CAPITOLO 12.

La mattina presto Tsili si mise in cammino. Lui rimase a lungo a guardarla allontanarsi, finché non scomparve. Tsili era di nuovo immersa nella solitudine. Ormai sapeva: quello sconosciuto le trasmetteva qualcosa; camminò per molte ore, aggirando corsi d'acqua, e alla fine trovò un sentiero aperto e lastricato. Davanti a una casetta c'era una donna. Tsili le si rivolse nel gergo contadino: «Pane ne avete?» «E tu che mi dai in cambio?» «Denaro.» «Mostramelo.» Tsili glielo mostrò.

«Quanto vuoi in cambio?» «Due pagnotte.» La contadina lanciò un'imprecazione, entrò in casa e tornò di lì a poco con due pagnotte in mano. L'affare fu fatto in un batter d'occhio. «Di chi sei?» alla contadina venne in mente di chiedere. «Di Maria.» «Di Maria? Pfui!» La contadina sputò. «Vattene e non farti più vedere.» Tsili abbracciò il pane. Era caldo e solo quando fu lontana da quel posto scoppiò a piangere. Per la prima volta dopo molto tempo rivide il volto di sua madre, un volto non più giovane, segnato dalla fatica e dalla sofferenza. Le sue gambe smisero di muoversi, ma come già in passato sentì che non poteva fermarsi. Gli alberi avevano già i germogli. Lei saltava di pozzanghera in pozzanghera senza bagnarsi. La strada ormai la conosceva, passava da un sentiero all'altro, prendeva scorciatoie e faceva deviazioni, come se fosse una del posto, con agilità. Verso sera raggiunse la meta. Marek era seduto al suo posto. Nei suoi occhi stanchi e affamati si leggeva dell'obnubilamento. «Ho portato del pane» disse.

Marek si svegliò: «Pensavo ti fossi smarrita». Fece subito a pezzi la pagnotta, ci ficcò i denti e senza offrirgliene prese a masticare. Tsili lo guardò un momento: aveva gli occhi sgranati ed era tutto preso dal cibo. «Perché non ne assaggi anche tu?» disse quando si sentì sazio.

Tsili allungò una mano e prese un pezzo di pane. Non aveva fame. Il lungo cammino l'aveva sfinita: anche la voglia di piangere era scomparsa. Sedeva per terra immobile. Quando ebbe finito di mangiare, lui si passò la mano destra sulle labbra e disse: «Una sigaretta, se solo avessi una sigaretta». Tsili non reagì. L'altro continuò: «Senza una sigaretta la vita non ha senso». Poi piantò le dita nel suolo e canticchiò uno strano ritornello. Tsili si ricordava di quella melodia.

Ma i suoni si fecero ben presto stonati, trasformandosi in un mormorio indistinto. La sera era fresca, e Marek approntò un falò. Nel lungo periodo trascorso lì aveva imparato ad accendere il fuoco usando due pietre di selce e un filo di lana che strappava dal cappotto. Tsili fu per un attimo sconcertata da tanta destrezza. Non sembrava più stordito come prima, e con un tono vigile chiese: «Come hai fatto a procurarti il pane? E' fresco». Tsili gli rispose laconicamente. «E non hanno sospettato di te...» Sedettero a lungo davanti al fuocherello, che mandava un piacevole tepore. «Perché taci?» Tsili abbassò la testa e un sorriso involontario le corrugò le labbra. Il desiderio di una sigaretta lo tormentava, gli tremavano le mani. Grazie al pane fresco aveva riprovato per un attimo il piacere di vivere, ma gli era subito sfuggito di mano. Rimase a lungo lì seduto a masticare steli d'erba, che sputava accanto a sé. Aveva un'aria cupa e tesa. Più volte imprecò contro se stesso e la propria debolezza, di cui era schiavo. Tsili era stanca da morire, si addormentò.