di qui, ci sono profughi in abbondanza, gente di fede come te. Aspettano giusto che arrivi qualcuno a illuminare loro la via. Tu lo farai alla perfezione. Credimi. Ti stanno aspettando.
Strano, quelle parole fecero effetto. Si alzò in piedi e domandò ragguagli sulla strada, e senza chiedere altro se ne andò. Tsili provava pena per quel giovane. Si nascose il viso fra le mani. Nemmeno gli altri erano allegri. Tornarono alle loro carte come se non fosse un gioco, ma un dovere.